Notizia d'opere di disegno/Notizia/Opere in Milano

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Opere in Milano

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OPERE IN MILANO.

La Casa de Cosmo de Medici1 fu donata dal Duca Francesco ad esso Cosmo, el qual la reedificò quasi a fundamentis, e fecela la più bella casa de Milano: & è di lunghezza 87, e larghezza altrettanto, zoè brazza 87, e d’altezza brazza 26, in un solaro solamente. El cortile dentro è longo brazza 26, largo brazza 20: circa el quale vi sono tre loggie; quella in fronte è larga brazza 5, longa brazza 25; quella a man destra è larga brazza 7½, longa brazza 22; quella a man manca, che ha le imagini delli Romani famosi, è larga brazza 8, longa brazza 28. Dalla loggia [p. 39 modifica]destra si va in una sala ampla a piè piano per la invernata. Da questa sala si va in uno salotto per una porta, e per un’altra in uno cortile piccolo, ove vi è uno pozzo. All’incontro si va in una loggia del giardino, ove è la scala, per la qual si ascende alla coquina. Appresso la sala grande, che ho detto, vi è un’altra scala, per la quale si va de sopra.

La Rocca de Milano ditta el Castel de Iove, fu fatta rifar, essendo ruinata, dal Duca Francesco e Madonna Bianca sua consorte l’anno 1450. da.... Architetto nobile; ovver da Galeazzo Visconte; & è vicino alla porta ditta anticamente la Porta de Iove2 .

Ivi la strada subterranea dalle mura della rocca insino alla contrascarpa e più oltra, sotto el fosso, fu fatta fare dal Signor Lodovico a Bramante Architetto3 .

Ivi la pittura a fresco, sotto la guardia, delli uomini che ballano al sereno, con un nembo in aere poco discosto, che fignifica Post malum bonum, & post [p. 40 modifica]tenebras spero lucem, fu fatta fare dal Sig. Lodovico a....4. La Chiesa de S. Satiro è architettura antica, & ha un colonnato attorno la cella in fuori dal pariete, el qual attigurge sostenta la fascia curva, a guisa de lacunarii. Questa chiesa non guarda in Levante, come guardano el più delle chiese, zoè con l’altar maggiore, ma in altro verso per necessità5.

Ivi la Sagrestia rotonda e colonnata attigurge, senza cella, fu architettura di Bramante; e perchè veniva ad essere oscura, come quella che era triplicata, escogitò luminarla d’alto6.

L’Ospital grande per li ammorbati fuor della porta da Levante fu fatto far dal Duca Francesco con elemosine del popolo7.

La Chiesa de S. Erculino appresso S. Lorenzo fu edificata dalla Regina.... la qual è sepulta ivi: & è opera antica, rotonda, dedicata anticamente ad Ercole: & è monoptera, zoè cinta d’una ala de muro solamente rotondo: & è [p. 41 modifica]ornata de musaico: & ha sotto la coperta del tetto urne fictili, acciò l’umidità non guasti l’ornato del tetto dentro via8.

La Chiesa de S. Lorenzo era già dedicata ad Ercole, edificata da Massimiano Imperatore nato a Severe castel Milanese9.

La Chiesa de S. Martino è chiesa antica dedicata olim a Marte, & è fuor della porta Vercellina congiunta con S. Vettor; & è monoptera, zoè che ha una ala solum de muro rotondo: & ha sotto la coperta del tetto vasi fictili, acciò la umidità non guasti l’ornato del tetto dentro via.

La Chiesa Parrocchial de S. Vettor era un teatro antico edificato, come si crede, da Gabinio Romano nel Consolato de Pompeio.

La Chiesa de S. Maria al Circo era un Anfiteatro, ovvero Circo, edificato dal ditto Gabinio.

La Chiesa de S. Paulo, ditto el Compido, era Compitum, ove anticamente si celebravano Ludi Compitales, [p. 42 modifica]instituito da Gabinio sotto el Consolato de Pompeio.

La Piazza dell’Arengo era una Arena ovver Anfiteatro, edificato da Gabinio, ut supra.

El Verzaro era anticamente uno Viridario.

La Chiesa de S. Salvatore era el Campidoglio de’ Milanesi, edificato da Nerva ad imitazione de quel de Roma; e S. Barnaba Episcopo Milanese lo convertì in chiesa del Salvatore.

