Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo I/Parte III/Libro III/Capo VI

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Capo VI – Giurisprudenza

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Capo VI.

Giurisprudenza.

I. Mentre in questa maniera andavano i Ro1 mani perfezionandosi nello studio delle scienze; tutte e delle arti liberali, venivano ancora s“m- pi e più avanzandosi in quella che al buon reggimento della repubblica più di ogni altra è necessaria, cioè nella giurisprudenza. Era questo uno studio onorevole non meno che vantaggioso. Un dotto giureconsulto era sempre affollato da numeroso stuolo di cittadini, altri a chieder consiglio, altri aa’apprendere la scienza delle leggi. Anzi era generale il costume, di cui abbiamo moltissime prove negli antichi scrittori, che in sul fare del giorno accorressero numerose schiere di clienti alla casa del loro avvocato, quasi a fargli corteggio. La maniera stessa con cui essi rendevano le lor risposte, spirava la gravità e la grandezza del Romano Impero; perciocchè seduti su una specie di trono udivano le proposte e rispondevano. Ego, dice Cicerone (De legib. I. i, n.ò). actatis uotiu s [p. 541 modifica]LIBRO TERZO 54* para/ioni eonfìdebam, cum praesertim non redisarmi, quominus more patrio sedens in solio con siile riti bus responderem, senectutisque non inertis grato atque honesto fungerer munere. E tal era l’onore e il vantaggio di questo loro esercizio, che taluno per non interromperlo ricusava di salire alla dignità stessa del Consolato. Io penso, scrive Cicerone ad Attico (l. 1, ep. 1), che Aquilio (famoso giureconsulto) non sarà tra’ candidati del Consolato, perciocchè egli ricusa di esserlo, e giura di essere infermo, e reca a sua scusa il regnar che e’ fa ne’ giudici. Ma veggasi singolarmente l’eloquente trattato di Cicerone in lode di questa scienza (De Orat. l. 1, n. 45), ove egli mostra quanto di onore, di autorità, di benevolenza ella arrechi a chi la professa; che tutti i più ragguardevoli e i più illustri cittadini romani eransi sempre ad essa applicati; che niun più dolce e più onorevol conforto potea nella sua vecchiezza avere un uomo passato per le più luminose cariche della repubblica , che il vedersi affollati intorno tutti i suoi concittadini a chiedergli ne’ loro dubbii parere e consiglio; e che la casa di un dotto giureconsulto potevasi giustamente chiamare l’oracolo dalla città tutta. II. Non è quindi a stupire che grandissimo fosse il numero di quelli che a questo studio si rivolgevano. Ma, come suole avvenire, pochi furon coloro che in esso acquistarono singolar fama. Di questi ancora io sceglieronne tre soli a dirne alcuna cosa più in particolare. Non vi è forse materia in cui sia men necessario il distendersi a ragionarne ampiamente: [p. 542 modifica]Sfa PARTE TERZA tanli sono gli autori che l’hanno illustrata. Se ne può vedere il catalogo presso il Fabbricio (Bibl. lat. t. 2 , p. 532 , ec): a cui molti altri più recenti se ne potrebbono aggiugnere, e singolarmente l’altre volte lodato avvoc. Terrasson, che nella dottissima sua Storia della Romana Giurisprudenza ha diligentemente raccolto ed esaminato quanto ad essa appartiene. Quinto Muzio Scevola è il primo che ci si offre a ragionarne. A conoscere le virtù e il sapere di questo grand’uomo, basta leggere ciò che in diverse occasioni ne dice Tullio. Non voleva egli tenere scuola nè pubblica nè privata di giurisprudenza; ma molti ciò non ostante accorrevano ad udire le saggie risposte che egli dava a coloro che a lui venivano per consiglio; e questo stesso era un utilissimo magistero, di cui Cicerone confessa di essersi giovato assai (De Cl. Orat. n. 89). A un profondo saper delle leggi congiungeva egli una robusta eloquenza. Quindi