Pamela/Atto II

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Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Milord Bonfil con una chiave in mano, poi Isacco.

Bonfil. La povera Pamela, la povera Jevre sono ancora imprigionate. Andiamo a dar loro la libertà. Ma oh cielo! Che farò di Pamela? Pamela è l’anima mia. Talora faccio forza a me stesso per allontanarmi col pensiero dal suo bel volto, e parmi possibile l’abbandonarla; ma quando poi la rivedo, mi sento gelar il sangue nelle vene; giudico unicamente da lei dipendere la mia vita, e non ho cuor di lasciarla. Ma che mai far dovrò? Sposarla? Pamela, sì, tu lo meriti, ma a troppe cose mi convien pensare. Orsù, aprasi quella porta; escano di timore quelle povere sventurate. (va per aprire)

Isacco. Signore. [p. 50 modifica]

Bonfil. Cosa vuoi?

Isacco. Milord Artur.

Bonfil. Venga. A tempo egli arriva. La sua buona amicizia mi darà de’ sinceri consigli. Soffrano ancor per poco Pamela e Jevre la pena de’ loro timorosi pensieri. Qualche cosa risolverò.

SCENA II.

Milord Artur e detto.

Artur. Amico, troppo presto vi rinnovo l’incomodo di mia persona.

Bonfil. Vi amo sempre, e vi desidero or più che mai.

Artur. Vi contentate che io parli con libertà?

Bonfil. Sì, vi prego di farlo sinceramente.

Artur. Sono informato della ragione, per cui stamane teneste meco il forte ragionamento.

Bonfil. Caro amico, non sapete voi compatirmi?

Artur. Sì, vi compatisco, ma vi compiango.

Bonfil. Trovate voi che il mio caso meriti d’esser compianto?

Artur. Moltissimo. Vi par poco per un uomo di merito, di virtù, il sacrifìcio del suo cuore e della sua ragione?

Bonfil. Il cuore vi confesso averlo perduto. Ma se voi m’imputate aver io operato senza ragione, Milord, credetemi, voi v’ingannate.

Artur. Qual argomento avete voi per sostenere che il vostro amore sia ragionevole?

Bonfil. Amico, avete veduta Pamela?

Artur. Sì, l’ho veduta, ma non con i vostri occhi.

Bonfil. Negherete voi ch’ella sia bella, ch’ella sia amabile?

Artur. È bella, è amabile: io lo1 concedo; ma tutto ciò è troppo poco in confronto di quella pace che andate perdendo.

Bonfil. Ah Milord, Pamela ha un gran pregio, che non vedono ne i vostri occhi, nè i miei.

Artur. E in che consiste questo suo invisibile pregio? [p. 51 modifica]

Bonfil. In una estraordinaria virtù, in una illibata onestà, in un’ammirabile delicatezza d’onore.

Artur. Pregi grandi, grandissimi pregi, che meritano tutta la venerazione; ma se Pamela è delicata nell’onor suo, voi non lo dovete essere meno nel vostro.

Bonfil. Vi ho pur convinto stamane, che l’uomo nobile con nozze ignobili non offende ne l’onestà, nè la legge.

Artur. Ed io vi ho convinto ch’egli tradisce i propri figliuoli.

Bonfil. Questi figli non son sicuri.

Artur. Bramereste voi morir senza prole?

Bonfil. (Pensa un poco) No certamente. Muore per metà chi lascia un’immagine di se stesso ne’ figli.

Artur. Dunque avete a lusingarvi anzi di conseguire quello che ragionevolmente desiderate.

Bonfil. Ah che bei figli, che cari figli uscirebbero dalla virtuosa Pamela!

Artur. Il sangue di una madre vile potrebbe renderli bassamente inclinati.

Bonfil. Non è il sangue, ma la virtù della madre che opera mirabilmente ne’ figli.

Artur. Milord, siete voi risoluto di sposare Pamela?

Bonfil. Il mio cuore lo brama. Pamela lo merita, ma non ho stabilito di farlo.

Artur. Deh non lo fate; chiudete per un momento l’orecchio alla passione che vi lusinga, e apritelo ad un amico che vi consiglia. Fermatevi a considerare per un momento questo principio vero: esser dovere dell’uomo onesto preferire il decoro all’amore, sottomettere il senso all’impero della ragione. Tutto voglio accordarvi, per iscemare l’inganno della vostra passione. Sia vero, che l’onestà non si offenda; verissimo, che le leggi non l’impediscano; e diasi ancora, che i figli poco perdano per un tal maritaggio: udite le infallibili conseguenze ch’evitare non si possono, e preparatevi a soffrirle, se avete cuore di farlo. I vostri congiunti si lagneranno aspramente di voi, si crederanno a parte dell’ingiuria che fatta avrete al vostro medesimo sangue. [p. 52 modifica] e vi dichiareranno debitore in perpetuo del loro pregiudicato decoro.2 Ne’ circoli, nelle veglie, alle mense, ai ridotti si parlerà con poca stima di voi. Ma tutto questo può tollerarsi da un uomo, che ha sagrificato il mondo tutto al suo tenero amore. Udite, Milord, udite ciò che non avrete cuor di soffrire: gli oltraggi che si faranno alla vostra sposa.3 Le donne nobili non si degneranno di lei; le ignobili non saranno degne di voi4. Vi vedrete quanto prima d’intorno un suocero colle mani incallite ed una serie di villani congiunti, che vi faranno arrossire. L’amor grande, quell’amore che accieca e fa parer tutto bello, non dura molto. Lo sfogo della passione dà luogo ai migliori riflessi; ma questi, quando giungono fuor di tempo, accrescono il dolore e la confusione. Vi parlo da vero amico col cuor sulle labbra. Mirate da un canto le dolci lusinghe del vostro Cupido, mirate dall’altro i vostri impegni, i vostri doveri, i pericoli a’ quali vi esponete; e se non avete smarrito il senno, eleggete da vostro pari, preferite ciò che vi detta l’onore.

Bonfil. Caro amico. (si getta colle braccia al collo d’Artur)

Artur. Via, Milord, risolvete, fate una magnanima azione, degna intieramente di voi; allontanatevi da questo incanto, scioglietevi da questa ingiunosa catena.

