La poesia cavalleresca e scritti vari/La poesia cavalleresca/V. L'Orlando Furioso/7. La pazzia d'Orlando

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V. L'Orlando Furioso - 7. La pazzia d'Orlando

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7. — La pazzia d’Orlando.


L’originale della creazione ariostesca è l’ironia che emerge dalla natura del personaggio. Napoleone a S. Elena è una ironia del destino; rimane grande. L’ironia d’Angelica non è nel fatto, nel destino: quello che fa all’ultimo è l’ironia di quello che crede.

Il concetto d’Orlando non è meno originale e più profondo. Orlando in Boiardo non ha carattere proprio, nell’Ariosto acquista un sembiante così fiero da fare impressione anche su Mandricardo. Con questa figura paurosa è congiunto il massimo della forza fisica; ha una forza muscolare prodigiosa. Comparisce attaccato a tradimento da Cimosco, ed è solo, e con un colpo di lancia ne infilza sei. Fa gustare a poco a poco in un’ottava questa caricatura della forza fisica:

     Il cavalier d’Anglante, ove piú spesse
Vide le genti e l’arme, abbassò l’asta;
Ed uno in quella e poscia un altro messe,
E un altro e un altro, che sembrar di pasta:
E fin a sei ve n’infilzò; e li resse
Tutti una lancia; e perch’ella non basta
A piú capir, lasciò il settimo fuore
Ferito si, che di quel colpo muore.


Questa è la forza del braccio. Volete veder quella dei piedi? Perseguita a piedi Cimosco a cavallo e lo raggiunge in poco tempo. Per digressione, vi farò notare una leggiadra invenzione dell’Ariosto. I poeti sogliono, parlando di tempi antichi, fare presagire i tempi moderni. L’Autore immagina che Cimosco [p. 134 modifica]avesse inventato lo schioppo, e sparasse sopra Orlando: ne prende occasione per descrivere lo schioppo.

     Dietro lampeggia a guisa di baleno;
Dinanzi scoppia, e manda in aria il tuono.
Treman le mura, e sotto i piè il terreno;
Il ciel rimbomba al paventoso suono.
L’ardente strai, che spezza e venir meno
Fa ciò ch’incontra, e dá a nessun perdono,
Sibila e stride; ma, come è il desire
Di quel brutto assassin, non va a ferire.

Vedete qui qualche cosa di profondo. Lo schioppo ha eguagliato il valore e la codardia; la forza fisica è annullata, lo schioppo annulla la Cavalleria: quindi l’indegnazione di Orlando. Invenzione leggiadra di Ariosto, ma poco accarezzata.

Camminando in cerca d’Angelica, entra in una caverna, dove trova una bellissima ragazza; sopraggiungono i malandrini, una ventina. Il capo, vedendo la bella veste bruna d’Orlando, se ne invoglia. Orlando uccide i malandrini. Come? Con una tavola da pranzo, a cui mangiavano venti malandrini e due donne:

     Nella spelonca una gran mensa siede
Grossa duo palmi e spaziosa in quadro,
Che sopra un mal pulito e grosso piede
Cape con tutta la famiglia il ladro.
Con quell’agevolezza che si vede
Gittar la canna lo Spagnuol leggiadro,
Orlando il grave desco da sé scaglia
Dove ristretta insieme è la canaglia.
     A chi ’l petto, a chi ’l ventre, a chi la testa,
A chi rompe le gambe, a chi le braccia...


