Poesie edite e inedite/Note alle singole poesie

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Note alle singole poesie

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Note generali al volume

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Note alle singole poesie

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Le poesie che qui si pubblicano per la prima volta in edizione Einaudi sono indicate con un asterisco.

Quando viene citato Lavorare stanca senza indicazione di edizione, ci si riferisce ad entrambe le edizioni curate dall’autore.

Quando viene citato il diario, ci si riferisce a Il mestiere di vivere (Diario 1935-1950), Einaudi, Torino 1952; nuova edizione riveduta nella serie «Opere di Cesare Pavese», Einaudi, Torino 1961.

Quando viene citata l’Appendice I e l’Appendice II ci si riferisce ai due scritti di P. riportati in appendice a questo volume, cioè rispettivamente a Il mestiere di poeta e A proposito di certe poesie non ancora scritte.

p. 11 I mari del Sud

7-14 settembre 1930. È la poesia che apre la raccolta Lavorare stanca sia nell’edizione Soiaria che nell’edizione Einaudi. La data 1931 indicata dall’A. nell’indice dell’edizione Einaudi è inesatta. Dedica: a Monti (Augusto Monti). Per il posto che I mari del Sud occupano come prima espressione poetica di P., si veda l’Appendice I e il diario (la prima annotazione e passim).

La prima minuta è travagliatissima. Cerchiamo di fissare i principali passaggi di alcuni motivi. Primo, il motivo del tacere come virtú familiare. Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo: prima di trovare la chiusa a questo verso, P. aveva scritto, al posto di ben solo: un bandito; uno scemo; bandito da tutti; un idiota inseguito a sassate; un terribile uomo | di quelli che una volta morivano in disparte. | O forse era soltanto un contadino.

L’attacco della 2a lassa è in un primo momento:

Questa sera mi ha detto: Saliamo a Moncucco?
è la cima piú alta di tutte le Langhe.

In una variante della 3a lassa, il cartoncino con un gran francobollo verdastro è firmato Pavese. I passaggi tra la 3a e la 4a lassa sono interessanti per i riferimenti autobiografici:

Poi venimmo a Torino e scordammo l’assente.
Quando un anno finita la guerra tornai nelle Langhe

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oppure:

Eravamo a Torino. Finita la guerra
un parente mi scrisse che avendo io vent’anni,
era bello tornassi un’estate a vedere i parenti.
Io da tempo pensavo ai miei alberi altissimi
ritti e immobili in vetta a colline nel mezzo dei campi
e ai ritani profondi tra i vigneti.
Il parente mi accolse con vino e parole,
mi condusse un po’ in giro e mi disse di botto
Sai che è tornato Silvio: Eccolo là!
Sul mercato era un uomo vestito di bianco
pancia e testa rotonde, un gigante solenne,
che camminava lento tra la folla.

Il quanto tempo è trascorso del 2° verso della 4a lassa, è nei primi passaggi molto tempo è trascorso e la guerra. La guerra ritorna spesso in queste varianti: La guerra che ci ha chiuso il cuore a tutti; La guerra che ci ha chiusi per tanti anni; La guerra mi ha ridato mio cugino; La guerra è lontana. A un certo punto il cugino diventa tenente di alpini e poi gigantesco, un alpino.

Una variante che si situa al posto degli ultimi due versi della 4* lassa viene mantenuta attraverso varie stesure:

Ma son stato sincero. Ogni cosa piú triste
l’ho esasperata fino a aver da ridere
piangendo, di me stesso, fino al fondo.
Ora tutto è lontano. La forza tranquilla
del cugino fraterno mi pulsa nel sangue.

Il cugino fraterno è poi corretto in mio primo compagno.

È solo dopo la 4a lassa, che P. ha chiaro in mente lo svolgimento della poesia, come provano questi appunti, scritti proprio a questo punto della prima minuta: È tornato una sera finita la guerra — mio cugino — Si vide a contrattare — Se li mangia — No, guadagnò, — commerci. Qualche notte gli scappa — parole — Pescare — Mari — Balene.

Alla 5a lassa, 6° verso, una faccia recisa era, nelle copie manoscritte e dattiloscritte, una faccia decisa. Cominciamo a trovare recisa nell’edizione Solaria. Per una correzione d’A. che non ci è arrivata o per un errore di stampa? Comunque, anche nel caso di un errore, P. non lo corresse nella seconda edizione.

Il vento al 2° verso della 6a lassa richiama dapprima un ricordo esotico:

Mio cugino si ferma d’un tratto e si volge: «’Sto vento
pare quello, mi dice, che soffia sul grande deserto
che c’è in mezzo all’Australia, soltanto è piú fresco».

E il richiamo del vento che segue all’8° verso era preceduto da altri due versi:

Io pensavo in quel mentre al sibilare
del vento sopra i pascoli d’Australia

.

Sempre nella 6a lassa, alla chiusa, P. tenta una definizione della forza del cugino:

Mio cugino ha sofferto nel mondo la fame e la morte
e forse è questo che gli ha fatto gli occhi cosí solitari,
cosí liberi e calmi.

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Mio cugino ha sofferto la fame nel mondo,
ma non per questo è cosí grave. Forse
la sua virtú è di aver vissuto il mondo
con lo stesso occhio calmo che ora adopera
pensando di irritare i canellesi.

La chiusa e pensa ai suoi motori seguitava: che ha imparato | a conoscere a Frisco in California.

La rievocazione dell’incontro con i balenieri è in una prima stesura:

Ma di una cosa serba un gran ricordo
e un cimelio: la punta di un arpone.
Ha veduto fuggire balene tra schiume di sangue
mio cugino, e rimpiange talvolta la sorte
che gli ha tolto di fare il fiociniere.
«Pianterei tutto, moglie paese garage,
se si cacciasse ancora ad arma bianca».

Nella penultima lassa, al 3° verso, la parola Cetaceo in corsivo e con iniziale maiuscola, come nella edizione Einaudi 1943, era parso, ristampando il libro dopo la morte di P., un errore di stampa, tanto che nelle piú recenti edizioni Einaudi (come quella della «Nuova Universale Einaudi», 1962) era stato corretto portando la parola in tondo e con iniziale minuscola, intendendo cioè il cetaceo come complemento oggetto di ha incrociato e non come il nome del legno olandese. Dall’esame compiuto per questa edizione invece risulta che il corsivo e la maiuscola non erano affatto un errore. Cetaceo è il nome del legno olandese, tanto è vero che nelle minute abbiamo i seguenti passaggi: su un legno olandese chiamato «L’Arpone»; su un legno olandese da pesca «Il cetaceo», che poi diventa in un’altra minuta «il Cetaceo» e nell’edizione Solaria il Cetaceo (in tondo, senza virgolette, con la maiuscola) ed è una correzione di pugno di P. quella che stabilisce il corsivo per l’edizione Einaudi.

p. 15 * Le maestrine

Ottobre 1931. Inedita. Una bella copia manoscritta è contenuta nel manoscritto Ciau Masino, un ciclo di novelle semidialettali degli anni 1931-1932, che pubblicheremo nella raccolta degli scritti giovanili. Alle novelle sono inframmezzate cinque poesie: I mari del Sud, Il blues dei blues, Le maestrine, Il vino triste, Antenati, Donne perdute. Oltre a I mari del Sud e ad Antenati, già note, pubblichiamo qui, per la prima volta, Le maestrine, Donne perdute, Il vino triste. Abbiamo escluso Il blues dei blues perché, nonostante sia datato novembre 1931, appartiene nettamente, come tipo di versificazione e come contenuto, alla fase anteriore a I mari del Sud.

18 * Donne perdute

Novembre 1931. Inedita. Si veda la nota alla poesia precedente.

20 * Canzone

10-12 dicembre 1931. Inedita. Non se ne conserva una bella copia ma solo delle minute. Il testo è stato stabilito da noi. In una prima minuta era intitolata Nuvole.

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p. 21 * Il vino triste [1°]

Dicembre 1931. Inedita. Si veda la nota a Le maestrine. È la sola tra le quattro poesie del 1931 qui pubblicate che P. conservasse insieme alle altre poesie inedite di epoca posteriore e di cui tenesse anche copie scritte a macchina.

