Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II/Libro I/V

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Cap. V

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CAPITOLO QUINTO.

Si descrive Ispahan, e le sue cose più

notabili.


II
Spahan, Spahan, o Spahon (in lingua Persiana) è situata a gr. 90. di longitudine, e 32. e 40. min. di latitudine nella Provincia di Hierac, che faceva altre volte parte dell’antico Regno de’ Parti. [p. 87 modifica]La sua grande, e fertile pianura è circondata per tre parti, a guisa d’anfiteatro, da una catena di monti, lontani 10. o 12. miglia. Si crede ella fabbricata sulle rovine dell’antica Hecatompolis Supplement du grand di etion hiltor. ver. Ispahan.; però apertamente si vede, che sia sorta dall’unione di due piccioli Casali; l’uno chiamato Hay-derì-dey-dextì, l’altro Giubarè-Hamet Ilay: onde anche oggidì sono fra di loro emule queste due parti di Hay derì, ed Hamet-Ilay, e le contese tal nata giungono alle bastonate Taver. to. 1. livr. 4. pag. 434.. Dicono non per tanto i Persiani, che si chiamava anticamente Sipahan; ma che poi Tamerlan signoreggiando quelle contrade, trasposte le due prime lettere, la chiamasse Ispahan. I loro moderni autori la scrivono talvolta anche Isfahan.

Mentre i Re di Persia facevano la loro ordinaria dimora in Casbin, e Sultania, potea dirsi Ispahan un Casale; ma congiunti poi alla Corona i Reami di Lar, ed Ormuz, Scia.Abas, per la comodità del sito, vi trasferì la sua Sede: allettato maggiormente dalla fertilità del terreno innaffiato da tanti canali, che vengono dal fiume Sanderù, e servono alla maggior parte delle case della Città.

Il circuito delle fangose mura [p. 88 modifica]d’Ispahan sarà in tutto di dodici miglia, con picciole Torri, e fosso pieno d’acqua (ma poco profondo) presso al quale sono alberi, per starvi al fresco. Aveva io curiosità, e desiderio d’andarvi all’intorno; però in molti luoghi era chiuso il passo dalle mura de’ giardini, attaccate a quelle della Città, o da altri pubblici edificj. Nulla però di manco se vi si vuol contare Zulfa, e gli altri Borghi, con tutti i campi, e giardini, che vi sono inframezzati, sarà poco meno di 30. miglia.

Dalla parte di Mezzo di vi è un’altra montagna vicina sei miglia, sulla quale si veggono le rovine d’un Castello, donde dicono, che Dario stava riguardando la seconda battaglia, che Alessandro diede a’ Persiani.

Le porte d’Ispahan sono dieci, cioè Der Tocxì, Der Dext, Der Abassì, Der Lombun, Der Daulet, Der Mod-bac, Der Assan-Nabat, Der Herrum, Der Seet-Hamedeyun, e Der Giubarè; e queste sono picciole, malfatte, e coperte di ferro. Le chiavi si conservano da particolari Custodi; però essendo cadute in più parti le mura, si può entrar di notte per dove si vuole.

Le strade della medesima sono [p. 89 modifica]strette, obblique, ineguali, e buona parte oscure a cagion delle volte, che cuoprono i Bazar, e servono per potersi passare al coperto delle pioggie da una casa in un’altra. Se non fusse che la bontà naturale dell’aria supplisce alla trascuratezza de’ naturali, sarebbono infinite le infermità cagionate dalle immondizie, che nelle medesime strade si gettano. Vi si veggono da passo in passo alcuni pozzi, che stanno serrati la State, ed aperti l’Inverno, per dar corso all’acque, che per sotterranei canali vi passano: e oltreacciò ciascheduna casa tiene avanti un fosso per gettarvi le sporchizie, che poi sono tolte da’ Giardinieri, per ingrassare il terreno.