Bonfil. Ma come, amico, come ho da far io ad abbandonarla?

Artur. Concedetela a vostra sorella.

Bonfil. No, questo non sarà mai. Con Miledi non anderà certamente.

Artur. Ma per che causa?

Bonfil. Ella è una pazza; ha degl’impeti sregolati. Lo dirò a mia confusione, ella mi assomiglia assaissimo ne’ difetti. Povera Pamela! avvezza con mia madre, che la trattava come una figlia, perderebbe con lei la salute, perderebbe miseramente la vita.

Artur. Fate una cosa migliore; procurate di maritarla.

Bonfil. (Pensa un poco) Sì, non sarebbe mal fatto. [p. 53 modifica]

Artur. Volete che io procuri di trovarle marito?

Bonfil. Procuratelo prestamente.

Artur. Lo farò volentieri.

Bonfil. Mia madre me l’ha teneramente raccomandata.

Artur. Datele una discreta dote, e adempirete agli ordini di vostra madre.

Bonfil. Sì, le darò di dote duemila ghinee.

Artur. Oh Milord, questo è troppo. Chi volete voi che la sposi?

Bonfil. Pamela non soffrirebbe un marito plebeo.

Artur. Nè un marito nobile la prenderà per la dote.

Bonfil. Avvertite a non le procurare un marito straniero.

Artur. Che! Vi spiacerebbe ch’ella andasse lontana?

Bonfil. Non m’inasprite più crudelmente la piaga.

Artur. Orsù, diciamolo a madama Jevre. Ella è donna di senno; ella provvederà a Pamela lo sposo.

Bonfil. Sì, Jevre l’ama. Niuno meglio di lei saprà contentar Pamela.

Artur. Ecco l’affare accomodato; ecco quasi assicurata la sorte di questa buona ragazza; ed ecco voi fuor di pericolo di rovinarvi per sempre.

Bonfil. Caro amico, i vostri consigli operano sopra il mio cuore con la forza della ragione; ma io provo, io solo provo le atroci pene della passione nemica.

Artur. Giacchè avete dell’amore per me, vorrei pregarvi di un’altra grazia.

Bonfil. Siete arbitro della mia vita.

Artur. Vorrei che vi compiaceste di venir meco per otto giorni in campagna.

Bonfil. No, compatitemi, non posso in ciò compiacervi.

Artur. Ma perchè mai?

Bonfil. Gli affari miei non mi permettono uscire dalla città.

Artur. Fra questi affari v’ha parte alcuna Pamela?

Bonfil. Sì, ma unicamente per maritarla.

Artur. Questo si può procurare senza di voi.

Bonfil. Ma non si può risolvere senza di me. [p. 54 modifica]

Artur. In otto giorni non si fa così facilmente un maritaggio per via di contratto.

Bonfil. Dispensatemi, ve ne prego.

Artur. Milord, voi mi adulate. Voi non siete persuaso de’ miei consigli. Partito ch’io sono, voi tornate a sollecitare Pamela.

Bonfil. Non giudicate sì malamente di me. Stimo i vostri consigli, li apprezzo e li gradisco.

Artur. Se così fosse, non ricusereste di venir meco.

Bonfil. Otto giorni non posso lasciare la casa senza di me.

Artur. Eccomi più discreto; mi contento che restiate meco tre soli giorni.

Bonfil. Tre giorni? Dove?

Artur. Alla contea d’Artur.

Bonfil. Ma! oh cielo! Perchè mi volete condurre in villa?

Artur. Deggio dare una festa ad una mia cugina, ritornata da Portogallo.

Bonfil. Il mio malinconico umore non può che spiacere nell’allegria della villa.

Artur. Voi avete a piacere a me solo.

Bonfil. E non volete dispensarmi?

Artur. No certamente, a costo di perdere la vostra preziosa amicizia.

Bonfil. Voi non meritate che io vi corrisponda villanamente. Per compiacervi verrò.

Artur. Sollecitate il pranzo; a un’ora dopo il mezzogiorno, saranno qui i miei cavalli e ce n’andremo immediatamente.

Bonfil. Oimè! Così presto?

Artur. Due ore abbiamo di tempo.

Bonfil. È troppo poco.

Artur. Che cosa avete di maggior premura?

Bonfil. Non volete che io dia gli ordini alla mia famiglia?

Artur. La vostra famiglia è ben regolata. Tre giorni di assenza non alterano le vostre commissioni.

Bonfil. Amico, per quel ch’io vedo, voi temete che io non mi possa staccar da Pamela.

Artur. Se ricusate di venir meco, mi darete cagione di sospettarlo. [p. 55 modifica]

Bonfil. Bene, verrò con voi.

Artur. Me ne date parola?

Bonfil. Sì, in parola di cavaliere.

Artur. Permettetemi che vada poco lontano; or ora sono da voi.

Bonfil. Non volete desinar meco?

Artur. Sì, ma deggio dare una piccola commissione. Fra un’ora attendetemi.

Bonfil. Accomodatevi come vi aggrada.

Artur. Amico, addio.

Bonfil. Son vostro servo.

Artur. (Povero Milord? Nello stato in cui si ritrova, egli ha bisogno di un vero amico, che lo soccorra). (da sè, parte)

Bonfil. Ehi.

SCENA III.

Isacco e detto, poi monsieur Longman.

Isacco. Signore.

Bonfil. Il maggiordomo. (Isacco via) Milord Artur conosce il mio male ed il mio rimedio; ed io son un infermo che odia la medicina, e non vorrebbe al medico rassegnarsi. Ho data la mia parola; anderò. E Pamela? E Pamela si mariterà. Si mariterà? Sì, sì; si mariterà; a tuo dispetto, mio cuore; sì, a tuo dispetto5.

Longman. Signore?

Bonfil. Vi levo ogni ordine. Non vado alla contea di Lincoln.

Longman. Ho inteso.

Bonfil. Fatemi preparare per dopo pranzo un abito da viaggio.

Longman. Parte oggi, signore?

Bonfil. Sì.

Longman. Dunque parte.

Bonfil. Sì; l’ho detto.