23 Antenati

Febbraio 1932. Pubblicata in Lavorare stanca. Datata 1931 nell’indice dell’edizione Einaudi. Abbiamo trovato un frammento di minuta di una stesura precedente, in cui all’inizio compariva un altro personaggio che preoccupa tutti e scompare, fa il matto con donne e poi torna e diventa il piú solido e il piú dignitoso.

Nella storia dei due cognati (due fratelli) in un primo momento al posto de l’estraneo... una donna c’era solo la contrapposizione dei caratteri dei due uomini:

il piú vecchio era serio
calcolante, posato, spietato — un mercante.
Il piú giovane stava in negozio e leggeva

seguitando poi come nella stesura definitiva fino a che il piú giovane ha dato una mano al fratello fallito. È nei versi seguenti — probabilmente di chiusura — che fa la sua apparizione il motivo misogino, destinato poi a dominare nella stesura definitiva.

Gente lenta, ma gente sul serio, i miei padri, nessuno
ha mai detto parole di troppo od è stato vigliacco.
Solo un tale — uno zio — faceva i discorsi
dopo i pranzi, ai piú ricchi, ai curati, agli sposi,
e ha cambiato parere sul sindaco eletto.
Quello è morto a novanta ma aveva lo sguardo
della madre, non quello che ho io.

25 * Tradimento

23-30 giugno 1932 — Pubblicata nell’edizione Solaria di Lavorare stanca. Di questa poesia P. parla nel diario, in data 3 dicembre 1933. Nella prima minuta, titolo cancellato: Gelosia.

27 * Il ragazzo che era in me

13-16 luglio 1932— Inedita. Non esiste bella copia ma solo le minute: tre stesure cariche di correzioni. Il testo è stato stabilito da noi seguendo i numeri d’ordine posti da P. ai gruppi di versi che dovevano formare la stesura definitiva. Il titolo è stato cambiato piú volte: In mezzo alla medica, Risveglio nella medica, Risveglio. Le tre stesure presentano molti cambiamenti, dall’inizio che dapprima era:

Quell’uomo alto e cotto dal sole, a metà contadino
che una sera d’agosto quand’ero ragazzo
mi cacciò dal suo prato con quattro parole
e uno sguardo padrone, ho saputo che è morto
e la medica è stata divelta per dar luogo a una strada.

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Una prima oscillazione è nel valore della apparizione del padrone del prato: dapprincipio P. mette l’accento sulla laconica autorità dell’uomo, che costituisce per il ragazzo un modello di come lui avrebbe voluto essere, perciò il suo odio è quasi ammirato; in un secondo momento mette l’accento su un complesso d’inferiorità e di colpa che si determina nella sensibilità del ragazzo ferita dalla brutalità dell’energumeno: cosí con quattro parole | e uno sguardo padrone è corretto in con tante parole e sogghigni imbecilli, ma nella stesura seguente tante viene corretto in poche, poi in secche, poi in quelle, e i sogghigni imbecilli diventano un sogghigno represso. Cosí, alla seconda lassa, al 4° verso, mi disse irritato era nella prima stesura mi disse impassibile. I tre versi seguenti si leggono nella prima versione:

di guastar roba mia, ché potevo. Non altro, non gesti,
non insulti — poteva picchiare un ragazzo —
solo stette a aspettare in silenzio che fossi sparito.

Il finale della poesia da noi riportato proviene dalla prima stesura e non è stato riscritto nelle seguenti; difatti si chiude con l’identificazione offeso-offensore che già nelle prime stesure era annunciata nella terza lassa:

Se non ebbi il coraggio m’illudo a pensare che fu per timore
di quell’aria di calmo comando che aveva quell’uomo
e m’illudo oggi a credere di essere anch’io cosí calmo

E in un passaggio seguente:

Forse fu avvilimento precoce dinanzi a chi vive
faticando e tacendo — il silenzio terribile
che ha qualcuno del gruppo e le donne saltellano
quando in gita si va a visitar fonderie,
officine qualsiasi

immagini che sono state sostituite da come quando si passa ridendo dinanzi a un facchino.

Fuggire, fuggii. Passaggi precedenti: Vigliacco lo sono. Vigliacco lo fui. Vigliacchi lo siamo.

p. 29 Incontro

8-15 agosto 1932. Pubblicata nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca. In una minuta porta il titolo Amore.

30 Fumatori di carta

31 agosto-11 settembre 1932. Pubblicata nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca.

Le minute ci ragguagliano sulla genesi di questa poesia, importantissima perché è la prima poesia politica di P. (un raro documento di una produzione letteraria del genere nell’Italia di quegli anni), perché racchiude molti temi che P. svilupperà in seguito, e perché vi è un primo studio di quel personaggio che ne La luna e i falò avrà nome Nuto.

I primi abbozzi di versi cercano di fissare il paesaggio del Belbo assieme al personaggio dell’amico. Tra innumerevoli cancellature e correzioni, possiamo ricavare questa stesura:

Ho rivisto la luna d’agosto tra ontani e canneti
sulle ghiare del Belbo e riempirsi d’argento

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ogni filo di quella corrente, ma il chiuso compagno
non sentiva le piante né l’acqua: pensava attristato
a una pena caparbia

Dopo questi tentativi d’inizio, alcuni appunti (datati 30 agosto 1932) su quello che doveva essere il disegno della poesia.

Questo è un giovane — cosí e cosí — le cose antiche e care del paese sono diventate tristi. Gioiose e nemiche sono invece le nuove: ragazze — vita —

(Fin qui è tutto cancellato).

(Cose) Ragazze gioiose: nuove e nemiche. Le antiche cose perdute come il Giov. a Torino che vede lo sforzo e il tragiforte. Io che lo pensavo pilota, grande e che lo sento dirmi le teorie. Fratello caparbio. Sognato razza nuova da questa gente.

La stesura seguente porta già il titolo Fumatori di carta, che pare voglia mettere in primo piano il distacco pessimistico dell’A. (Lo stesso titolo era già stato dato a un abbozzo di novella di pochi mesi prima — 12 giugno 1932 — in cui era rappresentato con ironia un poeta afflitto da crisi spirituali).

L’inizio di questa stesura è completamente diverso sia dalla prima che dalle seguenti:

Le ragazze che passano scolpite dal vento
questa sera, mi sono nemiche. E i bambini che giocano
hanno strilli brutali di vita. Ci odiamo in silenzio.
Pure questo è il paese che ha schiuso tra prati e colline
i brutali miei sogni infantili di belle ragazze

Su questo avvio P. non riesce a continuare. I versi seguenti, che vorrebbero svolgere il motivo Queste cose non tornano sono cancellati appena abbozzati. P. prova allora a ricominciare presentando il personaggio. Diamo qui quattro successivi passaggi di questo inizio:

Ho rivisto il compagno di tante avventure
ch’era il figlio di povera gente e già buon falegname.
Mi passava di quasi dieci anni. A pescare nel fiume

È venuto a cercarmi stasera l’amico d’un tempo,
quello che a me ragazzo ha insegnato a conoscere il legno
dell’ontano, del noce, dell’albera e poi mi portava
a pescare e parlava di macchine e aveva vent’anni
e suonava il clarino. Mi parla un po’ ansioso
dell’immensa distanza che vede tra noi
«Vieni giú professore» mi ha detto. Ha trent’anni

Forse accadde anche al povero amico che siede con me
di trovare al ritorno il paese piú bello,
ma non piú il suo paese. È un prodigio di spalle
il mio amico, a piallare e menare la mazza,
e la testa è piegata un po’ innanzi, caparbia.

Chi scompone cosí i miei pensieri è l’amico
incallito a menare la mazza, un prodigio a suonare
la chitarra; che invidio e mi pare, ogni volta
che lo vedo, migliore. Potrebbe bene essere il padre
— non ha ancora trent’anni — delle vite gentili

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La stesura seguente, datata 2 settembre, è già quella che sarà la definitiva per tutta la 1a lassa. Poi ci sono degli appunti a matita: Sono poveri contadini, gli ottoni, sangue caldo e miserabile perché mis.? dice lui prima d’essere qui era operaio a Torino (un tipo da pilota) in mezzo alle impressioni ora spiega la morale ai suoi contadini (chiusa) Amico che suona Legno di razza eroica.