L’altro grave incomodo è la polvere in Estate, e’l fango nell’Inverno; non essendo in alcun luogo di Persia strade lastricate di pietre: e quantunque vi siano persone espressamente destinate per adacquarle tre volte al dì; queste però usano tal diligenza solo nel Meidan, e nelle piazze dove abitano mercanti ricchi, i quali ponno pagarle. Il simile accadevi dell’acqua fredda, che altri portano in un utre, dentro un sacco pieno di ghiaccio, per darne gratis a chiunque ne vuole; [p. 90 modifica]essendo eglino pagati dall’entrate rimase per tal’opra pia da’ difonti Persiani.

S’aggiugne a tutto ciò lo sporco costume, di gettarsi nelle piazze le bestie morte, e’l sangue di quelle, che sono uccise da’ macellai; e di farsi da’ Persiani il loro bisogno dovunque si truovano per le medesime. Quindi io non so discernere con quanta ragione un de’ nostri Scrittori Italiani ardisca di paragonare Ispahan alla leggiadra, e vaga Città di Palermo; quando, non solo in quella non può vedersi strada, che s’uguagli alle quattro cantonate del Cassaro; ma la peggior casa di Palermo supera le migliori d’Ispahan, che (toltene alcune Reali, e di Signori) sono tutte fatte di terra, con mattoni cotti al Sole framezzati di 4. in 4. palmi. La loro fabbrica quanto più s’innalza, tanto più si và stringendo, altrimente non reggerebbe il peso: come che facilmente si rompe, cuoprono solamente l’aperture con un poco di calce. Sono bensì coperte con terrato, o astraco, come si dice in Napoli. Con tutto che sia così cattiva la fabbrica, pure costa assai; pagandosi ad ogni muratore quanto otto carlini della nostra moneta, ed a coloro che apprestano i materiali grani 26. [p. 91 modifica]

L’ordinaria forma di tai case è l’aver nel mezzo un portico, con una fontana, o conserva d’acqua. Da’ tre de’ lati sono al di sopra finestre, per ricever bastevol lume; al di sotto picciole volte per stare al fresco; e varie stanze in fila, con gelosie ben dipinte alle finestre. Più dentro suol trovarsi una gran camera, dove stanno le materasse, ed origlieri pieni di cottone, per dormirvi su. Il solajo è da per tutto coperto di buoni tappeti, giusta la condizion de’ Padroni. I palagi de’ Grandi non sogliono eccedere due piani; ci hanno a’ quattro lati del portico due stanze a volta per ciascheduno, tutte adorne di dipinture arabesche di varj colori. In alcune stanze fatte per le femmine, sogliono star nelle finestre gelosie di legno ben colorite, o pure di marmo tagliato, con vetri nel mezzo de’ forami.

Il tetto è fatto, come dissi di sopra, all’uso di Napoli, e vi sogliono dormire in Estate, per lo gran caldo. Lo fanno di terra battuta, con calce e paglia stritolata, o di mattoni cotti al fuoco; e prendono gran cura l’Inverno di non farvi restar lungo tempo la neve, che potria romperlo.

I migliori arredi gli pongono i [p. 92 modifica]Persiani nelle stanze, dove ricevono le visite; nell’altre non vi hanno cosa che vaglia. Come che il solajo è coperto di tappeti, vi dormono su, contenti d’una materassa, o d’una coltre.

Non solo per la salubrità dell’aria Io. Bap. Nicol. herc. p. 3. c. 316., ma per la comodità del traffico, è così popolata Ispahan, che l’appellano mezzo Mondo; e non senza gran ragione, sì per la tanta diversità di lingue, che vi si odono, come per l’immensa ricchezza de’ suoi Bazar, e botteghe d’ogni genere di mercatanzie.

Il Padre Priore del Convento, in cui io dimorava, sapendo che il mio cavallo dava gli ultimi fiati, fece il Giovedì 8. porre la sella al migliore, che avesse in stalla, acciò me ne servissi. Montatovi su, ed accompagnato da’ suoi servidori, me ne andai passeggiando per la Città. La prima cosa che vedessi, fù la Torre detta in lingua Persiana Monar-Kalè, che fece fare Scia-Abas il Grande, coprendola tutta delle ossa degli animali, che uccise in un sol giorno a caccia. Dicono, che avendogli riferito l’artefice, mancare una sola testa per compimento dell’opra, vi fece porre quella di lui. L’altezza sarà di 80. palmi in circa, e’l [p. 93 modifica]circuito ben picciolo, di quaranta palmi in circa.