Longman. Ho da preparare il bagaglio per la contea di Lincoln?

Bonfil. Siete sordo? V’ho detto che non vi vado. [p. 56 modifica]

Longman. Ma se parte...

Bonfil. Parto sì, parto, ma non per Lincoln. (alterato)

Longman. (Non lo capisco). (da sè)

Bonfil. Che ha detto Miledi in partendo da casa mia?

Longman. Che vuol Pamela assolutamente.

Bonfil. Non l’avrà. Giuro al cielo, non l’avrà.

Longman. Resterà ella in casa?

Bonfil. La mariterò.

Longman. Signore, la vuol maritare?

Bonfil. Sì, voglio assicurare la sua fortuna.

Longman. Perdoni; le ha ritrovato marito?

Bonfil. Non ancora.

Longman. (Ah foss’io il fortunato!) (da sè)

Bonfil. Avreste voi qualche buon partito da proporre a Pamela?

Longman. L’avrei io, ma...

Bonfil. Che vuol dire questa sospensione?

Longman. Domando perdono... La vuol maritare davvero, davvero?

Bonfil. Io non parlo invano.

Longman. Pamela vorrà soddisfarsi.

Bonfil. Pamela è saggia.

Longman. Se è saggia, non disprezzerà un uomo avanzato.

Bonfil. Inclinereste voi a sposarla?

Longman. E perchè no? Voi sapete chi sono.

Bonfil. (Ah ribaldo! Costui mi è rivale). (da sè)

Longman. Le farò donazione di quanto possiedo.

Bonfil. (Sì, sì, con questo matrimonio Pamela non si scosta dagli occhi miei). (da sè)

Longman. Signore, ecco superato ogni mio rossore. Amo Pamela, ed ora che vi vedo in procinto di disporre di lei, vi supplico consolarmi.

Bonfil. (Come? Soffrirò che un mio servitore gioisca di quella bellezza che m’innamora? Non sarà mai). (da sè)

Longman. Signore, che dite?

Bonfil. (alterato) Dico che siete un pazzo; che se ardirete mirar Pamela, vi ucciderò colle mie proprie mani. [p. 57 modifica]

Longman. (Senza parlare fa una riverenza a Milord, e parte.)

Bonfil. Ah no, non sarà possibile ch’io vegga d’altri Pamela, senza morire. Ma la parola che ne ho data all’amico? Sarò volubile a questo segno? Mi cambierò ogni momento? Orsù, cedasi alla ragione, trionfi l’orgoglio e si sagrifichi il cuore. Madama Jevre trovi a Pamela lo sposo. Io non tornerò a Londra, prima ch’ella non sia legata ad altrui. E allora potrò io vivere? No, morirò certamente, e la mia morte sarà trofeo delle massime rigorose del vero onore. Veggasi Pamela, ma per l’ultima volta. (va ad aprir colla chiave)

SCENA IV.

Madama Jevre e detto.

Jevre. Signore, vi sembra ancor tempo di liberarmi di carcere?

Bonfil. Dov’è Pamela?

Jevre. È in quella camera che piange, sospira e trema.

Bonfil. Trema? Di che ha ella paura?

Jevre. Di voi, che siete peggio di Satanasso.

Bonfil. Le ho fatto io qualche ingiuria?

Jevre. Voi non vi conoscete.

Bonfil. Che vorreste voi dire?

Jevre. Quando siete in collera, fate paura a mezzo mondo.

Bonfil. La mia collera è figlia dell’amor mio.

Jevre. Maledetto amore!

Bonfil. Dite a Pamela che venga qui.

Jevre. Ma che cosa volete da quella povera figliuola?

Bonfil. Le voglio parlare.

Jevre. E non altro?

Bonfil. E non altro.

Jevre. Posso fidarmi?

Bonfil. L’onestà di Pamela merita ogni rispetto.

Jevre. Che siate benedetto! Ora la faccio venire. (si allontana un poco, poi torna indietro) Ma ehi, signor padrone, non vorrei che mirando Pamela, la sua bellezza vi facesse scordare della sua onestà. [p. 58 modifica]

Bonfil. Jevre, non mi stancate. O qui venga Pamela, o io vado da lei.

Jevre. No, no; la farò venir qui. (In quella camera vi si vede poco). (da sè)

Bonfil. Ecco il terribil punto, in cui ho da imparare la gran virtù di superare me stesso.

SCENA V.

Jevre conducendo Pamela per mano, che viene col capo chino,
tremando, e detto
.

Jevre. (Non dubitate, ha promesso di non farvi alcun dispiacere). (piano a Pamela)

Pamela. (Ha giurato?) (piano a Jecre)

Bonfil. (Resta pensoso fra sè.)

Jevre. (Sì, l’ha giurato). (piano a Pamela)

Pamela. (Oh, quando giura, non manca).

Jevre. Signore. (a Milord)

Bonfil. (Si volta) Pamela.

Pamela. (Con gli occhi bassi non risponde.)

Bonfil. Pamela, tu dunque m’odii.

Pamela. No, signore, io non vi odio.

Bonfil. Tu mi vorresti veder morire.

Pamela. Spargerei il mio sangue per voi.

Bonfil. Mi ami?

Pamela. Vi amo, come la serva deve amare il padrone.

Jevre. (Poverina! È di buon cuore). (a Bonfil)

Bonfil. Sì, Pamela, tu sei veramente una giovine di buon costume; conosco la tua onestà; ammiro la tua virtù; meriti ch’io ricompensi la tua bontà.

Pamela. Signore, io non merito nulla.

Bonfil. La tua bellezza è stata creata dal cielo per felicitare un qualche avventurato mortale. (rimane pensoso)

Pamela. (Io non intendo bene il senso di queste parole). (piano a Jevre) [p. 59 modifica]

Jevre. (Povero signore! Egli si lusinga). (piano a Pamela)

Pamela. (Non vi è pericolo). (piano a Jevre)

Bonfil. Dimmi, sei tu nemica degli uomini? (si rivolge a Pamela)

Pamela. Sono anch’essi il mio prossimo.

Bonfil. Inclineresti al legame del matrimonio?

Pamela. Ci penserei.

