Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo I/Le invasioni barbariche
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1. Le invasioni barbariche. ― Nel crescere eccessivo della popolazione sta, secondo Niccolò Machiavelli, una delle cause principali delle migrazioni. «I popoli, egli dice sul principio delle Storie Fiorentine, i quali nelle parti settentrionali di là del fiume Reno e del Danubio abitano, sendo nati in regione generativa e sana, in tanta moltitudine spesse volte crescono, che parte di loro sono necessitati abbandonare i terreni patrii, e cercare nuovi paesi per abitare»1. Non è però necessario che l’aumento della popolazione assuma delle grandi proporzioni perchè ciò avvenga, imperocchè, mentre un popolo agricoltore e commerciante vive agiatamente in angusto spazio, vastissime contrade sono insufficienti alle orde pastorali2, e si può asserire in generale, che tanto maggiore è lo spazio necessario alla vita materiale, quanto minore è il grado di cultura dei popoli. La storia delle migrazioni ci avverte eziandio che, una volta cominciato il movimento di migrazione, tribù e nazioni intere persistono, per secoli, in una certa inquietezza che le conduce, alla minima scossa, ad abbandonare le loro nuove dimore3. Il fatto del quale ci informa Erodoto (IV, 24), che gli Sciti Nomadi, mentre abitavano l’Asia, essendo con la guerra molestati dai Massageti, trapassato l’Arasse4, entrarono nella Cimmeria, non fu che il principio — se pure non era stato preceduto da altri consimili — di mutamenti ben più importanti, giacchè quelle medesime regioni della Russia meridionale si veggono, nei tempi posteriori, occupate successivamente dai Sarmati, dagli Avari, dagli Unni, dai Tatari e dai Turchi; per cui la origine prima di questi spostamenti di popoli è a ricercarsi nell’Asia Centrale, direttamente unita colle vaste pianure steppose dell’Asia occidentale, e quindi colla pianura Sarmatica dell’Europa Orientale, mediante il paese, relativamente depresso, che si estende tra i gruppi montagnosi dell’Altai e del Tien-Scian, ed è comunemente noto sotto il nome di Zungarìa.
Talora le migrazioni sono volontarie, ossia fatte nello scopo di migliorare condizione. Per causa dell’abbassamento lentissimo cui vanno soggette le coste occidentali della Scandinavia, questa penisola e le isole adiacenti perdettero di molto, in tempi antichissimi, della loro estensione superficiale. La distruzione dei terreni adatti alla coltura od alla pastorizia, cagionata dalla irruzione del mare nella direzione dell’est, condusse gli abitanti di quel paese settentrionale, cioè i Cimbri e i Teutoni, a cercare in altri paesi più stabile e più sicuro asilo. E così ne avvenne che questi popoli, i più settentrionali della famiglia germanica, furono appunto quelli che, dopo lunghe scorrerie, vennero, per primi, in contatto coll’elemento romano, tanto nel Noricum (anno 113 av. C.), quanto nella Gallia meridionale (anno 102 av. C.)5.
Le migrazioni sono sovente cagionate dallo incalzare e dal soverchiare di popoli più forti: ce ne offrono esempi, il fatto, citato da Erodoto, della emigrazione degli Sciti dall’Asia in Europa, ed i mutamenti avvenuti nelle regioni del Ponto per lo irrompere successivo, nella direzione da oriente ad occidente, dei Sarmati, degli Avari, degli Unni, dei Tatari e dei Turchi. Notiamo anche, tra le cause che hanno potuto alimentare la emigrazione, la inclinazione alla guerra ed alle grandi imprese, l’avidità di bottino, le dissensioni intestine, il desiderio di un clima più dolce, ecc.
Una osservazione importante, fatta dal Ratzel nella sua opera citata6, è questa, che nelle grandi migrazioni storiche la popolazione si divide, quasi sempre, in due parti, l’una che rimane fedele all’antica dimora, l’altra composta dagli emigranti. Paolo Diacono riferisce che dei Germani già stabiliti nella Scandinavia, il terzo rimase colà7: Procopio, parlando della migrazione dei Vandali della Slesia, dice che i rimasti in paese conservarono ed ebbero cura dei terreni appartenenti agli emigranti, ed aggiunge che questi non vollero rinunciare ai loro diritti sulla terra natìa malgrado tutte le sollecitazioni fatte dai primi al re Genserico per ottenere una tale rinuncia. Duecento anni erano già trascorsi dalle prime migrazioni dei Longobardi dal bacino inferiore dell’Elba, quando essi si rivolsero, per aiuti, ai loro antichi amici, i Sassoni, i quali vennero di fatti in Italia lasciando il loro paese in balìa degli Svevi settentrionali8. Importantissime sono queste divisioni per le loro conseguenze nella distribuzione geografica dei popoli, in quanto che non raramente si manifestarono durante il movimento stesso di migrazione. Solo per questo modo si spiega la straordinaria diffusione di certe famiglie: così degli Alemanni nei bacini della Mosa e della Mosella, nei dintorni di Maastricht, di Colonia, di Jülich e nella valle della Nahe; dei Chatti nella Lorena, nelle contrade dell’Odenwald e nell’Alsazia; dell’antica confederazione Sveva nella Fiandra, nel Saalgau e nella Moravia; degli Angli nella penisola del Jütland, nelle regioni del Reno inferiore, nella Turingia e nell’Inghilterra.