Orlando, tanto forte, il rappresentante della forza fisica nella Cavalleria, ha altri caratteri distintivi: vi congiunge quell’equilibrio [p. 135 modifica] interno chiamato senno. Non è iracondo, non è millantatore, né vano, né leggiero: conserva sempre calma e sangue freddo, che spesso gli fa vincere guerrieri pari di valore. Nel combattimento con Mandricardo giunge così a togliere la briglia al cavallo di Mandricardo. Paragoniamo Mandricardo ed Orlando. Mandricardo muore pel suo carattere stesso, per l’impeto e l’iracondia, non pel caso. Orlando esce pazzo, non per caso: la sua natura, la sua assennatezza lo conduce alla pazzia. La pazzia d’Orlando costituisce il vero significato interno del poema. Orlando è il più serio dei cavalieri erranti. Quando trovate Rodomonte a Parigi, Grifone a Damasco, quando la Cavalleria si spiega in tutta la sua magnificenza, vedete un pazzo attraversare la scena e sparire. Orlando fa la parodia della Cavalleria più profondamente di Don Chisciotte, perché tutta spontanea.

Ma è notabile anche pel modo in cui è rappresentato. La pazzia d’Orlando è ciò che meglio mostra la seria rappresentazione del poema. Fra i romanzi moderni v’è il romanzo psicocologico; la poesia italiana fornisce pochi esempi della poesia psicologica: la poesia italiana è scultoria. Il solo Petrarca potrebbe esserne esempio. Ma Petrarca si rappresenta, non si studia. Il primo esempio se ne trova in questa pazzia d’Orlando.

Orlando non è capace di passioni leggiere, e per questo impazza. Gli altri innamorati d’Angelica pensano a lei quando essa è li. Ma Orlando ha concepito per lei una passione profonda. Comparisce come innamorato serio: è a letto, sogna d’Angelica, si alza e ne parte. Angelica: non ha che una fissazione: trovarla; se giunge presso Cimosco, se entra nella grotta, non è che cercando Angelica. Liberata Isabella, liberato Zerbino, bastonatosi con Mandricardo, si allontana. È il solo cavaliere errante che abbia amici: Brandimarte e Zerbino, presentimenti del Tancredi del Tasso. Stanco giunge assetato in un bel luogo, un bel praticello, un ruscello chiarissimo; scavalca e si riposa. Questa è l’apertura della follia d’Orlando. Spesso, quando stiamo allegri, una voce misteriosa ci avverte della nostra sventura. Una delle più belle scene del Tasso è il duello di Tancredi con [p. 136 modifica]Clorinda. I due guerrieri si riposano, e Tancredi si rallegra di vedere il nemico più offeso. Una tremenda apostrofe del poeta lo interrompe:

                                        Oh nostra folle
Mente ch’ogn’aura di fortuna estolle!
     Misero, di che godi? oh quanto mesti
Fiano i trionfi ed infelice il vanto!...
Simile a questo è il primo movimento poetico rappresentato in Orlando, quando si sdraia tutto contento sull’erba:
Giunse ad un rivo che parea cristallo,
Nelle cui sponde un bel pratel fioria,
Di nativo color vago e dipinto,
E di molti e belli arbori distinto.
Non si mescola subiettivamente all’azione, apostrofando Tancredi. Mentre sta li tutto abbandonato vede delle lettere negli alberi di mano di Angelica. Corre a guardare, e legge: «Angelica e Medoro», e la seconda impressione è il dubitare che sia scrittura di Angelica: sarà un’altra Angelica!
Va col pensier cercando in mille modi
Non creder quel ch’ai suo dispetto crede:
Ch’altra Angelica sia creder si sforza.
Ch’abbia scritto il suo nome in quella scorza.
Poi, convinto che sia carattere d’Angelica, s’immagina di esser finto col nome di Medoro:
Finger questo Medoro ella si puote:
Forse che a me questo cognome mette.
Perché non crede a questo? S’alza in piedi, e dimentica il riposo; l’autore lo paragona ad un uccello invischiato:
Come l’incauto augel, che si ritrova
In ragna o in visco aver dato di petto,
Quanto piú batte l’ale e piú si prova
Di disbrigar, piú vi si lega stretto.
[p. 137 modifica]Si rimette in cammino. C’è un monte in cui s’inoltra una

grotta, coverta da edere e virgulti. Orlando v’entra e vi trova la seguente iscrizione:

     Liete piante, verdi erbe, limpid’acque,
Spelunca opaca, e di fredde ombre grata,
Dove la bella Angelica, che nacque
Di Galafron, da molti invano amata,
Spesso nelle mie braccia nuda giacque...