Bonfil. (Ah beato colui che avrà una sposa sì vaga!) (resta pensoso)

Pamela. (Madama, di chi mai parla il padrone?) (piano a Jevre)

Jevre. (Chi sa che non parli di lui medesimo?) (piano a Pamela)

Pamela. (Ah, non mi lusingo!)

Bonfil. Tu non istai bene per cameriera con un padrone che non ha moglie. (a Pamela)

Pamela. Questo è verissimo.

Bonfil. Miledi mia sorella m’ha posto in puntiglio. Non voglio che tu vada con lei assolutamente.

Pamela. Farò sempre la vostra volontà.

Bonfil. Ah cara Pamela, nata tu non sei per servire, (resta pensoso)

Pamela. (Sentite?) (piano a Jevre)

Jevre. (Io spero moltissimo). (a Pamela)

Pamela. (Ah! non merito una sì gran fortuna).

Bonfil. Ho risolto di maritarti. (a Pamela)

Pamela. Signore, io sono una povera miserabile.

Bonfil. Mia madre a me ti ha raccomandata.

Pamela. Benedetta sia sempre la mia adorata padrona.

Bonfil. Sì, Pamela, voglio assicurare la tua fortuna.

Pamela. Oh Dio! Come?

Bonfil. (Mi sento staccar l’alma dal seno). (resta pensieroso)

Pamela. (Madama, che cosa mai sarà di me?) (piano a Jevre)

Jevre. (Io spero che abbiate a divenire la mia padrona). (piano a Pamela)

Pamela. (Ah, non mi tormentate). (piano a Jevre)

Bonfil. Dimmi, vuoi tu prender marito?

Pamela. Signore...

Jevre. (Ditegli di sì). (piano a Pamela) [p. 60 modifica]

Bonfil. Rispondimi con libertà.

Pamela. Son vostra serva; disponete di me.

Bonfil. (Ah crudele! Ella non sente pena in lasciarmi). (resta pensieroso)

Pamela. (Vedete com’è confuso?) (piano a Jeore)

Jevre. (Lo compatisco. È un passo grande). (piano a Pamela)

Bonfil. Sposati, ingrata, e vattene dagli occhi miei. (alterato)

Pamela. (Oimè!)

Jevre. (Non lo capisco).

Bonfil. Dimmi. Lo hai preparato lo sposo?

Pamela. Se mai ho pensato a ciò, mi fulmini il cielo.

Jevre. Pamela è stata sempre sotto la mia custodia.

Bonfil. E con tanta prontezza accetti l’offerta che io ti fo di uno sposo?

Pamela. Ho detto che voi potete disporre di me.

Bonfil. Posso disporre di te per farti d’altrui, e non potrò disporre per farti mia?

Pamela. Di me potete disporre, ma non della mia onestà.

Bonfil. (Ah, costei sempre più m’innamora!) (resta pensieroso)

Pamela. (Che dite, madama Jevre? Belle speranze!) (piano a Jevre)

Jevre. (Sono mortificata). (piano a Pamela)

Bonfil. Orsù, per mettere in sicuro la tua onestà, mi converrà maritarti. Jevre, voi che l’amate, provvedetele voi lo sposo.

Jevre. E la dote?

Bonfil. Io le darò duemila ghinee.

Jevre. Non dubitate, farete un ottimo matrimonio. (a Pamela)

Pamela. Signore, per carità, vi prego, non mi sagrificate.

Bonfil. Che! Hai tu il cuor prevenuto?

Pamela. Se mi concedeste l’arbitrio di poter dispor di me stessa, vi direi quali sono le inclinazioni del mio cuore.

Bonfil. Parla, io non sono un tiranno.

Pamela. Bramo di vivere nella cara mia libertà.

Bonfil. Cara Pamela, vuoi tu restar meco? (con dolcezza)

Pamela. Ciò non conviene nè a voi, ne a me.

Bonfil. Ma dimmi il vero, peneresti a lasciarmi? [p. 61 modifica]

Jevre. (L’amico si va riscaldando). (da sè)

Pamela. A fare il mio dovere non peno mai.

Bonfil. (È un prodigio, se io non muoio). (Ja sè)

Jevre. (Pamela, badate bene). (piano a Pamela)

Pamela. Signore, volete voi stabilire la mia fortuna, mettere in sicuro la mia onestà, e fare ch’io v’abbia a benedire per sempre?

Bonfil. Che non farei per vederti consolata?

Pamela. Mandatemi ai miei genitori.

Bonfil. A vivere fra le selve?

Pamela. A viver quieta; a morire onorata. (Bonfil pensa)

Jevre. (Deh, non fate questa risoluzione. Non mi lasciate, per amor del cielo). (piano a Pamela)

Pamela. (Lasciatemi andare, madama. Di già sento che poco ancora posso vivere). (piano a Jevre)

Bonfil. Pamela.

Pamela. Signore.

Bonfil. Sarai contenta. Anderai a vivere con i tuoi genitori.

Pamela. Ah! il cielo ve ne renda il merito. (sospirando)

Jevre. Deh signor padrone, non sagrificate questa povera giovine. Ella non sa cosa chieda, e voi non l’avete a permettere.

Bonfil. Tacete. Non sapete ciò che vi dite. Voi donne fate più mal che bene, col vostro amore. Pamela fa un’eroica risoluzione. Ella provvede alla sua onestà, al mio decoro ed alla pace comune.

Jevre. Povera la mia Pamela!

Bonfil. Le duemila ghinee che doveva avere il tuo sposo, le avrà tuo padre. (a Pamela)

Pamela. Oh quanto mi saranno più care!

Bonfil. Domani... Sì... Domani te n’andrai. (appassionato)

Jevre. Così presto?

Bonfil. Sì domani. Voi non c’entrate; andrà domani.

Jevre. Ma come? Con chi?

Bonfil. Accompagnatela voi. [p. 62 modifica]

Jevre. Io?

Bonfil. Sì, voi, nel carrozzin da campagna.

Jevre. Ma così subito...

Bonfil. Giuro al cielo, non replicate.

Jevre. (Furia, furia!) (da sè)

Pamela. I miei poveri genitori giubileranno di contento.

