Istoria del Concilio tridentino/Libro quarto/Capitolo V

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Libro quarto - Capitolo V (gennaio 1552)

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CAPITOLO V

(gennaio 1552).

[Redazione del decreto dogmatico e dei canoni dell’ordine sacro per la sessione successiva. — Assicurazioni imperiali contro il timore della guerra. — Arrivo a Trento degli inviati sassoni: le loro riserve e pretese ostacolano la loro recezione in sessione. — Per interessamento degli imperiali si concede di udirli in congregazione. — Rigida dichiarazione dei sassoni sulla forma del salvocondotto ai teologi protestanti, sul valore delle precedenti deliberazioni conciliari e sulla supremazia del concilio di fronte al papa. — Analoga dichiarazione degl’inviati del Württemberg. — Sessione decimaquinta: si proroga la pubblicazione dei decreti giá fissati, in attesa dei teologi protestanti, e si approva un nuovo salvocondotto, concordato fra il legato e gli imperiali.]

Fatte le feste di Natale, si fece congregazione generale per dar forma alla trattazione del sacramento dell’ordine. Fu ragionato degli abusi che in quello sono nella Chiesa entrati, dicendo il nuncio veronese che in tutti certamente qualche abuso era degno di correzione, ma in questo era l’oceano degli abusi. E dopo che da molti furono fatte esclamazioni assai tragiche, si pensò che era bene prima propor, secondo il costume, gli articoli tratti dalla dottrina luterana; poi discutere quali si dovevano dannar per eretici, e formar li anatematismi e li capi di dottrina; e in fine parlar degli abusi. Furono dati alli teologi dodici articoli, sopra quali sollecitamente si parlava mattina e sera. Dai voti delli teologi li padri deputati formarono prima otto anatematismi, dannando per eresia il dire che l’ordine non è vero e proprio sacramento, e un solo che tende per molti mezzi al sacerdozio; il negare la ierarchia; il dire che ci vogli il consenso del populo; il dir che non vi sia un [p. 154 modifica] sacerdozio visibile; che l’onzione non sia necessaria; che non si dia lo Spirito santo; che li vescovi non siano de iure divino e superiori alli preti. Sopra questi anco furono formati quattro capi di dottrina: della necessitá e instituzione del sacramento dell’ordine, del visibile ed esterno sacerdozio della Chiesa, della ierarchia ecclesiastica, e della differenza del prete dal vescovo. La qual dottrina e canoni essendo approvati dalla congregazione generale, furono posti tutti in un decreto sotto l’istesso contesto con quello del sacrificio, per pubblicarli nella sessione; se ben ciò non fu fatto, per le ragioni che si diranno. Per il che anco non si fa piú particolar menzione delle cose che in quelle congregazioni di decembre e gennaro passarono, essendo le stesse materie ventilate di novo sotto Pio IV nella terza reduzione; alla quale quando saremo gionti, narrerò le differenze tra questi decreti formati ora e quelli che furono stabiliti dopo, sotto Pio.

Ma andando a Trento da molte parti nova che si facevano soldati per tutta Germania, e temendosi di guerra, li tre elettori, che vedevano le cose loro in pericolo, mandate lettere e messi all’imperatore, richiedevano di poter tornar alli stati loro per conservazione delle cose proprie. Cesare, che desiderava la continuazione del concilio, li rispose nel principio del 1552 che li rumori non erano tanto grandi quanto la fama portava; che egli aveva mandato a veder la veritá, e s’erano trovati solamente alcuni pochi sollevati, ma che le cittá erano in ufficio; e che Maurizio, del qual era rumore che fosse in moto, doveva andarlo a trovare, e aveva anco giá destinato ambasciatori, li quali tuttavia si trovano in Ispruc per inviarsi immediate a Trento; che quei pochi soldati allogati nella Turingia, quali, trascorsi, avevano fatto danno nelle terre del magontino, erano mossi per solo mancamento de stipendi; che egli aveva mandato persona espressa, acciò fossero pagati e licenziati; che egli era consapevole di tutto quello che si diceva e temeva, né trascurava cosa alcuna; aveva in ogni luoco chi l’avvisava, né perdonava a spesa. Per il che li confortava a non abbandonar il concilio, che portarebbe pericolo di [p. 155 modifica] disciogliersi con la loro partenza, con danno notabile della religione: e se li loro stati hanno bisogno di qualche provvisione, comandino alli loro ministri e avvisino lui che gli dará ogni aiuto.

