Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 23

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Canto 23

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Canto 22 Canto 24

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CANTO XXIII



 [1]

S
Tudiſi ognun giouare altrui che rade

     Volte il ben far lenza il ſuo pmio Ga
     E ſé pur ſenza, almen no te ne accade
     Morte ne dano ne ignominia ria
     Chi nuoce altrui, tardi o per tépo cade
     11 debito a ſcontar che non s’oblia,
     Dice il prouerbio ch’a trouar ſi vanno
     Glihuomini ſpeffo, e i moti fermi (tanno.

 [2]
Hor vedi quel ch’a Pinabello auuiene
     Per eſſerſi portato iniquamente:
     E giunto in Comma alle douute pene
     Douute e giuſte alla ſua ingiuſta mente
     E Dio che le piū volte non foſtiene
     Veder patire a torto vno innocente
     Saluo la Donna e ſaluera ciaſcuno
     Che d’ogni fellonia viua digiuno.

 [3]
Credette Pinabel queſta Donzella
     Giā d’hauer morta, e cola giū ſepulta:
     Ne la penſaua mai veder, non ch’ella
     Gli haueſſe a tor de gli error Cuoi la multa
     Ne il ritrouarCi in mezo le cartella
     Del padre, in alcun vtil gli riſulta,
     Quiui Altaripa era tra monti ſieri
     Vicina al tenitorio di Pontieri.

 [4]
Tenea quell’Altaripa il vecchio conte
     Anſelmo: di ch’ufei queſto maluagio
     Che per ſuggir la man di Chiaramente
     D’amici e di ſoccorſo hebbe diſagio,
     La Donna al traditore a pie d’un monte
     Tolſe l’indegna vita a Clio grande agio,
     Che d’altro aiuto quel non ſi prouede
     Che d’alti gridi, e di chiamar mercede.

 [5]
Morto ch’ella hebbe il CalCo caualliero
     Che lei voluto hauea giā porre a morte,
     VolCe tornare oue laſcio Ruggiero
     Ma non lo conſenti ſua dura ſorte,
     Che la ſé trainar per vn ſentiero
     Che la porto dou’era ſpeffo e ſorte
     Doue piū ſtrano e piū Colingo il boCco
     Laſciado il Sol giā il modo all’aer CoCco.

 [6]
Ne Cappiendo ella oue poterfí altroue
     La notte riparar, ſi Cermo quiui,
     Sotto le fraſche in ſu l’herbette nuoue
     Parte dormendo ſin che’l giorno arriui
     Parte mirando hora Saturno hor Gioue
     Venere e Marte, e glialtri erranti Diui,
     Ma tempre o vegli o dorma, con la mete
     Contemplando Ruggier come preCente.

 [7]
Speſſo di cor profondo ella ſoſpira
     Di pentimento e di dolor compunta
     C’habbia I lei, piū ch’Amor, potuto lira
     l’ira dicea m’ha dal mio Amor diſgiuta
     Almen ci haueſſi io poſta alcuna mira
     Poi e’ hauea pur la mala impreſa aſſunta
     1 )i Caper ritornar donde io veniua
     Che ben ſui d’occhi e di memoria priua,

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 [8]
Queſte & altre parole ella non tacque
     E molto piú ne ragiono col core:
     Il vento in tanto di ſoſpiri, e l’acque
     Di pianto facean pioggia di dolore:
     Dopo vna lunga aſpettation, pur nacque
     In oriente il diſiato Albore,
     Et ella preſe il ſuo deſtrier ch’intorno
     Giua paſcédo, & andò cótra il giorno.

 [9]
Ne molto andò che ſi trouo all’uſcita
     Del boſco, oue pur dianzi era il palagio,
     La doue molti di l’hauea ſchernita
     Con tanto error l’incantator maluagio:
     Ritrouo quiui Aſtolfo che ſornita
     La briglia all’Hippogryfo hauea agrade agio
     E ſtaua in grá pèſier di Rabicano
     Per non ſapere a chi laſciarlo in mano.

 [10]
A caſo ſi trouo, che ſuor di teſta
     L’elmo allhor s’ hauea tratto il Paladlo.
     Si che toſto ch’uſei de la foreſta
     Bradamante conobbe il ſuo cugino,
     Di lontan ſalutollo, e con gran feſta
     Gli corſe, e l’abbraccio poi piú vicino,
     E nominoſſi, & alzo la viſiera
     E chiaramente ſé veder cheli’ era.

 [11]
Non potea Aſtolfo ritrouar perſona
     A chi il ſuo Rabican meglio laſciaffe,
     Perche doueſſe haueme guardia buona
     E renderglielo poi come tornaſſe,
     De la ſiglia del Duca di Dordona,
     E paruegli che Dio gli la mandaſſe,
     Vederla volentier ſempre ſolea
     Ma pel biſogno hor piú, ch’egli n’ hauea.

 [12]
Dapoi che due e tre volte ritornati
     Fraternamente ad abbracciar ſi ſoro
     E ſi ſor l’uno a l’altro domandati
     Con molta aflettion de l’eſſer loro,
     Aſtolfo diſſe hormai, ſé de i Pennati
     Vo’l paeſe cercar, troppo dimoro,
     Et aprendo alla Donna il ſuo penſiero
     Veder le fece il volator deſtriero.

 [13]
A lei non ſu di molta marauiglia
     Veder ſpiegar a quel deſtrier le penne:
     Ch’altra volta reggendogli la briglia
     Atlante incantator, contra le venne,
     E le fece doler gli occhi e le ciglia
     : Si ſiſſe dietro a quel volar le tenne
     Quel giorno che da lei Ruggier lotano
     Portato ſu per camin lungo e ſtrano.

 [14]
Aſtolfo diſſe a lei, che le volea,
     Dar Rabican, che ſi nel corſo affretta
     Che ſé ſcoccando l’arco ſi mouea
     Si ſolea laſciar dietro la ſaetta,
     E tutte l’arme anchor quante n’ hauea
     Che vuol che a Mont’alba gli le rimetta
     E gli le ſerbi fin’ al ſuo ritorno
     Che no gli fanno hor di biſogno itorno.

 [15]
Volendoſene andar per l’aria a volo
     Haueaſi a far quanto potea piú lieue,
     Tienſi la ſpada e’l corno, achor che ſolo
     Baſtargli il corno ad ogni riſcho deue,
     Bradamante, la lancia che’l ſigliuolo
     Porto di Galafrone, ancho riceue
     La lancia che di quanti ne percuote
     Fa le ſelle reſtar ſubito vote.

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 [16]
Salito Aſtolfo Su’l deſtrier volante
     Lo fa mouer per laria lento lento:
     Indi lo caccia ſi che Bradamante
     Ogni viſta ne perde in vn momento:
     Coſi ſi parte col pilota inante
     Il Nochier che gli ſcogli teme e’l vèto:
     E poi che’l porto e i liti a dietro laſſa
     Spiega ogni vela e manzi a i venti paſſa.

 [17]
La Donna poi che ſu partito il Duca
     Rimaſe in gran trauaglio de la mente:
     Che non fa come a Mont’ alban conduca
     L’armatura e il deſtrier del ſuo parente:
     Perho che’l cuor le cuoce e le manuca
     l’ingorda voglia e il deſiderio ardente
     Di riueder Ruggier, che ſé non prima
     A Vali’ ombroſa ritrouar lo ſtima.