Bonfil. Oggi devo partire. Preparatemi della biancheria per tre giorni. (a Jevre)

Jevre. Oggi andate via?

Bonfil. Sì, l’ho detto.

Jevre. Benissimo.

Pamela. Signore, voi partite oggi, ed io partirò domani. Non avrò più la fortuna di rivedervi.

Bonfil. Ingrata! Sarai contenta.

Pamela. Permettetemi che io vi baci la mano.

Bonfil. Tieni; per l’ultima volta.

Pamela. Il cielo vi renda merito di tutto il bene che fatto mi avete. Vi chieggo perdono, se qualche dispiacere vi ho dato; ricordatevi qualche volta di me. (gli bada la mano piangendo, e la bagna colle lagrime)

Bonfil. (Mostra la sua confusione, poi si sente bagnata la mano) Ah! Pamela! Tu mi hai bagnata la mano.

Pamela. Oimè! Vi dimando perdono; sarà stata qualche lagrima caduta senz’avvedermene.

Bonfil. Asciugami questa mano.

Pamela. Signore...

Jevre. Via, vi vuol tanto? Asciugatelo. (a Pamela)

Pamela. (Col suo grembiale asciuga la mano a Milord.)

Bonfil. Ah ingrata!

Pamela. Perchè, signore, mi dite questo?

Bonfil. Tu confessi che ti ho fatto del bene.

Pamela. Conosco l’esser mio dalla vostra casa.

Bonfil. Ed hai cuor di lasciarmi?

Pamela. Siete voi che mi licenziate.

Bonfil. Vuoi restare? (con dolcezza) [p. 63 modifica]

Pamela. Ah no, permettetemi ch’io me ne vada.

Bonfil. Lo vedi, crudele! Tu sei, tu sei che vuoi partire; non son io che ti manda.

Jevre. (Oh che bei pazzi!) (da sè)

SCENA VI.

Isacco e detti.

Isacco. Signore.

Bonfil. Maledetto! Che cosa vuoi?

Isacco. Milord Artur.

Bonfil. Vada... No, fermati. (pensa un poco) Digli che venga.

Jevre. Noi, signore, ce n’andremo.

Bonfil. Bene.

Jevre. Pamela, andiamo.

Pamela. (Fa riverenza a Milord e vuol partire.)

Bonfil. Te ne vai senza dirmi nulla? (a Pamela)

Pamela. Non so che dire: siate benedetto.

Bonfil. Non mi vedrai più.

Pamela. Pazienza.

Bonfil. Non mi baci la mano?

Pamela. Ve l’ho bagnata di lagrime.

Bonfil. Ecco Milord.

Pamela. Signore...

Bonfil. Vattene per pietà.

Pamela. Povera sventurata Pamela! (sospirando parte)

Jevre. (Io credo che tutti due sieno cotti spolpati). (da sè, parte)

Bonfil. (Quanto volentieri mi darei la morte!)

SCENA VII.

Milord Artur e detto, poi Isacco.

Artur. Amico, eccomi a voi...

Bonfil. Ehi. (chiama)

Artur. (Milord è turbato. Pena tuttavia nel risolvere). (da sè) [p. 64 modifica]

Isacco. Signore.

Bonfil. In tavola.

Artur. Fermatevi, (ad Isacco) Caro amico, fate che sia compita la finezza che siete disposto usarmi. Mia cugina è già passata dalla sua villeggiatura alla mia; ella mi ha prevenuto, e mi ha spedito un lacchè, facendomi avvertito ch’ella non vuol pranzare senza di me. Sono in impegno di partir subito, e spero che non mi lascerete andar solo.

Bonfil. Questa non parmi ora a proposito di partirci da Londra per andare a desinare in campagna.

Artur. Due leghe si fanno presto. Caro amico, non mi dite di no.

Bonfil. Voi mi angustiate.

Artur. Io non mi posso trattenere un momento.

Bonfil. Andate.

Artur. Avete promesso di venir meco.

Bonfil. Non ho promesso di venir subito.

Artur. Qual premura vi rende difficile l’anticipazione di un’ora?

Bonfil. Lasciatemi cambiar di vestito.

Artur. (Se vede Pamela, non parte più). (da sè) Milord, credetemi, non disconviene in villa un abito da città, quando si va a visitare una dama.

Bonfil. Sì, non lo nego, ma io... (Partirò senza rivedere Pamela?) (da sè)

Isacco. Signore, mi comandi.

Artur. Andate, andate, Milord viene a pranzo con me.

Isacco. (Prego il cielo che vada, e non torni, se non ha scacciato quel demonio che lo rende così furioso). (da sè, parte)

Artur. La carrozza ci aspetta.

Bonfil. Ma viva al cielo, lasciatemi pensare un momento.

Artur. Pensate, e risolvete da vostro pari.

Bonfil. (Sia pensieroso alquanto.)

Artur. (Gran confusione ha nel cuore!) (da sè)

Bonfil. Jevre. (chiama)

Artur. Ma se tornate dopo tre giorni...

Bonfil. Jevre. (chiama più forte) [p. 65 modifica]

SCENA VIII.

Madama Jevre e detti.

Jevre. Signore.

Bonfil. Sentite. (la tira in disparte) Io parto: da qui a tre giorni ritorno. Vi raccomando Pamela.

Jevre. Non deve andar da suo padre?

Bonfil. No, vi anderà quando torno.

Jevre. Ma ella vuol andare assolutamente.

Bonfil. Giuro, che se voi la lasciate partire, la vostra vita la pagherà.

Jevre. Dunque...

Bonfil. M’avete inteso.

Jevre. Le dirò...

Bonfil. Andate via. (adirato)

Jevre. (Oh che diavolo di uomo!) (parte6)

Artur. Milord, voi siete molto adirato.

Bonfil. Andiamo.

Artur. Siete risoluto di venir ora?

Bonfil. Sì.

Artur. Mi obbligate infinitamente. (Spero più facilmente illuminarlo, lontano dalla causa del suo acciecamento). (da sè, parte)

Bonfil. Jevre. (chiama)

Jevre. Eccomi qui. (sulla porta)

Bonfil. Se Pamela parte, povera voi. (parte)

Jevre. Vivano i pazzi. Pamela, uscite. Uscite, vi dico, che se n’è andato.