Fui quindi a vedere la casa della Compagnia Olandese, dove trovai l’Agente (detto Giacomo Norgheamer) cacciando a tortorelle nel giardino, oltremodo delizioso per le fontane, e per gli alberi di Cinar piantati a fila. Bevuto ch’avemmo allegramente, fece vedermi una dozzina fra cavalli e cavalle, de’ più belli, che mai Monarca al Mondo possa tenere; sì per lo spirito, come per le macchie di vari colori, che meglio non avrian potuto trovarsi in una buona pelle di Tigre; nè valente dipintore colorirle più leggiadramente.

Mi condusse poscia a vedere la sua casetta di caccia, dove teneva dieci falconi, per ogni spezie d’animali, così volatili, come quatrupedi; con servidori destistinati ad averne cura: costume appreso da’ Persiani, che non truovano altro maggior diletto. Teneva anche varie Kaliane d’argento, e d’oro ingioiellate, per dar da fumare a coloro, che venivano a tenergli compagnia intorno a una peschiera: ed in tutto si trattava magnifica e generosamente.

Il Venerdì 9. vennero il Padre Priore [p. 94 modifica]de’ Carmelitani Scalzi, il Padre Provinciale de’ Domenicani, ed altri Franchi a favorirmi in casa; convitandomi il Padre Provinciale ad una Consecrazione, che dovea farsi indi a due giorni.

Il Sabato 10. di nuovo mi posi a cavallo, e passeggiai più ore per le migliori strade, e Bazar; vedendo ricchissime botteghe con ogni genere di mercatanzie. La Domenica 11. andammo a Zulfa io, il Padre Priore, e tre Religiosi Portoghesi, e smontammo nella Casa de’ Padri Domenicani, dove fu fatta la cerimonia dall’Arcivescovo d’Abraner Armeno dell’istesso Ordine. In casa di costoro desinammo 24. persone, fra le quali l’Ambasciador del Papa, Monsignor Pidù Arcivescovo conescrato di Babilonia, (che dovea partire per la sua residenza d’Hamedan) il Padre Elia Carmelitano eletto Arcivescovo d’Ispahan, un’altro Arcivescovo Soriano Cattolico, l’Ambasciadore di Polonia, il Padre Rettore de’ Gesuiti, ed altri Religiosi, e secolari. Si bevè allegramente dell’ottimo vino di Sciras, e d’Ispahan, fra l’esquisitezza delle vivande; onorandomi gli Ambasciadori di Polonia, e del papa, e l’Arcivescovo d’Ispahan di bevere il primo [p. 95 modifica]bicchiere alla mia salute. Per non incomodare i convitati, all’ultimo si riserbò il bevere alla salute di Sua Santità, siccome si fece da tutti in piedi, con un gran mazzo di fiori in mano, che andava in giro.

Così nell’andare, come nel venire passammo per famosi Bazar, e per una strada detta di Sciarbach; perché i lati della medesima sono occupati tutti da quattro giardini del Re, e Sciar in lingua Persiana significa quattro, e Bach orto, o giardino. Comincia ella da una bella casetta di delizia, con loggie ben dipinte, che hanno comunicazione col Palagio Reale, e suole uscirne il Re quando va a diporto in Zulfa, o ad altri giardini. Si stende per un miglio sino al ponte, ed è larga un tiro di schioppo. Vi corre acqua per lo mezzo, in un canale di pietra ben fatto, che in tutto questo spazio lascia quattro ben grandi conserve, o peschiere. A’ lati con bell’ordine sono disposte due fila di Cinar (che rassomigliano a’ Platani) dentro le mura; e due fuori, sotto a’ quali sono fabbricate due stradette di selici, larghe ciascheduna quattro piedi, ed altrettanto alte da terra, per passeggiarvi all’ombra; senza la molestia de’ cavalli. [p. 96 modifica]

Quivi vi vengono a diportarsi a truppa i Persiani; fumando, o mangiando frutta in varie botteghe, pulitamente fabbricate lungo la medesima. Prima d’arrivare al ponte si vede tagliata questa strada da un braccio del fiume Sanderù, che và parallelo ad un’altra fatta nella stessa guisa.