 [18]
Stando quiui fuſpefa per uentura
     Si vede manzi giungere vn villano
     Dal qual fa raffettar quella armatura .
     Come ſi puote, e por ſu Rabicano:
     Poi di menarfí dietro gli die cura
     I duo caualli, vn carco e l’altro amano
     Ella n’hauea duo prima, e’ hauea quello
     Sopra ilqual leuo l’altro a Pinabello.

 [19]
Di Vali’ ombroſa penſo far la ſtrada
     Che trouar qui il ſuo Ruggier’ha ſpeme
     Ma ql piú bieue o qual miglior vi vada
     Poco diſceme: e d’ire errando teme:
     II villan non hauea de la contrada
     Pratica molta, & erreranno inſieme
     Pur andare a ventura ella ſi meſſe
     Doue penſo che’l loco eſſer doueſſe.

 [20]
Di qua, di la, ſi volſe ne perſona
     Incontro mai da domandar la via:
     Si trouo vſcir del boſco in ſu la nona
     Doue vn caſtel poco lontan ſcopria:
     llqunl la cima a vn monticel corona
     Lo mira, e Mont’ alban le par che ſia
     Et era certo Mont’albano, e in quello
     Hauea la matre, & alcun ſuo fratello.

 [21]
Come la Donna conoſciuto ha il loco
     Nel cor s’attriſta, e piú chi non ſo dire:
     Sara ſcoperta, ſé ſi ferma vn poco
     Ne piú le fará lecito a partire:
     Se non ſi parte, l’amorofo ſoco
     L’arderá ſi, che la fará morire:
     Non vedrá piú Ruggier, ne fará coſa
     Di ql ch’era ordinato a Vali’ ombroſa.

 [22]
Stette alquanto a penſar poi ſi riſolſe
     Di voler dar a Mont’ alban le ſpalle
     E verſo la badia pur ſi riuolſe,
     Che quindi ben ſapea qual’era il calle
     Ma ſua Fortuna, o buona o triſta volſe
     Che prima ch’ella vſciſſe de la valle
     Scontrafle Alardo vn de ſratelli ſui
     Ne tempo di celarli hebbe da lui.

 [23]
Veniua da partir gli alloggiameli
     Per quel contado a cauallieri e a fanti
     Ch’ad inſtantia di Carlo nuoue genti
     Fatto hauea de le terre circonſtanti,
     I falliti e i ſraterni abbracciamenti
     Con le grate accoglienze andaro inante,
     E poi, di molte coſe a paro a paro
     Tra lor parlando, in Mot’ alban tornare

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 [24]
Entro la bella donna in Mont’ albano
     Doue l’hauea con lachrymoſa guancia
     Beatrice molto deſiata in vano
     E fattone cercar per tutta Francia:
     Hor qui i baci, e il giunger mano a máo
     Di matre e di Fratelli eſtimo ciancia
     Verſo gli hauuti co Ruggier compleſſi
     C’haura nel’alma eternamente imprefTi.

 [25]
Non potendo ella andar fece penſiero
     Ch’a Vall’Obrofa altri i ſuo nome adaſſe
     Immantinente, ad auiſar Ruggiero
     De la cagion ch’andar lei non laſciaffe:
     E lui pregar (s’ era pregar miſtero)
     Che quiui per ſuo amor ſi battezaſſe
     E poi veniſſe a far quanto era detto
     Si che ſi deſſe al matrimonio effetto.

 [26]
Pel medeſimo meſſo ſé diſegno
     Di mandar a Ruggiero il ſuo cauallo
     Che gli ſolea tanto eſſer caro, e degno
     D’ eſſergli caro era ben ſenza fallo:
     Che non fh’ auria trouato in tutto’l regno
     De i Saracin, ne ſotto il Signor Gallo
     Piú bel deſtrier di qſto o piú gagliardo,
     Eccetti Brigliador ſoli e Baiardo.

 [27]
Ruggier ql di che troppo audace aſcefe
     Su l’Hippogrypho, everſo il ciel leuoſſe
     Laſcio Frontino, e Bradamante il preſe
     (Frontino che’l deſtrier coſi nomoſſe)
     Madollo a Mont’ albano, e a buone ſpeſe
     Tener lo fece, e mai non caualcoſſe
     Se non per breue ſpatio, e a picciol paſſo
     Si ch’era piú che mai lucido e graſſo.

 [28]
Ogni ſua donna toſto, ogni Donzella
     Pon ſeco in opra, e con ſutil lauoro
     Fa fopra ſeta candida e morella
     Teſſer ricamo di rmiſſimo oro:
     E di quel cuopre & orna briglia e fella
     Del buO deſtrier, poi ſceglie vna di loro
     Figlia di Callitrephia ſua nutrice
     D’ ogni ſecreto ſuo ſida vditrice.

 [29]
Quanto Ruggier l’era nel core impreſſo
     Mille volte narrato hauea a coſtei:
     La beltá, la virtude, i modi d’ eſſo
     Eſaltato l’hauea ſin fopra i dei
     A ſé chiamolla, e diſſe, miglior meſſo
     A tal biſogno elegger non potrei:
     Che di te ne piú ſido ne piú faggio
     Imbaſciator Hippalca mia non haggio.

 [30]
Hippalca la Donzella era nomata
     Va, le dice (e l’infegna oue de gire)
     E pienamente poi l’hebbe inſormata
     Di quato haueſſe al ſuo Signore a dire,
     E far la ſcuſa ſé non era andata
     Al monaſter, che non ſu per mentire
     Ma che Fortuna che di noi potea
     Piú che noi ſteffi, da imputar s’ hauea.

 [31]
Montar la fece f un Ronzino, e in mano
     La ricca briglia di Frontin le meſſe:
     E ſé ſi pazzo alcuno o ſi villano
     Trouaſſe, che leuar le lo voleſſe:
     Per fargli a vna parola il ceruel ſano
     Di chi foſſe il deſtrier ſol gli diceſſe:
     Che non ſapea ſi ardito caualliero
     Che non tremaffe al nome di Ruggiero.

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 [32]
Di molte coſe l’ammoniſce e molte
     Ch trattar co Ruggier’habbia I ſua vece
     Lequal poi e’ hebbe Hippalca bè raccolte
     Si poſe in via ne piú dimora fece,
     Per ſtrade, e campi, e ſelue oſcure e ſolte
     Caualco de le miglia piú di diece
     Che non ſu a darle noia chi veniſſe
     Ne a domandarla pur doue ne giſſe.

 [33]
A mezo il giorno nel calar d’un monte
     In vna ſtretta e malageuol via
     Si venne ad incontrar con Rodomonte
     Ch’armato ti piccol Nano, e a pie ſoglila
     Il Moro alzo ver lei l’altiera ſronte
     K beſtemmio l’eterna Hierarchia
     Poi che ſi bel deſtrier, ſi bene ornato
     No hauea in man d’un cauallier trouato.

 [34]
Hauea giurato che’l primo cauallo
     Torria per ſorza che tra via incontraſſe:
     Hor qſto e ſtato il primo, e trouato hallo
     l’in bello, e piú per lui, che inai trouaſſe
     Ma torlo a vna donzella gli par fallo
     E pur agogna hauerlo, e 1 dubbio ſtaffe.
     Lo mira, Io contempla, e dice ſpeffo
     Deh perche il ſuo Signor non e co eſſo.