SCENA IX.

Pamela sulla porta, e madama Jevre.

Pamela. È partito il padrone?

Jevre. Sì, è partito.

Pamela. Dov’è egli andato, madama Jevre? (s’avanza) [p. 66 modifica]

Jevre. Io non lo so, ma non tornerà che dopo tre giorni.

Pamela. Ah! Io non lo vedrò più. (sospira)

Jevre. Oh lo vedrete, sì, lo vedrete.

Pamela. Quando? Se domattina io parto.

Jevre. Domattina non partirete più.

Pamela. Il padrone lo ha comandato? (sospirando)

Jevre. Il padrone ha comandato a me ch’io non vi lasci partire, s’egli non torna.

Pamela. S’egli non torna? (con tenerezza)

Jevre. Sì, che ne dite? Non è volubile?

Pamela. È padrone, può comandare.

Jevre. Ci restate poi volentieri?

Pamela. Io son rassegnata ai voleri del mio padrone.

Jevre. Eh Pamela, Pamela, io dubito che questo vostro padrone vi stia troppo fitto7 nel cuore.

Pamela. Oh Dio! Non mi dite queste parole, che mi farete piangere amaramente.

SCENA X.

Isacco e dette.

Isacco. Madama Jevre.

Jevre. Che c’è?

Isacco. È venuta miledi Daure.

Jevre. Il padrone è partito?

Isacco. Sì, è montato in un legno a quattro cavalli, ed ora sarà vicino alla porta della città.

Jevre. Dite a Miledi, che non vi è suo fratello.

Isacco. L’ho detto, ed ella tanto e tanto ha voluto scendere dalla carrozza.

Jevre. È sola?

Isacco. Vi è il Cavaliere suo nipote.

Pamela. Andiamoci a serrar nella nostra camera. [p. 67 modifica]

Jevre. Di che avete paura?

Pamela. Miledi mi ha fatta una cattiva relazione di suo nipote.

Isacco. Ecco Miledi. (Isacco parte)

Pamela. Me n’andrò io. (si avvia verso la camera)

SCENA XI.

Miledi Daure e dette.

Miledi. Pamela, dove si va? (Pamela si volta, e fa una riverenza)

Jevre. Signora, il vostro fratello non è in città.

Miledi. Lo so, io resterò qui a pranzo in vece sua col Cavalier mio nipote.

Jevre. Se non vi è il padrone...

Miledi Ebbene, se non vi è, ardirete voi di scacciarmi?

Jevre. Compatite, siete padrona d’accomodarvi; ma il signor Cavaliere...

Miledi. Il Cavaliere non vi porrà in soggezione.

Jevre. Permettetemi che io vada a dar qualche ordine.

Miledi. Sì, andate.

Jevre. (Vi mancava l’impiccio di costei). (da sè, parte)

Miledi. (Non temere, che non son venuta qui per pranzare), (da se)

Pamela. (Me n’andrei pur volentieri). (da sè)

Miledi. Ebbene, Pamela, hai tu risoluto? Vuoi venire a star con me?

Pamela. Io dipendo dal mio padrone.

Miledi. Il tuo padrone è un pazzo.

Pamela. Perdonatemi, una sorella non dovrebbe dire così. j

Miledi. Prosuntuosa! M’insegnerai tu a parlare?

Pamela. Vi domando perdono.

Miledi. Orsù, preparati a venir meco.

Pamela. Ci verrò volentieri, se il padrone lo accorderà.

Miledi. Egli me l’ha promesso.

Pamela. Egli mi ha comandato di non venirvi.

Miledi. E tu vorrai secondar lo sua volubilità?

Pamela. Son obbligata a obbedirlo.

Miledi. Fraschetta! Lo vedo, lo vedo, ti compiaci in obbedirlo. [p. 68 modifica]

Pamela. Fo il mio dovere.

Miledi. Il tuo dovere sarebbe di vivere da figlia onorata.

Pamela. Tale mi vanto di essere.

Miledi. Non lo sei. Sei una sfacciatella.

Pamela. Con qual fondamento potete dirlo?

Miledi. Tu vuoi restar col tuo padrone, perchè ne sei innamorata.

Pamela. Ah signora, voi giudicate contro giustizia.

Miledi. Sei innocente?

Pamela. Lo sono, per grazia del cielo.

Miledi. Dunque vieni meco.

Pamela. Non posso farlo.

Miledi. Perchè?

Pamela. Perchè il padrone lo vieta.

Miledi. A me tocca a pensarci. Vieni con me.

Pamela. Non mi farete commettere una mal’azione8.

Miledi. Parli da temeraria.

Pamela. Compatitemi per carità.

SCENA XII.

Il cavaliere Ernold e dette.

Ernold. Che fate qui con questa bella ragazza?

Miledi. Cavaliere, vi piace?

Ernold. Se mi piace? E come! È questa forse quella Pamela, di cui mi avete più di tre ore parlato?

Miledi. È questa per l’appunto.

Ernold. E ancora più bella di quello me l’avete dipinta. Ha due occhi che incantano.

Pamela. Miledi, con vostra permissione. (vuol partire)

Miledi. Dove vuoi andare?

Ernold. No, gioia mia, non partite; non mi private del bel contento di vagheggiarvi anche un poco. (a Pamela)

Pamela. Signore, queste frasi non fanno per me. [p. 69 modifica]

Miledi. Eh Cavaliere, lasciatela stare. Ella è caccia riservata di Milord mio fratello.

Ernold. Non si potrebbe fare un piccolo contrabbando?

Pamela. (Che parlare scorretto!) (da sè)

Miledi. Voi mi fareste ridere, se costei non mi desse motivo di essere accesa di collera.

Ernold. Che cosa vi ha fatto?

Miledi. Mio fratello mi ha data parola ch’ella sarebbe venuta a servirmi, ed ella venir non vuole; e Milord mi manca per sua cagione.

Ernold. Eh, ragazza mia, bisogna mantener la parola; senz’altro bisogna venir a servire miledi Daure.

Pamela. Ma io dipendo...