Que’ particolari distruggono ogni illusione. Orlando non può credere ai suoi occhi; legge e rilegge, e poi rimane di sasso. È un momento doloroso, ma Ariosto non li conduce mai fino allo strazio. Trova un paragone magnifico, che distrae l’animo. Le lacrime non gli vogliono uscire dagli occhi:

Cosi veggiam restar l’acqua nel vase
Che largo il ventre e la bocca abbia stretta:
Che nel voltar che si fa in su la base,
L’umor che vorria uscir tanto s’affretta,
E nell’angusta via tanto s’intrica,
Ch’a goccia a goccia fuore esce a fatica.


Quest’ultimo verso, che vuole cinque pause, è stupendo:

Che a goccia a goccia fuore esce a fatica.

Lasciamo interrotta la piú gran scena psicologica della poesia italiana, che da Dante a Tasso deve considerarsi come la prima epoca della poesia europea, che ha per carattere una sintesi senza analisi. L’analisi comincia con Shakespeare. Gl’italiani hanno avuto la dolce amara iniziativa della civiltà moderna, ed in Machiavelli trovate per primo questa sottilissima analisi. In questa scena è con più potenza iniziata l’analisi del cuore umano. Un avvenimento con mille gradazioni. L’amore di Angelica e Medoro: prima sono parole: poi una iscrizione; poi voce umana, racconto d’un pastore. Queste gradazioni esterne corrispondono a gradazioni interne nell’animo di Orlando. Orlando sorbisce il [p. 138 modifica]veleno a poco a poco, fluttuando tra il timore e la speranza; ed il poeta ha più campo di spiegare le sensazioni di Orlando.

Nel primo stadio il sentimento non si rivela con tutta la sua forza, perché rimane l’adito aperto a sofismi consolatori. Nella grotta, la certezza aumenta; riceve una tale impressione che riconoscete non aver che fare con un uomo dalle passioni deboli. Ma il fatto giunge ad un terzo momento. Orlando lascia la grotta, creandosi sofismi. Crede e vuole e spera, che qualcuno abbia fatta quella iscrizione per infamare Angelica. L’Ariosto non si mescola con Orlando. Sta sempre distante ed indifferente; le passioni in lui sono sempre temperate dall’immaginazione. Mentre Orlando cammina in si poca speranza, il poeta descrive certe scene pastorali che distraggono la fantasia. Vede il fumo sui tetti, ode i muggiti degli armenti, i latrati dei cani; ci presenta i garzoni affaccendati intorno ad Orlando, giunto all’albergo. L’albergo era la casa dove aveva soggiornato Angelica con Medoro:

Corcarsi Orlando e non mangiar domanda,
Di dolor sazio e non d’altra vivanda.


Sulle mura, sulle finestre, sulla porta vede scritto A e M:

... dell’odiato scritto ogni parete.
Ogni uscio, ogni finestra era dipinto.


Ecco l’ultima gradazione che deve sviluppare gli ultimi sentimenti d’Orlando. Fin qui sofisticava non avendo a chi domandare: ora gli viene in capo di chiamare il pastore; ma si arresta e gli manca il coraggio; e potendo chiarirsi, preferisce rimaner nel dubbio, perché sapeva che i suoi, in fondo, erano sofismi.

Qui avviene un altro cambiamento di scena. Nulla stagna qui: abbozza, passa oltre, e muta la scena e l’animo. Il pastore si presenta non chiamato, e da bestia pastore, per consolarlo, gli racconta la storia d’Angelica e Medoro. Con quanto artifizio è narrata la storia del pastore, che batte e ribatte sulle circo [p. 139 modifica]stanze più strazianti per Orlando e finisce per dire come si fosse condotta:

A farsi moglie d’un povero fante!