 [35]
Deh ci foſſe egli (gli riſpoſe Hippalca)
     Che ti faria cangiar ſorſè penſiero,
     Affai piú di te vai chi lo caualca
     Ne lo pareggia al modo altro guerriero
     Chi e (le diſſe il Moro) che ſi calca
     I ’In more altrui? riſpoſe ella Ruggiero
     E ql fuggiiífe adiíqj il deſtrier voglio
     Poi ch’a Ruggier ſi gra capió lo toglie

 [36]
Ilqual ſé fará ver come tu parli
     Che ſia ſi ſorte e piú d’ ogn’ altro vaglia
     Non che il deſtrier, ma la vettura darli
     Couerrami, e in ſuo albitrio ſia la taglia:
     Che Rodomonte io ſono hai da narrarli
     E che ſé pur vorrá meco battaglia
     Mi trouera, ch’ouunqj io vada o ſtia
     Mi fa ſempre apparir la luce mia.

 [37]
Douunqj io vo ſi gran veſtigio reſta
     Che non lo laſcia il ſulmine maggiore,
     Coſi dicendo, hauea tornate in teſta
     Le redine dorate al corridore:
     Sopra gli ſalta, e lachrymoſa e meſta
     Rimane Hippalca, e ſpinta dal dolore
     Minaccia Rodomonti’, e gli dice onta
     No l’aſcolta egli, e ſu pel poggio mota.

 [38]
Per quella via doue lo guida il Nano
     Per trouar Mandricardo e Doralice
     (’.li viene Hippalca dietro di lontano:
     E lo beſtemmia ſempre e maledice:
     Ciò ch di queſto auuéne altroue e piano
     Ttirpin che tutta queſta hiſtoria dice
     Fa qui digreſſo, e torna in quel paeſe
     Pone ſu dianzi morto il Maganzeſe.

 [39]
Dato hauea a pena a quel loco le ſpalle
     l.a ſigliuola d’ Animi ch’in fretta giá:
     1 he ; ’ arriuo Zerbin per altro calle
     Con la fallace vecchia in compagnia,
     E giacer vide il corpo ne la valle
     Del cauallier che non fa chi ſia:
     Ma come quel ch’era corteſe e pio
     Hebbe pietá del caſo acerbo e rio.

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 [40]
Giaceua Pinabello in terra ſpento
     Verſando il ſangue per tante ferite
     Ch’effer doueano assai, ſé piú di cento
     Spade, in ſua morte ſi foſſero vnite,
     Il caualier di Scotia non ſu lento
     Per l’orme che di freſco eran ſcolpite
     A porſi in auuentura: ſé potea
     Saper chi l’homicidio fatto hauea.

 [41]
Et a Gabrina dice che l’aſpette
     Che ſenza indugio a lei fará ritorno,
     Ella preſſo al cadauero ſi mette
     E ſiſſamente vi pon gliocchi intorno,
     Perche ſé coſa v’ ha che le dilette
     No vuol ch’u morto í va piú ne ſia adorno
     Come colei che ſu tra l’altre note
     Quanto auara eſſer piú femina puote.

 [42]
Se di portarne il ſurto aſcofamente
     Haueſſe hauuto modo, o alcuna ſpeme,
     La fopraueſta fatta riccamente
     Gli haurebbe tolta, e le beli’ arme iſieme,
     Ma quel che può celarſi ageuolmente
     Si piglia, e’l reſto fin’ al cor le preme,
     Fra l’altre ſpoglie vn bel cinto leuonne
     E ſé ne lego i ſianchi inſra due gonne.

 [43]
Poco dopo arriuo Zerbin e’ hauea
     Seguito in van di Bradamante i paſſi,
     Perche trouo il ſentier che ſi torcea
     In molti rami ch’iuano alti e baffi:
     E poco homai del giorno rimanea
     Ne volea al buio ſtar ſra quelli faſſi:
     E per trouare albergo die le ſpalle
     Con l’empia vecchia alla funeſta valle.

 [44]
Quindi preſſo a dua miglia ritrouaro
     Vn gran caſtel che ſu detto Altariua:
     Doue per ſtar la notte ſi fermaro
     Che giá a gran volo iuerſo il ciel ſaliua:
     Non vi ſter molto, ch’un lamento amaro
     L’orecchie d’ogni parte lor feriua:
     E veggon lachrymar da tutti gliocchi
     Come la coſa a tutto il popul tocchi.

 [45]
Zerbino dimandone, e gli ſu detto
     Che venut’era al cont’Anfelmo auiſo,
     Che ſra duo monti in vn fenderò iſtretto
     Giacea il ſuo figlio Pinabello vcciſo,
     Zerbin per non ne dar di ſé ſoſpetto
     Di ciò ſi ſinge nuouo, e abbaſſa il viſo,
     Ma penſa ben che ſenza dubbio ſia
     Quel, ch’egli trouo morto in ſu la via.

 [46]
Dopo non molto la bara ſunebre
     Giunſe a ſplendor di torchi e di facelle,
     La doue fece le ſtrida piú crebre
     Con vn batter di man gire alle ſtelle,
     E con piú vena ſuor de le palpebre
     Le lachryme inundar per le maſcelle,
     Ma piú de l’altre nubilofe, & atre
     Era la faccia del miſero patre.

 [47]
Mentre apparecchio ſi facea ſolenne
     Di grandi eſſequie, e di ſunebri pompe:
     Secondo il modo & ordine che tenne
     L’ufanza antiqua: e ch’ogni etá corrope,
     Da parte del Signore vn bando venne
     Che toſto il popular ſtrepito rompe,
     E promette gra premio a chi dia auiſo
     Chi ſtato ſia ch glihabbia il figliovccifo

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 [48]
Di voce i voce, e d’una in altra orecchia
     Il grido e’l bando per la terra ſcorfe,
     Fin che l’udi la ſcelerata vecchia
     Che di rabbia auanzo le Tigri e l’Orfe
     E quindi alla ruina s’ apparecchia
     Di Zerbino, o p l’odio che gli ha ſorſè
     O per vantarli pur: che ſola priua
     D’ humanitade, in human corpo viua.

 [49]
O foſſe pur p guadagnarſi il premio.
     A ritrouar n’andò quel Signor meſto.
     E dopo vn veriſimil ſuo prohemio
     Gli diſſe, ch Zerbin fatto hauea queſto:
     E quel bel cinto ſi leuo di gremio
     Che’l miſer padre a riconoſcer preſto
     Appreſſo il teſtimonio e triſto vſtítio
     De l’epia vecchia hebbe p chiaro iditio

 [50]
E lachrymado al ciel leua le mani
     Che’l ſigliuol non fará ſenza vendetta,
     Fa circundar l’albergo a i terrazzani,
     Che tutto’l popul s’è leuato in fretta.
     Zerbin che gli nimici hauer lontani
     Si crede, e queſta ingiuria non aſpetta.
     Dal conte Anſelmo che ſi chiama oſſeſo
     Tanto da lui, nel primo ſonno e preſo.

 [51]
E quella notte in tenebroſa parte
     Incatenato, e in graui ceppi meſſo,
     Il Sole anchor nò ha le luci ſparte
     Che l’ingiuſto ſupplicio e giá cómeſſo,
     Che nel loco medeſimo ſi ſquarte
     Doue ſu il mal e’ hano imputato ad eſſo:
     Altra efamina in ciò non ſi facea
     Baſtaua che’l Signor coſi credea.

