Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XXVIII

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Capo XXVIII

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CAPO XXVIII.

Navilio da costruirsi nel paese de’ Lazj, e frodi tramate dal Persiano contro Gubaze. — Ricorre questi all’imperatore ed ottiene otto mila guerrieri aventi a duce il malaccorto Dasisteo. — Pietra cinta d’assedio. — Descrizione della Lazica. — Sagacità di Gubaze. — Falli del romano duce.

I. Il re persiano volgendo a nuove imprese il pensiero, ordinò che si trasportasse nella Lazica molto legname acconcio ad opere navali, ed entro sè tenendone la vera destinazione fingeva che si dovesse convertire in macchine per dare maggior fortezza alle mura di Pietra. Scelti di poi trecento valorosi guerrieri mandolli con Fabrizio, di cui testè scriveva, nella Lazica, commettendo segretamente al duce la morte di Gubaze; se non che per volere della fortuna tutto quel materiale colà trasmesso fu da un fulmine ridotto in cenere. Arrivato poscia Fabrizio disegnava compiere il reale comando, e dettogli avervi tra’ Colchi un ragguardevole personaggio di nome Farsase1, attaccatissimo giusta la volgare sentenza ai Persiani ed in odio estremo, nato da privata nimicizia, a Gubaze, cosicchè non osava tampoco appresentarglisi, mandò chiamandolo, ed apertogli il suo segreto richiedevane consiglio per bene cominciare l’opera. Fu stabilito pertanto di comune intelligenza che il duce a sè chiamasse in Pietra Gubaze sotto fals’ombra di comunicargli alcune reali [p. 265 modifica]disposizioni a favore dei Lazj. Ma questo, dallo stesso Farsase di soppiatto avvertito delle insidie, non si mosse punto, cominciando invece ad ordire alla scoperta la ribellione. Fabrizio adunque, disgraziatissimo nella sua mandata, poichè ebbe commesso ai Pietresi l’approvigionamento di quanto potea occorrere per sostenere un assedio, tornò co’ suoi trecento indietro.

II. Gubaze di poi narrate all’imperatore le sofferte molestie chiesegli innanzi tutto di perdonare ai Lazj le vicende passate2, e quindi di volerli proteggere armata mano contro le violenze persiane, dispostissimi a scuoterne il giogo, ma essere bisognosi di aiuto. Giustiniano allegratosi oltre misura della notizia, spedì loro il capitano Dasisteo con settecento Romani e mille Zani3, i quali pervenuti nella Colchide ed unitisi alle truppe di Gubaze posero l’assedio a Pietra, dove trovata ostinatissima resistenza e copia molta di vittuaglia furono costretti a rimanere lungamente. Cosroe acceso d’ira per queste novità mandovvi pur egli un forte esercito di fanti e cavalieri sotto il duce Mermeroe, al marciar de’ quali Dasisteo e Gubaze appigliaronsi di scambievole consenso alla seguente determinazione.

III. Il fiume Boas scaturisce presso gli Armeni a stanza nei dintorni di Farangion vicino alle frontiere de’ Zani, e molto scorre a man diritta nel paese loro, ma sempre con istretto alveo ed opportunissimo al [p. 266 modifica]guado, sinchè le sue acque non raggiungono, a destra, i confini dell’Iberia e, di contro, le radici del monte Caucaso, dove traggon lor vita molte genti nel cui novero sono gli Alani, gli Abasgi4, cristiani ed antichi federati dell’imperio, i Zechi e dopo essi gli Unni, detti parimenti Sabiri. Quivi il Boas, rigonfiatosi colle acque di altri fiumi e cambiato il suo nome primitivo con quello di Fasi, scorre navigabile infino al mare Eussino, ove mette foce5; ed in questo luogo appunto di qua e di là ti si appresenta la regione de’ Lazj, popolatissima a’ diritta sino alle frontiere dell’Iberia e, ricca di cittadi, tra le quali ricorderò la fortissima Archeopoli, Sebastopoli6, Rodopoli, e Morosisi, oltre i forti [p. 267 modifica]Pition, Scande, e Sarapana7; a sinistra poi si trascorre tutta, speditamente camminando, in un sol giorno, e uom non vi rincontri; dimorano bensì presso a lei i cosiddetti romani Pontici. In cotal parte deserta Giustiniano a dì nostri fabbricò la città di Pietra, dove Giovanni cognominato Zibo8, diedesi a fare tal monopolio, e ne siam noi testimonj di vista, che indusse i Lazj a ribellare dall’imperio. Lasciata Pietra e dilungandoti verso Ostro vedrai le romane frontiere, e terre assai popolate, e Rizeo ed Atene9, e più ancora sino ai Trapezuntii10. Quando però i Lazj scortarono Cosroe11 a Pietra gli fecero valicare il fiume Boas,12 [p. 268 modifica]pingendogli assar più lungo e scabroso il passaggio del Fasi, per sottrarre allo sguardo persiano l’aspetto della regione e delle città loro. Inaccessibili ne sono i confini dalle due ripe di questo fiume, avendovi ertissime scogliere con aditi, nomati dai Romani gole, [p. 269 modifica]impenetrabili. In allora però l’esercito del re non trovatavi difesa ed avendo a guide gl’indigeni stessi potè agevolmente vincere tutte le difficoltà del suolo13.

