Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XIX

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CAPO XIX.

Belisario sotto le mura di Sisaurano. — Sua arringa ai capitani dell’esercito. Spedisce Areta a dare il guasto all’Assiria. — Capitolazione dell’antedetto castello, e mandata del governatore col presidio in Bizanzio. — Infedeltà di Areta. — Esercito romano oppresso da febbri e da altri malori. — Parlamento di Giovanni a Belisario sulla condizione delle truppe. — Ritirata di Belisario e di Cosroe.

I. Belisario però considerata la fortezza di Nisibi, derivatale dalla natura del luogo, e venendogli meno ogni speranza d’entrarvi, deliberò andare innanzi e nuocere con iscorrerie al nemico; fatto pertanto marciare una giornata l’esercito giunse al castello Sisaurano1, popolatissimo e difeso da ottocento cavalieri aventi a duce il valoroso Belesmasche2. Le truppe romane accampatesi ne’ dintorni assediaronlo, ma tentato poscia un assalto furono con grave perdita rispinte la mercè della insuperabile resistenza del muro e del [p. 220 modifica]barbarico vigore nel difenderlo. Per la qual cosa il duce chiamati a consiglio i capitani manifestò loro i suoi pensamenti dicendo:

II. «L’esperienza di molte guerre, o commilitoni, fa sì che possiamo congetturare la nostra sorte futura, e scegliere deliberando il meglio. Sapete purtroppo i gravissimi pericoli d’un esercito, che in paese nemico lasciasi da tergo molti e forti luoghi da coraggiose truppe guardati; a tale ora siam noi, i quali inoltrando rischieremmo vedere alle nostre spalle genti uscite da Sisaurano e da Nisibi per travagliarci immensamente nelle gole e ne’ siti adatti agli agguati: potremmo di più incappare in altri barbari procedenti a sorprenderci di fronte, ed allora come a tutti resistere senza molto pericolare? che se noi avremo contraria la sorte delle armi vana sarà ogni nostra speranza di rivedere le patrie terre. Non ci lasciamo dunque precipitare da indiscreto coraggio nel cimento, guardiamoci dall’essere ministri di gravissime sciagure all’imperio con una disordinata brama di vittorie, e viviam certi che una sciocca audacia mena alla perdizione, quando un temporeggiar prudente è sempre apportatore di salute. Parmi quindi opportuno che noi rimaniamo all’assedio di questo forte, ed Areta co’ Saraceni vada alle città dell’Assiria, mostrandosi costoro quanto disadatti alla espugnazione delle mura, altrettanto prodi nelle scorrerie e nel guastare; darò eziandio loro alcuni de’ nostri bravi guerrieri: così e’ potranno, saccheggiare da capo a fondo quelle contrade se di truppe sguernite, e se [p. 221 modifica]avvengansi ad un più forte nemico tornare alla nostra volta e condurre a salvamento la vita. E pur noi, quando la Dio mercè avremo occupato il castello e deposto ogni timore per riguardo all’Assiria, ci faremo con l’esercito, senza paventare dagli omeri insidie, al di là del Tigri».

III. Il consiglio di Belisario fu giudicato saggio e prudente; laonde egli commise ad Areta di penetrare nell’Assiria co’ Saraceni, ai quali aggiunse mille e dugento astati sotto gli ordini di Traiano e di Giovanni cognominato Faga, entrambi chiari nell’arte della guerra, imponendo loro di obbedire pienamente al prefato duce; ordinò inoltre a costui di mettere a sacco ogni cosa, e di tornare poscia nel campo a riferire se incontrato avesse colà esercito alcuno. E quelli valicando il Tigri passarono sulla nemica regione, e trovatala fertilissima, da gran pezza tranquilla e senza difesa, riuscirono a predare molte castella riportandone grandi ricchezze3.

IV. Belisario in questo mezzo riseppe dai prigionieri nemici la grandissima carestia entro Sisaurano delle cose necessarie alla vita, non avendovi ricolta di vittuaglia come in Dara e Nisibi, dacchè fattosi improvvisamente il Romano ad assediarlo mancò il tempo d’introdurvene, e se dapprima ve n’era qualche poco, [p. 222 modifica]dessa, coll’aumentare il numero delle persone accorsevi per fuggire le truppe straniere, venne tosto, come vuol ragione consumata: il perchè mandovvi Giorgio suo confidente ed uomo di molta prudenza per indagare l’animo degli assediati, e indurli a cedere mediante capitolazione il castello. Quegli obbedì, e con modi piacevolissimi e con ferma sicurezza della salute loro persuaseli ad abbandonare sè stessi e le guardate mura alla generosità del vincitore, il quale per siffatta guisa venutone al possesso le smantellò, concedendo agli abitatori, seguaci di Cristo nel maggior numero e di antica stirpe romana, libertà e sicurezza da ogni molestia. Mandò poi a Bizanzio il duce Belesmasche ed il presidio, che in progresso di tempo videsi combattere a pro dell’imperatore nella guerra contro i Goti d’Italia: a tali vicende soggiacque il castello de’ Sisauranii.