 [52]
Poi che l’altro matin la bella Aurora
     l’aer ſeren ſé bianco, e roſſo, e giallo,
     Tutto’l popul gridando mora mora
     Vien per punir Zerbin del nò ſuo fallo,
     Lo ſciocco vulgo l’accompagna ſuora
     Senz’ ordine chi a piede e chi a cauallo
     E’l cauallier di Scotia a capo chino
     Ne vien legato in fu’n piccol ronzino.

 [53]
Ma Dio che ſpeffo gl’Innocenti aiuta
     Ne laſcia mai ch’in ſua bontá ſi ſida:
     Tal difeſa gli hauea giá proueduta
     Che nO v’e dubbio piú e’ hoggi s’uccida
     Quiui Orlando arriuo, la cui venuta
     Alla via del ſuo ſcampo gli ſu guida
     Orlando giú nel pian vide la gente
     Che trahea a morte il cauallier dolente.

 [54]
Era con lui quella fanciulla, quella
     Che ritrouo ne la ſeluaggia grotta
     Del Re Galego la ſiglia IfTabella
     In poter giá de malſtdrin 9dotta,
     l’oi che laſciato hauea ne la procella
     Del truculento mar la naue rotta,
     Quella che piú vicino al core hauea
     Queſto Zerbin, che l’alma onde viuea.

 [55]
Orlando ſé l’hauea fatta compagna
     Poi che de la cauerna la riſcoſſe,
     Quando coſtei li vide alla campagna
     Domando Orlando chi la turba foſſe,
     Non ſo difT egli, e poi ſu la montagna
     l.aſciolla, e verſo il pian ratto ſi moſſe
     Guardo Zerbino, & alla viſta prima
     Lo giudico Baron di molta ſtima.

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 [56]
E fattoſegli appretto domandollo
     Perche cagione, e doue il meniti preſo:
     Leuo il dolente caualliero il collo
     E meglio hauendo il Paladino inteſo,
     Riſpoſe ilvero, e coſi ben narrollo
     Che merito dal Conte eſſer difeſo:
     Bene hauea il conte alle parole ſcorto
     Ch’ era innocente, e che moriua a torto.

 [57]
E poi che’ntefe che commetto queſto
     Era dal conte Anſelmo d’ Altariua
     Fu certo ch’era torto manifeſto
     Ch’altro da quel fellon mai non deriua,
     Et oltre accio, l’uno era all’altro infeſto
     Per l’antiquiffimo odio che bolliua
     Tra il ſangue di Magaza e di Chiarmote
     E tra lor era morti e dani & onte.

 [58]
Slegate il cauallier (grido) canaglia,
     (Il Còte a maſnadieri) o ch’io v’uccido
     Chi e coſtui che ſi gran colpi taglia?
     Riſpoſe vn che parer volle il piú ſido,
     Se di cera noi ſuſſimo, o di paglia,
     E di fuoco egli, assai ſora quel grido:
     E venne contra il Paladin di Francia
     Orlando contra lui chino la lancia.

 [59]
La lucente armatura il Maganzeſe
     Che leuata la notte hauea a Zerbino
     E poſtafela in dotto, non difeſe
     Contro l’aſpro incontrar del Paladino,
     Sopra la deſtra guancia il ferro preſe
     L’elmo non patto giá, per ch’era ſino
     Ma tanto ſu de la pernotta il crollo
     Che la vita gli tolſe e roppe il collo.

 [60]
Tutto in vn corſo ſenza tor di reſta
     La lancia, patto vn’ altro in mezo’l petto
     Quiui laſciolla, e la mano hebbe preſta
     A Durindana, e nel drappel piú ſtretto
     A chi fece due parti de la teſta
     A chi leuo dal buſto il capo netto,
     Foro la gola a molti, e in vn momento,
     N’uccife, e mette in rotta piú di cento.

 [61]
Piú del terzo n’ ha morto, e’l reſto caccia
     E taglia, e fende, e ſiere, e ſora, e tronca,
     Chi lo ſcudo, e chi l’elmo ch lo’mpaccia
     E chi laſcia lo ſpiedo, e chi la ronca
     Chi al lúgo chi al trauerſo il camin ſpaccia
     Altri ſappiatta in boſco, altri in ſpeloca,
     Orlando di pietá queſto di priuo
     A ſuo poter non vuol laſciarne vn viuo.

 [62]
Di cento venti (che Turpin ſottraſſe
     Il conto) ottanta ne perirò al meno,
     Orlando ſinalmente ſi ritratte
     Doue a Zerbin tremaua il cor nel ſeno,
     S’al ritornar d’Orlando s’ allegraſſe
     Non ſi potria contare in verſi a pieno,
     Se gli faria per honorar proſtrato
     Ma ſi trouo fopra il ronzin legato.

 [63]
Mentre ch’Orlando, poi che lo diſciolſe
     l’aiutaua a ripor l’arme ſue intorno,
     Ch’ al capitan de la ſbirraglia tolſe
     Che per ſuo mal ſé n’era fatto adorno,
     Zerbino gliocchi ad Iſſabella volſe
     Ch fopra il colle hauea fatto ſoggiorno,
     E poi che de la pugna vide il ſine
     Porto le ſue bellezze piú vicine.

[p. 291 modifica]


 [64]
Quado apparir Zerbin ſi vide appreſſo
     La donna, che da lui ſu amata tanto
     La bella donna che per falſo meſſo
     Credea ſommerſa, e n’ ha piú volte piato
     Coni’ un ghiaccio nel petto gli ſia meſſo
     Sente dentro aggelarli, e triema alquato
     Ma toſto il ſreddo maca, & in ql loco
     Tutto s’ auampa d’ amoroſo fuoco.

 [65]
Di non toſto abbracciarla lo ritiene
     La riuerenza del Signor d’ Anglante
     Perche ſi penſa e ſenza dubbio tiene
     Ch’Orlando ſia de la Donzella amante.
     Coſi cadendo va di pene in pene
     E poco dura il gaudio e’ hebbe inante
     Il vederla d’altrui peggio ſopporta
     Che no ſé quádo vdi ch’ella era morta,

 [66]
E molto piú gli duol che ſia in podeſta
     Del caualliero a cui cotanto debbe
     Perche volerla a lui leuar ne honeſta
     Ne ſorſè impreſa facile farebbe
     Neſſuno altro da ſé laſſar con queſta
     Preda partir ſenza romor vorrebbe
     Ma verſo il Conte il ſuo debito chiede
     Che ſé lo laſci por fu’l collo il piede.

 [67]
Giunſero taciturni ad vna ſonte
     Doue ſmontaro e ſer qualche dimora
     Traſſeſi l’elmo il trauagliato Conte,
     Et a Zerbin lo fece trarre anchora,
     Vede la Dona il ſuo amatore in ſronte
     E di ſubito gaudio ſi ſcolora
     Poi torna come fiore humido ſuole
     Dopo gra pioggia all’apparir del Sole.

 [68]
E ſenza indugio, e ſenza altro riſpetto
     Corre al ſuo caro amate, e il collo abbraccia
     E no può trar parola ſuor del petto
     Ma di lachryme il ſen bagna e la faccia,
     Orlando attento all’amoroſo affetto
     Senza che piti chiarezza ſé gli faccia
     Vide a tutti gl’inditii manifeſto
     Ch’ altri eſſer che Zerbin nò potea qſto.

 [69]
Come la voce hauer potè Iſſabella
     Ni’ bene aſciutta achor l’húida guada
     Sol de la molta corteſia fanelli
     Che l’hauea vſata il Paladin di Francia,
     Zerbino che tenea queſta Donzella
     Con la ſua vita pare a vna bilancia
     Si getta a pie del Conte, e quello adora
     Coe a chi s^l í ha due vite date a vn’ hora.