IV. Ora Gubaze informato della venuta de’ Persiani ordinò a Dasisteo che inviasse parte delle sue truppe a custodire le gole delle montagne oltre al Fasi, continuando col resto l’assedio infinattantochè non impadroniscasi di quelle mura, ed egli marciò con tutti i Colchi all’altra estremità de’ Lazj per difenderne i passi; aveva eziandio poco prima stretto lega cogli Alani e co’ Sabiri, promettendo loro a nome dell’imperatore trecento aurei acciò guarentissero dalle scorrerie persiane la Colchide, e sì devastassero la Iberia che non potessevi più mettere piede un esercito nemico. Gubaze adunque riferendo a Giustiniano i fatti accordi, pregavalo che spedisse ai Lazj questo danaro per togliere da impaccio que’ meschini pericolanti della vita, e richiedevagli eziandio per se stesso due lustri di soldo come annoverato da altrettanti anni tra’ silenziarj senza averne mai il convenevole stipendio; tali erano le suppliche di costui, e l’imperatore accolsele benignamente, ma sorvenutigli nuovi impegni nol potè subito accontentare. [p. 270 modifica]

V. Dasisteo poi troppo giovane e per nulla idoneo a siffatta guerra, trascurando la necessaria diligenza in essa, mandò cento de’ suoi alle gole, preferendo evitare alla sua persona col rimanersi inoperoso all’assedio tanto pericolo, quantunque la città racchiudesse ben poca guernigione, composta da principio di soli mille cinquecento individui, i quali però di continuo e per lungo tempo assaliti dai Romani e dai Lazj, e sempre resistendo con un coraggio che non sapremmo riferirne altro maggiore, scemarono grandemente, ridotti in ultimo ad uno scarsissimo numero, e perciò disperando quasi di sè non arrischiavano più alcuna impresa. I Romani per lo contrario aocchiato un luogo angusto e scavatovi il muro giunsero a farlo precipitare, ma eranvi per mala ventura tanto dappresso le case che potè il nemico, rovinato quello, servirsene di riparo; gli assediatori tuttavia, in luogo di sgomentarsi, concepirono maggiore speranza che se altrove ripetessero la mina di leggieri addiverrebbero padroni della città, ed il tenevano sì certo che il duce loro nel riferire il disgraziato primo evento a Giustiniano, erasi già permesso di scrivergli intorno allo scompartimento de’ premj dopo la vittoria, ed in tanto promulgavali senza riguardo, perchè tutti sapessero come, a sua interposizione, verrebbero guiderdonati i più valorosi; ma non di meno il presidio avvegnachè ristrettissimo di numero ed assalito da esercito poderoso difendevasi oltre ogni dire. Quelli adunque, vedendolo ostinatissimo nel resistere, diedersi a cavare nuove fosse e tanto affondaronle da eccedere le fondamenta stesse delle mura; la [p. 271 modifica]qual opera sarebbe a mio avviso bastata ad ottenere il meditato scopo, ove Dasisteo avessevi fatto appiccare immediatamente il fuoco; egli invece abusò del tempo volendo prima attendere l’imperiale risposta: di tal modo passarono le cose nell’esercito romano.