Questi diversi frastagliamenti parziali dovettero favorire in sommo grado le commistioni di famiglie etnograficamente diverse, sia perchè quelle rimaste in paese non potevano, per la poca forza numerica, opporre grave ostacolo alla introduzione di elementi stranieri, sia perchè gli emigrati venivano necessariamente a porsi in contatto con popolazioni appartenenti ad altri gruppi etnografici.
Un altro importante fatto che accompagna le grandi migrazioni o ne è la conseguenza è, che ben sovente ai popoli emigranti si uniscono, in cammino, altre famiglie. È noto, ad es., che insieme coi Vandali condotti da Genserico giunsero in Africa molti Alani. Così pure, quando nell’inverno dell’anno 406 una delle orde più numerose tra quelle ricordate nella storia delle migrazioni tedesche passò dalla destra alla sinistra del Reno, si sa dagli scrittori di quel tempo che essa si componeva di molte famiglie, tra cui primeggiavano gli Svevi, i Vandali e gli Alani; che alla medesima si unirono poscia i Burgundi, e che più tardi ebbe nuovi rinforzi da altre popolazioni germaniche. Nelle grandi scorrerie dei Mongoli ebbero parte importantissima tutte le famiglie dell’Asia Centrale.
Nelle migrazioni che caratterizzano in grado così eminente la storia dell’Europa nei primi secoli dell’êra cristiana è necessario in fine non perdere di vista la influenza esercitata sulla direzione di quei grandi movimenti dalle condizioni naturali dei diversi paesi, tra cui principalmente la forma del terreno, se piano o montuoso, e le valli dei grandi fiumi, come sarebbero quelle del Danubio e del Reno. Così pure i luoghi in cui si combatterono le più sanguinose e decisive battaglie erano, per così dire, a ciò predestinati dalle loro particolari posizioni, talchè non pochi tra essi acquistarono rinomanza anco maggiore dagli avvenimenti militari di cui furono sovente il teatro in tempi recenti. Valgano, ad esempio, i dintorni di Lützen, le pianure della Fiandra e della Lombardia.
Dai popoli barbari, i quali, di origine asiatica o da lunga pezza stabiliti nell’Europa centrale e settentrionale, irruppero, in diversi tempi, nelle contrade ad occidente del Reno e a mezzogiorno del Danubio, non dobbiamo attenderci alcuna notizia geografica. Ma, per altro lato, la storia delle loro guerre e conquiste getta non poca luce sulle condizioni d’allora di quasi tutte le contrade d’Europa, specialmente in ciò che si rapporta alla etnografia, alla linguistica ed alla corografia. È inoltre a notare che l’introduzione dell’elemento germanico nel seno della società romana ebbe per conseguenza una radicale trasformazione, non solo in tutto il mondo politico dell’Europa centrale e meridionale, ma eziandio nella vita e nei costumi delle stesse popolazioni barbare, le quali, da nomadi che esse erano da principio, si condussero gradatamente a stabile dimora e fondarono innumerevoli città e villaggi; per la qual cosa, come bene osserva Carlo Ritter, senza una cognizione ben fondata di quelle grandi migrazioni la conformazione geografica della moderna Europa riesce, sotto molti aspetti, inintelligibile.
Se non che la violenta immistione di popolazioni a mezzo selvaggie fu cagione di un generale abbassamento nel livello del sapere e delle idee, e, come già si è avvertito9, i 400 anni compresi tra la prima irruzione degli Unni al di qua del Volga (anno 374) e il termine delle invasioni barbariche dovuto alle vittorie di Carlomagno sugli Avari delle contrade del Danubio e del Tibisco e sui popoli Sassoni dell’Europa centro-settentrionale, segnano un periodo di decadenza pressochè completa nella geografia, specie nella parte scientifica, che i lavori di Eratostene, di Ipparco, di Posidonio, di Strabone e di Tolomeo avevano condotto ad un alto grado di perfezione. Di questi e di altri geografi della Scuola Alessandrina e del Periodo Romano va, quasi del tutto, perduta ogni traccia nel mondo occidentale, ed appena sono ricordati in Cassiodoro (468-565) ministro di Teodorico10, in Isidoro di Siviglia (570-639)11, il quale confonde però Tolomeo con uno dei re egiziani della dinastia dei Lagidi; in Iornandes che nella sua opera De Getarum sive Gothorum origine et rebus gestis mette a profitto le geografie di Strabone e dell’Alessandrino12; nell’Anonimo di Ravenna, il quale cade, a proposito di Tolomeo, nella medesima confusione di Isidoro13. Gli autori più in voga erano Pomponio Mela, Solino e Plinio, specialmente i due primi. Quasi negletta era la parte fisica della scienza, e questa si riduceva per la maggior parte, ad un’arida serie di nomi locali colla indicazione delle distanze dall’uno all’altro luogo, similmente al sistema adottato negli antichi Itinerari14.