Crasso presso Cicerone, di lui parlando, così dice (De Orat. l. 1, n. 39): Q. Scaevola aequalis et collega meus, homo omnium et disciplina juris civilis eruditissimus, et ingenio prudentiaque acutissimus , et oratione maxime limatus atque subtilis; atque, ut ego soleo dicere, jurisperitorum eloquentissimus, eloquentium jurisperitissimus. Quintiliano ancora gli dà luogo tra quelli che nella giurisprudenza insieme e nell’eloquenza eransi acquistati gran nome (l. 10, c. 3). Uomo al medesimo tempo di probità insigne era a tutta la repubblica esempio e modello d’ogni più bella virtù. Memorabile è il fatto che di lui narra [p. 543 modifica]LIBRO TERZO 5.{3 Tallio (De Offic. 1.3, n. 15), cioè che volendo egli fare acquisto di un campo , e, fattane già la stima, avendo cercato al venditor di vederlo , poichè ebbelo esaminato 7 disse spontaneamente che il prezzo a cui era stato stimato, non ne uguagliava il valore, e una somma assai maggiore gliene fece contare. Per questa sua integrità fu in odio a quelli a cui essa era e uno spiacevol rimprovero e un rigido freno (Cic. pro Plancio, n. 13); e questa per avventura fu la cagione dell1 infelice sua morte; perciocchè egli ne’ funerali di C. Mario fu pelili mano di uno scellerato crudelmente ucciso (id. pro Roscio Amer. n. i a). Intorno a questo e agli altri Scevola che furon celebri in Roma singolarmente pel loro sapere nella giurisprudenza, veggansi le annotazioni del P. Gioseppantonio Cantova della Compagnia di Gesù poste al fine del primo libro dell1 Oratore di Cicerone, da lui di fresco tradotto e dato alle stampe; nelle quali, con diligenza assai maggiore che non abbian fatto comunemente gli altri spositori, ha accuratamente ili stinte ed esaminate le cose che a ciaschedun di essi appartengono. Quegli di cui qui favelliamo, fu certamente uno de’ più illustri giureconsulti che vivessero in Roma, e secondo il parere del Terrasson (Hist. de la Jurisprud. rom. p. 229) e di molti altri scrittori, fu egli il primo che a qualche ordine e divisione riducesse il diritto civile, intorno a cui egli scrisse diciotto libri, i quali dagli antichi giureconsulti sono spesso allegati. IH A Q. Muzio Scevola sottentrò nella fama di valentissimo giureconsulto Servio Sulpicio [p. 544 modifica]54.< PARTE TERZA Rufo. D, lui oltre il parlarne che fanno tutti gli autori che dell antica giurisprudenza l.an favellato, abbiamo una Vita con somma erudizione e con egual diligenza descritta da Everardo Ottone, e stampata in Utrecht l’an 1737. Ma i moderni scrittori non possono che raccogliere ed esaminare ciò che ne han detto gli antichi. Or questi ci parlano di Sulpicio come di uno de’ più grandi uomini che mai fossero in Roma. Tralascio gli encomii che ne fa Quintiliano, il quale altamente ne celebra l’eloquenza (l. 10, c. 1; l. 12, c. 3)-, e Gellio, che autore del diritto civile il chiama, e uomo di molta letteratura (l. 2, c. 10). Mi basti il riferire gli elogi di cui r onorò Cicerone, il quale, oltre f averne più volte parlato in somma lode, così di lui più espressamente ragiona nel libro degl’Illustri Oratori: Ed io non saprei, dice (n. 40, ec.), chi altri mai con più impegno allo studio dell’eloquenza si rivolgesse, e di tutte le arti liberali. Ne’ giovanili studi ci esercitammo insieme, e insieme ei venne meco a Rodi affin di rendersi più colto ancora e più dotto. Poichè ne fu ritornato, a me pare eli egli amasse meglio di ottenere il primo luogo nella seconda scienza (cioè nella giurisprudenza), che nella prima (cioè nell’eloquenza) il secondo. Io non so se avrebbe, egli ancora potuto forse uguagliarsi a’ primi nel perorare. Ma volle anzi superar di gran lunga, ciò che di fatto avvenne, tutti gli altri non della sua solamente, ma ancora delle passate età nella