 [70]
Molti ringratiamenti e molte oſſerte
     Erano per ſeguir tra i cauallieri:
     Se non vdian ſonar le vie coperte
     Da gli arbori di ſròdi oſcuri e neri:
     Preſti alle teſte lor ch’eran ſcopi iti
     Poſero gli elmi, e preſero i deſtrieri:
     Et ecco vn caualliero e vna donzella
     Lor foprauien, ch’a pena erano in fella.

 [71]
Era queſto guerrier quel Mandricardo
     Che dietro Orlando in fretta ſi conduſſe
     Per vendicar Alzirdo e Manilardo
     Che’] Paladin con gran valor percuſſe,
     Quantunq3 poi I' ſeguito piú tardo
     Che Doralice in ſuo poter riduſſe,
     Laquale hauea con vn troncon di Cerro
     Tolta a cento guerrier carchi di ferro

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 [72]
Non ſapea il Saracin perho che queſto
     Ch’egli ſeguia, fofTe il Signor d’ Anglate
     Ben n’hauea inditio e ſegno manifeſto
     Ch’effer douea gran caualliero errante,
     A lui miro piú ch’a Zerbino, e preſto
     Gliando co gliocchi dal capo alle piate,
     E i dati contraſegni ritrouando
     Dine tu ſé colui ch’io vo cercando.

 [73]
Sono homai dieci giorni, gli ſoggiunſe,
     Che di cercar non laſcio i tuo veſtigi:
     Tanto la fama ſtimolommi e punſe
     Che di te venne al campo di Parigi,
     Quando a fatica vn viuo ſol vi giunſe
     Di mille che mandarti a i regni ſtygi:
     E la ſtrage conto che da te venne
     Sopra i Noritii e quei di Tremifene.

 [74]
No ſui come lo ſeppi a ſeguir lento
     E per vederti e per prouarti appreſſo:
     E pche m’inſormai del guernimento
     C hai fopra l’arme, io ſo che tu fei deſſo
     E ſé nò l’hauefsi ancho, e che ſra cento
     Per celarti da me ti ſoſſi meſſo
     Il tuo fiero ſembiante mi faria
     Chiaramente veder che tu quel ſia.

 [75]
Nò ſi può (gli riſpoſe Orlando) dire
     Che cauallier non ſii d’ alto valore
     Perho che ſi magnanimo deſire
     Non mi credo albergaſſe in humil core,
     Se’l volermi veder ti fa venire
     Vo che mi veggi dentro come ſuore,
     Mi leuero queſto elmo da le tempie
     Accio ch’apunto il tuo deſire adempie.

 [76]
Ma poi che bé m’haurai veduto í faccia
     All’altro deſiderio anchora attendi,
     Reſta ch’alia cagion tu ſatisfaccia
     Che fa che dietro queſta via mi prendi,
     Che veggi fe’l valor mio ſi confaccia
     A ql ſembiante ſier che ſi còmendi,
     Hor ſu (diſſe il Pagano) al rimanente
     Ch’ai primo ho ſatiſfatto interamente.

 [77]
Il Conte tuttauia dal capo al piede
     Va cercando il Pagan tutto co gliocchi,
     Mira ambi i ſiachi: indi Pardon, ne vede
     Pender ne qua, ne la, mazze ne ſtocchi,
     Gli domanda di ch’arme ſi prouede
     S’auuien che co la lancia in fallo tocchi,
     Riſpoſe quel non ne pigliar tu cura
     Coſi a molt’ altri ho anchor fatto paura.

 [78]
Ho ſacramento di non cinger ſpada
     Fin ch’io non tolgo Durindana al Còte:
     E cercando lo vo per ogni ſtrada
     Accio piú d’ una poſta meco ſconte,
     Lo giurai (ſé d’ intenderlo t’ aggrada)
     Quando mi poſi queſt’ elmo alla ſronte
     Ilqual con tutte l’altr’ arme ch’io porto
     Era d’ Hettor, che giá mill’anni e morto.

 [79]
La ſpada ſola manca alle buone arme
     Come rubata ſu non ti ſo dire,
     Hor che la porti il Paladino parme
     E di qui vien ch’egli ha ſi grade ardire:
     Ben penſo ſé con lui poſſo accozzarme
     Fargli il mal tolto hormai riſtituire,
     Cercolo anchor, che vendicar diſio
     Il famoſo Agrican genitor mio.

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 [80]
Orlando a tradimento gli die morte
     Ben ſo che non potea farlo altrimente:
     Il Conte pili non tacque, e grido ſorte
     E tu e qualunque il dice ſé ne mente.
     Ma quel che cerchi t’e venuto in ſorte
     Io ſono Orlando, e vcciſil giuſtamente,
     E queſta e quella ſpada che tu cerchi
     Che tua fará ſé con virtú la merchi.

 [81]
Quantunqj ſia debitamente mia
     Tra noi per gentilezza ſi contenda:
     Ne voglio in queſta pugna ch’ella ſia
     l’iu tua ch mia, ma a vn’ arbore s’appeda,
     Leuala tu liberamente via
     S’ auuiè che tu m’uccida, o che mi prèda:
     Coſi dicendo Durindana preſe,
     E’n mezo il capo a vn’ arbuſcel l’appefe.

 [82]
Giá l’un da l’altro e dipartito lunge
     Quanto farebbe vn mezo tratto d’arco:
     Giá l’uno contra l’altro il deſtrier punge
     Ne de le lente redine gli e parco,
     Giá l’uno e l’altro di gran colpo aggiuge
     Doue per I* elmo la veduta ha varco
     Parueno l’haſte al romperli di gielo
     E in mille ſcheggie adarvoládo al cielo.

 [83]
l’una e l’altra haſta e ſorza ch ſi ſpezzi
     Che non voglion piegarſi i cauallieri
     I cauallier che tornano coi pezzi
     Che ſon reſtati appreſſo i calci interi,
     Quelli che ſempre fur nel ferro auezzi
     Hor come duo villa!] per ſdegno ſieri
     Nel partir acqj o termini de prati
     Fan crudel zuffa di duo pali armati.

 [84]
Non ſtanno l’haſte a quattro colpi falde
     E mancati nel furor di quella pugna,
     Di qua, e di la, ſi fan l’ire piú calde
     Ne da ferir lor reſta altro ch pugna,
     Schiodao piaſtre, e ſtracciá maglie e falde
     Pur che la man doue s’ aggraffi giugna,
     Non deſideri alcun, perche piú vaglia,
     Martel piú graue, o piú dura tanaglia.

 [85]
Come può il Saracin ritrouar feſto
     Di ſinir con ſuo honore il fiero inuito?
     Pazzia farebbe il perder tempo in qſto
     Che nuoce al feritor piú ch’al ferito,
     Ando alle ſtrette l’uno e l’altro, e preſto
     II Re Pagano Orlando hebbe ghermito
     Lo ſtringe al petto, e crede far le prone
     Ch fopra Anteo ſé giá il figliol di Gioue

 [86]
Lo piglia con molto impeto a trauerſo
     Quado Io ſpinge, e quando a ſé lo tira:
     Et e ne la gran cholera ſi immerſo
     Ch’oue reſti la briglia poco mira,
     Sta in ſé raccolto Orládo, e ne va verſo
     Il ſuo vantaggio, e alla vittoria aſpira,
     (’.li pon la cauta man fopra le ciglia
     Del cauallo, e cader ne fa la briglia.