V. Areta poi forte paventando non fossegli tolto il bottino dagli imperiali risolvè di non raggiugnere il campo loro, e per riuscirvi fece sembianza di mandare in esplorazione alcuni de’ suoi, commettendo occultamente loro di subito retrocedere coll’avviso, che i nemici in gran numero stavansi raccolti presso del fiume acciò uom non osasse valicarlo: per la quale menzogna egli potè consigliare Traiano e Giovanni di non tornare all’esercito, e di restituirsi battendo tutt’altra via nell’imperio; i duci, aderitovi e marciando coll’Eufrate alla destra, pervennero a Teodosiopoli città presso del fiume Aborra. Se non che Belisario e tutto il campo non sapendo più nuove de’ Saraceni concepironne gravi timori e sospetti. [p. 223 modifica]

VI. Or mentre gl’imperiali da lunghissimo tempo rimanevansi colà fermi ad attenderne la venuta, molti cristiani ammalarono di febbri maligne per essere tutta la parte di Mesopotamia a confine della Persia calda a segno che i Romani (quanti in ispecie numeravansene di recente arrivati dalla Tracia, dove assai intenso è il freddo) impotenti a vivere nel cuor della state sotto quel sole ardentissimo infermavano in copia sì grande, che la terza parte del campo dir si potea senza esagerazione alle prese colla morte. Ognuno adunque desiderava abbandonare l’infelice dimora, e più che gli altri Recitanco e Teottisto, i quali vedendo il tempo delle immolazioni saraceniche già trascorso 4 temevano di lasciare esposta la Siria alle scorrerie di Alamandaro, ad impedirle spesso e fortemente chiedevano il commiato loro. Belisario avvertita la universale inclinazione propose la faccenda in consiglio, e Giovanni di Nicola, levatosi in piedi, gli dirizzò queste parole:

VII. «Devo io qui confessare, eccellentissimo Belisario, di non aver mai veduto condottiero alcuno di fortuna e di virtù pari alla tua, il quale sì grandi cose operasti da salire in altissima riputazione presso non meno de’ Romani che de’ barbari, e tal fama con ogni diligenza ti conserverai se valgati l’animo di ricondurci sani e salvi entro le terre imperiali, unico scopo delle nostre presenti speranze. Imperciocchè volgendo lo sguardo all’esercito, scorgeremo noi tutti nella massima oscurità intorno al destino che scortò [p. 224 modifica]i Saraceni, valentissima truppa, al di là del Tigri 5; Recitanco e Teottisto impazienti del partir loro, ad ogni tratto paventando Alamandaro in mezzo alla Fenicia, e le costei terre in preda a stragi e saccheggi: cotanto il numero de’ malati da sommare gli atti alle armi assai meno che non i servi ed i bagaglioni. Sendo pertanto così le nostre bisogna se il nemico venisse qui o tra via ad attaccarci forse non rimarrebbevi uom di noi che narrasse in Dara la riportata sconfitta; non so quindi nullamente immaginarmi, come potremmo, volendo, guadagnar terreno, e giudico follia somma il pensare, circondati da tanti pericoli, a sorprendere altrui anzichè evitarne lo scontro». Commendarono tutti Giovanni di questo suo parlare, e levatisi in tumulto domandavano il ritorno. Belisario allora, fatti precedere sopra carra gl’infermi, condusse indietro l’esercito, e calcati i romani confini riseppe il tradimento d’Areta, che tuttavia, in grazia di sua lontananza, non soggiacque a pronta condanna; di tal guisa ebbero fine le scorrerie de’ Romani6.

VII. Dopo la conquista di Pietra7, divulgatasi [p. 225 modifica]nell’esercito persiano la nuova della comparsa di Belisario nel regno, della battaglia da lui data presso a Nisibi, della capitolazione di Sisaurano, e del bottino fatto da Areta nell’Assiria8, Cosroe presidiata la vinta città, ritornò con le truppe e co’ prigionieri in Persia, mettendo fine alla seconda spedizione contro de’ Romani. Belisario parimente ebbe ordine da Giustiniano di trasferirsi in Bizanzio, dove passò tutto il verno.

Note

  1. «È nella Persia, così l’Autore nel lib. ii degli Edifizj, illustre la città di Sisaurana.... Essa è lontana da Dara il cammino di due giorni di uomo svelto, e tre miglia è lontana Rabbio». Nelle Storie Segrete la chiama piazza d’Isauria.
  2. Nel prefato libro degli Edifizj, e nella Storia Segreta, cap. 5, costui è nomato Blescane, la quale lezione venne pure adottata dal Cousin.
  3. Il Nostro venuto forse in oblivione delle cose qui scritte, narra altrove che Areta non eseguì il passaggio del Tigri «ritornato essendo senza laude al grande accampamento» (Storia Segreta, cap. 5).
  4. V. il cap. 16 di questo libro.
  5. V. cap. 19.
  6. «Ed è poi certo che se da principio con tutto l’esercito Belisario passato avesse il Tigri, egli tutta la provincia degli Assiri avrebbe potuto mettere a sacco e senza impedimento giungere sino a Ctesifonte: così prima di ritirarsi liberando e gli Antiocheni, e quanti Romani erano prigionieri. Diversamente facendo diede comodo a Cosroe di ritornare in tutta sicurezza nel suo regno dalla spedizione che fatta avea nella Colchide» (Storia Segreta, cap. 5).
  7. V. cap. 17 di questo libro.
  8. V. cap. 19.