scienza del civile diritto. E avendo Bruto interrogato qui Cicerone, se a Scevola ancora egli [p. 545 modifica]LIBRO TERZO 545 fan riponesse, Si certo, soggiugne egli, che io penso che grande esperienza nel diritto civile avesse e Scevola ed altri molti, ma che Sulpicio solo ne sapesse ancor l’arte; il che non avrebbe egli ottenuto colla sola scienza, se non avesse oltre ciò appresa l’arte con cui e la materia tutta dividere nelle sue parti, e svolgere colle diffinizioni le cose occulte, e colle spiegazioni dichiarare le oscure, e veder prima e poscia distinguere ciò che vi fosse d ambiguo , e avere in somma una regola con cui dal falso discernere il vero, e conoscere quai conseguenze da qualunque proposizione scendessero e quali no. Perciocchè egli di quest’arte, ch’è la migliore di tutte, fece uso ad illustrar quelle cose che da altri prima facevansi, o dicevansi confusamente. Dopo le quali parole aggiugne ancor Cicerone che non della sola dialettica usò a tal fine Sulpicio, ma della letteratura ancora e dell eloquenza, come agevolmente, egli dice, si può da’ suoi scritti raccogliere, a cui non v ha altri che possano paragonarsi. Così Cicerone. IV. Ma altra troppo più bella occasione se gli offerse a mostrare in quanta stima egli avesse, Sulpicio. Nel principio della guerra civile che. dopo la morte di Cesare si accese, mentre Antonio stringeva d’assedio Modena, Sulpicio fu uno de’ tre deputati dal senato a recargli in suo nome autorevol comando di abbandonarlo. Egli, benchè cagionevole per malattia, si pose in viaggio; ma appena giunse al campo e morì. Pervenutane la nuova a Roma, il console Pansa propose in senato che pubblici e Tiraboscui, Voi. I. 35 « [p. 546 modifica]’ 1^ paute terza solemú onori si decretassero al defunto. Recitò a <n Cicerone la nona delle sue Filippiche, die i ho in somma non è che un’orazion funebre . u*Plc,Oj cd un perfetto modello di tali ragionamenti. Essa non si può leggere senza un dolce senso di tenerezza, e ben si scorge che I oratore non cerca di adular la memoria dell’estinto amico, ma tutti passini latamente esprime i sinceri sentimenti del suo cuore. Un sol passo io qui recheronne proprio dell’argomento di cui trattiamo, ove Cicerone loda l’insigne saper di Sulpicio nella giurisprudenza: Nec vero silebitur, dic’egli (n. 5), admirabilis quaedam, et incredibilis et pene divina ejus in legibus interpretandis, aequitate explicanda,, scientia. Omnes ex omni aetate, qui hac in civitate intelligentiam juris habuerunt, si unum in locum conferantur, cum Ser. Sulpicio non sunt comparandi. Neque enim ille magis juris consultus quam justitiae fuit. Itaque quae projieielnntur a le gibus et a jure civili, semper od facilitatcm aequit/tleniqnc refer i ut, ncque constituere litium actiones malebat, quam controversias tollere. Ma tutta degna è il esser letta questa patetica eloquente orazione, c singolarmente il decreto con cui egli la conchiude , proponendo al senato che una pedestre statua di bronzo a pubbliche spese si alzi a Sulpicio nel foro, intorno a cui si facciano solenni giuochi 5 che l1 onorevol cagion di sua morte scolpita sia nella base, e che a lui si rendano i più solenni onori che a’ più grandi uomini e a’ più benemeriti della repubblica rendere si solevano. Il parere di Cicerone fu interamente seguito; » [p. 547 modifica]LIBRO TERZO O47 e il giureconsulto Pomponio, che visse nel secondo secolo dell’era cristiana, afferma (De Origine Juris) che la statua di Sulpicio vedevasi tuttora in Roma presso i rostri detti d’Augusto. Una lettera scritta da Sulpicio a Cicerone per consolarlo nella r. irte della diletta sua Tullia si è conservata (l. 4 ad Fam. ep. 5), e può giustamente proporsi a modello di tali lettere di conforto. Ma, ciò che più appartiene