El Tempio de S. Maria Incoronata, intitolata S. Agnese, fu fatta fare dalla Duchessa Madonna Bianca Visconte.

In la Chiesa de S. Francesco la Cappella maggiore fu fatta fare dal Signor Ruberto Sanseverino; nella qual Cappella vi è la sepultura di Beatrice Estense sorella di Azzo Estense, relitta de Nino de Gallura, e poi moglie di Galeazzo Visconte figliuolo de Matteo Visconte10.

La Sala destra del Palazzo del Comun de Milano fu fatta fare da Guido [p. 43 modifica]dalla Torre Capitanio perpetuo de Milano fanno 1309.

La Loggia marmorea sopra la piazza de Mercatanti fu fatta fare da Matteo Visconti fanno 1316.

La Torre Senatoria de S. Gottardo fu fatta fare da Zuan Galeazzo Visconte, & è pinnaculata, cestile, e vitreata in cima.

La Torre grande de S. Antonio d’Eustorgio fu fatta fare da.... Questa è pinnaculata, cestile, e vitreata in cima.

In li Eremitani la Palla de terra cotta de mezzo rilevo, opera molto lodata, fu de man de Anzolino Bressano, ovver Milanese, fratello de Maestro Gasparo.

In la Corte Archiepiscopale le pitture a fresco, che risplendono fin oggidì come specchi, furono de man de maestri vecchissimi.

In S. Zuan de Conca le pitture a fresco antiche, che fin oggidì risplendono come specchi, furono de man de maestri antichi. [p. 44 modifica]

El Domo de Milano fu principiato alla Tedesca; per il che contiene molti errori, tra li quali precipuo è questo, che la cuba è in otto faccie sopra quattro pilastri; talchè gran parte d’essa esce dal perpendiculo delli pilastri, e sta in aere. Oltre di questo li archi da pilastro a pilastro non sono semicircolari, ma acuti in mezzo alla Tedesca; sicchè non hanno forza in le spalle, ma solamente in quella summità: il che non basta a tanta mole. E però più fiate è stata refatta & emendata, nè si pol ben finire. Ultimamente fu dato el carico a diversi architetti, tra quali el principal fu Bernardo da Trevi pittore11, & anco fu aggiunto M. Ottavian Panigarola nobile12, de conzar ditta cuba, e fornir tutto el Domo: e ne fu fatto un modello, el qual fu dato ad un Tedesco, che lo smarrì. El carico e consulto de questi fu correzzer la fabbrica, e ridurla da quel principio Tedesco in qualche bona forma.

La Chiesa del Domo fu cominciata [p. 45 modifica]l’anno 1387. a’ 13. di Zugno, per ordine del Conte di Virtù Galeazzo Visconte, e dedicato alla Vergine.




IN CASA DE M. CAMILLO LAMPOGNANO,

OVVER SUO PADRE M. NICCOLO’

LAMPOGNANO.

El quadretto a mezze figure, del patron che fa conto con el fattor, fu de man de Zuan Heic, credo Memelino, Ponentino, fatto nel 1440.13.

Le infinite Medaglie sono per la maggior parte antiche.

Li infiniti prompti sono per la maggior parte antichi.




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ANNOTAZIONI.