A’ 7 di gennaro gionsero a Trento Volfio Colero e Leonardo Badehorno, ambasciatori di Maurizio elettor di Sassonia: che diede grand’allegrezza alli elettori e prelati germani, assicurati da questo che Maurizio non tentasse novitá. Trattarono prima con li ambasciatori di Cesare, dicendo che il suo principe, come desideroso della concordia, aveva deliberato mandar al concilio alcuni teologi, uomini pii e amatori della pace; il che averebbono anco fatto li altri principi protestanti. Ma era necessario prima un salvocondotto nella forma del basiliense, e che tra tanto in concilio si fermasse ogni trattazione, e che gionti quelli, si reesaminassero le cose giá trattate, non essendo concilio generale se non v’intervengono tutte le nazioni. Che il pontefice non vi abbia autoritá di presedere, ma si sottoponga al concilio, e relassi il giuramento alli vescovi, acciò i voti siano liberi. Aggionsero gli ambasciatori che nella congregazione delli padri averebbono esposto le cose piú abbondantemente: la qual desideravano che si adunasse presto, perché li teologi erano quaranta miglia lontani, e aspettavano solo di esser chiamati.

Li ambasciatori cesarei risposero buone parole, perché Cesare per trattener Maurizio aveva comandato che fossero ben trattati. Questi ambasciatori fecero li medesimi uffici con li principi elettori e col cardinale di Trento, ma recusarono di trattare col Cardinal Crescenzio e con li suoi colleghi, per non parer che li riconoscessero. Instavano di esser ammessi in pubblico per presentare le patenti loro, ed esser ricevuti come erano stati accettati quelli dell’elettore di Brandeburg; di che li cesarei li davano speranza, anzi promessa, per trattenerli. Ma dall’altra parte il legato e li nonci apertamente ricusavano di alterare la formula del salvocondotto, dicendo esser troppo indignitá della sinodo, che rappresenta tutta la chiesa cattolica, che quattro settari debbiano metter difficoltá di fidarsi in lei; né meno volevano fermar il corso dei decreti [p. 156 modifica] giá maturamente ordinati. E che speranza vi potrá essere della conversione di Germania, quando vengano con queste dimande? Che quanto all’udirli in pubblico, essendogli stato promesso, era giusto; ma essendo mandati a quel concilio, del quale hanno veduto e sanno che il legato e nonci apostolici sono presidenti, è necessario che li riconoscano per tali, e senza questo non poter admetterli, cosí tenendo commissione speciale dal papa, data loro quando gionsero quei di Virtemberg. Che di rilasciare giuramenti e altre tal impietá e biasteme contra la sede apostolica non dicevano altro, disposti a morire piú tosto che tollerarle; che sarebbono partiti, e disciolto il concilio, e comandato alli prelati di non intervenir ad atto alcuno.

Fu di questo avvisato Cesare, al quale il negozio era molto a core; e restò offeso per la pertinacia delli pontifici, che volessero per pontiglio metter un negozio di tanto rilievo in conquasso, e far nascer una guerra, la qual potesse in fine esser anco il loro esterminio: e rimandò ordine alli ambasciatori suoi e al cardinale Madruccio che facessero opera di quietare il legato e usassero l’autoritá sua prima con preghiera, poi anco con parole alte, se non trovavano temperamento che sodisfacesse ad ambe le parti; e constringessero con modi civili il legato e li nonci a condescendere al giusto.