al nostro argomento, molto aveva egli scritto intorno al diritto civile, e il mentovato Pomponio afferma che presso a centottanta libri aveane egli lasciati (V. Ottonis Vit. Sulp. p. 91), de’ quali varj frammenti ci son rimasti nelle collezioni delle leggi romane. V. 11 terzo celebre giureconsulto fu Publio Alfeno Varo cremonese di patria, che fiorì a’ tempi di Augusto. Il comun sentimento degli scrittori appoggiato a un passo di Orazio (l. 1, Sat. 3, v. 130) si è ch’ei fosse dapprima calzolaio; e che poscia dal suo ingegno portato a cose più grandi, gittata la lesina e il cuoio, si applicasse alle leggi. Il sopraccitato Everardo Ottone alla Vita di Sulpicio, di cui abbiam favellato, una dissertazione ha aggiunto in cui prende a combattere questa opinione, mostrando ch’ella non è abbastanza fondata, e che il Varo, di cui parla Orazio, diverso è dal celebre giureconsulto. E una lettera ancora di Cristefido Wectlero sullo stesso argomento abbiam negli Atti di Lipsia (An. 1711, p. 21). Io non voglio entrare in tal quistione, che poco finalmente monta il sapere di qual nascita egli fosse. Ciò eh1 è certo , si è che egli fu uno de’ più iàinosi [p. 548 modifica]’fi PARTE TERZA giureconsulti di questo tempo. Una grande raccolta di decisioni legali fu da lui fatta, e divisi in xl libri, intitolata Digesti, che dagli antichi giureconsulti vengono spesso citati (V. Ottonis Dissert. de Alfe.no Varo; Terrasson, Hist de la Jurispr. rom. p. 233) e di Gellio ancora (l. 6, c 5) che il dice discepolo di Sulpicio, e nelle cose antiche non ne Ai "ente. La stima che col suo sapere egli erasi acquistata in Roma, fu cagione che dopo morte solenni funerali se gli celebrassero a pubbliche spese I Vct. Scholiast ad Horat. l. c.)- e una medaglia a lui coniata, nella quale egli è chiamato Alfinius, vedesi nella Raccolta delle Medaglie di Famiglie romane pubblicata dal Vaillant (tab. 6, fig. ì). VI. Questi e molti altri giureconsulti che allo stesso tempo fiorirono in Roma, molta luce arrecarono certamente alle leggi romane. Ma ciò non ostante era in esse ancor quel disordine che sembra ad alcuni esservi ancora al presente; cioè un’infinita moltitudine di leggi oscure spesso e intralciate, e che talora parevano opporsi l’una all’altra. Dolevasi di ciò il medesimo Cicerone, e a’ giureconsulti medesimi ne attribuiva la colpa, i quali o per imporre più facilmente agli ignoranti, o per coprire l’ignoranza lor propria , con mille divisioni e distinzioni affettate altro non facevano che confonder le leggi, e tutta sconvolgere la giurisprudenza: Sed pire ansi dii sive erroris objiciendi caussa, quo plura et di!fu iliora scire videantur, sive, quod similius veri est, ignoratione docendi (nam non solum scire aliquid [p. 549 modifica]tirlis est, sed quaedam ars et ¡ani ilocendi) saepe, quoti positura est in una cognitione, iti in infinita dispertiuntur (De leg. l. 2, n. 19). Livio ancora rammenta la soverchia moltitudine di leggi, da cui la giurisprudenza era in certa maniera sopraffatta eo’oppressa: Decem tabularum leges perlatae sunt, quae nunc quoque in hoc immenso aliarum super alias acervatarum legum cumulo fons omnis publici privatique est juris (l.3, c. 34). A questo disordine, come altrove abbiam detto, aveva in animo di rimediar Giulio Cesare col ridurre a certi capi determinati tutto il civile diritto, e ristringere quella infinita e disordinata molitudin di leggi (Svet. in Jul. c. 44)) ma questo ancora, insieme cogli altri vasti disegni che a vantaggio di Roma andava egli volgendo in pensiero, fu dall’immatura sua morte troncato. Augusto riformò varie leggi, molte ne annullò, ne pubblicò molte; ma a formare un corpo di leggi unito, chiaro e preciso, nè egli nè alcun de’ suoi successori pensarono per lungo tempo.