Le biblioteche popolari in Italia dall'anno 1861 al 1869/Desiderj e proposte

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Desiderj e proposte

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Obiezioni e risposte Come si può fondare una Biblioteca popolare con le forze d’una libera Società privata
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Desiderj e proposte.

Il signor Alessandro Anserini fu dei primi in Italia a scrivere sul tema delle Biblioteche popolari, e dal 1861 al 1862 nella Rivista italiana, diretta in Torino dal cav. Ferri, dettava due buoni articoli su questo proposito: «Le biblioteche popolari, egli diceva, offrono vantaggi superiori a quelle esistenti, con una minima parte di spesa: esse fanno penetrare nello famiglie di città o di campagna le opere dell’intelligenza, invece di aspettare qualche privilegiato cittadino nei loro polverosi scaffali; vantaggio immenso si è di poter leggere a casa quando si ha tempo, ma il beneficio veramente incalcolabile sarebbe per l’istruzione della donna, oggi esclusa per le sue occupazioni dalle Biblioteche pubbliche e per lo più priva d’ogni libro. Considerando quanto son forti le spese di conservazione delle Biblioteche pubbliche e il numero limitato di lettori che hanno, e confrontandole colla minima spesa delle Biblioteche circolanti per un numero infinito di lettori, si scorge la economia e l’efficacia del sistema dell’associazione. Infatti, una Biblioteca di provincia con 20 mila o 60 mila volumi non dà 3 mila lettori all’anno; invece 3 mila volumi d’una libreria circolante possono avere 20 mila lettori all'anno se divisi in pacchi da 30 volumi vengono spediti a [p. 11 modifica] 100 scuole e cangiati mensilmente, e se soltanto la metà circa di quei libri fosse letta una volta al mese:1 gli stessi 3 mila volumi potrebbero avere 60 mila lettori e più se i 30 libri spediti a ogni scuola cangiassero di mano una volta la settimana: l’associazione degli scrittori facilita la pubblicazione delle buone opere coll’acquistarne un certo numero per le Biblioteche popolari e col premiare le migliori: essa offre al talento sconosciuto un areopago di confratelli pronti a riconoscerlo e ad incoraggiarlo, togliendo poi l’autore così dalla dipendenza di editori spesso incapaci di apprezzarlo, dà un principio di stabilità alla proprietà letteraria feconda rimuneratrice delle lettere.»

Con queste considerazioni premesse, egli pubblicava2 un programma e statuto per una nuova Associazione che si dovrebbe intitolare per l’istruzione pratica, e nel quale vi sono delle buonissime idee, ma non di facile attuazione fra i cittadini d’Italia, che certamente non hanno le borse degli Inglesi e degli Americani: e di fatto come trovare fondatori che paghino 3 mila lire e soci per azioni di lire 200? Non sarebbe meglio invocare l’aiuto ed il concorso di tutti, anco del popolo stesso, chiedendo azioni di l a 2 lire annue? In questo senso il [p. 12 modifica] progetto d'una grande Associazione nazionale fu per due volte caldeggiato.3

Anco il sig. commendatore Garelli discusse con amore sul tema delle Biblioteche popolari, ed espresse alcuni pensieri net 1866, in varie lettere al cav. L. Sani di Reggio e nel buon giornale il Maestro degli adulti, ritenendo importante complemento della scuola la Biblioteca popolare.

Quando all’analfabeto, dic’egli, avremo insegnato a leggere, l’avremo noi di molto migliorato? Noi non avremo fatto che mettergli in mano lo strumento per migliorarsi; ma se questo istrumento non sapesse o non potesse adoperare, a che gli varrebbe averlo acquistato? Bisogna dunque somministrargli o almeno indicargli i libri.

Il popolo legge? — Chi lo vorrebbe nell’ignoranza, dice che il popolo giuoca, beve, ma non legge. Noi che viviamo in mezzo al popolo possiamo dire che legge; e ne volete una prova? Osservate i mercati e le fiere anco dell’ultimo dei villaggi alpestri, vi troverete sempre il banco del libraio ambulante, perchè i libri sono cercati e sono cercati appunto perchè si legge e perchè la istruzione impartita nelle scuole ha fatto nascere il gusto d’attingere anco dai libri le aspirazioni più care del bello e del buono.

L’illustre professore non consente che le Biblioteche, per essere popolari di fatto, possano essere formate di libri via via raccolti per mille guise da private offerte di benefattori, e su [p. 13 modifica] questo non v’ha dubbio quando lo dovessero rimanere con quei libri, ma certo potrebbero essere cambiati, venduti e mutati secondo le savie vedute dei promotori, ed anco opere buone in se stesse non bastano perchè, per essere popolari, bisogna che siano intese dal popolo. La Biblioteca popolare, egli dice benissimo, dovrebbe avere un libro che presenti breve, facile descrizione della nostra patria, divisa in regioni, con un cenno sui prodotti naturali a artificiali d’ognuna; un altro libro utilissimo sarebbe quello della storia del popolo, insegnata per biografie di uomini illustri che uscirono dallo sue file, la lettura di questo non mancherebbe d’infiammarlo dell’amor di patria; non dovrebbe pure mancare qualche libro di morale, ma resa popolare come quello dei Doveri degli uomini, dì Silvio Pellico.

Non sarebbe inopportuno qualche libro di drammi in cui l’azione, il dialogo, gli affetti e le passioni fossero attinti dalle condizioni essenziali dell’umanità, epperciò veramente educativi, e siccome una specie di dramma sono pure le novelle e il romanzo sia storico o d’immaginazione, anco ad esso dovrebbesi fare nella Biblioteca la sua parte purché fosse veramente educativo.