Li ambasciatori cesarei e il Madruccio, preso conseglio, risolsero di non tentar con li pontifici tutto insieme, ma per principio solo trattar del ricevere gli ambasciatori. Dopo longhe persuasioni (le quali miravano a mostrare che quando fossero li sassoni introdotti nel consesso, dove essi erano presidenti, si poteva dire che la presidenza era assai riconosciuta, quantunque non fosse complito con loro inanzi a parte), alle persuasioni aggionsero le preghiere per nome di Cesare, miste con qualche parola significante che conveniva non abusar la sua clemenza, né constringerlo a pigliar altri rimedi: la necessitá esser un potente incitamento a chi ha la forza in mano. In fine il Crescenzio si lasciò condurre che fossero ricevuti, non in sessione, ma in pubblica congregazione generale in casa di lui, parendogli con questo esser riconosciuto [p. 157 modifica] per capo. Spontato questo, vennero al soprassedere le materie. Diceva il Toledo aver sentito tante volte a predicare esser cosí cara a Cristo la salute d’un’anima sola che descenderebbe di novo ad esser crocifisso per acquistarla; e ora con differire si ricusava per salvar tutta Germania: dove era l’imitazione di Cristo? Si scusava il legato con li comandamenti del papa assoluti, a’ quali non poteva contravvenire: ma replicando l’ambasciatore che al ministro si dá l’instruzione in scritto e la discrezione si rimette alla prudenza, disse il legato che vedeva molto bene questo esser un grado per incamminarsi a dimandar retrattazione delle cose decise. Li diede parola l’ambasciatore che di ciò non averebbe trattato mai, anzi averebbe fatto efficaci uffici con li sassoni per farli desistere da questa instanza. In fine il legato, persuaso dal noncio veronese (che prima s’era lasciato superare, diceva egli, per non adossare al papa e al concilio un tanto carico, che fosse precipitato negozio cosí importante per la negazione d’una poca dilazione), condescese a dire che si contentava, purché dalli prelati nella congregazione generale fosse prestato assenso; a’ quali anco si rimetteva intorno il salvocondotto che richiedevano.

Fu fatta la congregazione per consultar sopra questi particolari, e fu facile risolvere la dilazione per gli uffici fatti dalli imperiali. Del salvocondotto non fu cosí facile la consultazione, non solo per la ragione allegata dal legato, ma anco perché era aborrito il nome del concilio basiliense e il rimettersi a quello; e quello che piú importava, stimando che alcune cose potevano convenir a quei tempi e non a questi, perché li boemi avevano dottrina non tanto contraria alla chiesa romana. Con tutte queste opposizioni l’autoritá delli tre elettori, del Cardinal Madruccio e l’ufficio degli ambasciatori cesarei prevalse.

Ma da Pietro Tagliavia, arcivescovo di Palermo, fu aggionto che si lasciava di consultare un ponto molto principale: come s’averebbe trattato con li ambasciatori nel darli luoco da sedere o no, nell’usar verso loro e li principi loro termine di onore: perché non lo facendo era romper il negozio, e facendolo era [p. 158 modifica] gran pregiudicio onorar eretici manifesti, o tenerli in altro conto che di rei. La stessa e maggior considerazione si doveva aver del modo di governarsi con li teologi venturi, quali pretendono aver voto, e al sicuro vorranno esser a parte nelle dispute e consulte, né permetteranno esser tenuti nello stato che la Chiesa debbe e non può tenerli altrimenti, cioè di eretici, scomunicati e dannati, con quali non è lecito trattare se non per instruirli, se umilmente lo richiedino, e perdonarli per grazia. Sopra questa proposizione fu assai detto della varietá de’ tempi, a’ quali conviene che ogni legge s’accomodi; che li medesimi pontefici che statuirono quelle decretali non le farebbono in queste occasioni; nessuna cosa piú facilmente rompersi che la piú dura. Le qual ragioni se ben persuadevano la maggior parte, con tutto ciò non sapevano che risolvere. Pareva che il determinare qual rigor delle leggi si dovesse ritenere e qual rilasciare fosse cosa di molta e longa consultazione, e da non risolvere senza il pontefice romano e il collegio de’ cardinali, ma l’angustia del tempo non comportarlo. Questo rese tutti ambigui; quando opportunamente il vescovo di Naumburg prese per fondamento che la necessitá iscusava ogni transgressione e che in Germania nelli colloqui e diete queste considerazioni sono state maturate, e cosí deciso; ma per sicurar meglio il tutto, era ben far una protestazione inanzi; che tutto fosse fatto per caritá e pietá, quali sono sopra ogni legge, e per ridurli sviati; e s’intendesse fatto sempre senza pregiudicio, con quelle clausule che li iurisperiti sapranno trovare. Questo parere fu abbracciato prontamente dalli primi, dalli prelati tedeschi, dalli spagnoli poi, e dagli italiani in fine con qualche tepidezza; stando sempre immobile il legato, e mostrando ben chiaramente che stava quieto, costretto dalla necessitá. Fermate queste risoluzioni, fu deliberato che il giorno 24 del mese si facesse congregazione generale, dove gli ambasciatori sassoni fossero ricevuti e uditi; che il 25, giorno per ciò destinato, si tenesse la sessione, nella quale si pubblicasse la dilazione sino alla venuta delli teologi protestanti; che fossero eletti padri, che insieme col noncio sipontino formassero il decreto, [p. 159 modifica] la protestazione e il salvocondotto. Gli ambasciatori cesarei chiesero di aver la minuta del salvocondotto prima che si pubblicasse, per farlo vedere a’ protestanti, acciocché, non satisfacendo loro, si potesse compire in maniera che non avessero occasione di rifiutarlo, come dell’altro avevano fatto.