Seguono, datate 4 e 7 e 8 settembre, le stesure, molto laboriose, della 2a lassa, fino alla forma definitiva. Nelle varianti sono trattati (cercando di smorzare ogni soverchia eloquenza) tutti i motivi giunti alla stesura definitiva, piú qualcuno eliminato: la scuola serale che l’operaio frequenta dopo il lavoro, il contrasto miseria-ricchezza in campagna (I suoi vuoti paesi | tra le grandi colline monotone dove le case | rare in mezzo alle piante, eran tane da lupi | lo infuriarono meno dei grandi giardini | fatti a viverci in ozio) o in città (tra le fabbriche e gli alti saloni murati di pietra | dove gente elegante smorfiava cogli occhi la musica | che per lui era vita).

Si giunge quindi a un altro punto molto travagliato: gli ultimi versi della 3a lassa, quelli che nella stesura definitiva cominciano: Se li fece i compagni, cioè l’adesione del protagonista al movimento politico organizzato (I compagni eran già organizzati è un primo passaggio rimasto senza seguito) e la sconfitta dell’ondata rivoluzionaria del dopoguerra (tanta disperazione da vincere il mondo era dapprincipio tanta forza e speranza da vincere il mondo. E a questo seguiva un altro verso: E attaccarono l’ultima guerra, ma furono vinti). In una stesura seguente (datata 8 settembre) comincia ad avvertirsi l’intenzione di P. di far entrare in questi versi una critica al movimento operaio prefascista, e probabilmente all’astrattezza dottrinaria che si perpetua nell’antifascismo (cosí si spiegherebbe infatti il titolo). Soffriva le lunghe parole oscilla a lungo tra Era bello parlare agli eguali; Scomparve nel numero; E non disse piú nulla. Il verso seguente era dapprima — e non fu corretto che nella stesura definitiva —: e dovette aggreggiarsi (sic) a sentirne, sperando la fine. Una delle varianti del verso precedente proverebbe che la critica di P. va al movimento operaio per non aver saputo cogliere l’occasione rivoluzionaria: E voleva combattere subito, senza quartiere, coi suoi.

La poesia doveva terminare probabilmente (minuta del 9 settembre) con i primi versi della 4a lassa (il protagonista concentrato nel suo dolore mentre suona il clarino) cui dovevano seguire questi quattro versi finali:

Ogni tanto qualcuno tra i musicanti si volta
a sbirciare la pioggia, poi suona piú forte.
Come ieri, domani il mio povero amico
tornerà a lavorare, confuso ai compagni.

P. cancella questo finale per introdurre il personaggio del fratello maggiore (9 settembre) e l’apostrofe finale, che dapprima è riferita come discorso indiretto e con un accentuato senso di vana fantasticheria che si lega allo spirito del titolo (Almeno, potercene andare | qualchecosa faremo. E con lui quella sera | distruggemmo denaro famiglia e ingiustizie | fu possibile a noi quella sera la vita perfetta) e poi diventa discorso diretto, in termini dapprima facilmente violenti ed elementari, fino a che (11 settembre) non si fissa sul concetto del rispondere no | a una vita che adopera persino l’amore per gli altri | carità, sacrificio, a tenerci piú schiavi. Le ultime correzioni (in una variante eliminata maledimmo la guerra viene corretto in maledimmo l’amore) vertono [p. 234 modifica] appunto su questa nota dell’amore nemico da cui aveva preso le mosse la composizione della poesia nei primi abbozzi dell’inizio.

p. 32 * Ozio

Inverno 1932. Pubblicata nell’edizione Solaria di Lavorare stanca. In una minuta ha il titolo La fabbrica chiusa.

Questa poesia era citata, come esempio di ricadute nell’oggettività, nel manoscritto dell’Appendice I, al posto di Gente che non capisce.

34 Pensieri di Deola

3-12 novembre 1932. Pubblicata in Lavorare stanca.

36 * Estate di San Martino

Dicembre 1932. Inedita.

37 Paesaggio I

1933. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’edizione Solaria le poesie intitolate Paesaggio non erano contraddistinte da numeri romani. Dedica: al Pollo, soprannome del pittore Mario Sturani. Nelle minute, altri titoli: La voce di Dio, L’eremita, I due eremiti, Gli eremiti, La collina dell’eremita, Collina ai miei paesi, Egloga dei miei paesi.

Nelle prime stesure il personaggio che narra vive con l’eremita (Io che scendo in città per comprargli il tabacco | con le offerte delle anime pie, conosco ragazze | che mi sbirciano lungo le vie e poi chinano gli occhi) e si accenna a una funzione propiziatrice per i raccolti (Coste e valle di questa collina son tutto un rigoglio | di raccolti perché l’eremita le guarda dall’alto) che si collega alla visione panica del finale, attribuita all’eremita (L’eremita vorrebbe vestirle di pelle di capra | rotolarle per terra e mandarle su tante colline). Il mondo del lavoro dei contadini è contrapposto al mondo della contemplazione panica, ma il motivo dell’acqua dei pozzi e del pezzente assetato dapprima pare un richiamo all’avarizia dei contadini (Hanno vino, hanno grano, ma basta che passi un pezzente | e anche l’acqua che i pozzi riversano in mezzo ai raccolti | l’ha bevuta la terra) in contrasto con lo spirito delle offerte propiziatrici all’eremita.

Su questa «poesia su un eremita» che diventa Paesaggio si veda l’Appendice I e il diario in data 20 novembre 1937.

39 Gente spaesata

1933. Pubblicata in Lavorare stanca. Nelle minute, altri titoli: Piemontesi, Ritorno a casa.

40 * Canzone di strada

1933. Pubblicata nell’edizione Solaria di Lavorare stanca. Di questa poesia P. parla nel diario in data 3 dicembre 1933. Sul retro di una minuta si trovano degli appunti per il saggio su Walt Whitman pubblicato su «La Cultura» del settembre 1933.

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p. 42 * Proprietari

12-16 febbraio 1933. Pubblicata nell’edizione Solaria di Lavorare stanca. In una bozza di stampa, all’8° verso l’A. ha cancellato di affari.

44 Due sigarette

1933. Pubblicata in Lavorare stanca.

46 * Pensieri di Dina

23-24 marzo 1933. Inedita. Già compresa nelle bozze dell’edizione Solaria di Lavorare stanca ed eliminata dalla censura.

Nelle minute, un indizio eliminato:

È girata la voce che in qualche isolotto di pioppi
sul Sangone, va a prendere il bagno una giovane nuda.
Oggi in acqua fa un’afa, che toglie ogni forza
e fa andare piú lenti i barconi dei tre sabbiatori
che si vedono ancora alla svolta. (L’amico che punta
mi si staglia sul verde profondo del bosco di pioppi.
Oggi siamo anche soli, sul Po).

Un foglio contiene i seguenti appunti:

Girare. Bruna, meglio sotto le foglie alle ombre. Meglio che sia operaia. Piú facile? Piú sana?

Pioggiazza. Staffilante. Fuga, vestiti caldi. È alla pioggia, fumante, tra le foglie.

Il motivo della bagnante nel Po sorpresa nella pioggia verrà ripreso nel racconto Temporale d’estate (si veda il volume Racconti).

47 Paesaggio II

1933. Pubblicata in Lavorare stanca. In una minuta porta il titolo Invidia. Di questo «Paesaggio col fucile», P. parla nel diario in data 24 novembre 1935.

48 Una stagione

1933. Pubblicata in Lavorare stanca. Sul posto di questa poesia come inizio del tema della «vita carnale» nell’opera di P., si veda il diario in data 12 novembre e 5 dicembre 1933.

50 Il dio-caprone

4-3 maggio 1933. Pubblicata nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca; già compresa nelle bozze dell’edizione Solaria ma eliminata per il veto della censura (Non può uscire il «Dio-caprone» tutto pieno di castissime risoluzioni..., da una lettera dal confino a Mario Sturani, 27 novembre 1933, riportata da D. Lajolo ne Il «vizio assurdo», Milano 1960).

52 Mania di solitudine

27-29 maggio 1933. Pubblicata in Lavorare stanca. Di questa poesia P. parla in Appendice I.

Sul retro di una copia dattiloscritta di questa poesia c’è un appunto [p. 236 modifica] manoscritto di P., una nota di poetica sul tipo di quelle che svilupperà nel Mestiere di poeta e nel diario, ma certo anteriore a queste, dato che documenta una fase iniziale dello sviluppo del suo concetto di «immagine-racconto».