  1. [p. 187 modifica](68) Del palazzo che Cosimo de’ Medici in Milano ebbe in dono dal Duca Francesco Sforza, e che poi fece rifabbricare in più grande e magnifica forma, alcune notizie diede fuori il [p. 188 modifica]Vasari nella Vita di Michelozzo Fiorentino come tratte dal libro ventesimo primo dell’Architettura di Antonio Averulino Fiorentino, soprannominato Filarete. Di fatti in questo libro trovasi l’edifizio tutto minutamente descritto: ma che Michelozzo ne fosse l’architetto, e vi dipingesse ancora il ritratto di Cosimo, e che Vincenzio Foppa vi facesse pitture di cose Romane con ornamenti varii, ed altre particolarità dal Vasari indicate, con l’autorità dell’Averulino provarlo non si potrebbe, usando ogni esemplare dell’opera di lui. Tutte quelle notizie certamente non sono nella traduzione Latina di essa, che dall’Italiano fece Antonio Bonfinio; dalla quale, perchè in nessuna lingua l’opera fu stampata, gioverà qui riportare quanto al proposito presente si trova secondo il codice della Libreria Regia di San Marco, di cui più innanzi sarà data contezza; onde con la narrazione del Vasari, che deve averne veduto un testo Italiano più copioso, se ne faccia il confronto, e di quell’insigne edifizio intera conoscenza fare si possa. Sed de Palatio, quod in urbe Mediolanensi nuper Cosmus erexit, nihil tacendum est. Franciscus Sfortia Dux Mediolanensis, in perpetuum mutuæ fidei & arnicitiæ monumentum, ingenti Cosmum, parentis loco semper habitum, palatio donavit: Cosmus autem, ut cumulatam amico gratiam referret, & gratissimum sibi donum fuisse ostenderet, a fundamentis instauravit, & ita exornavit, ut nil pulchrius in urbe illa ex privatis ædificiis videatur. Id quoquoversus septenum est & octogenum circiter brachiorum: altitudo senum & vicenum. Ut fenestrarum ordo demonstrat, unius tantum contignationis esse videtur. Quæque fenestræ, interposita columnella, geminæ sunt, fictilibus undique cultæ ornamentis. Domus in  [p. 189 modifica]fastigio ad subgrundia elaboratissima quadam lignea prominentia coronatur, cui triglyphi, metopæ, variaque insunt ornamenta. Tres huic valvæ. Primaria media est. Super hanc Francisci Ducis & Blancæ faustissimæ coniugis imago, miris undique exculta ornamentis. Marmorea est, quinis laxa brachiis, ac denis edita. Choors magnifica & vicenis lata brachiis, longa vero senis & vicenis. Ad lævam porticus una est, octonis laxa, longa vero octo & viginti, Romanorum Principum imaginibus illustris. Ad dexteram altera duum & viginti longitudinis, septem vero & semis latitudinis. In capite hujus ianua, quæ in amplum triclinium ducit ad soli æqualitatem; ubi hiberno tempore accubatur. Deinde scalæ sunt, quibus ad superiores conscenditur habitationes. Ad harum summitatem ostia duo, unum in cœnaculum, alterum in parvam choortem ducit, ubi puteus est. Deinde e regione aliud est ostium, quod in hortorum porticum præbet aditum: & hic quoque scalæ sunt, quibus ad alias superiores partes & ad culinam ascenditur. Tertia vero porticus, quæ ex obiectu est primi aditus & valvarum, quinque & viginti brachiis producitur, patescitque quinque, unum habet ostium, quo ad cellas vinarias hypothecasque descenditur: item hortis præbet aditum. Hic quoque scribarum proximus est locus. Porticus omnes columnis fornicibusque suffultæ. In choorte porticus est amplissima septem & viginti brachiorum longitudinis, latitudinis quoque septem, Herculeis imaginibus insignis, ubi marmoreum podium: ante porticum gramineum spatium in prati speciem rosariis circumseptum. Triclinium, de quo diximus, tredecim patescit brachiis, differturque duobus circiter & viginti. Ante triclinium protriclinium est senis laxum brachiis, eiusdem etiam longitudinis. Sub porticu, quæ est ad lavam, in capite ostium est cameræ serviens, [p. 190 modifica]hinc duodecim, tredecim illinc sane patenti. Ante hanc procestrion tredecim longitudinis, latitudinis sex. Hic quoque mercium apotheca, hinc septemdecim, illinc duodecim effusa; & hæc ianuam habet in fronte domus sitam, in viamque spectantem. Post apothecam parva choors est, duodenum quidem brachiorum longitudinis, latitudinis