S’attese nelli giorni seguenti alle suddette cose; le quali compite, gli ambasciatori cesarei chiamarono a loro li protestanti. E avendo l’ambasciator Pittavio fatto un eloquente encomio della bontá e caritá dei padri ed esortato essi protestanti a dare qualche particella di sodisfazione al concilio, sí come essi ne davano molta a loro, gli disse che era concluso di ricever li mandati e le persone e udir le proposte loro in pubblico; differire la conclusione delle cose, ancorché discusse e maturate, per aspettar li teologi e ascoltarli prima; che averebbono avuto il salvocondotto amplissimo, come ricercavano, del quale era fatta la minuta. E si estese molto in mostrare che erano favori e grazie memorabili, passando poi a dire esser necessario conceder alcuna cosa al tempo, e non voler tutto in un momento. Quando si sará nella trattazione, l’occasione li fará ottener molte cose che inanzi parono difficili; che li padri desiderano la venuta dei teologi, e che essi medesimi ambasciatori cesarei hanno cose di gran momento da proponere, e stanno solo aspettando che sia dato principio dalli protestanti, per comparer fuori poi essi. Per questo rispetto, nella dimanda che il pontefice si sottometti al concilio li pregavano andar lentamente, perché anco li padri conoscevano che vi era qualche cosa da correggere nella grandezza pontificia, ma che bisognava camminare con sottil desteritá; che essi medesimi esperimentavano tutto ’l dí la singoiar destrezza e arte che bisognava usar trattando con li ministri pontifici. Parimente che il reesaminar le cose giá concluse non era da proponer cosí nel bel principio, ché sarebbe con troppo infamia e disonore del concilio: però li teologi andassero, che sarebbono uditi in tutte le cose opportunamente; e non li mancherá mai, se si vederanno gravati in alcuna cosa, il partir liberamente. [p. 160 modifica]

Li protestanti, ritirati tra loro, veduta la minuta del salvocondotto, non si contentarono, per non esser conforme alla basiliense, nella quale a’ boemi quattro cose furono concesse di piú:

I. che essi ancora avessero voto decisivo;

II. che fosse giudice nel concilio la sacra Scrittura, la pratica della Chiesa vecchia, li concili e li interpreti conformi alla Scrittura;

III. che potessero far l’esercizio della sua religione in casa loro;

IV. che non fosse fatto alcuna cosa in vituperio o sprezzo della loro dottrina.

Delle quali la seconda era molto diversa dalla formula data loro, le altre tre erano tralasciate totalmente. Ebbero anco suspizione, perché quel concilio non prometteva la sicurezza per nome del pontefice e del collegio de’ cardinali, come dal basiliense era stato fatto. Risolsero nondimeno di non far menzione di questo, ma ben ricercare che le altre quattro particole ommesse fossero inserte; e ritornati agli ambasciatori cesarei, apertamente si dechiara vano che in quella forma non potevano riceverlo, avendo nelle loro instruzioni questa espressa commissione. Il Toledo mostrò sdegnarsi che non si contentassero di quello che egli e li colleghi avevano ottenuto con gran fatica; che l’importanzia stava nella sicurezza dell’andare e del partire, e il resto apparteneva al modo di trattare, che meglio s’averebbe potuto concludere con la presenzia de’ teologi; esser cosa troppo ardua il non voler rendersi in parte alcuna, e soli voler dare le leggi a tutta la Chiesa. Né potendo con quelle ragioni moverli dalla determinazione loro, dissero in fine che averebbono riferito alli padri, ed essi li resero la minuta del salvocondotto con le aggionte che ricercavano.