Ernold. Non vi è ragione in contrario, voi avete da venire a servirla9.

Pamela. Ma se il padrone...

Ernold. Il padrone è fratello della padrona; fra loro s’intenderanno, e la cosa sarà aggiustata.

Pamela. Vi dico, signore...

Ernold. Via, via, meno ciarle; datemi la mano, e andiamo.

Pamela. Non soffrirò una violenza. (va verso la porta per fuggire)

Ernold. Giuro al cielo, fuor di qui non si va. (si mette alla porta)

Pamela. Come, signore? In casa di milord Bonfìl?

Miledi. Chi sei tu, che difendi la ragion di Milord? Sei qualche cosa del suo? Giuro al cielo, se immaginar mi potessi ch’egli ti avesse sposata, o ti volesse sposare, ti caccerei uno stiletto10 nel cuore.

Ernold. Eh figuratevi, se Milord è così pazzo di volerla sposare! La tiene in casa per un piccolo divertimento.

Pamela. Mi maraviglio di voi. Sono una fanciulla onorata.

Ernold. Brava! Me ne rallegro. E che viva11 la signora Onorata. Ehi, se siete tanto onorata, avrete dell’onore da vendere.

Pamela. Che volete dire perciò? [p. 70 modifica]

Ernold. Ne12 volete vendere ancora a me?

Pamela. Credo che dell’onore ne abbiate veramente bisogno.

Miledi. Ah impertinente! Così rispondi al Cavalier mio nipote?

Pamela. Tratti come deve, io parlerò come si conviene.

Ernold. Eh, non mi offendo delle ingiurie che vengono da un bel labbro. Tutte queste belle sono stizzosette. Sapete perchè fa la ritrosa? Perchè siete qui voi. Andate via, e m’impegno che fa a mio modo.

Miledi. Voglio che costei venga a stare con me.

Ernold. Verrà, verrà. Volete che vi faccia vedere come si fa a farla venire? Osservate. (cava una borsa) Pamela, queste sono ghinee; se vieni con Miledi, da cavaliere te ne dono mezza dozzina.

Pamela. Datele a chi13 sarete solito di trattare.

Ernold. Oh capperi! Sei una qualche principessa? Che ti venga la rabbia! Ricusi sei ghinee? Ti paion poche?

Pamela. Eh signore, non conoscete il prezzo dell’onestà, e per questo parlate così14.

Ernold. Tieni, vuoi tutta la borsa?

Pamela. (Oh cielo! Liberami da questo importuno). (Ja sè)

Ernold. Sarei ben pazzo, se te la dessi.15 Fraschetta!

Pamela. Come parlate? Lo saprà il mio padrone.

Ernold. Certo, il tuo padrone si prenderà una gran cura di te.

Pamela. Lasciatemi andare.

Ernold. Orsù, vieni qui. Facciamo la pace, (vuol prenderla per la mano)

Pamela. Finitela d’importunarmi. (vuol fuggire)

Ernold. Senti una parola sola.

Pamela. Madama Jevre. (vuol fuggire)

Ernold. Senti. (come sopra)

Pamela. Isacco.

Ernold. Sei una bricconcella.

Pamela. Siete un cavaliere sfacciato. [p. 71 modifica] Ernold. Ah indegna! A me sfacciato?

Miledi. Ah disgraziata! Sfacciato a mio nipote?

Pamela. Se è cavaliere, stia nel suo grado.

Miledi. Ti darò degli schiaffi.

Ernold. Ti prenderò per le mani, e non fuggirai. (la inseguisce)

Pamela. Aiuto, gente, aiuto.

SCENA XIII.

Madama Jevre e detti.

Jevre. Oimè! Che è stato? Che ha Pamela, che grida?

Pamela. Ah madama, aiutatemi. Difendetemi voi dagl’insulti di un dissoluto.

Jevre. Come, signor Cavaliere? In casa di milord Bonfil?

Ernold. Che cosa credete ch’io le abbia fatto?

Jevre. Le sue strida quasi quasi me lo fanno supporre.

Ernold. Le voleva far due carezze, e non altro.

Jevre. E non altro?

Ernold. Che dite? Non è ella una sciocca a strillare così?

Miledi. È una temeraria. Ha perduto il rispetto a mio nipote ed a me stessa.

Jevre. Mi maraviglio che il signor Cavaliere si prenda una simile libertà.

Ernold. Oh poffar il mondo! Con una serva non si potrà scherzare?

Jevre. Dove avete imparato questo bel costume?

Ernold. Dove? Dappertutto. Voi non sapete niente. Io ho viaggiato. Ho ritrovato per tutto delle cameriere vezzose, delle cameriere di spirito, capaci di trattenere una brillante anticamera, fintanto che la padrona si mette in istato di ricevere la conversazione. Colle cameriere si scherza, si ride, si dicono delle barzellette, e tuttochè abbia qualcuna di esse l’abilità d’innamorare il padrone, non sono co’ forestieri fastidiose come costei.

Jevre. In verità, signor Cavaliere, a viaggiare avete imparato qualche cosa di buono. [p. 72 modifica]

Miledi. Orsù, tronchiamo questo importuno ragionamento. Pamela ha da venire con me.

Pamela. Madama Jevre, mi raccomando a voi. (piano a Jevre)

Jevre. Signora, aspettate che venga il padrone.

Miledi. Appunto perchè non c’è, ella deve meco venire.

Jevre. Oh perdonatemi, non ci verrà assolutamente.

Miledi. Non ci verrà? La farò strascinare per forza.

Ernold. Io non ho vedute femmine più impertinenti di voi.

Jevre. Signore, non mi perdete il rispetto; sono la governatrice di milord Bonfil.

Ernold. Io credeva che foste la governatrice dell’Indie.

Jevre. Saprà Milord gl’insulti che fatti avete alla di lui casa.

Miledi. Sappiali pure. Egli mi ha provocato.

Ernold. Milord non si riscalderà per due sciocche di donne.

Jevre. Mi maraviglio di voi.

Miledi. Impertinente! Ehi. Dove siete? (chiama alla porta)

Jevre. Chi chiamate, signora?