«Il mio lavoro consiste nel mettere insieme una costruzione che per una corrispondenza di parti stia a sé, e la materia va fatta di una realtà che viva per animati rapporti, non di immagini esterne, ma di equivalenze e mescolanze tra vari aspetti dei piú emergenti e sintetici di questa realtà. All’immagine coloristica o musicale — fantasiosa — sostituisco la costruzione pesata della realtà stessa che tratto.

«Basta che noti nella vita un primo nucleo di rapporti — anche solo un binomio — e qui sopra approfondisco e costruisco una realtà tutta fatta di pensiero animato e parlato. Non capisco né musica né figurative, per questa ragione. Che realtà hanno le note? Che possibilità di costruzione dall’interno i colori e le forme?»
p. 54 Atlantic Oil

1933. Pubblicata in Lavorare stanca. In margine a una minuta gli appunti: Alba che mostra il cartello — polvere — autos. Chieri-Torino — Vita di autos. — Lui — mestiere — Bello — svegliato avrà reumi.

56 Crepuscolo di sabbiatori

1933. Pubblicata per la prima volta nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca.

58 Città in campagna

1933. Pubblicata in Lavorare stanca.

60 * Lavorare stanca [1°]

18-19 luglio 1933. Inedita. Da non confondersi con la poesia dallo stesso titolo dell’anno seguente, che sarà compresa nel volume omonimo. Nella 3a lassa, all’11° verso, che la donna gli ignora: le varianti (che la donna ignorava; che gli sta nella mente e la donna gli ignora) chiariscono l’espressione involuta: che si riferisce a voglia.

62 Gente che non capisce

29-31 luglio 1933. Pubblicata in Lavorare stanca. A questa poesia P. accenna nella Appendice I. Nelle minute, l’inizio di una prima versione:

Gella andò innanzi e indietro per tutto l’inverno
lungo il viale che va alla stazione. Guardava soltanto
le vetrine piú accese e saltava sul treno
senza dire mai nulla. Poi quando, le sere d’aprile,
i lampioni riempirono il verde del viale
di sorgenti di luce, scoprí che altri treni
le servivano, molto piú tardi, e restò a passeggiare
con compagne. Finita l’annata, non venne piú in Alba.

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p. 64 Casa in costruzione

1933. Pubblicata in Lavorare stanca. Di questa poesia P. parla in Appendice I.

66 Balletto

1933. Pubblicata nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca; già compresa nelle bozze dell’edizione Solaria ed eliminata dalla censura.

67 Agonia

1933. Pubblicata nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca. In una minuta: dedicata alla Gazzella. Dalle minute risulta che la prima idea di P. era stata quella di narrare il suicidio di una giovane, in terza persona, ed era poi passato a esprimere in prima persona i pensieri della giovane al momento del suicidio. Il primo tentativo è documentato da questi appunti della minuta:

Arrestarsi un istante a vent’anni e guardare la vita
prender forma a quegli occhi che parvero stanchi,
ma costei si è fermata per sempre.

Si è veduto che questa ragazza era giovane: il sangue

     Pensieri del giovane che l’ha vista cadere

Per morire ha spruzzato la strada di sangue
e sconciato le membra a brandelli

Ogni sasso consunto ricorda il suo passo,
e talvolta ci passano donne piú belle.

68 * Gente non convinta

Estate 1933. Inedita. Una minuta porta il titolo Disciplina e l’annotazione Sono soldati di campagna.

69 * Fine della fantasia

1933. Inedita. Minute molto travagliate e piene di correzioni ma che non servono a diradare l’oscurità del testo, il quale non può essere inteso che alla luce del titolo — cioè come un’allegoria letteraria — e d’un motivo che ricorre spesso nelle riflessioni di poetica di Pavese. (Per esempio si veda n di Appendice II: La poesia che stiamo per scrivere aprirà delle porte alla nostra capacità di creare, e noi passeremo per queste porte — faremo altre poesie —, sfrutteremo il campo e lo lasce remo spossato). Qui è la capacità di creare che è spossata, dopo troppi risvegli, e non sa piú svegliare la terra.

70 * Cattive compagnie

Principio di ottobre 1933. Pubblicata nell’edizione Solaria di Lavorare stanca. Alcune varianti dalle minute possono aiutare a chiarire il testo:

Quest’uomo lavora, ma quando ha finito il lavoro
ha bisogno di andare con donne che dicano no.
C’è la figlia dell’oste che a molti ha già detto di sí

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E sogghigni ne vede e ne fa, sul lavoro,
anzi è mezzo lavoro, ma quando è seduta
e sorride, è feroce mostrarle quei volti.

e là sopra lavora, ridendo. E sogghigni ne vede
e ne fa, sul lavoro: anzi, è mezzo lavoro
un sogghigno ben fatto. Ma non da un estraneo
che in silenzio contempla un idiota parlare.

Quello vero è tranquillo del 3° verso era stato prima Quello vero è il piú triste e poi Quello vero è furente.

p. 71 Piaceri notturni

1933. Pubblicata in Lavorare stanca. Di questa poesia P. parla nell’Appendice I .

73 Gente che c’è stata

1933. Pubblicata nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca. Nelle minute, nelle copie dattiloscritte e in vari elenchi manoscritti di poesie, porta il titolo Gente che ha fatto la guerra.

74 Paternità [1°]

1933. Pubblicata nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca. (Da non confondere con un’altra poesia dallo stesso titolo scritta nel 1933). Già compresa nelle bozze dell’edizione Solaria ed eliminata dalla censura. In una minuta, il titolo: Fantasia paterna. Varianti del terzultimo verso: che torni a portargli da bere; che torni a pagargli da bere; che torni coi soldi; che torni piú ricca.

73 * Disciplina antica

1933. Pubblicata nell’edizione Solaria di Lavorare stanca. Alla 2a lassa, ultimo verso, 'sto era scritto con l’apostrofo; l’abbiamo tolto, seguendo una correzione dell’A. su una bozza di stampa e in conformità alla grafia che P. adottò in seguito.

76 Indisciplina

1933. Pubblicata in Lavorare stanca.

78 Mediterranea

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Nelle minute, altri titoli: Non ci si capisce; Terre lontane; Razza mediterranea.

La poesia — secondo quanto ricorda Mario Sturani, l’amico che parla poco — si riferisce a un viaggio a Firenze compiuto da P. e da lui nell’estate, a un negro che essi videro alla stazione di Pisa e a una sosta dei due amici a Camogli.

[p. 239 modifica]
p. 80 Disciplina

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Nelle minute, le varianti insistono nella definizione della città diurna come disciplina comune, in contrasto all’isolamento indocile della notte.

La città chiara assiste ai lavori e ai sogghigni.
Sembra, ed è, fatta adesso, ma tutta per noi.
Non c’è arresto del nostro lavoro che conti per lei
che continua lo stesso. È l’insieme di tutti i lavori
che abbiam fatto. Permette che alziamo la testa
ogni tanto, e sa bene che poi la chiniamo.

Fin da prima dell’alba ritorna alla vita
come noi, tra l’indocilità di ciascuno di noi.
£ un qualcosa di saldo davanti a ogni nostro lavoro,
come il nostro stupore di prima dell’alba.

81 Legna verde

1934. La stesura della poesia dev’essere pressapoco contemporanea all’articolo su Faulkner che usci su «La Cultura» dell’aprile 1934, perché uno stesso foglio ha servito per la minuta d’un pezzo di poesia e di un pezzo di articolo; quindi la poesia dovrebb’essere dei primi mesi del 1934.

La prima minuta comincia fissando una situazione puramente lirica che nelle stesure seguenti non viene ripresa (ma che sarà il tema d’un’altra poesia del 1934, presumibilmente di poco posteriore a questa, Paesaggio V): le case della città che al buio sembrano colline. Il primo tentativo di inizio nella minuta si legge infatti:

L’uomo fermo ha dinanzi colline nel buio
ma non sono che case: si è spenta ogni luce
e le masse nerastre diventano grandi (colline)
a due passi: se viene la luce, ritornano case.