Il legato e li presidenti, intendendo la richiesta e fermezza delli protestanti, mostrarono agli ambasciatori cesarei quanto fossero le loro dimande aliene dal giusto e conveniente. Imperocché nella forma del basiliense non trovarono mai alli boemi esser stato concesso che nel concilio avessero voto decisivo, [p. 161 modifica] ma che la Scrittura e pratica della Chiesa e concili e dottori, che si fondano in quella, siano giudici, è detto, quantunque con parole alquanto differenti; perché la pratica della Chiesa è chiamata sotto il nome di tradizione apostolica, e quando si dice «santi Padri» s’intende bene che si fondano nella Scrittura, perché essi non fanno altri fondamenti. Il terzo, di celebrar gli uffici nelle case loro, s’intende, purché lo facciano che non sia saputo, e senza scandolo. La proibizione che non sia fatta cosa in loro vituperio esser espressiva, quando si promette che non saranno in conto alcuno offesi. Però vedersi chiaro che per trovar querele e cavillare si lamentano senza causa; né essendovi speranza di contentarli, non restar altro se non darli il salvocondotto secondo la minuta formata, e lasciar al loro arbitrio il valersene o non usarlo. Il conte di Monteforte replicò niente potersi far piú in servizio della pubblica causa, quanto levarli li pretesti e cavilli, e mostrarli al mondo inescusabili: onde, poiché in sostanza non era differenza dalla minuta alla forma di Basilea, per serrarli la bocca si poteva copiar quella di parola in parola, mutati solo li nomi delle persone, luochi e tempi. Li presidenti, da una risposta sottile e tanto stretta commossi, si guardarono l’un l’altro; e il legato, preso immediate partito, rispose che tanto sarebbe stato riferito alli padri nella congregazione, e risoluto secondo la loro deliberazione. Raccomandarono poi li presidenti, ciascuno alli piú familiari suoi, la causa di Dio e della Chiesa: alli italiani e spagnoli dicevano che era una grand’ingiuria che dovessero seguir una mano di scismatici, che hanno incautamente parlato e contra la dottrina cristiana ubbligato a seguir la Scrittura sola. Ma a tutti in generale dicevano che sarebbe stata una grand’indignitá, quando la sinodo parlasse in modo che immediate nascesse una disputa inestricabile sopra; perché a vedere quali siano li dottori che fondano nella Scrittura, mai si sarebbe d’accordo: appartenere alla dignitá della sinodo parlar chiaro, e l’espressione fatta esser la vera dechiarazione del basiliense. E altre tal persuasioni usarono, che quasi tutti vennero in risoluzione [p. 162 modifica] di non mutar la minuta, con speranza che, se ben protestanti cercavano avvantaggiarsi, quando poi la cosa fosse fatta si contenterebbono.