Per andare poi in Zulfa bisogna passare il ponte sullo stesso fiume Sanderù, a Rutcunà. Egli è composto di 35. archi per lungo, ed altrettanti per traverso, fra gli spazj de’ quali si pongono i naturali a fumare, e godere il fresco al mormorio dell’acque. Al di sopra sono due muraglie alte 16. palmi, e lunghe quanto il ponte; le quali lasciano nel mezzo giusto spazio, e dall’altra parte verso l’acqua tanto, quanto vi possono passare molte persone del pari; da per tutto ornate d’archi, e di nicchie a proporzione.

Passato questo ponte si truova l’altra consimile strada, lunga più di due miglia. Sul cominciamento si vede a sinistra una casa di delizia detta Teckù-Seis, che il Re Scia-sofì fece fabbricare per un Dervis suo diletto. Cinquanta passi più oltre se ne veggono altre due, se non [p. 97 modifica]così grandi, almeno ugualmente leggiadri. Indi due altri belli edificj, con loggie al di sopra, per goder la veduta d’una bella peschiera, ch’è nel mezzo. Quivi alzandosi il terreno, per continuare il cammino, può salirsi per due strade, fra le quali è una fabbrica, per mantenere il suolo uguale. Per amendue i lati, fra convenevoli spazj, sono picciole case di delizia, con vaghissime facciate, dalle quali si entra in varj giardini del Re, adorni d’alberi d’ogni sorte.

Dopo aver goduto di sì bella prospettiva, per sì lunga famosa strada, si giunge al gran giardino Reale, chiamato Azar-gerib Pietr. della Vall. par. 1. c. 46., lungo tre miglia, e largo uno. Sul principio si truova una bellissima facciata, con doppio ordine di loggie, dalla parte della strada, e da quella del giardino dipinte superbamente (a simiglianza della casa) di oro, ed azurro, con figure all’uso di Europa. Ne’ quattro angoli sono quattro belle Torri, sì per ornamento, come per farvi i nidi le colombe. Vi passa per lo mezzo un canal di acqua, che in correndo su le ben tagliate pietre, vagamente salta; ed altrove (perché il terreno non è piano) fa leggiadre cadute, e come tanti specchi, [p. 98 modifica]in cui riflette il verde de’ folti Cinar, che sono allato.

Più oltre, a dirittura della porta, si vede una gran peschiera, o conserva d’acqua, con due loggie a’ fianchi dipinte alla moresca, in cui suole stare il Re a sollazzo. Passando innanzi si truova in mezzo del canale una casetta, sotto la quale è una gran volta, per servir anche di conserva d’acque; oltre quella per passatempo della famiglia Reale, ch’è coperta d’un cielo vagamente dipinto, e sostenuto da colonne di legno. Intorno alla casa sono loggie, per godere da tutte le parti il canale.

Elevandosi sempre vie più il terreno, si veggono poscia due altre belle casette similmente dipinte, per delizia delle donne dell’Aram, le quali hanno anche una barchetta per diportarsi nella peschiera, che vi è: e per uso delle stesse serve l’altra casa in fine dei canale, e del giardino.

Da’ lati vi sono altri canali per innaffiarsi le piante, e le strade dalle persone destinate a tal mestiere. In somma questo giardino tra per la sua grandezza, tra per la bellezza degli alberi, e varietà di fiori e frutta, può competere co’ migliori d’Italia. [p. 99 modifica]

Nel ritorno vedemmo il Parco, dove erano poco più di venti fra Tigri, Leoni, ed altre fiere. Quivi vedemmo anche tre Pars, che sono piccioli animali quanto un Gatto, de’ quali si servono per la caccia di Cervi, Garzelle, ed altri animali; lasciandogli correr dietro a questi, dopo che i Falconi postisi sul capo, han loro con le ali impedito il vedere.