vero senum. Iuxta hanc brevis quidem apotheca. Post dexteram vero porticum choors alia, vicenum quidem brachiorum longitudinis, senum vero laxitatis. In medio puteus est. Hæc a via habet aditum quinis amplum, longumque ternis ac denis. Iuxta aditum camera effusa sane. Post cameram lignaria apotheca. Post hanc sex mansiones, quæ culinæ plane deserviunt; sex quoque superius. Culinæ magnitudo denum est brachiorum latitudinis, longitudinisque tredecim. Iuxta culinam breve triclinium tredecim brachiorum longitudinis, sexque latitudinis. A latere triclinii duo aditus, alter in choortem, in hortos alter, tredecim uterque brachiorum. In uno camera est, scribarumque locus. Post cameram alia mercium apotheca, ubi cochleares sunt scalæ, quæ ad superiora conscendunt, quaternum quoquoversus brachiorum. Ad soli planitiem est cella vinaria, vicenum hinc brachiorum, ternum ac denum illinc; a maximæ choortis porticu habet aditum. Post ubi primarias scalas conscenderis, ad dexteram triclinii superioris & maximi est ostium, quod quadragenum circiter brachiorum est longitudinis, latitudinis vero ternorum ac denum. Hoc ad viam spectat. Triclinii huiusce, item cubiculi, & cuiusdam cœnationis & cameræ, quæ ad primam sunt contignationem, laquearia omnia auro uranioque colore, ac Sphortiadum Medicorumque insigniis exornata sunt. Ad caput triclinii cubiculum. Post cubiculum apodyterium. Post apodyterium heliocaminus est, qui supra brevem choortem  [p. 191 modifica]spectat. Juxta heliocaminum camera est, item alia quoque camera, quæ supra mercium est apothecam inferioremque aditum. Præter hanc & alia camera, quæ supra porticum est ad lævam substitutam, dupliciquæ fenestra choortem despectat: item & alia. E regione vero aditus sex cameræ sunt, quæ in hortos despectant, & supra culinam tricliniumque inferius & duos hortorum aditus trapezitarumque bibliothecam rite constitutæ sunt. Supra cameras tria horrea, tricliniumque unum. Verum ubi cohortem intraveris, e regione supra porticum heliocaminus est marmoreis suffultus columnis, viginti quinque brachiorum longitudinis, latitudinisque quinque, ubi universa Susannæ historia picta est. In fronte primariarum quatuor virtutum effigies. Supra hunc sub tecto alter est heliocaminus. Quatuor choors maxima a triplici latere porticibus & heliocaminis circumducta est; in quorum fronte planetæ & duodecim signa picta sunt. A questa descrizione poi aggiunto si vede nel codice il disegno della facciata del palazzo, sovrappostevi le parole Orthographia Palatii Cosmi in Mediolano. Acconcio riesce tutto questo a ravvisare lo stato dell’edifizio quale a tempo di Cosimo era; giacchè col seguire de’ tempi, per darvi un essere conforme agli usi moderni, a tutt’altra forma fu esso ridotto. Chiunque però curioso fosse di conoscerne gli avanzi, può soddisfarsi leggendone la descrizione posta dal Signor Consigliere de Pagave Milanese nel tomo terzo, delle Vite del Vasari dell’edizione Sanese pag. 222.; dalla quale s’impara che il palazzo alla nobile famiglia de’ Conti Barbò or appartiene. Non fia poi discaro il sapere che sopra un palazzo da Cosimo edificato, il quale potrebbe anch’essere stato quel di Milano, un epigramma fece Francesco Buzzacarino Padovano, uomo per [p. 192 modifica]lettere Greche e Latine dallo Scardeone e da altri assai commendato; e che tanto esso piacque a Cosimo, che volle usare all’autore un tratto della consueta sua munificenza col regalarlo di sessanta zecchini. Non si saprebbe ciò, per quanto a me pare, se nell’anno 1780. volendosi in Bologna vendere due codici manoscritti, non si fosse stampato un foglietto contenente la lor descrizione; il quale poi, per diligenza che si usasse, ora forse non si ritroverebbe. Del primo adunque d’essi codici è detto che il titolo e il principio era questo: Inscriptiones Antiquæ, ex variis locis sumptæ a Ioanne Bembo Veneto, Vici Birii Divi Canciani, qui eas hoc in libro scribebat anno orbis redempti 1536. La prima Iscrizione ha il titolo seguente: Francisci Buzacarini Civis Patavini in laudem Palatii Magnifici Cosmæ de Medicis Hexastichon, quo donatus fuit aureis numismatibus LX.