 [87]
Il Saracino ogni poter vi mette
     Che Io ſoſſoghi, o de P arcion lo ſuella
     Ne gliurti ilCòte ha le ginocchia ſtrette
     Ne 1 queſta parte vuol piegar ne in qlla
     Per quel tirar che fa il Pagan, conſtrette
     Le cingie ſon d’abandonar la fella,
     Orlando e in terra e a pena fe’l conoſce
     Ch’ i piedi ha i ſtafla e ſtrige achor le coſce

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 [88]
Có quel rumor ch’un ſacco d’arme cade
     Riſuona il Conte, come il campo tocca,
     11 deſtrier e’ ha la teſta in libertade
     Quello a chi tolto il ſreno era di bocca:
     Non piú mirando i boſchi che le ſtrade
     Con ruinoſo corſo ſi trabocca,
     Spinto di qua e di la dal timor cieco
     E Mandricardo ſé ne porta ſeco.

 [89]
Doralice che vede la ſua guida
     Vſcir del capo e torleſi d’ appreſſo
     E mal reſtarne ſenza ſi confida
     Dietro corredo il ſuo ròzin gli ha meſſo
     Il Pagan per orgoglio al deſtrier grida
     E co mani e con piedi il batte ſpeffo:
     E come non ſia beſtia lo minaccia
     Perche ſi fermi e tuttauia piú il caccia.

 [90]
La beſtia ch’era ſpauentofa e poltra
     Sanza guardarli a i pie, corre a trauerſo
     Giá corſo hauea tre miglia e ſeguiua oltra
     S’un ſoſſo a ql deſir nò era auuerſo.
     Ch ſanza hauer nel ſodo, o letto, o coltra
     Riceue l’uno e l’altro in ſé riuerſo:
     Die Madricardo in terra aſpra percoſſa
     Ne perho ſi ſiacco, ne ſi roppe oſſa,

 [91]
Quiui ſi ferma il corridore al ſine
     Ma no ſi può guidar che non ha ſreno,
     Il Tartaro lo tien preſo nel crine
     E tutto e di furore e d’ira pieno
     Penſa e non fa quel che di far deſtine,
     Pongli la briglia del mio palaſreno
     (La Donna gli dicea) che non e molto
     Il mio feroce, o ſia col ſreno, o ſciolto.

 [92]
Al Saracin parea diſcorteſia
     La proferta accettar di Doralice,
     Ma ſren gli fará hauer per altra via
     Fortuna, 1 a ſuoi diſii molto fautrice,
     Quiui Gabrina federata inuia,
     Che poi che di Zerbin ſu traditrice
     Fuggia come la Lupa, che lontani
     Oda venire i cacciatori e i cani,

 [93]
Ella hauea anchora indoſſo la gonnella
     E quei medeſmi giouenili ornati
     Che ſuro alla vezzoſa damigella
     Di Pinabel, per lei veſtir leuati,
     Et hauea il palaſreno ancho di quella
     . De i buon del modo, e de gliauataggiati
     La vecchia fopra il Tartaro trouoſſe
     Ch’anchor nò s’era accorta che vi foſſe.

 [94]
l’habito giouenil moſſe la ſiglia
     Di Stordilano e Mandricardo a riſo,
     Vedendolo a colei che raſſimiglia
     A vn babuino, a vn bertuccione in viſo,
     Diſegna il Saracin torle la briglia
     Pel ſuo deſtriero, e riuſci l’auifo
     Toltogli il morſo il palaſren minaccia
     Gli grida, lo ſpauenta, e in ſuga il caccia.

 [95]
Quel ſugge per la ſelua e ſeco porta
     La quaſi morta vecchia di paura,
     Per valli e monti, e per via dritta e torta
     Per ſoſſi e per pendici alla ventura,
     Ma il parlar di coſtei ſi non m’importa
     Ch’ io nò debba d’ Orlado hauer piú cura
     Ch’alia ſua fella ciò ch’era di guaſto
     Tutto ben racconcio ſanza contraſto.

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 [96]
Rimonto fu’l deſtriero e ſte gran pezzo
     A riguardar che’l Saracin tornane
     Noi vedendo apparir volſe da ſezzo
     Egli eſſer quel ch’a ritrouarlo andaſſe
     Ma come coſtumato e bene auezzo
     Non prima il Paladin quindi ſi traſſe.
     Che con dolce parlar grato e corteſe
     Buona licentia da gli amanti preſe.

 [97]
Zerbin di quel partir molto ſi dolſe
     Di tenerezza ne piangea Iſſabella,
     Voleano ir ſeco ma il Còte non volſe
     Lor còpagnia ben ch’era e buona e bella
     E con queſta ragion ſé ne diſciolſe
     Ch’a guerrier nò e inſamia fopra quella
     Che quado cerchi vn ſuo nimico: preda
     Compagno che l’aiuti e che’l difenda.

 [98]
Li prego poi che quando il Saracino
     Prima ch’in lui, ſi riſeòtraſſe in loro,
     Gli diceſſer ch’Orlando hauria vicino
     Anchor tre giorni per quel tenitoro,
     Ma dopo che farebbe il ſuo camino
     Verſo le’nfegne de i bei gigli d’oro
     Per eſſer con l’eſercito di Carlo,
     Accio volendol ſappia onde chiamarlo.

 [99]
Quelli promiſer farlo volentieri
     E queſta e ogn’ altra coſa al ſuo comado,
     Feron camin diuerſo i cauallieri
     Di qua Zerbino, e di la il conte Orlado:
     Prima che pigli il Conte altri ſentieri
     All’arbor tolſe, e a ſé ripoſe il brando,
     E doue meglio col Pagan penſoſſe
     Di poterfi incontrare, il deſtrier moſſe.

 [100]
Lo ſtrano corſo che tenne il cauallo
     Del Saracin, pel boſco ſenza via
     Fece ch’Orlado andò duo giorni in fallo
     Ne lo trouo ne potè hauerne ſpia,
     Oiunſe ad vn riuo che parea cryſtallo
     Ne le cui ſponde vn bel pratel noria
     Di lutino color vago e dipinto
     E di molti e belli arbori diſtinto.

 [101]
II Merigge facea grato l’orezo
     Al duro armento, & al Paſtore ignudo
     Si che ne Orlando ſentia alcun ribrezo
     Che la corazza hauea l’elmo e lo ſcudo
     Quiui egli entro per ripoſarui in mezo
     E v’ hebbe trauaglioſo albergo e crudo
     E piú che dir ſi poſſa empio ſoggiomo
     Quell’infelice e sfortunato giorno.

 [102]
Volgendoſi ini intorno, vide ferini
     Molti arbuſcelli in ſu V ombroſa riua,
     Toſto che fermi v’ hebbe gliocchi e ſitti
     Fu certo eſſer di man de la ſua Diua,
     Queſto era vn di quei lochi giá deſcritti
     Oue ſouente con Medor veniua
     Da caſa del paſtore indi vicina
     La bella donna del Catai Regina.