Non dovrebbero neppur mancare libri tecnici che apprendano agli artigiani la nomenclatura degli oggetti o le regole che governar debbono le operazioni delle arti loro; questi sarebbero letti con avidità e con profitto. La Biblioteca popolare vorrebb’essere non tanto numerosa di opere diverse, quanto numerosa di copie della medesima opera. Giova poi moltissimo a far nascere il desiderio della lettura l’opportunità del [p. 14 modifica] tempo stabilito per l’apertura, se questa ai facesse nel tempo dei più pressanti lavori campestri, correrebbe pericolo d’aver contrari i capi di famiglia, ecc.; la prima domenica dopo che la neve avrà imbiancata la terra s’inviti, se si può, dal parroco tutto il popolo ad assistere, dopo le funzioni domenicali, all’apertura solenne della Biblioteca, e lì si presentino i primi 15 o 2O volumi, il maestro ne legga l’elenco dicendo di ciascuno quel tanto che basti ad invogliare il popolo di leggerlo, si dimostri il fine e l’utilità dell’istituzione, il popolo non mancherà di seguirvi: ci vuol fede; guai se da principio si è freddi, l’istituzione non potrà aver vita. E poiché il popolo non apprezza se non quel che paga, invece dei libri gratis, sarebbe bene fargliene pagare il fitto, se paga, leggerà: il maestro, fatti conoscere i pregi del libro, dirà che chi lo vuol leggere paga un soldo; dirà poi che questi soldi servono a comprarne dei nuovi e alle legature.

Quanto ai libri adattati, non importa, continua l’egregio professore, se non ve ne ha molti in Italia; facciamo che questo istituzioni attecchiscano e vedrete che i buoni scrittori provvederanno a questo bisogno. La scelte dei libri poi non dovrebbe lasciarsi nè ai comuni, nè alle Provincie, ma alla nazione, ed ecco come: le Accademie stesse dei letterati potrebbero, dietro proposta di vari Comitati composti di persone amanti del ben del popolo, giudicare dell’utilità e convenienza d’introdurre una tale opera nelle Biblioteche popolari, così d’ogni libro che si stampa avrà pronunciato il giudizio sulla utilità il Comitato provinciale, e della sua bontà intrinseca sotto il rispetto letterario o scientifico sarà [p. 15 modifica] giudice competente l’Accademia4. Bisognerebbe frattanto animare i municipi a stanziare un 100 di lire pel 1° anno e un 20 lire annue almeno pei successivi, acciò la Biblioteca si rinfreschi di nuovi volumi.

Ma chi veramente precorse ai tanti5 che nel 1861 e poi scrissero sulle Biblioteche popolari, fu l’illustre conte Luigi San Vitale senatore del Regno, uno dei più sapienti benefattori del popolo che conti la città e provincia di Parma, il quale cosi ne discorreva nel 1847 in un giornale parmense il Vendemmiatore, con un articolo portante il motto: «La buona lettura nobilita l'animo ed utilmente lo ricrea. Con alacrità e con benevoli cure si va facendo in modo che i poveri sappiano leggere ed esercitare in società quelle necessarie corrispondenze che dalla lettura e dalla scrittura derivano, ma non è a tacersi come talora possa parere contraddizione quella che i poveri avendo ricevuto gli ammaestramenti per cui divengono capaci di cercare occupazione e profitto dai libri, rimangano poi privi di quelli che porgerebbero loro buone dottrine religiose e civili e inoltre gradevoli trattenimenti: riesce conseguenza dunque del benefizio dato alla gente povera col mandarla nei primi suoi anni alla scuola, il pensare a [p. 16 modifica] provvederla dei libri. Per le Biblioteche popolari fecero notevoli proposte il celebre Cormenin e il dotto Diece compositore del rinomato diario che ha per titolo: Manuale dell’istruzione primaria; il Cormenin stabili una Biblioteca rurale nel circuito del Loiret, la quale fu cagione che vi si migliorasse l’agricoltura.»

E quindi, l’illustre senatore, con altre molte sennate parole continuava a trattare l’argomento, che certo per quei tempi era grande novità in Italia.

  1. È bene avvertire che le Biblioteche rurali (lo che si è praticato in Scozia a Lothian con gran vantaggio) avrebbero a esser divise in serie da 40 a 50 vol., e ogni serie per qualche mese sarebbe trattenuta in un luogo solo; in questo tempo i bramosi d’istruzione avrebbero campo di leggere quel libri e assimilarsene il contenuto come un s’assimila il pane nel proprio corpo, e al nuovo anno altri 50 volumi surrogherebbero la serie stata letta.
  2. V. Curiosità della scienza contemporanea, an. IV, Firenze, 1869.
  3. IV Relazione sui progressi della Biblioteca Circolanti Pratese per A. Bruni. Firenze, Gaston, 1868.
    Delle biblioteche e dei libri popolari per A. Bruni, Firenze, Eredi Botta, 1869.
  4. Noi non conveniamo nell’idea d’affidare questa scelta alle Accademie, colle quali non si verrebbe a capo di niente, e già è invalso il purtroppo vero detto che quando si vuol non fare o rimandare alle calende greche una cosa, si rimette ad una Commissione
  5. Anche il professor Efisio Contini in un articolo Scuole e biblioteche in Sardegna, fino dal 1857 accennava all’importanza di rendere popolari le biblioteche, e moltiplicarle almeno nei luoghi ove sono le scuole secondarie.