Incontrammo anche il Generale della cavalleria, detto Saperselar (in presenza del quale ci fermammo) preceduto da 50. soldati vagamente vestiti con piume di vari colori sul capo. Egli si era di 50. anni in circa, di buono aspetto, ed avea un gran mostaccio.

La Domenica 11. il Priore di S. Agostino fece vedermi un pezzetto, quanto un cece, d’una radice (simile a quella di liquirizia) che in gran copia era caduta l’anno antecedente dal Cielo, nel Casale di Ciase nella Provincia di Meyrvo. Il fatto passò in questa guisa. Era sì grande la penuria de’ viveri in tutta quella Provincia, e spezialmente nel Casale suddetto, perla mala raccolta di quell’anno; che morivano molte persone il giorno di pura fame. Una femmina dabbene, accompagnata da molto popolo, uscì [p. 100 modifica]un giorno alla campagna, e con molte lagrime implorò la Divina misericordia, acciò non facesse così miseramente perir tutti. Iddio che non manca mai a’ nostri bisogni, esaudì le giuste preghiere; e per tutto un giorno, e una notte fece piovere nello spazio di tre miglia, quasi celeste manna, quella radice; e in tanta copia, che si alzò tre palmi sul terreno. Raccolta ne fecer pane, di cui volle provare il Re, e molti Grandi della Corte; e così si salvò l’affamata moltitudine. Io non l’avrei mai creduto (e credo che il lettore non ne resterà persuaso alla prima) se non me l’avessero attestato tutti i Religiosi Agostiniani, il P. Elia di Mons Carmelitano Scalzo e Vescovo d’Ispahan, con tutti i Padri del suo Ordine, il Vescovo Armeno di Nakcivan, l’Ambasciador di Polonia, il Padre Rettore de’ Gesuiti, tutti i Francesi, che stavano al servigio del Re, e quanti Signori Persiani ragionaron meco. Ne mandai sin d’allora un pezzetto in Napoli al Consigliero Amato Danio mio amico, acciò lo facesse vedere a’ curiosi.

Il Lunedì 12. ebbe principio il discacciamento, e persecuzione de’ Padri Carmelitani Scalzi di Zulfa; essendovi [p. 101 modifica]andato in persona, con l’ordine Regio, il Divan Bey, o Governadore d’Ispahan: credo, che chi legge non avrà dispiacere udirne la storia. Avendo quei Padri da pochi anni un picciolo Ospizio in Zulfa, venne loro in pensiero d’ampliarlo, e farvi una buona Chiesa. A tal fine comprarono la casa d’un’Armeno, per 50. Toman, avuti in limosina da un Cattolico; ma tralasciarono, per trascuratezza di far registrare la compra ne’ libri Reali, giusta il costume di Persia. Or gli Armeni Eretici, intenti ad impedire la già cominciata fabbrica, principiarono a fare gran strepito; fondandosi sull’ordine del Re, che vietava in Zulfa ogni altra Religione, fuorche l’Armena: all’incontro i Padri stimarono non dover tralasciare la fabbrica, avendo permissione del Re medesimo di poter far casa in qualsivoglia parte del suo Reame. Dalle parole in fine si venne a’ fatti; imperocche unitisi due mila Armeni, andarono per rompere la porta de’ Padri Carmelitani; e certamente vi avrebbon fatto gran disordine, se l’Ambasciador di Polonia non vi avesse mandate le sue genti a tenergli indietro. Tennero i Cattolici d’Ispahan diverse [p. 102 modifica]assemblee, per trovar qualche riparo a a sì fatto male; ma non fecero nulla, perche gli Armeni erano ricchi: ed un tal Stefano Vert-abiet (o Predicatore) avendo raccolto 3000. Toman, cioè a dire 5700. scudi Napoletani, ne avea fatto presente alla Regina Madre, e Ministri favoriti del Re; ed in tal maniera ottenuto l’ordine, che desiderava. Il primo pasto, che diede il Divan-Bey esecutore di questa ordinanza, fu d’interrogare il Padre Elia, se avea scrittura della compra della casa. Non potè quegli mostrarla, per non averla in forma valida, e dall’altro canto il venditore, minacciato dagli Eretici, diceva, che non l’avea altrimente venduta; ma che dovendo 50. Toman al Convento, il Padre Elia se l’avea tolta per forza. Negava questi, dicendo averla comprata legittimamente, con consentimento del venditore; ma il Divan-Bey interrompendolo, cominciò a dire: come? senza scrittura, e per forza si pigliano le case de’ sudditi del Re? e nel medesimo tempo comandò, che si diroccasse la fabbrica fatta; e chiuse le porte del Convento, vi pose il suggelio del Re. Replicando il Padre Elia, se in tal forma si trattavano in Persia gli [p. 103 modifica]ospiti del Re: rispose quegli, che perciò non si passava a più severo gastigo.