 [103]
Angelica e Medor con cento nodi
     Legati inſieme, e in cento lochi vede.
     Quante lettere ſon, tanti ſon chiodi
     Co i quali Amore il cor gli puge e ſiede
     Va col pender cercando in mille modi
     Nò creder ql ch’al ſuo diſpetto crede,
     Ch’altra Angelica ſia creder ſi sforza
     C’habbia ſcritto il ſuo nòe I qlla ſcorza

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 [104]
Poi dice conoſco io pur queſte note,
     Di tal io n’ho tante vedute e lette:
     Finger queſto Medoro ella ſi puote
     Forſè ch’a me queſto cognome mette:
     Con tali opinion dal ver remote
     Vſando ſraude e ſé medeſmo, ſtette
     Ne la ſperanza il mal contento Orlando
     Che ſi ſeppe a ſé ſteffo ir procacciando

 [105]
Ma ſempre piú raccende e piú rinuoua
     Quato ſpenger piú cerca il rio ſoſpetto
     Come l’incauto augel che ſi ritroua
     In ragna o in viſco hauer dato di petto
     Quanto piú batte l’ale e piú ſi proua
     Di diſbrigar piú vi ſi lega ſtretto
     Orlando viene oue s’ incurua il monte
     A guiſa d’arco in ſu la chiara ſonte.

 [106]
Haueano in ſu l’entrata il luogo adorno
     Coi piedi ſtorti hedere e viti erranti:
     Quiui ſoleano al piú cocente giorno
     Stare abbracciati i duo felici amanti
     V haueano i nomi lor dentro e d’intorno
     Piú che in altro de i luoghi circòſtanti
     Scritti qual con carbone e qual co geffo
     E qual con punte di coltelli impreſſo.

 [107]
Il meſto Conte a pie quiui diſceſe
     E vide in ſu l’entrata de la grotta
     Parole assai, che di ſua man diſtefe
     Medoro hauea, ch pareá ſcritte allhotta,
     Del gran piacer che ne la grotta preſe
     Queſta ſententia in verſi hauea ridotta
     Che foſſe eulta in ſuo Hguaggio io pgfo
     Et era ne la noſtra tale il ſenſo.

 [108]
Liete piante, verdi herbe, limpide acque
     Spelúca opaca, e di ſredde ombre grata:
     Doue la bella Angelica che nacque
     Di Galafron, da molti in vano amata,
     Speſſo ne le mie braccia nuda giacque:
     De la commodita che qui m’e data,
     Io pouero Medor ricompenfarui
     D’altro nò poſſo che d’ognihor lodarui.

 [109]
E di pregare ogni Signore Amate
     E Caualieri, e Damigelle, e ognuna
     Perſona, o paeſana, o viandante,
     Che qui ſua volontá meni o Fortuna:
     Ch’ali’ herbe all’Gbr all’atro al rio alle piate
     Dica, bèigno habbiate, e ſole, e lúa,
     Et de le nymphe il choro, che pueggia
     Che no gduca a voi paſtor mai greggia.

 [110]
Era ſcritto in Arabico, che’l Conte
     Intendea coſi ben come latino,
     Fra molte lingue e molte, e’ hauea pronte
     Prontiſſima hauea quella il Paladino,
     E gli ſchiuo piú volte, e danni, & onte
     Che ſi trouo tra il popul Saracino,
     Ma nò ſi vati ſé giá n’hebbe ſrutto
     Ch’ u dano hor n’ ha, ch può ſcontargli il tutto

 [111]
Tre volte, e quattro, e fei, leſſe lo ſcritto
     Quello inſelice, e pur cercando in vano
     Che non vi foſſe quel che v’era ſcritto
     E ſempre lo vedea piú chiaro e piano,
     Et ogni volta in mezo il petto afflitto
     Stringerſi il cor ſentia con ſredda mano,
     Rimaſe al ſin con gliocchi e con la méte
     Fiffi nel ſaſſo, al ſaſſo indifferente.

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 [112]
Fu allhora per vſcir del ſentimento
     Si tutto in preda del dolor ſi laſſa:
     Credete a chi n’ha fatto eſperimento
     Che qſto e’l duol che tutti glialtri paſſa,
     Caduto gliera fopra il petto il mento,
     La ſronte priua di baldanza e balta,
     Ne potè hauer (ch’I duol l’occupo tato)
     Alle querele voce, o humore al pianto.

 [113]
L’impetuofa doglia entro rimaſe
     Che volea tutta vſcir con troppa fretta:
     Coſi veggian reſtar l’acqua nel vaſe
     Ch largo il vètre e la bocca habbia ſtretta
     Che nel voltar ch ſi fa in ſu la baſe
     l’humor che vorria vſcir tanto s’ affretta
     E ne l’anguſta via tanto s’intrica
     Ch’ agoccia a goccia ſuore eſce a fatica.

 [114]
Poi ritorna in ſé alquanto, e penſa come
     Poſſa eſſer che non’fia la coſa vera,
     Che voglia alcun coſi inſamare il nome
     De la ſua Dona, e crede, e brama, e ſpera
     O grauar lui d’infoportabil ſome
     Tanto di geloſia che ſé ne pera,
     Et habbia quel, ſia chi ſi voglia ſtato,
     Molto la man di lei bene imitato,

 [115]
In coſi poca in coſi debol ſpeme
     Sueglia gli ſpirti e gli rifranca vn poco,
     Indi al ſuo Rrigliadoro il doſſo preme,
     Dando giá il Sole alla Sorella loco:
     Non molto va, che da le vie ſupreme
     De’i tetti, vſcir vede il vapor del fuoco,
     Sente cani abbaiar, muggiare armento
     Viene alla villa, e piglia alloggiamento.

 [116]
Languido ſmonta e laſcia Brigliadoro
     A vn diſcreto garzon che n’ habbia cura
     Altri il diſarma, altri gli ſproni d’oro
     Gli leua, altri a ſorbir va l’armatura,
     Era queſta la caſa, oue Medoro
     Giacque ferito, e v’ hebbe alta auuétura:
     Corcarli Orlando e non cenar domanda
     Di dolor ſatio e non d’altra viuanda.

 [117]
Quanto piú cerca ritrouar quiete
     Tanto ritroua piú trauaglio e pena,
     Che del’odiato ſcritto ogni parete
     Ogni vſcio ogni fineſtra, vede piena
     Chieder ne vuol, poi tien le labra chete
     Che teme non ſi far troppo ſerena
     Troppo chiara la coſa, che di nebbia
     Cerca ofTuſcar pche me nuocer debbia.

 [118]
Poco gli gioua vſar ſraude a ſé ſteffo
     Che ſenza domandarne e chi ne parla:
     Il paſtor che lo vede coſi oppreſſo
     Da ſua triſtitia, e che voria leuarla,
     L’hiſtoria nota a ſé, che dicea ſpeffo
     Di qi duo amanti a chi volea aſcoltarla,
     Ch’ a molti diletteuole ſu a vdire
     Glincomincio ſenza riſpetto a dire.

 [119]
Come eſſo a prieghi d’ Angelica bella
     Portato hauea Medoro alla ſua villa,
     Ch’era ferito grauemente, e ch’ella
     Curo la piaga, e in pochi di guarilla,
     Ma che nel cor d’una maggior di quella
     Lei feri Amor, e di poca ſcintilla
     L’accefe tanto e ſi cocente fuoco
     Che n’ardea tutta: e non trouaua loco,

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 [120]
E ſanza hauer riſpetto ch’ella ſuſſe
     Figlia di maggior Re e’ riabbia il Leuate
     Da troppo amor conſtretta ſi conduſſe
     A farſi moglie d’ un pouero fante,
     All’ultimo l’hiſtoria ſi riduſſe
     Che’l paſtor ſé portar la gemma inante,
     Ch’alia ſua dipartenza per mercede
     Del buono albergo Angelica gli diede.