Note

  1. Barzanze (Cousin).
  2. V. cap. 15 e 17 di questo libro.
  3. Il Cousin ed altri autori in vece di Dasisteo — di settecento — e di Zani, leggono — Dagisteo — settemila — e Tzani.
  4. Abaschi (Cousin). «Passata una delle estremità del Ponto e dopo gli Apsilii tutta la regione sino al Caucaso e occupata dagli Abasgi. Questa gente in antico era dominata dai Lazj, avvegnachè obbedisse a due nazionali capi, l’uno de’ quali comandava la parte occidentale, e l’altro l’orientale.» (St. Misc., cap. 3).
  5. «Ma prima di mescervi le sue acque piglia il nome di Acampsis, che è quanto dire senza giravolte; imperciocchè avvicinatosi al Ponto vi precipita con impeto sì forte da impedire la navigazione tanto ai vascelli in corso alla volta della Lazica, quanto a quelli che da lei si partono, a meno che i piloti non trascorrano sino al mezzo del mare per trovarvi un passaggio» (St. Misc., cap. 2).
  6. Archeopoli, potrebbele convenire la posizione della moderna Ruki, dimora dei principi del paese. — Sebastopoli, città una volta popolatissima sopra ogni altra della Colchide, accorrendo a lei vicine e lontane genti. Sembra in oggi aver cambiato l’antico suo nome con quello di Iskuriah, non essendo il secondo che un’alterazione del primo, il quale può significare città augusta.
  7. I castelli Pition (o Pitiunte) e Sarapana trovansi rammentati da Strabone, il quale annovera quest’ultimo tra i quattro aditi che mettevano nell’Iberia (lib. xi).
  8. O Gibo, o Tzibo. V. cap. 15 di questo libro.
  9. Rizeo è chiamata piccola città nella Storia Misc., ove così fu scritto di Atene: «Vicino a Rizeo e tra i Lazj ed i Romani havvi poca regione; i cui abitatori sono liberi, dimorando molti di essi in una borgata detta Atene, alla quale venne questo nome non già perchè gli Ateniesi ne fossero i fabbricatori, ma perchè vi comandava in antico una illustre matrona chiamata Atenea, e colà vedesi anche in oggi la sua tomba» (cap. 2).
  10. Intorno a questo popolo ed alla sua città V. Strabone, lib. vii, xii, xvi.
  11. V. cap. 16 di questo libro.
  12. All’ultima comparsa di Cosroe in queste Guerre ben vicine anch’esse al termine loro, gli darem commiato col riferire il giudizio fattone da Agazia: «È egli un re cui tributossi lode e ammirazione, al di là d’ogni suo merito, non pur dalla Persia, ma anche da Roma. Si vuole amatore dalle belle lettere, ricco di profondi lumi sull’antica filosofia, acquistati collo studio delle più eccellenti Opere greche tradotte nella propria lingua, e sapersi da lui Aristotile meglio che non Demostene da Tucidide. Essere di più la sua mente ricolma della platonica dottrina, pervenuto a comprendere benissimo il Timeo, dialogo sopra ogni altro oscurissimo di questo filosofo, in grazia delle sue fisiche e geometriche dimostrazioni, ed eziandio quelli che han nome anch’essi di malagevole intelligenza, il Fedone, dico, il Gorgia, il Parmenide. Ma io non so persuadermi essere in lui la perfezione delle scienze ed i talenti accordatigli dal volgo; e di vero come può darsi che la bellezza e la grazia delle espressioni corrispondenti nel greco idioma cotanto alla natura delle cose trovassero frasi di egualissimo valore in una barbara lingua? Come supporre che un principe cresciuto nel fasto, corrotto dall’adulazione, ed avvezzo ai costumi d’un popolo feroce, occupato aggiugni di continuo nella guerra, abbia il mezzo di segnalarsi nelle scienze? Se per lo contrario ci limiteremo a commendare in lui, tra le cure del regno ed il reggimento di tanti sudditi, qualche gusto per la letteratura e l’andarne glorioso, il nostro elogio, a mio avviso, rimarrassi entro i confini della verità, e sotto questo rapporto non gli negheremo similmente la preferenza rimpetto agli altri principi. Quando invece l’attribuirgli una peregrina erudizione, e l’inalzarlo sopra i più incliti filosofi dell’antichità come toccato avesse l’apice delle arti e delle scienze, mentrechè i peripatetici stessi diceransi giunti appena a formarne l’idea, parmi che sia un lasciarsi allucinare da falsi clamori, ed un andare grandemente errato».
  13. Non è fuor di proposito l’aggiungere qui alla topografia della regione la pretesa origine de’ suoi abitatori secondo la mente di Diodoro Siculo e di altri storici. Si vuole adunque che il re Sesostri raccolto nell’Egitto un forte esercito apportasse nell’Asia mettendola tutta a soqquadro, e giunto nella Colchide (sotto il qual nome comprendevasi anticamente anche la Lazica) vi lasciasse una colonia, d’onde ebbero principio i Lazj, detti perciò da alcuni scrittori anche Egizj.