    Hos ego crediderim vel Cæsaris esse penates,
         Vel Capitolini templa superba Iovis.
    Quam bene sideribus sublimia tecta minantur!
         Conspicuo quam sunt ædificata loco!
    O fortunatum nimium cuicumque licebit
         Molliter in tali consenuisse domo!


    Sarebbe da desiderare che il codice in buone mani capitato fosse; dicendosi nel foglietto che il Bembo attesta di aver copiate egli stesso quelle Iscrizioni, e ritrovate in varie città e luoghi di Europa ed anche di Affrica; e che vi sono nel codice medesimo in quaranta due carte descritti in Latino viaggi fatti dal Bembo in Dalmazia, Grecia, Spagna, ed Affrica, e che vi racconta anche molti de’ suoi fatti e casi particolari. Sembra a questi [p. 193 modifica]viaggi certamente appartenere una lunga lettera Latina dal Bembo ad Andrea Anesino di Corfù scritta nel 1536, la quale sta in un mio codice a penna miscellaneo; e contenendo non poche cose di geografia e di varia erudizione giudiciosamente osservate, è affatto degna di questo scrittore, che ora è da aggiungersi alli Veneziani che seppero di Greco, ed a raccogliere antiche Iscrizioni si sono applicati.

  2. [p. 193 modifica](69) Quando pure Galeazzo Visconti abbia ristorato il Castello di Milano; la rifabbrica però di esso appartiene a Francesco Sforza, da lui fatta nell’anno 1450, nel quale acquistò la signoria di Milano; di che ne fanno fede anche il Simonetta nella Sforziade alla fine del Libro XXI. ed il Corio al principio della sesta parte dell’Istoria Milanese.
  3. [p. 193 modifica](70) Cesare Cesariano nel Comento sopra il Libro I. cap. 5. di Vitruvio p. 21. t. edizione di Como 1521. fa menzione della via coperta di la nostra arce di Iove in Milano, & maxime quella che fece fare Bramante Urbinato mio primo preceptore, quale si traiice dallo mœniano muro della propria arce ultra le aquose fosse allo cripto itinere.
  4. [p. 193 modifica](71) Il Cesariano nel Comento citato sul Libro VII. Cap. 5. di Vitruvio p. 118. t. scrive a questo proposito: Etiam si vede pincto lo enigma di Ludovico Sfortia soto la archicustodia nel Castello di Iove: quale indica quasi como diressemo Ieraglipho: post malum semper sequitur bonum & converso: vel post lungum tempus dies una serena venit: seu post tenebras spero lucem &c. Per che ivi è pincto uno tempo nimboso & di maxima procella: & poco distante da epso le turme chi ballano: iocundano & festegiano soto lo tempo sereno: quale cose appareno potere essere.
  5. [p. 194 modifica](72) La Chiesa di San Satiro, che l’autore fa di architettura antica, dal Cesariano è nominata, senza dire se sia antica o moderna, nel Comento sul Libro V. Capo 6. di Vitruvio p. 99., dove cita la proiecta distributione columnare circa le pariete, vel la cella de la æde di Sancto Satyro in Milano: quale attigurge columne substeneno la emicycliata sua curva fascia facta como ad lacunarii. Ecco una perfetta corrispondenza anche quanto a parole tra l’autore e il Cesariano, di cui l’opera in appresso nominatamente s’allega. Assigurge porta il manoscritto due volte, facilmente a cagione di svista dell’autore: ed io vi posi Attigurge invece di Atticurge, opera Attica, perchè usato, sebbene malamente, dal Cesariano. Ciò pure che l’autore segue a scrivere conviene col Comento di questo sul Libro IV. Capo 78. pag. 71. ove dicesi che non è da riguardare a fare la adorazione nisi verso lo oriente, ma secundo che si po in li lochi per necessità non constringe, siccomo in la æde picciola del Divo Satyro in Milano. Trovasi detto che la Chiesa di S. Satiro è opera di Bramante, fra le di cui architetture è posta anche dal Sig. Consigliere di Pagave (Vasari, T. V. p. 158. edizione di Siena). Il Latuada nella descrizione di Milano (T. II. p. 245.) la fa opera di Bramantino, cioè Bartolommeo Suardi Milanese, sull’autorità del Lomazzo nell’Idea ec. p. 103. Ma questo scrittore nè ivi, nè in altro luogo lo