Le cose tutte poste in punto, il dí 24 fu la generale congregazione. In quella convennero in casa del legato li elettori, li padri tutti e li ambasciatori di Cesare e di Ferdinando, che non erano soliti intervenire in tal sorti de congregazioni. Il legato fece l’ingresso con brevi parole, dicendo che erano adunati per dar principio ad una azione la piú ancipite che in piú secoli fosse occorsa alla santa Chiesa; per il che conveniva con maggior affetto del solito pregar Dio per il buon successo. E invocato il nome dello Spirito Santo secondo il costume delle congregazioni, fu dal secretario letta la protestazione, alla quale avendo tutti li padri dato il placet, dal promotore fu fatta instanza che negli atti fosse registrata e fattone anco pubblico instromento. Il tenor di quella in sostanza fu: che la santa sinodo, per non ritardare il progresso del concilio (che riceverebbe impedimento per le dispute che nascerebbono, quando s’avesse da esaminare con li debiti termini qual sorte di persone possono comparere nella sinodo e qual sorte de mandati e scritture possono esser presentati, e per i luochi del seder), dechiara che se fosse admesso in persona o per sustituto alcuno che non dovesse esser ricevuto per disposizione della legge o uso de’ concili, o non sedesse nel debito luoco che se li conviene, o vero se fossero admessi mandati, instrumenti, proteste o altre scritture che offendessero o potessero offender l’onore, l’autoritá o potestá del concilio, per ciò non sia né s’intendi esser pregiudicato al presente concilio o agli altri futuri generali in perpetuo, essendo intenzione di questa sinodo che si rimetti la pace e la concordia nella Chiesa in qualunque modo, pur che sia lecito e conveniente.

Dopo furono introdotti gli ambasciatori sassoni: dove entrati e fatto riverenza al consesso, parlò il Badehorno, usando titoli: «reverendissimi e amplissimi padri e signori». La sostanza del suo parlar fu: che Maurizio elettor di Sassonia, dopo aver pregato a loro l’assistenzia dello Spirito Santo e l’esito [p. 163 modifica] salutare delle azioni, li faceva sapere aver giá molto tempo deliberato, se mai si celebrava concilio generale, libero e cristiano, dove le controversie della religione fossero giudicate secondo la Scrittura e tutti potessero sicuramente parlare, e fosse instituita riforma nel capo e nei membri, mandarvi li suoi teologi. Ora pensando che essi siano congregati a questo fine, convocati li suoi teologi, gli ha comandato di far scelta d’alcuni d’essi che debbino portar la loro confessione in quel consesso; il che sino adesso non si è esequito per rispetto di certa constituzione del concilio di Costanza, che agli eretici e suspetti non sia servata la fede o salvocondotto dato dall’imperatore, da re o da altri, e per l’esempio de’ boemi, che non volsero andar a Basilea se non con una sicurezza datali dal concilio. Per il che l’elettore ricercò che un tal salvocondotto fosse dato ai suoi teologi e consiglieri e loro familiari. Ma giá pochi giorni, li fu presentato una certa forma di salvocondotto molto differente dal basiliense: per il che fu giudicato pericoloso venir qua con quello, apparendo da alcuni decreti tridentini giá stampati, nei quali sono trattati per eretici e scismatici, quantunque non siano stati né chiamati né uditi. Per il che dimanda il principe che li suoi siano tenuti per iscusati, e il salvocondotto concesso nella forma basiliense. Oltra di ciò, che avendo il prencipe inteso che vogliono proceder alla conclusione degli articoli controversi, gli è parso cosa pregiudiciale e contraria ad ogni legge divina e umana, essendo li suoi legittimamente impediti per mancamento di salvocondotto. Per il che prega che il tutto si differisca sin che siano uditi li teologi, che non sono lontani piú di sessanta miglia tedeschi. Appresso di ciò, essendoli stato referto che non si vuol udire li protestanti sopra gli articoli controversi definiti gli anni passati, la maggior parte de’ quali contengono gravi errori, prega il principe che questi siano reeseminati, e uditi li suoi teologi sopra di essi, e determinato quello che sia conforme alla parola di Dio e creduto da tutte le nazioni del mondo cristiano. Imperocché le cose determinate sono state trattate da pochissimi di quelli che doverebbono [p. 164 modifica] intervenir nell’universal concilio, come dal catalogo stampato appare. E pur è cosa essenziale ad un general concilio che tutte le nazioni siano admesse e liberamente udite. Raccorda ancora il principe che molti articoli controversi concernono il papa; e avendo determinato li concili di Costanza e Basilea che nelle cause di fede e nelle spettanti ad esso pontefice egli sia soggetto al concilio, è cosa conveniente servar l’istesso in questo luoco, e inanzi ogn’altra cosa far quello che fu constituito nella seconda sessione del basiliense, cioè che tutte le persone del concilio siano assolute dai giuramenti di obbligazione al papa, quanto s’aspetta alle cause del concilio. Anzi il principe è di questa opinione, che anco senz’altra dechiarazione, per virtú delle constituzioni di quei concili, tutti debbiano esser liberi da quei legami; per il che prega quel consesso a voler inanzi ogn’altra cosa ripeter, approvar e ratificar l’articolo della superioritá del concilio al papa; massime che avendo bisogno l’ordine ecclesiastico di riforma, la qual è stata impedita per opera dei pontefici, gli abusi non si possono emendare, se le persone del concilio dependino dal cenno del papa e siano tenute per virtú di giuramento a conservar l’onore, stato e potenzia sua: e se dal pontefice si potesse impetrar che egli spontaneamente rimettesse il giuramento, sarebbe cosa degna di gran lode e che concilierebbe gran favore, fede e autoritá al concilio e ai suoi decreti, che nascerebbono da uomini liberi, a’ quali sarebbe lecito trattar e giudicar secondo la parola di Cristo. Che il principe, per fine, prega che le sue proposte siano ricevute in buona parte, essendo stato spinto a rappresentarle per zelo della salute propria, per caritá della patria e tranquillitá di tutto il populo cristiano.