Sotto a questi primi versi cancellati, vi sono due titoli tra parentesi: Scoraggiamento e Nessuna debolezza, e due versi (il primo incompleto, preceduto da puntini di sospensione):... L’uomo fermo ha dinanzi | un lavoro che torna a portarlo in prigione, poi comincia la stesura dell’inizio nella forma che sarà la definitiva. I due titoli tra parentesi e i versi in margine già stabiliscono la situazione che P. vuol definire: un uomo sta per riprendere l’azione politica clandestina dopo essere stato in prigione, senza avere piú le speranze di quando stava in prigione e i compagni attendevano e il futuro attendeva. La vista delle colline gli pone l’alternativa della vita del campagnolo (i villani in tutte le stesure) che lotta contro un suolo reale, non preoccupandosi che di coltivare il proprio campo (in una variante: Hanno pure una gioia i villani: il pezzetto di terra | che contendono a tutti. Che importano gli altri?) Il richiamo alla realtà della lotta e alla solidarietà coi compagni era espresso nella prima stesura con questo finale: Ma l’odore di terra stavolta anche giunge | in città e annebbia gli occhi: si pensa ai compagni | in prigione e ai selciati spruzzati di sangue. (In una stesura seguente: in prigione, a qualcuno che ha già chiuso gli occhi).

Il titolo Legna verde', che compare in testa a una stesura quasi compiuta, richiama l’immagine del fumo, come già Fumatori di carta, e ha chiaramente la stessa funzione di marcare il distacco critico di P. verso [p. 240 modifica] l’immaturità del movimento antifascista clandestino? verso la sorte della gioventú antifascista torinese destinata a bruciare ancora verde nelle galere?)

La dedica a Massimo (Mila) ci richiama al clima in cui la poesia è nata: nel 1934 Mila era già stato in prigione una volta (nel 1929) e l’anno dopo, nel 1935, sarà nuovamente arrestato (contemporaneamente a tutto il gruppo torinese, P. compreso) e condannato a ben sette anni (ne sconterà cinque). (Mila ricorda che P. appena scritta la poesia gliela portò a casa con la dedica; nell’edizione Solaria di Lavorare stanca del 1936 — che viene stampata mentre Mila era detenuto — la poesia è senza dedica; la dedica ricompare nella edizione Einaudi del 1943).

p. 83 Una generazione

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Scritta quasi certamente nelle stesse settimane della precedente (i fogli della minuta sono mescolati a fogli della minuta dell’articolo su Faulkner).

Un’interessante testimonianza a proposito di questa poesia è riportata da D. Lajolo (Il «vizio assurdo», Milano i960, p. 38): due annotazioni che P. ha scritto di suo pugno su una copia di Lavorare stanca (presumibilmente nel 1946 o ’47). Al 3° verso: 18 dicembre 1922. Ricorda: eccidio di Torino (Brandimarte) Barriera di Nizza. Al 14° verso: I morti: Beiruti, Tanti, Chiolero, Massaro, Tarizzo, Andreoli, Becchio, Chiotto (un ragazzo comunista), Mazzola, Quintaglie. Io allora avevo 12 anni. Sulla possibilità che la censura permettesse di pubblicare questa poesia devono esserci state esitazioni, al momento in cui le edizioni di Solaria si accingevano a pubblicare Lavorare stanca, e particolarmente dopo l’arresto di P. (Penso che il volume nella sua forma definitiva con l’esclusione cioè di «Una generazione» potrebbe ora uscire, semplicemente passandone le bozze al Ministero dell’Interno per l’autorizzazione. Da una lettera di P. dal confino ad Alberto Carocci del 7 agosto 1933, riportata da D. Lajolo, op. cit., p. 174).

Nelle minute, una prima versione dell’inizio:

I ragazzi che vanno a giocare nei prati
non importano: abbiamo giocato anche noi
certe sere di luci lontane. Era un gioco rischioso
qualche volta avevamo paura, in città si moriva.

Varianti del penultimo verso:

Gli operai sono ancora in prigione. Ci sono le donne
(Moribondi son)
(E quegli altri son sempre)

Dopo l’ultimo, tre versi eliminati:

Ma nessuno lo sa che siamo cresciuti
noi che abbiamo giocato in quei prati (operai) (alla sera)
e saputo che fino le donne (sparavano) (morivano) allora

85 Dopo

1934. Pubblicata nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca.

[p. 241 modifica]
p. 87 Paesaggio IV

1934. Pubblicati in Lavorare stanca.

88 Rivolta

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Probabilmente anche questa poesia si riferisce a un episodio di violenza fascista. Ma non è chiaro il legame tra il fatto di sangue evocato nelle prime due lasse e il personaggio del pezzente dell’ultima lassa. Anche qui forse la chiave è nel titolo: quella del pezzente è l’ultima forma di rivolta possibile? Le varianti delle minute non bastano a chiarire le oscurità. Nella prima stesura l’inizio si legge: Quel morto è rimasto disteso tranquillo | tra i capelli incollati sull erba. I due vivi (son soli) (che cantano) (passano) (sanno) (cantato, han cantato) | e ci tremano sopra, quelli vivi, e ora tornano a casa convinti.

89 Paesaggio V

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Nelle minute, in tre versi eliminati, il tema della poesia:

Hanno un senso le pietre che prendono pioggia
giorno e notte e non crescono nulla? Hanno un senso le strade
della enorme città tranne all’alba?

91 La cena triste

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. A questa poesia P. accenna in Appendice I .

93 Ritratto d’autore

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Dedica: a Leone (Ginzburg). Nelle minute, altri titoli: Due vagabondi; L’azzurro d’estate. Le varianti chiariscono il punto di partenza della poesia: due vagabondi seduti per terra di cui uno s’è tolto i pantaloni e l’altro la maglia e fanno, cosí in due, un corpo nudo.

Il collega, che puzza, disteso con me
sulla pubblica strada, per prendere il fresco
s’è levato i calzoni. Io mi levo la maglia.
C’è cosí l’uomo nudo — due gambe da toro
e un torace di anguilla — ma non passa nessuno.

La poesia continua sviluppando il rapporto di immagini pelo — puzzo — potenza sessuale, visto da chi invece si identifica con la pelle liscia e senza puzzo e si vede simile al ragazzotto (parola poi sostituita col termine piemontese gorbetta) che ha le gambe d’anguilla anche lui (ma il primo riferimento all’anguilla era stato eliminato) e che ancora attende la prova amorosa. Il titolo e la dedica si riferiscono evidentemente a identificazioni scherzose tra gli amici ai quali P. leggeva le sue poesie.

[p. 242 modifica]
p. 95 Il tempo passa

1934. Pubblicata in Lavorare stanca.

97 * Gelosia [1°]

2-3 marzo 1934. Inedita. In una minuta, due versi eliminati enunciano il tema: Per salvare la faccia, cosí in compagnia | di colleghi, c’è solo la gara del vino.

99 Lavorare stanca [2°]

1934. Pubblicata nel volume omonimo. Il titolo era già di una poesia dell’anno prima, completamente diversa, ma anche là senza legame apparente con il contenuto, che là era la fatica d’una vana schermaglia amorosa e qua è la tristezza dell’uomo che non ha una casa e non sa farsene una. Nelle minute, nel primo verso troviamo correre a casa e scappare di casa che si alternano per due volte; nel secondo e terzo: ma girare le strade | come in tutte ci fosse una casa.

100 Maternità

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Nel dattiloscritto porta il titolo Nudismo.

102 Grappa a settembre

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Di questa poesia P. parla nel diario, in data 16 dicembre 1933.

103 Atavismo

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’edizione Solaria porta il titolo Civiltà antica. Nelle minute, i titoli: Dopo il mare; Ritorno dal mare; Pensieri di una volta. Dalle varianti si segue come P. cerchi di esprimere, attraverso la memoria dell’infanzia, il tema — che ritornerà spesso nelle sue opere — della nudità, della vergogna atavica, sacrale nelle civiltà primitive e agricole.

Il ragazzo non dorme, ma è nudo.
Ha paura che passi qualcuno per strada
e lui nudo a vederlo. Si passa una mano
sopra il fianco e non osa guardarsi.

105 Esterno

1934. Pubblicata in Lavorare stanca.

[p. 243 modifica]
p. 107 Paesaggio III

1934. Pubblicata in Lavorare stanca. Nelle minute: titoli: L’uomo bianco; Un uomo bianco; Il bianco; Un bianco. Le varianti indicano il motivo da cui P. parte: un vagabondo dalla pelle bianca disprezzato dai contadini anneriti dal sole.

Smorto è sempre, quest’uomo, magari ha paura
che i villani tralascino una volta il lavoro
e gli calino addosso con quei pugni pesanti
a fiaccargli la pelle. Se avessero tempo
i villani l’avrebbero già insanguinato.