Ritornato il Divan in Città, mandò dodici de’ suoi, con ordine al P. Elia da parte del Re, che uscisse egli, e tre suoi compagni incontanente da Zulfa; e che non ardisse porvi più piede, sotto pena di 100. Toman. Partirono adunque i buoni Padri a piedi, in mezzo di quella canaglia, che dovea condurgli dal Governadore in Ispahan; però incontrarono per istrada due Padri Agostiniani (mandati loro all’incontro per atto di civiltà dal Padre Gaspar dos Reys Priore del Convento, dove io albergava) i quali fecero porgli su i loro cavalli. Giunti in presenza del Divan, appena ebbero licenza di rimanere ospiti dell’Ambasciador di Polonia.

Il tumulto era stato grande in Zulfa, e strana l’allegrezza fatta dagli Eretici, i quali con incredibile baldanza minacciavano d’estirparne anche i Gesuiti, e Domenicani; fidati nella protezione di Agà-Camal (castrato Moro favorito del Re,) della Regina Madre, e di molti Grandi; onde parve bene al suddetto Ambasciadore mandar sue genti, a guardar la casa de’ Gesuiti. Temendosi adunque [p. 104 modifica]del discacciamento di tutti i Cattolici Missionarj, il suddetto Padre Gasparo, e gli altri padri Portughesi, ch’erano molto stimati, andarono il Martedì 13. in Zulfa ad avvertire il Vert-abiet; che se egli, come avea fatto co’ Padri Carmelitani Scalzi, pensava di mandar fuori gli altri Religiosi, era lo stesso che dichiararsi nemico de’ Cattolici: nel qual caso non avrebbe mancato il Re di Portogallo, e gli altri Principi Cattolici di prender le dovute misure. Aggiunse a ciò, che egli come amico lo avvertiva, che quel suo zelo sarebbe stato cagione di tutto il male, che poteva avvenire agli Armeni negozianti in Cristianità.

Quantunque il Vert-abiet fusse un vecchio temerario, ed avesse risposto sulle prime, che poco si curava de’ Re, quando si trattava della salute delle sue pecorelle, ad ogni modo fu la prudenza del Priore sì grande, e del suo Vicario (intendentissimo delle lingue Orientali) che indussero il vecchio a rompere in loro presenza il Rogam, o ordine del Re, per lo discacciamento di tutti i PP. Cattolici; dichiarando, che ciò facea in riguardo loro.