Questo ragionamento avendo in scritto, lo presentò, e fu dal secretano ricevuto; e il promotore per nome pubblico disse che la sinodo averebbe avuto considerazione e opportunamente dato risposta.

Dopo questi, furono uditi li virtembergici, quali presentarono il mandato dell’ambasciata loro: il qual letto, con poche parole dissero che erano per presentare la confessione della loro dottrina, dovendo venir poi li teologi per defenderla e [p. 165 modifica] trattar piú abbondantemente le stesse cose, con condizione che di comun concerto dell’una e dell’altra parte siano eletti giudici, che conoscano sopra le controversie; perché, essendo la loro dottrina repugnante a quella del pontefice romano e delli vescovi suoi aderenti, era cosa ingiusta che l’attor, o vero il reo, fosse giudice: facendo pertanto instanza che le cose fatte li anni inanzi nel concilio non avessero forza di legge, ma si dasse novo principio alla discussione d’ogni cosa trattata, non essendo giusto, quando doi litigano, che quello che è fatto da uno, assente legittimamente l’altro, sia di valore; e tanto maggiormente, quanto si può chiaramente mostrare che cosí nelle prossime sessioni come in quelle degli anni inanzi sono pubblicati decreti alla divina Scrittura contrari. E presentarono la dottrina e il ragionamento loro in scritto: e dal secretarlo fu il tutto ricevuto, non però la dottrina letta. Fu risposto dal promotore per nome delli padri che al suo tempo averebbono dato risposta.

Queste cose fatte, partirono gli elettori e ambasciatori, e con li presidenti restarono li prelati per dar ordine alla sessione. Fu prima stabilito il decreto, e poi proposto il salvocondotto, aggiongendo le cause perché li protestanti non se ne contentavano, e posto in deliberazione se a quella forma si doveva aggiongere quanto ricercavano: né vi fu difficoltá che tutti non convenissero in parere che altro non se vi aggiongesse, per evitar li pericoli d’entrar in dispute inestricabili e in pregiudici inevitabili.

Il giorno seguente 25 di gennaro, deputato giá alla sessione, col solito apparato e comitiva si andò alla chiesa, anzi con numero maggior de soldati, fatti venir dalli presidenti per ostentazione della grandezza del concilio, e con gran numero de forestieri, concorsi per opinione che li protestanti dovessero esser ricevuti pubblicamente e con singoiar ceremonie. Cantò la messa il vescovo di Catanea e fece il sermone Gioan Battista Campegio vescovo di Maiorica; e servati li consueti riti, dal vescovo celebrante fu letto il decreto. La sostanza del quale era: che avendo la sinodo, in esecuzione delle cose inanzi decretate, trattato con accuratezza quello che appartiene al [p. 166 modifica] sacrificio della messa e al sacramento dell’ordine, per pubblicar in quella sessione li decreti sopra queiii, e li quattro articoli differiti in materia del sacramento dell’eucaristia, pensando che in questo tempo dovessero esser gionti li protestanti a’ quali aveva concesso il salvocondotto, nondimeno non essendo quelli venuti, anzi avendo fatto supplicare che il tutto fosse differito ad un’altra sessione, dando speranza di dover giongere molto inanzi di quella, ricevuto un salvocondotto in piú ampia forma; la medesima sinodo, desiderosa della quiete e pace, confidando che verranno, non per contradir alla fede cattolica, ma per conoscer la veritá, e che si quieteranno alli decreti della santa madre Chiesa, ha differito sino al 19 di marzo la seguente sessione per metter in luce e pubblicar le cose sopra dette; concedendoli, per levar ogni causa di maggior dimora, il salvocondotto del tenor che si recitará; determinando che tra tanto si tratti del sacramento del matrimonio e si proseguisca la riforma, per dover pubblicar le definizioni anco di questo, insieme con le altre di sopra nominate.