108 * Il vino triste [2°]

Dicembre 1934. Inedita. Fa parte del fascicolo dattiloscritto Poesie del disamore.

109 * La pace che regna

1935. Inedita. Nel manoscritto definitivo è senza titolo. In un elenco di poesie, P. la indica come Il piacere del vecchio... Il titolo da noi scelto si trova in una minuta, insieme a un altro: Rivoluzione permanente, mentre è cancellato un primo titolo: Avventura.

110 * Creazione

Gennaio 1935. Inedita. Fa parte del fascicolo dattiloscritto Poesie del disamore. Nel manoscritto, la dedica cancellata: A T.

111 Civiltà antica

1935. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’edizione Solaria porta il titolo Atavismo. Il legame tra le due poesie, suggerito dallo scambio dei titoli e dal motivo comune del ragazzo e della strada d’estate, non è chiaro: si tratta in entrambe di una rivelazione infantile, di un retaggio ancestrale di fronte al quale il ragazzo si sente estraneo: in Atavismo la rivelazione della nudità propria e di tutti, qui il lavoro che accomuna e isola gli adulti. In una minuta, prima dell’inizio, ci sono degli altri versi che annunciano l’evocazione d’un ricordo decisivo:

Basta uscire di casa e arrestarsi per via
perché l’attimo torni. Si levano gli occhi
su le case, con l’ansia che qualcosa cominci.
Su le case s’indugia la nuova stagione
col suo cielo tranquillo e chi usciva, sospeso
fra se stesso, ripiomba a guardare le cose.

112 Ulisse

1935. Pubblicata in Lavorare stanca.

[p. 244 modifica]
p. 114 Avventure
1935. Pubblicato in Lavorare stanca.
13 maggio 1935: arresto di Pavese.
4 agosto 1935: Pavese, condannato al confino, arriva a Brancaleone Calabro.


115 Donne appassionate

Brancaleone, 13 agosto 1935. Pubblicato in Lavorare stanca. In una minuto porta il titolo Donne d’una volta.

116 Luna d'agosto

Brancaleone, agosto 1935. Pubblicato in Lavorare stanca. Di questa poesia si parla nel diario Il mestiere di vivere, in dato 24 novembre 1933.

117 Terre bruciate

Brancaleone, agosto 1935. Pubblicato in Lavorare stanca. In una minuta porta il titolo Terra d’esilio. I primi appunti della poesia provano che P. aveva cominciato a svolgere il tema del confronto tra Nord e Sud con un paesaggio di campagna:

C’è la vigna matura sulle zolle nerastre,
c’è la macchia, piú chiara, del verde canneto,
e montagne lontane. C’è i colori e gli odori
dell’infanzia, ma troppe montagne.
Il gran mare si stende, nascosto dagli alberi
e risplende, scintilla, respiro...
Fumeremo la pipa, ignorando anche il mare.

Sotto a questi versi sono segnati i seguenti appunti che dànno già lo schema della poesia:

Alta It. vista da lui
Ascoltatori Bassa It.
Alta It. vista da me

Ci sono donne lassú che... e i giovani ascoltano e intorno i fichi e il mare... e io penso a lassú.

Poi subito comincia la stesura dal primo verso, Parla il giovane smilzo che è stato a Torino, senza varianti di rilievo tranne che sul confronto Sud-Nord nel trattare le donne. Riporto alcune varianti cancellate: a Torino la gente ha da fare (Ma gli uomini tirano via)... a Torino gli uomini non le sanno pigliare (trattare), | han da fare altre cose. Noi viviamo per loro (noi diciamo le cose che piacciono a loro) (Noi piacciamo di piú t siamo uomini maschi)... Sono donne che vogliono la vera passione...

119 Paesaggio VI

Brancaleone, settembre 1935. Pubblicato in Lavorare stanca. Di questa poesia P. parla nell’Appendice II e nel diario, in data 16 dicembre 1933 e 16 febbraio 1936.

[p. 245 modifica]
p. 121 Poggio Reale

Brancaleone, 13 settembre 1935. Pubblicata in Lavorare stanca. Il titolo si riferisce a una detenzione di P. nel carcere di Poggio Reale, a Napoli, durante il viaggio di transito per Brancaleone.

I primi versi sono di stesura precedente (compaiono isolati in mezzo ad altri appunti), forse del maggio (in un elenco delle poesie scritte al confino e divise per mesi, Poggio Reale figura tra quelle di settembre ma reca tra parentesi l’indicazione maggio) e in questo caso si riferirebbero ai primi giorni di detenzione (probabilmente a «Regina Cœli» di Roma, dove P. e altri degli arrestati del 13 maggio furono trasferiti), cioè alle prime impressioni del cielo attraverso la finestra della cella.

Donne appassionate, Luna d’agosto, Terre bruciate, Poggio Reale, Paesaggio VI sono le cinque poesie che P. invia dal confino alle Edizioni di Solaria e che vengono aggiunte alla fine del volume. Dopo Poggio Reale (o — se bene interpretiamo un’indicazione segnata da P. in un elenco cronologico delle poesie del confino — dopo le tre poesie seguenti che non dovevano entrare nel volume — la prima troppo chiaramente ispirata al confino, le altre due giudicate dall’autore non riuscite e lasciate inedite — P. licenzia per la stampa Lavorare stanca, che uscirà in data 14 gennaio 1936).

Da qui in poi, quindi, nelle nostre note, il titolo Lavorare stanca si riferirà solo all’edizione Einaudi del 1943.

122 Parole del politico

Brancaleone, settembre 1935. Pubblicata in Lavorare stanca, nel cui indice è datata: ottobre 1933. Nella minuta, altri titoli: Il racconto dell’amico, Il racconto del viaggiatore, Parole dell’amico, Racconto del politico.

123 * Altri tempi

Brancaleone, settembre 1935. Inedita. Nella minuta, il verso c’è un bastardo di piú sotto il sole è reso piú chiaro da una variante eliminata (dopo Nelle risse lasciava per morto il rivale): ma ne ha piú messi al mondo che stesi per terra. Altra variante eliminata è per Se li sogna di notte: Sono sempre lontani e Non li ha visti nessuno (che rende piú chiaro Quello vero al verso seguente). Variante eliminata del finale: Mangiava | ma era schiavo. Il ragazzo lo tira | sulla libera strada dal mattino alla sera. Sul manoscritto definitivo, al 24° verso variante alternativa: mangiano-succhiano. Altre varianti in una stesura intermedia: alla fine della 1a lassa (invece di Nei sereni d’inverno ecc.): Alla guerra, le bombe | le guardava venire nei mattini sereni che poi diventa: le sentiva arrivare e poteva scansarsi.

123 * Poetica

Brancaleone, settembre 1935. Inedita. Varianti alternative, in margine al manoscritto piú definitivo: al 21° verso s’è aperto invece di è fiorito; all’ultimo verso: tra le solide case invece di tra le case infinite.

[p. 246 modifica]
p. 127 Mito

Brancaleone, ottobre 1935. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’indice del volume è data l’indicazione del mese. Nelle minute, i titoli: Teogonia; Creazione.

128 Semplicità

Brancaleone, ottobre 1935. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’indice del volume è datata: dicembre 1935. Questa poesia è citata nell’Appendice II. Nella minuta, al 3 ° verso, una prima variante diceva: si vorrebbe ammazzare qualcuno | con lo stesso fucile, ma allora si torna in prigione.

129 Un ricordo

Brancaleone, ottobre 1933. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’indice del volume è datata: novembre 1933.

130 Paternità

Brancaleone, ottobre 1935. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’indice del volume è datata: dicembre 1935. Nella minuta, il titolo L’amore triste. La prima stesura del verso 15° e seguenti è: dentro il letto la donna che farebbe il bambino, | se non fosse lontana, di là delle nubi, | al di là delle grandi montagne.