 [121]
Queſta concluſion ſu la ſecure
     Che’l capo avn colpo gli leuo dal collo,
     Poi che d’ innumerabil battiture
     Si vide il manigoldo Amor ſatollo,
     Celar ſi ſtudia Orlando il duolo, e pure
     Quel gli fa ſorza, e male aſeòder pollo,
     p lachryme e fuſpir da bocca e d’ occhi
     9uié voglia o no voglia al ſin ch ſcocchi

 [122]
Poi ch’allargare il ſreno al dolor puote
     Che reſta ſolo e ſenza altrui riſpetto,
     Giú da gliocchi rigando per le gote
     Sparge vn fiume di lachryme fu’l petto,
     Soſpira e geme, e va con ſpeſſe ruote
     Di qua di la tutto cercando il letto,
     E piú duro ch’un Saſſo, e piú pungente
     Che ſé foſſe d’urtica, ſé lo ſente.

 [123]
In tanto aſpro trauaglio gli ſoccorre
     Che nel medeſmo letto in che giaceua,
     l’ingrata donna venutaſi a porre
     Col ſuo drudo piú volte eſſer doueua,
     No altrimenti hor qlla piuma abbhorre
     Ne con minor preſtezza ſé ne leua
     Che de l’herba il villa, ch s’era meſſo
     p chiuder gliocchi: e vegga il ſpe appſſo

 [124]
Quel letto, quella caſa, quel paſtore
     Immantinente in tant’odio gli caſea,
     Che ſenza aſpettar Luna, o che l’Albore
     Che va dinanzi al nuouo giorno, naſca,
     Piglia l’arme e il deſtriero, & eſce ſuore
     Per mezo il boſco alla piú oſcura ſraſca
     E quando poi gli e auiſo d’ eſſer ſolo
     Con gridi & vrli apre le porte al duolo.

 [125]
Di pianger mai, mai di gridar non reſta
     Ne la notte nel di ſi da mai pace,
     Fugge cittadi, e borghi, e alla foreſta
     Su’l terren duro al diſcoperto giace,
     Di ſé ſi maiauiglia e’ habbia in teſta
     Vna ſontana d’ acqua ſi viuace,
     E come ſoſpirar poſſa mai tanto,
     E ſpeffo dice a ſé coſi nel pianto.

 [126]
Queſte non ſon piú lachryme che ſuore
     Stillo da gliocchi con ſi larga vena,
     Non ſuppliron le lachryme al dolore
     Finir, oh’ a mezo era il dolore a pena,
     Dal fuoco ſpinto hora il vitale humore
     Fugge p quella via ch ’a gliocchi mena
     Et e quel che ſi verſa, e trarrá inſieme
     E’l dolore, e la vita all’hore eſtreme.

 [127]
Queſti ch’inditio fan del mio tormento
     Soſpir non ſono, ne i ſoſpir ſon tali,
     Quelli ha triegua talhora, io mai nò ſèto
     Che’! petto mio men la ſua pena eſhali,
     Amor che m’arde il cor fa queſto vento
     Mentre dibatte intorno al fuoco l’ali,
     Amor con che miracolo lo fai?
     Che’n fuoco il tenghi e noi còfumi mai ?

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 [128]
Non ſon, non ſono io ql, che paio in viſo
     Quel ch’era Orládo emorto, & e ſotterra
     La ſua Donna ingratiſſima l’ha vcciſo
     Si, mancando di ſé, gli ha fatto guerra,
     Io ſon lo ſpirto ſuo da lui diuiſo
     Ch’ in queſto inſerno tormentadoſi erra
     Accio con l’ombra ſia, che ſola auanza,
     Eſempio a chi in Amor pone ſperanza.

 [129]
Pel boſco erro tutta la notte il Cote
     E allo ſpuntar della diurna ſiamma
     Lo torno il ſuo deſtin fopra la ſonte
     Doue Medoro inſculſe l’epigramma,
     Veder l’ingiuria ſua ſcritta nel monte
     L’accefe ſi, ch’in lui non reſto dramma
     Che non foſſe odio, rabbia, ira, e furore
     Ne piú indugio che traſſe il brado ſuore

 [130]
Taglio lo ſcritto e’l ſaſſo, e fin’ al cielo
     A volo alzar ſé le minute ſchegge:
     Infelice quell’antro, & ogni ſtelo
     In cui Medoro e Angelica ſi legge,
     Coſi reſtar quel di, ch’ombra ne gielo
     A paſtor mai non daran piú, ne a gregge
     E quella ſonte giá ſi chiara e pura
     Da cotanta ira ſu poco ſicura.

 [131]
Che rami, e ceppi, e trochi, e faſſi, e zolle
     Non ceffo di gittar ne le beli’ onde
     l’in che da ſommo ad imo ſi turbolle
     Che non ſuro mai piú chiare ne monde:
     E ſtanco al fin’, e al ſin di ſudor molle
     Poi che la lena vinta non riſponde
     Allo ſdegno, al graue odio, all’ani, i. ira
     Cade fu’l prato e verſo il ciel ſoſpira.

 [132]
Afflitto e ſtáco al ſin cade ne l’herba
     E ſicca gliocchi al cielo e no fa motto:
     Senza cibo e dormir coſi ſi ſerba
     Che’l Sole eſce tre volte, e torna ſotto,
     Di creſcer non ceffo la pena acerba
     Ch ſuor del ſenno al ſin l’hebbe códotto.
     Il quarto di da gran furor còmoffo
     E maglie, e piaſtre ſi (traccio di doſſo.

 [133]
Qui riman l’elmo, e la riman lo ſcudo
     Lontan gli arneſi, e piú lontan l’ufbergo:
     L’arme ſue tutte in ſomma vi concludo
     Hauean pel boſco differente albergo,
     E poi ſi ſquarcio i pani, e moſtro ignudo
     l’hiſpido ventre, e tutto’l petto e’l tergo,
     E comincio la gran ſollia, ſi horrenda
     Che de la piú non fará mai ch’intenda.

 [134]
In lauta labbia in tanto furor venne
     Che rimaſe offuſcato in ogni ſenſo,
     I >i lor la ſpada in man non gli ſouenne
     Che fatte hauria mirabil coſe penſo,
     Ma ne quella, ne ſcure, ne bipenne
     Era biſogno al ſuo vigore immenſo,
     Quiui ſé ben de le ſue proue eccelſe
     Ch’ un alto pino al primo crollo ſuelſe.

 [135]
E ſuelſe dopo il primo altri parecchi
     Come foſſer ſinocchi, ebuli, o aneti
     E ſé il ſimil di querce e d’olmi vecchi
     Di faggi e d’orni, e d’ illiei, e d’abeti:
     Quel ch’un’vcellator che s’apparecchi
     II campo mondo fa per por le reti
     De i giflchi e de Ir doppie e de l’urtiche
     Facea de cerri, e d’altre piante antiche.

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 [136]
paſtor che ſentito hanno i! ſracaſſò
     Laſciando il gregge ſparfo alla foreſta
     Chi di qua, chi di la, tutti a gran paſſo
     Vi vengono a veder che coſa e queſta:
     Ma ſon giuto a ql ſegno ilqual s’io paſſo
     Vi potria la mia hiſtoria eſſer moleſta
     Et io la vo piū toſto diferire
     Che v’habbia per lunghezza a faſtidire.