La sostanza del salvocondotto era: che la sinodo, inerendo al salvocondotto giá dato e ampliandolo, fa fede che concede a tutti li sacerdoti, principi, nobili, populari e persone di qualunque condizione della nazione germanica, che veniranno o sono giá venuti al concilio, salvocondotto di venirci, starci, proponer e parlar con la sinodo, trattar ed esaminar quello che gli parerá, dar articoli e confermarli, rispondere alle obiezioni del concilio e disputar con li eletti da quello; con dechiarazione che le controversie in questo concilio siano trattate secondo la Scrittura sacra, tradizion degli apostoli, approvati concili, consenso della chiesa cattolica e autoritá de’ santi Padri; con aggionta anco che non siano puniti sotto pretesto di religione o di delitti commessi o che fossero per commetter circa quello, e in maniera che per la loro presenza, in viaggio, o in qualunque luoco, né in la cittá di Trento, si cessi dalli divini uffici, e che possino ritornare quando li parerá senza impedimento, salve le robe, onor e persone loro, con saputa però delli deputati dalla sinodo, acciò sia [p. 167 modifica] provvisto alla loro sicurezza; volendo che in questo salvocondotto s’abbiano per incluse tutte le clausule che fossero necessarie per efficace e piena sicurezza. Aggiongendo che se alcun di essi o nel viaggio o in Trento o nel retorno commettessero alcuna enormitá che potesse annullar il beneficio di questa fede pubblica, in tal caso siano puniti dai suoi medesmi di emenda che satisfaccia alla sinodo: e dall’altra parte se alcuno nel viaggio, nel star o nel ritorno commettesse cosa che violasse questo salvocondotto, debbia esser punito da essa sinodo di emenda, con approbazione di essi signori germani che saranno in Trento presenti: restando in vigor sempre la forma dell’assicurazione, concedendo agli ambasciatori loro di poter uscir di Trento a pigliar aria e ritornare, di poter mandar e ricever avvisi e messi sempre che li parerá, accompagnati però dalli deputati per loro sicurezza. Il qual salvocondotto duri per il tempo che staranno sotto la tutela della sinodo in viaggio per Trento, e che dimoreranno nella cittá, e vinti giorni dopo che essi dimanderanno o gli sará ordinato di partire, dovendoli restituir in loco sicuro a loro elezione. Le qual cose promette con buona fede a nome di tutti i fedeli di Cristo e di tutti li principi ecclesiastici e secolari e di tutte le altre persone ecclesiastiche e secolari, parimente d’ogni condizione. Promettendo insieme in buona fede che la sinodo non cercherá occasione pubblica né occulta che sia tentata cosa alcuna in pregiudicio di questo salvocondotto, né si valerá o permetterá che alcun si vaglia di qualsivoglia autoritá, potenzia, ragione, statuto, privilegio di leggi, di canoni o de concili, e specialmente del constanziense e senese: alle qual tutte cose in questa parte e per questa volta deroga. E se la santa sinodo o alcun di quella o delli suoi violasse la forma di questo salvocondotto in qualsivoglia punto o clausula, e non ne seguisse l’emenda con approbazione di loro, stimino la sinodo per incorsa in tutte le pene che possono incorrer li violatori di tal salvicondotti, per legge divina e umana o per consuetudine, senza admettere scusa o contradizione. Le qual cose lette, fu la sessione finita.