Il titolo Paternità può essere inteso in contrapposizione a Maternità, titolo d’un’altra poesia. Là si parla d’una maternità che è presente nei figli anche quando la donna è morta, qui d’una paternità che non si realizza in uomo solo e senza figli. Certo P. dava importanza a questa contrapposizione, visto che questi due titoli di poesie sono anche, nell’edizione Einaudi di Lavorare stanca, titoli di due sezioni del libro. Si tratta di due motivi sempre presenti nella concezione mitologico-agricola che Pavese ha di tutti gli aspetti della vita: il senso della donna-terra, che trasmette la vita; e il senso di sterilità dell’uomo solo, escluso dal ciclo naturale della procreazione. Si noti come il mare in gran parte delle poesie di Pavese è un simbolo di sterilità, contrapposto alla terra-donna. Sarà solo con le poesie de La terra e la morte e con la annotazione del diario Afrodite è «venuta dal mare» (27 novembre 1943) che i due simboli del mare e della donna-terra si congiungeranno.

131 * Alter ego

Brancaleone, ottobre 1935. Inedita. Questa poesia (ispirata certo da un incontro carcerario dell’A. è databile con relativa sicurezza perché la minuta — col titolo — è contenuta nel block-notes delle poesie scritte a Brancaleone, tra Paternità e L’istinto) non figura mai negli elenchi di Pavese, nemmeno in quello dello stesso block-notes. Una stesura quasi definitiva della poesia si è trovata in una cartella di manoscritti intitolata Fallimenti ’41 — e ’42 — e ’47. Insieme a questa, su un foglietto d’aspetto piú recente, un’altra stesura, in cui l’abituale verso di tredici sillabe è accorciato in dodici sillabe, quasi sempre trasportando i verbi dall’imperfetto al presente. Evidentemente il primo foglio è del ’35, ed era stato ripreso da Pavese (nel ’41-42?) per un esperimento di metrica.

[p. 247 modifica]

Non riportiamo questa seconda versione che non presenta interesse tranne quello di una ricerca metrica rimasta a uno stadio ancora meccanico e incerto.

p. 132 L’istinto

Brancaleone, novembre 1935. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’indice è datata: febbraio 1936.

133 Tolleranza

Brancaleone, dicembre 1935. Pubblicata in Lavorare stanca. Nell’indice è datata: novembre 1933.

134 Lo steddazzu

Brancaleone, 9-12 gennaio 1936. Pubblicata in Lavorare stanca. L’indicazione del mese è pure nell’indice. Di questa poesia P. parla Appendice I .

Steddazzu, nel dialetto di Brancaleone (in altri dialetti calabri stigliazzu): la stella del mattino.

(13 marzo 1936. Fine del confino).

135 * Ritorno di Deola

Marzo-aprile 1936. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore. Nella minuta, titoli precedenti: Consigli di Deola, Fioretti di Deola, Tenerezze di Deola. Dalle correzioni della minuta si può arguire che P. comincia questa poesia della disillusione del ritorno in prima persona plurale con gli aggettivi al maschile; l’idea di mettere a protagonista una prostituta che riprende la sua solita vita gli viene probabilmente in un secondo momento, e allora passa gli aggettivi al femminile e sviluppa il tema della prostituta; fa un tentativo di portare tutto in terza persona; poi ritorna alla prima persona plurale con gli aggettivi al maschile ed elimina gli accenni piú espliciti alla vita della prostituta in modo che — nonostante il titolo — appaia chiaro che parla di se stesso.

136 * Abitudini

Agosto 1936. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore.

138 * Estate [1°]

7-9 ottobre 1937. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore. A questa e alle seguenti pare alludere P. nel diario (in data 30 dicembre 1937) quando dice di avere in quell’anno «risfiorato la poesia-sfogo e vinto».

139 * Sogno
12-16 ottobre 1937. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore. Nella minuta i titoli: Supplica; Conversazione. Prima stesura dell’inizio: Il tuo corpo ridente all’acuta carezza | della mano o dell’aria, ritrova nell’aria | qualche volta il mio corpo?
[p. 248 modifica]
p. 140 * L’amico che dorme

20 ottobre 1937. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore. Alla 2a lassa, 4° verso, dove nel dattiloscritto si legge muto, nel manoscritto si legge nudo.

141 * Indifferenza

24 ottobre 1937. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore.

142 Rivelazione

28 ottobre 1937. Pubblicata in Lavorare stanca. Nella minuta, il titolo: La donna. La stesura iniziale dei primi due versi era:

L’uomo solo rivede il ragazzo dal magro
cuore assorto a scrutare la strada per gioco

Cioè di nuovo la situazione di Atavismo e di Civiltà antica: il ragazzo che guardando la strada ha una sua esperienza conoscitiva fondamentale.

143 * Gelosia [2°]

2-3 novembre 1937. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore. In una minuta, il titolo: Cattiva annata.

144 * Risveglio

7-8 novembre 1937. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore. Il titolo è segnato solo sul manoscritto; nel dattiloscritto è sostituito da asterischi. Nella minuta, vi è anche il titolo: Finestra.

143 La puttana contadina

11-13 novembre 1937. Pubblicata in Lavorare stanca. Nella minuta, attraverso alcune varianti, si può seguire meglio il motivo del profumo inesperto (verso 3°) che ritorna nella 2a lassa al verso 5° e nella 3a lassa al 7° e al 10°(dove se ne dà la spiegazione).

sa il profumo del primo belletto inesperto
caloroso sugli usci indolenti. Un profumo
inesperto, versato sul sudore animale
delle membra piú giovani e tozze.

Se qualcuno avvertiva i capelli (esalanti) impregnati
abbassava lo sguardo, come avessero scorto
tra la veste il suo corpo.

147 La vecchia ubriaca

22-28 novembre 1937. Pubblicata in Lavorare stanca. Nel manoscritto, la dedica a T. V. Nella minuta, il titolo La vecchia d’estate. Su questa poesia, si veda il diario in data 30 dicembre 1937.

148 La moglie del barcaiolo

1938 (inverno 1937-38). Pubblicata in Lavorare stanca.

[p. 249 modifica]
p. 150 La voce

23-26 marzo 1938. Pubblicata in Lavorare stanca. Tra i versi cancellati nella minuta:

Può accadere che dietro la porta si fermi qualcuno
e sollevi la mano a bussare.

Una camera è fatta per starci in attesa. La voce
bassa e dolce si schiude nel fresco silenzio.

Se scoppiasse la voce
non sarebbe un prodigio. Ogni cosa è la stessa.

Prima di questa poesia, la stessa minuta porta due versi cancellati che si direbbero d’un’altra poesia:

L’acqua gelida e opaca del mese d’aprile
non attendeva un corpo, s’è dibattuta un poco

151 * Due

4-6 aprile 1938. Inedita. Fa parte delle Poesie del disamore. Il titolo è segnato solo nel manoscritto; nel dattiloscritto è sostituito da asterischi.

152 * Paesaggio [1938]

Aprile 1938. Inedita.

133 La notte

16 aprile 1938. Pubblicata in Lavorare stanca.

154 Il figlio della vedova

2— 3 maggio 1939. Pubblicata in Lavorare stanca. In una minuta, un primo abbozzo di inizio:

L’uomo solo ha una donna che paga per tutti,
una donna che passa le notti in attesa
o in silenzio. Una donna che soffre, da urlare,

136 Il carrettiere

3— 8 dicembre 1939. Pubblicata in Lavorare stanca. Nella minuta e nel dattiloscritto porta il titolo Il giovane carrettiere. Nella minuta, versi cancellati:

Quella casa che ha visto passare il carro
non si è mossa, nessuno si muove ancora
è lontana.

Le cascine che vedono passare il carro
son vuote, di notte ogni cosa è vuota,
si sta soli, distesi a cogliere l’alba.

Di questa poesia P. parla nel diario in data 1° gennaio 1940.

157 Il paradiso sui tetti

11-16 gennaio 1940. Pubblicata in Lavorare stanca. Nella minuta, titoli cancellati: L’ultima stanza, L’ultima soffitta. Alcune varianti (...nel [p. 250 modifica] tepore dell’ultimo sonno, e il cielo | sarà quello che un tempo empiva le strade. | Non ci sono piú strade. Sarà una finestra | — una grande finestra — empirà la stanza... nel tepore dell’ultimo sonno: l’ombra | sarà appena un ricordo... Dalla scala salita una volta per sempre | dalle strade lontane come in un ricordo...) chiariscono quella che doveva essere l’immagine fondamentale: la sparizione del mondo in un cielo visto dalla finestra d’una soffitta.

p. 158 Paesaggio VII

2— 7 gennaio 1940. Pubblicata in Lavorare stanca. Nelle minute, la prima stesura comincia: Il mattino che torna e la trova viva. | Basta un poco di giorno negli occhi chiari | per la chiara finestra.