Non dee recar maraviglia, che [p. 105 modifica]avendo tutti questi PP. i Rogam per le loro fondazioni; poi gli Armeni ne ottenessero così facilmente altri contrari; imperciocchè il Re stava in una continua stupidità di mente, nè si governava, che per bocca d’altri. La vita, ch’egli menava, non so se debba chiamarsi vita. Risvegliato dal profondo sonno, cagionatogli da’ spiritosi vini di Sciras, e d’altri luoghi di Persia, cercava di bel nuovo da bere; nè potendo sostenere egli il bicchiere, il suo coppiere glie ne porgea tre ben pieni. Indi preso alquanto dì vigore, ne prendea tre altri di sua mano, e passeggiando poi continuava a bere sino a tanto, che di bel nuovo vinto da’ fumi del vino, si poneva a dormire; e così fra il sonno, ed un’ombra di vigilia passava indegnamente i suoi giorni. Ne’ medesimi Consigli non poteva astenersi di bere; ed allo spesso fatto preda del sonno, bisognava, che si terminassero i congressi senza far nulla.

Persone degne di fede mi raccontarono, che avendo il Grande Scia-Abas ucciso il Re degli Usbechi, del cranio di costui, incastrato in oro, fece farsi una tazza; e che il Re, di cui ragioniamo, costumando di beverci nelle pubbliche [p. 106 modifica]solennità (per lo suo genio barbaro, e sanguinolento) accadde una volta di servirsene in presenza dell’Ambasciadore del successore di quel Re. Per ischerzo interrogollo, se sapeva di che era fatta quella tazza; e rispostogli che no, disse: Questa è la testa del vostro Re. Con somma prudenza rivolto l’Ambasciadore, rispose: Fu il mio Re fortunato nelle sue sventure, morendo per mano d’un sì gran Monarca; ma assai più glorioso mi sembra oggi, che veggo serbarsene memoria così grande da un Re sì poderoso come Vostra Maestà. Piacque tanto questa risposta, che da indi in poi non fu all’Ambasciadore negata grazia alcuna.

Mentre che i PP. Portughesi si affaticavano con molta carità Cristiana intorno all’affare di Zulfa, sopravvenne il Mercordì 14. un’altro non dispregievole accidente. Fu notificato ordine Regio a Coggia Marcarà Cattolico Armeno, che pagasse cinquecento cinquanta Toman. Alcuni dicevano, che ciò fusse, perche avendo favoreggiato il P. Elia, era stato in gran parte autore de’ disturbi passati: altri (che era l’opinione più vera) perche avendo mutato di Religione, non avea abbracciata la Maomettana, come [p. 107 modifica]comandano le leggi del Regno. Dicevano, che il Divan-Bey avendo ciò saputo, avea mandato a cercar parere all’Axond (ch’è Capo della Religione, e giudica de’ matrimonj, de’ repudj, vendite, compre, permutazioni, ed altri contratti, se siano validi, o no) e che questi avea giudicato, doversi bruciar vivo. Questa sentenza essendo stata dal Re stimata troppo rigorosa, l’avea mutata nel pagamento di 2000. Toman; ma poi per le preghiere della figliuola del Marcarà, che stava nell’Aram, s’era contentato di 550.

Non contenti gli Armeni di perseguitare i Cattolici, proccurarono di rendere anche mali uficj all’Ambasciadore, che ne proteggeva la causa. Erano già alcuni mesi, che il Visir gli avea dato risposta da parte del Re, che non intendeva romper la pace col Turco: e persistendo ancora l’Ambasciadore nella pretensione d’esser licenziato dal Re, i buoni Armeni tai cose rappresentarono a’ Ministri, che il Giovedì 15. costoro fecero di bel nuovo intimargli, che partisse; aggiungendo, che quando non si contentava della licenza del primo Ministro, gli arebbono fatto dar congedo da persona inferiore: [p. 108 modifica]negando anche di dargli le paghe de’ tre mesi scorsi dopo la prima spedizione, e convenevole accompagnamento per la partenza; non che di pagar più il piggion della casa da indi in avanti. Il Venerdì 16. stando io a tavola co’ PP. venne l’Ambasciadore; e postosi con noi a desinare, disse, che in ogni conto per l’ultimo d’Agosto (avuta o no risposta dal Re) si sarebbe partito per Polonia; giacchè non vedeva modo di far che i Persiani entrassero in guerra co’ Turchi, giusta l’intenzione del suo Re.