Versi prosaici che sembrano sfuggiti per negligenza, e seno così belli per esprimere una situazione.

Finalmente, il pastore presenta una gemma regalatagli da Angelica, cui era stata regalata da Orlando.

L’animo di Orlando non può più dubitare; è certo d’esser tradito, il suo dolore va crescendo a poco a poco sino alla pazzia. Si mette a piangere. Sta a letto e non può trovar riposo. Quel letto diviene duro come un sasso, pungente come un’ortica: se la piglia col letto. Gli viene un pensiero. Si sono maritati qui, hanno forse consumato il matrimonio in questo letto; sbalza dal letto, si arma e parte.

Eccolo nella campagna. Piange, urla, tutta la notte. Aggiorna, si guarda intorno e si trova innanzi alla grotta. È in uno stato differente dalla prima volta, in uno stato di rabbia e di furore. Ve ne accorgete alle sue parole: — Non verso lacrime: le lacrime hanno una fine; sono i miei spiriti vitali che m’escono per gli occhi. Non traggo sospiri: i sospiri hanno tregua; io non sono Orlando, sono l’ombra di Orlando — . In questi vaniloqui cominciate a vedere un cervello che si sta guastando. Nel vedere la iscrizione, comincia a tirar con la spada sulle pietre, sugli alberi, e finalmente cade a terra, stanco: una prostrazione folle succede ad un impeto di concitazione pazzo. Per tre giorni rimane così: al quarto si alza matto furioso. Tal’è una scena di pazzia, tanto più ammirabile, in quanto che in tutta la poesia precedente non v’era un pazzo; la scena è uscita tutta viva dal suo capo, come Minerva armata dal cervello di Giove.

Dopo averci presentato così Orlando, si spassa a sue spese, ne caricatureggia la forza fisica e l’intelletto.

Il suo primo atto di pazzia è strappar querce come finocchi. Incontra due villani con un asino: gli dicono di farsi da lato: [p. 140 modifica]
     Orlando non risponde altro a quel detto,
Se non che con furor tira d’un piede,
E giunge a punto l’asino nel petto
Con quella forza che tutt’altre eccede;
Ed alto il leva si, ch’uno augelletto
Che voli in aria sembra a chi lo vede:
Quel va a cadere alla cima d’un colle,
Ch’un miglio oltre la valle il giogo estolle.

Nel tempo stesso c’è la caricatura dell’intelletto. Incontra Angelica, non la riconosce, ma se n’invoglia e le corre addosso; Angelica si mette l’anello in bocca e cade di cavallo. Orlando corre appresso alla giumenta:

Giá giá la tocca ed ecco l’ha nel crine,
Indi nel freno, e la ritiene al fine.

Comincia a carezzar la giumenta come Angelica, la fa camminare senza posa o pranzo. La giumenta si spalla. Orlando se la reca in ispalla; poi se ne scarica e le dice: — Cammina! — , e non camminando essa, le attacca il freno al piede e se la trascina dietro. Si gitta nello stretto di Gibilterra a cavallo: il cavallo muore ed Orlando giunge a nuoto in Africa, dove trova l’esercito accampato a Biserta. È riconosciuto dai baroni, fra i quali era Astolfo che doveva rinsavirlo. Ma bisognava chiapparlo. I cavalieri erranti si sforzano d’afferrarlo; ed Orlando ne concia male parecchi; si trascina dietro tutta quella gente, finché non l’affunino e lo atterrino, gli chiudano la bocca e gli approssimino l’ampolla al naso; e così rinsavisce.

Succede la riabilitazione d’Orlando. Conquista Biserta, uccide Agramante, mostra il suo amore per Brandimarte e sparisce dalla scena. È il tipo del cavaliere errante. Rodomonte è il tipo di tutte le stravaganze del cavaliere errante.