159 Paesaggio VIII

9 agosto 1940. Pubblicata in Lavorare stanca. Nella minuta: tre versi scritti a penna:

I bambini cominciano alla sera
sotto il fiato del vento a sentirsi svegli
e ascoltare la voce sommessa del fiume.

Correzioni a matita: bambini al posto di ricordi; al posto di sentirsi svegli, prima levare il capo, poi levare il volto. La stesura della poesia continua a matita, con correzioni di minore interesse.

160 Mattino

15-18 agosto 1940. Pubblicata in Lavorare stanca. Nel dattiloscritto porta il titolo Ritratto a F. È in questo periodo che cominciano le lettere a Fernanda Pivano riportate nel citato volume di Lajolo, pp. 253-69.

161 La casa

21 agosto — 12 settembre 1940. Pubblicata postuma in Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. In mezzo alle poesie del gruppo Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1950), messe in ordine da P. prima di morire, si trovavano due copie di questa poesia di dieci anni prima; fu perciò compresa nell’edizione di quella raccolta, curata rispettando l’ordine in cui P. aveva lasciato le sue carte.

Nel manoscritto, il titolo: La voce. Nella minuta, una quartina finale eliminata:

Dietro a loro, nell’ombra, la casa è vuota
se non di echi e di voci del tempo andato.
Ma ora tacciono tutti, scendendo nel buio,
alla voce viva che indugia alla soglia.

162 Estate [2°]

3— 10 settembre 1940. Pubblicata in Lavorare stanca. Nel dattiloscritto, la dedica: a F.

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p. 163 Notturno
19 ottobre 1940. Pubblicata in Lavorare stanca. Nel dattiloscritto porta il titolo: Notturno a F. Nella minuta, un primo tentativo di inizio:

La collina è notturna, nel cielo chiaro
come l'onda di un mare
e le nostre parole suonano come
le dicessimo insieme sull’altra costa.

164 la terra e la morte

Per questo gruppo (compreso nel volume postumo Verrà la morte e avrà i tuoi occhi) si veda il cap. 14 delle nostre Note generali. Le singole poesie non hanno titolo e sono datate nel dattiloscritto, senza indicazione di luogo.

164 «Terra rossa terra nera»

Roma, 27 ottobre 1943.


165 «Tu sei come una terra»

Roma, 29 ottobre 1943.


166 «Anche tu sei collina»

Roma, 30-31 ottobre 1943.

168 «Hai viso di pietra scolpita»

Roma, 3 novembre 1943.

169 «Tu non sai le colline»

Roma, 9 novembre 1943.

170 «Di salmastro e di terra»

Roma, 13 novembre 1943.

172 «Sempre vieni dal mare»

Roma, 19-20 novembre 1943.

174 «E allora noi vili»

Roma, 23 novembre 1943.

175 «Sei la terra e la morte»

Roma, 3 dicembre 1945.

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p. 176 * Due poesie a T.

Roma, 18-23 giugno 1946. Inedite. Trovate in due foglietti dattiloscritti, nella cartella Racconti e poesie inediti, e in minuta in due foglietti scritti a matita, nella cartella delle brutte copie delle poesie. Sono indicate come Due poesie a T., 18-23 giugno ’46 in un appunto trovato in un’altra cartella (dove Pavese teneva copia o indicazione di tutto quel che aveva scritto a Roma in quel periodo). La T. cui le poesie sono dedicate (da non confondersi con la T. delle poesie piú antiche) può forse essere identificata con la Ter. del diario, in data 23 aprile.

176 «Le piante del lago»

Dattiloscritto senza titolo, con la dedica a T. e la data metà giugno ’46. Il foglietto della minuta contiene, sul verso: la data 18 giugno; una frase (È ridicolo cercare l’altruismo in una passione che è tutta fatta di orgoglio e di voluttà) che figura anche nel diario, alla data appunto del 18 giugno 1946; il titolo Intempestiva; una prima stesura della poesia; sul retro: due frasi (Io comincio a far poesia quando la partita è perduta. Non si è mai visto che una poesia abbia cambiato le cose.) anch’esse riportate nel diario, alla data del 19 giugno 1946; una stesura della poesia con due sole correzioni: l’inserimento, prima degli ultimi tre versi, del verso Ricorderai (ritroverai) qualcosa; le parole finali sul lago corrette in nel giorno; appunti quasi illeggibili, soprattutto di titoli di Dialoghi con Leucò.

177 «Anche tu sei l'amore»

Il foglietto contiene: due battute che evidentemente si riferiscono al dialogo tra Teseo e il Marinaio (Il toro nei Dialoghi con Leucò) ma che non sono state utilizzate nella stesura definitiva (— Non hai promesso a tuo padre che cambierai le vele? — Un padre non sa quello che fanno i figli ); la data 23 giugno; la poesia in una stesura con solo due correzioni: al terzultimo verso che era prima ha parole leggere e all’ultimo che è cancellato nella variante poi riportata nel dattiloscritto e sostituito con una variante anch’essa cancellata: è per te come (il) sangue.

178 verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Per questo gruppo di poesie, pubblicate postume nel volume omonimo, si veda il cap. 13 delle nostre Note generali.

178 To C. from C.

11 marzo 1950. Probabilmente scritta a Torino, dopo un viaggio a Cervinia con l’attrice americana Constance Dowling. Ne diamo una nostra traduzione letterale, per quel tanto che è possibile, valendo qui piú la musica che il significato dei versi: Tu, | screziato sorriso | su nevi gelate — | vento di marzo, | balletto di rami | spuntati sulla neve, | gemendo e ardendo | i tuoi piccoli «oh!» — | daina dalle membra bianche, | graziosa, | potessi io sapere | ancora | la grazia volteggiante | di tutti i tuoi giorni, | la trina di spuma | di tutte le tue vie — | domani è gelato | giú nella pianura — | tu, screziato sorriso, | tu, risata ardente.

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p. 179 In the morning you always come back

20 marzo 1950. Probabilmente scritta a Torino.

180 «Hai un sangue, un respiro»

21 marzo 1950. Senza titolo.

182 «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi»

22 marzo 1950. Senza titolo. Trascriviamo qui tutta la stesura della minuta con le varianti. Le parole e i versi tra parentesi sono cancellati:

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (grandi)
(per tutti la morte ha uno sguardo)
(gli occhi del passato [di itti] intenti,)
questa morte che ci accompagna,
dal mattino alla notte, (sorda) (muta) insonne,
(fredda nel sole)
sorda, come un (dolore antico) vecchio (dolore) rimorso,
o un vizio (triste) assurdo, (necessaria)
(come un rimorso). I tuoi occhi
saranno (il passato,) (la vita) (un ricordo)
una vana parola,
(ciò che rimane della vita)
un grido taciuto, (la vita) un silenzio.
Cosí (tu sola) li vedi ogni mattina
quanto (ti pieghi) (sullo) (nello specchio) su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
(sarà l’ultimo [volto] sguardo del nulla)
(quel giorno sapremo anche noi)
quel giorno anche noi sapremo
che sei la (luce) vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha (lo) uno sguardo.
(della speranza e del passato)
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un volto morto,
come ascoltare (una bocca chiusa) un labbro chiuso.
(Tu sei la vita e sei il nulla.)
Scenderemo (muti) (anche noi) (in quel) nel gorgo, muti.

183 You, wind of March

25 marzo 1950.

183 Passerò per Piazza di Spagna

28 marzo 1950.

186 «I mattini passano chiari»

30 marzo 1950. Senza titolo.

[p. 254 modifica]
p. 187 The night you slept

4 aprile 1950. Forse scritta a Roma.

188 The cats will know

10 aprile 19.50. Forse scritta a Roma. Nel dattiloscritto, una variante a penna del penultimo verso, poi annullata: Soffrirai sotto l’alba.

190 Last blues, to be read some day

11 aprile 1950. Forse scritta a Roma. Ne diamo una nostra traduzione letterale: Era solo un flirt | tu certo lo sapevi — | qualcuno fu ferito | tanto tempo fa. | È tutto lo stesso. | Il tempo è passato — | un giorno venisti | un giorno morirai. | Qualcuno è morto | tanto tempo fa — | qualcuno che tentò | ma non seppe.