Miledi. Chiamo i miei servitori.

Jevre. Usereste qualche violenza?

Miledi. Ehi, dico. (chiama come sopra)

SCENA XIV.

Isacco, e detti.

Isacco. Che comandate, signora?

Miledi. Ove sono i miei servitori?

Isacco. Sono tutti discesi. È ritornato il padrone.

Jevre. Il padrone?

Isacco. Sì, il nostro padrone è ritornato indietro.

Pamela. (Oh ringraziato sia il cielo!) (da sè)

Jevre. Si sa per qual causa?

Isacco. È stato assalito da un orribile svenimento. (parte)

Pamela. (Oh Dio!) (da sè)

Jevre. Povero padrone! Non vo’ mancare di prestargli soccorso.

Pamela. Presto, madama Jevre, andatelo ad aiutare. [p. 73 modifica]

Jevre. Eh Pamela, egli avrebbe più bisogno di voi che di me. (parte)

Pamela. (Ah, che non mi conviene d’andare!) (da sè)

Ernold. Pamela, perchè non vai ancor tu a soccorrere il tuo padrone? Fai forse la ritrosa, perchè siamo qui noi?.

Pamela. Signore, ora ch’è ritornato il mio padrone, mi fate meno timore, e vi parlerò con maggior libertà. Chi credete voi che io sia? Son povera, ma onorata. Mi nutrisco del pane altrui, ma lo guadagno con onestà. Venni in questa casa a servir la madre, non il figliuolo. La madre è morta, ed il figliuolo non mi dovea cacciar sulla strada. Se Miledi mi voleva, doveva sapermi chiedere a suo fratello; e se egli ad essa mi niega, avrà ragione di farlo. Informatevi con tutti i domestici di questa casa; chiedete di me a quanti hanno qui praticato, e meglio rileverete quale sia il mio costume. Voi mi avete detto fraschetta e bricconcella (ahi che arrossisco in rammentarlo!) Se avete ritrovate pel mondo delle donne di tal carattere, non vuol già dire che sieno o tutte, o per la maggior parte così; ma si rileva piuttosto, che il vostro mal costume si fermava unicamente con queste, senza far conto delle saggie, delle oneste, che abbondano in ogni luogo. Come volete voi sapere, se più sieno le donne buone o le cattive, se solamente delle pessime andate in traccia? Come può discernere che cosa sia la virtù, chi unicamente coltiva le sue passioni? Ebbi l’onor di conoscervi prima che partiste da Londra, ed eravate allora un buon cavaliere, un saggio inglese, un giovine di ottima aspettativa. Avete viaggiato, e avete apprese delle massime così cattive? Ah, permettetemi ch’io rifletta in vostro vantaggio, che avrete avuto nei vostri viaggi delle pessime compagnie, delle pessime direzioni. Il cuore dell’uomo, tenero come la cera, facilmente riceve le buone e le cattive impressioni. Se i mali esempi di quel cattivo mondo, che avete avuta la disgrazia16 di praticare, vi hanno guastato il cuore, siete a tempo di riformarlo. La vostra gran patria vi darà degli stimoli a farlo. E se per [p. 74 modifica] disingannarvi del mal concetto che avete voi delle donne, può valere l’esempio di una che non teme irritarvi per dimostrare la propria onestà, ammirate in me la franchezza, con cui ho il coraggio di dirvi, che se ardirete più d’insultarmi, saprò chiedere e saprò trovare giustizia. (parte)

SCENA XV.

Miledi ed il cavaliere Ernold.

Ernold. Costei mi ha fatto rimanere incantato.

Miledi. Io rimango attonita, non per cagione di lei, ma per cagion di voi.

Ernold. E perchè?

Miledi. Perchè abbiate avuta la sofferenza di udirla, senza darle una mano sul viso.

Ernold. In casa d’altri, per dirla, mi sono avanzato anche troppo.

Miledi. Lo svenimento di mio fratello sarà provenuto dall’amor di Pamela.

Ernold. Io per le donne non mi son mai sentito svenire.

Miledi. Egli l’ama con troppa passione.

Ernold. Se l’ama, che si consoli.

Miledi. Ah, temo ch’egli la sposi.

Ernold. E se la sposa, che importa a voi?

Miledi. Come! Io dovrei tollerare questo sfregio al mio sangue?

Ernold. Che sfregio? Che sangue? Che debolezze son queste? Pazzie, pazzie. Io che ho viaggiato, di questi matrimoni ne ho veduti frequentemente. Il mondo ride. I parenti strillano; ma dicesi per proverbio: una maraviglia dura tre giorni. Voglio andare a vedere che fa Milord. (parte) [p. 75 modifica]

SCENA XVI.

Miledi sola.

Per quel che sento, il Cavalier mio nipote non avrebbe riguardo a far peggio di mio fratello. Se una donna pensasse così, sarebbe il ludibrio del mondo; si ecciterebbe contro l’ira, la maledizione e la vendetta. Misere donne! Ma se tant’altre hanno la viltà di soffrire, io insegnerò alle più timide come si vendicano i nostri torti. Se mio fratello persiste, farò morire Pamela.

Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Bett.: è amabile, ve lo.
  2. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: Voi sarete la favola di tutta Londra.
  3. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: Ella dovrà star ritirata come una sposa.
  4. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: Che vita miserabile dovrà menare quella infelice! I servitori medesimi non sapranno rispettar per padrona, colei ch’è stata loro compagna.
  5. Bett. ha solo: a tuo dispetto, mio core, si mariterà.
  6. Bett. e Pap. aggiungono: e poi, chiamala, ritorna.
  7. Bett. e Pap.: fisso.
  8. Bett. e Pap.: una sì nera azione.
  9. Bett.: voi l’avete da venir a servire.
  10. Bett.: uno stile.
  11. Bett. e Pap.: Evviva.
  12. Bett. e Pap.: Me ne.
  13. Pasq. e Zatta: a cui
  14. Segue in Bett.: «Em. Quanto vale questa tua onestà? Pam. Non vi è oro che la possa pagare».
  15. Segue invece nell’ed. Bett.: Le sporchette della tua sorte si pagano con molto meno.
  16. Bett.: sfortuna.