dice: bensì della Sagrestia scrive ciò a carte 90. dell’opera suddetta dell’edizione di Bologna 1785, cui s’oppone l’asserzione del Cesariano, da riferirsi nell’annotazione seguente. Il Vasari poi nella Vita di Girolamo da Carpi (VIII. 374.) ne riconosce autore Bramantino: con ordine del quale, dice, fu fatto il tempio di S. Satiro, che a me  [p. 195 modifica]piace sommamente, per essere opera ricchissima e dentro e fuori ancora di colonne, corridori doppii ed, altri ornamenti, e accompagnata da una bellissima Sagrestia tutta piena di statue: ma sopra tutto merita lode la tribuna del mezzo di questo luogo. Ma meglio si diporta il Signor Ab. Bianconi nella Nuova Guida di Milano 1795. (p. 208.), scrivendo in maniera che dà a vedere che della nuova Chiesa di S. Maria, la quale trovasi anche nominata come di San Satiro, per essere ambedue insieme unite, mediante la Sagrestia, l’architetto sconosciuto rimane.
  6. [p. 195 modifica](73) Anche qui l’autore dice cose dal Cesariano dette nel Comento del Libro IV. Cap. 7. pag. 70. dove si legge: E’ monoptera etiam la Sacrastia del Divo Satyro, quale è sine cella, ma columnata atticurgamente, quale architettura fu del mio preceptore Donato da Urbino cognominato Bramante; e sul Libro I. Cap. I. p. 4. t.: Ma acadendo che in li ædificii sia qualche loco triplicato: vel tenebroso vel di luce debile convenerà saper luminare per qualchi loci dal alto sicomo fece il mio preceptore Donato cognominato Bramante Urbinate. In la Sacrastia di la æde sacra di Sancto Satyro in Milano: quali lumini solari dal alto descendeno.
  7. [p. 195 modifica](74) Questo rinomato edifizio è dovuto al Duca Francesco Sforza, avendolo egli fondato nell’anno 1456; siccome da Serviliano Latuada nella Descrizione di Milano è mostrato (T. I. p. 309.). Non si può dubitare che Antonio Averulino Fiorentino, altramente detto Filarete, non lo abbia architettato; perciocchè lo dice egli medesimo dedicando l’opera sua altrove citata a Pietro de’ Medici. Quamobrem non ut a Vitruvio, neque a ceteris eruditissimis architectis, sed ut a tuo Philarete architecto Antonio Averulino cive Florentino, qui [p. 196 modifica]Romæ Divi Petri postes, sedente Eugenio P. M., ex ære fecit, hoc opus accipies. Quin etiam Mediolani, imperante Francisco Sfortia, qui primus lapidem in iaciendo fundamento sua manu statuit, amplissimum miserorum hospitium Divinæ Pietati dicatum ipse statui, variaque in ea urbe opera fabricatus sum. Così secondo la versione Latina da riferirsi qui innanzi. L’opera dell’Averulino, per dirne qualche cosa; giacchè da molti è citata, ma alla stampa non si diede mai; è intitolata Dell’Architettura, ed è in venticinque libri divisa. Fu prima da lui scritta in volgare linguaggio, ed a Francesco Sforza nell’anno 1460. dedicata; siccome il Conte Iacopo Carrara l’ha trovata vendibile in Siena (Lettere pittoriche, T. IV. p. 316. T. V. p. 234.). Quattro anni dopo, avendovi fatti cambiamenti ed aggiunte, a Pietro de’ Medici egli medesimo con altra dedicazione la presentò; e di questo secondo lavoro un esemplare si serba nella Libreria di San Michele presso Valenza, insieme con altri codici a penna, stati già di Ferdinando d’Aragona Duca di Calabria, e registrati nell’Indice de’ più preziosi volumi di quella Libreria, dal chiarissimo Sig. Abate Giovanni Andres, per gentilezza sua singolare, a me comunicato. Anche lo Scamozzio, per detto suo, ne possedeva un testo volgare, che facilmente a questo secondo corrispondeva (Idea dell’ Architettura, Lib. I. cap. 6.). Ma portata l’opera volgare da Francesco Bandini Fiorentino nell’Ungheria a tempo di quel gran fautore e promovitore delle lettere e delle arti nel suo regno Mattia Corvino; commise questo ad Antonio Bonfinio Ascolano, che nella sua corte aveva, di recarla in Latino per uso della nazione. Così tradotta, ed al Re dal traduttore dedicata, [p. 197 modifica]nella Libreria Vaticana, nell’Ambrogiana, ed