Tuttavia, se il movimento scientifico nel Medio Evo, anzichè procedere senza alcuna o ben poche discontinuità, come si è veduto succedere nella parte che tratta della Geografia presso gli antichi, non solo si rallenta, ma anzi manifesta una notabile tendenza retrograda, specialmente nel ramo matematico o cosmografico, non ci pare conveniente lasciare in disparte, od anche non toccare che di passaggio l’esame di quegli scrittori che si occuparono, più o meno direttamente, di cose geografiche. Imperocchè, come dice il Vivien de Saint Martin, anche nel seno di questo triste decadimento, ferveva un lavoro di rinnovazione, latente, insensibile, inosservato, dal quale, a un dato momento, doveva sorgere lo spirito ritemprato delle società moderne. Il germe era soffocato, ma non distrutto. È il privilegio delle razze occidentali quello di avere in sè questo principio di vita interna, questa forza di espansione morale che è la condizione ed il punto di partenza delle alte civilizzazioni. E così la società moderna uscì dal seno delle rovine, più grande, più forte, e animata da più nobili aspirazioni che non lo fosse qualunque delle civiltà antiche».15.
Note
- ↑ Lo stesso concetto era già stato espresso da Paolo Diacono, scrittore del secolo 8°, nell’opera De gestis Langobardorum, lib. I, cap. 1 e 2.
- ↑ Boccardo, Storia del Commercio, pag. 77.
- ↑ Ratzel, Antropogeographie, pag. 442 e 443.
- ↑ L’Arasse di questo passo delle Storie è probabilmente il Don o il Volga
- ↑ Kiepert, Lehrbuch der alten Geographie, pag. 539.
- ↑ Ratzel, Antropogeographie, pag. 454 e 455
- ↑ De gestis Langobardorum, lib. I, cap. 2
- ↑ De gestis Langobardorum, lib. I, cap. 6
- ↑ V. Prefazione, p. x.
- ↑ Cassiodoro, scrivendo a Boezio, dice: «Translationibus tuis Pythagoras musicus, Ptolomaeus astronomus, leguntur Itali». Variarum lib. I, 45.
- ↑ Originum, lib. III, 25: «Inter quos (scriptores) tamen Ptolomaeus rex Alexandriae apud Graecos habetur praecipuus».
- ↑ Cap. III: «De hac (Scanzia insula) enim in secundo sui operis libro Claudius Ptolomaeus orbi terrae descriptor egregius meminit» e poco prima (cap. II): «Refert autem Strabo Graecorum nobilis scriptor».
- ↑ Ravennatis Anonymi, Cosmographia et Guidonis Geographica: «Nonnullos mundanos philosophos, inter quos Lignium et Ptolomaeum regem Aegyptorum ex stirpe Macedonum» (lib. I, cap. 9): e nel lib. IV, cap. 4: «atque Ptolomaeus rex Aegyptiorum Macedonum» e nel medesimo libro, cap. 11: «philosophi, ex quibus ego legi Ptolomaeum regem Aegyptiorum ex stirpe Macedonum». In queste osservazioni circa all’oblio in cui erano gli scrittori dell’antichità classica presso quelli del Medio Evo facciamo astrazione da alcuni autori medievali anteriori al secolo 5°, tra cui, ad esempio, Ammiano Marcellino.
- ↑ V. Parte prima, pag. 80 e 87.
- ↑ L’Année géographique, vol 2°, pag. 404.
- Testi in cui è citato Niccolò Machiavelli
- Testi in cui è citato il testo Istorie fiorentine
- Testi in cui è citato Erodoto
- Testi in cui è citato Friedrich Ratzel
- Testi in cui è citato Paolo Diacono
- Testi in cui è citato Procopio di Cesarea
- Pagine con link a Wikipedia
- Testi in cui è citato Carl Ritter
- Testi in cui è citato Carlo Magno
- Testi in cui è citato Eratostene
- Testi in cui è citato Ipparco di Nicea
- Testi in cui è citato Posidonio
- Testi in cui è citato Strabone
- Testi in cui è citato Claudio Tolomeo
- Testi in cui è citato Flavio Magno Aurelio Cassiodoro
- Testi in cui è citato Isidoro di Siviglia
- Testi in cui è citato Giordane
- Testi in cui è citato il testo De Getarum sive Gothorum origine et rebus gestis
- Testi in cui è citato Anonimo ravennate
- Testi in cui è citato Pomponio Mela
- Testi in cui è citato Gaio Giulio Solino
- Testi in cui è citato Gaio Plinio Secondo
- Testi in cui è citato Louis Vivien de Saint-Martin
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