in altre si trova, per indizii dati dal Montfaucon (Bibl. Mss. p. 1182. ec.) dal Mazzucchelli (Gli scrittori d’Italia) e da altri. Il codice principale però che la contiene è senza dubbio uno della Regia Libreria di San Marco, trasferitovi da altra per varie e buone ragioni. E’ egli membranaceo, in gran foglio, ripieno il margine tutto di due facciate d’ornamenti vaghissimi a miniatura e doratura, con l’arme del Re nel mezzo; cioè al principio della lettera dedicatoria del Bonfinio, ed a quello dell’opera dell’Averulino. Chiaro pertanto apparisce essere questo l’esemplare della dedicazione al Re, ed avere esso altra volta fatta bella parte della Libreria da Mattia messa insieme; ancorchè il Lambecio, il Kollario, Giovanni Guglielmo Bergero, Giorgio Mattia Bosio, Paolo Fabri, il P. Francesco Saverio Schier, ed altri moderni che di quella insigne Libreria hanno scritto non ne abbiano avuta contezza veruna. Quando si voglia avere riguardo al tempo in cui l’opera fu scritta, conviene averla in estimazione non poca; contenendovisi un trattato generale di architettura, sì quanto a fondare città, come a costruirvi ogni sorte di edifizio sacro e profano. Ancorchè i libri di Vitruvio e di Leonbattista Alberti l’autore vedesse; non però quanto al bene ed ornatamente fabbricare sul gusto degli antichi grande profitto da quelli trasse: ma al costume de’ tempi suoi egli ha voluto, o piuttosto dovuto servire nell’ ordinare le fabbriche, e nel rappresentarne li disegni; de’ quali il Codice Marciano da per tutto è sparso. Per conoscer edifizii de’ bassi tempi inutile l’opera non è: di che il passo altrove addotto sul palazzo di Cosimo de’ Medici ne serve d’esempio. Di nomi e [p. 198 modifica]di notizie d’artefici moderni non è poi essa tanto spoglia, quanto far credere si è voluto. Scrisse francamente il Vasari nella Vita dell’Averulino che sebbene alcuna cosa buona in essa si ritrovi, è nondimeno per lo più ridicola e tanto sciocca, che per avventura è nulla più; ed aveala egli veduta fra le cose del Duca Cosimo I. Il Milizia, forse senza averla mai vista, al giudizio del Vasari riportandosi, pronunziò che illeggibile ella è (Dizionario delle belle arti, Filarete). Ma non v’è poi tanto male da dirvi sopra. Chiunque leggere volesse le mentovate Lettere due dedicatorie dell’Averulino a Pietro de’ Medici, e del Bonfinio al Re Mattia; di cui le grandiose fabbriche nell’Ungheria vi sono precisamente riferite; nel tomo trentesimosettimo della Nuova Raccolta Calogeriana di Opuscoli a carte 23. le troverà. Dalla Libreria medesima, che il codice dell’Averulino aveva, passò in quella di San Marco ancora un altro di Silio Italico, dietro ad una relazione avutane da Cosimo Bartoli, che esaminato lo aveva, copiosamente descritto dal Vasari nella Vita di Fra Giovanni da Fiesole (T. III. p. 275.). Tutto procede bene in quella descrizione, eccettuatone l’autore delle miniature assai belle, il quale non fu Atavante Fiorentino; come il Bartoli, avendo preso errore, indusse a dire anche il Vasari. Altro codice è quello da Atavante miniato, cioè uno di Marziano Capella, dalla Libreria medesima nella Marciana parimente trasferito; nel quale rappresentate sono le sette arti liberali, il concilio degli Dei, con fregii molti e squisiti, e con l’indicazione al principio Atavantes Fiorentinus pinxit. Non arrivano queste miniature alla maestria di quelle del Silio, le quali per indegnissima azione, prima che il codice passasse dove [p. 199 modifica]ora esiste, furono da esso strappate e vendute. Era il codice nello stato suo primitivo ricco di otto miniature di tutta la grandezza del volume; una delle quali rappresentava Papa Niccolò V sedente, per cui il libro sembra che fosse fatto; e nelle altre eranvi Silio, Scipione Africano, Annibale, Marte, Nettuno, Cartagine, e Roma, appunto giusta la descrizione fattane dal Vasari. Ora una soltanto di esse ne rimane, cioè Marte sopra una carretta antica tirata da due cavalli rossi: ma questa pure alquanti anni prima delle altre era stata levata dal codice, e sopra una tavoletta attaccata; sicchè avendola io poi ricuperata, non fu possibile di rimetterla al luogo suo, e va tenuta a parte come un bel saggio di queste veramente pregevolissime fatture d’autore non per anco noto. Il primo foglio, che ha il principio del poema, per buona fortuna v’è stato lasciato, riferito anch’esso dal Vasari, e lodato così: Nel fregio poi sono certe mezze figurine in un componimento fatto d’ovati e tondi ed altre cose simili, con una infinità di uccelletti e puttini tanto ben fatti, che non si può più desiderare. Vi sono appresso in simile maniera Annone Cartaginese, Asdrubale, Lelio, Massinissa, Caio Salinatore, Nerone, Sempronio, Marco Marcello, Quinto Fabio, l’altro Scipione, e Vibio.
  8. [p. 199 modifica](75) La æde de S. Erculino in Milano coniuncta con la æde del Divo Laurentio, olim phanum Herculis, è monoptera. Così il Cesariano sopra Vitruvio Lib. IV. cap. 7. p. 70. t. Va però inteso ciò della cappella di Sant’Aquilino, secondo quello che scrive il Bianconi nella Guida citata (p. 239.).
  9. [p. 199 modifica](76) Correva questa favola intorno alla patria di Massimiano, e fu adottata anche dal [p. 200 modifica]Corio nella Vita di quell’Imperadore, ove lo dice nativo di Castel Severo del Milanese. Nessun pensiero mi prendo di far osservare le false tradizioni rapportate dall’autore intorno alle antichità delle fabbriche Milanesi, essendone già conosciuta la loro insussistenza.
  10. [p. 200 modifica](77) Di Beatrice d’Este prima moglie di Ugolino Giudice di Gallura nella Sardegna, chiamato Nino da Dante nell’ottavo Canto del Purgatorio, poi rimaritata a Galeazzo Visconte, si possono vedere le Antichità Estensi del Muratori (T. II. p. 65.), ove ancora di questo mausoleo è fatta menzione.
  11. [p. 200 modifica](78) Di Bernardo Zenale da Treviglio, terra della Ghiarra d’Adda, molto bene hanno detto il Vasari ed il Lomazzo, come d’uomo grande nella pittura e nell’architettura, e più ancora nella prospettiva. L’uno di essi nella Vita di Bramante da Urbino scrive: Eravi ancora un Bernardo da Trevio Milanese ingegnere ed ottimo architetto del Duomo, e disegnatore grandissimo, il quale da Lionardo da Vinci fu tenuto maestro raro, ancorchè la sua maniera fusse crudetta ed alquanto secca nelle pitture. (Vite, T. V. p. 140.). L’altro ci fa anche sapere ch’egli scrisse un trattato di prospettiva ad un suo figliuolo l’anno della peste 1524, e del modo di edificare case, templi, ed altri edificii (Idea ec., p. 15. ed. 1785.). Del merito di lui dà buon giudizio il Signor Ab. Lanzi (Storia pittorica della Italia, T. II. P. I. p. 396.), e della vita ed opere sue diffusamente ha trattato il Conte Francesco Tassis nelle Vite de’ Pittori Scultori ed Architetti Bergamaschi T. I. p. 85.
  12. [p. 200 modifica](79) Ottaviano Panigarola è similmente ricordato dal Cesariano nel comento sopra Vitruvio (p. CX. t.) come aggiunto a Bernardo Zenale per [p. 201 modifica]condurre a fine la fabbrica del Duomo di Milano: anzi le parole dell’anonimo nostro ci rendono chiaro il barbaro testo del Cesariano; il quale però non lascia di far vedere che il Panigarola era conosciuto per architetto di vaglia, ed ordinava templi sì in Milano, come altrove. Ad onore di quel gentiluomo si aggiunge ch’egli con altri suoi concittadini nell’anno 1518. fu deputato alla grand’operazione di rendere l’Adda navigabile sino a Milano: il che risulta dagli Atti sopra quell’affare allora seguiti, e dati a stampa in Milano nel 1520. da Carlo Pagnano in un rarissimo libretto, che l’Argelati nella Biblioteca degli Scrittori Milanesi ha riferito (T. III. p. 1020.).
  13. [p. 201 modifica](80) Era la pittura qui riferita di Giovanni Van Eych da Bruges, che va distinto da Giovanni Memmelinck, per le cose altrove dette.