Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo VII

Da Wikisource.
Capitolo VII

../Capitolo VI ../Capitolo VIII IncludiIntestazione 8 giugno 2020 75% Da definire

Capitolo VI Capitolo VIII

[p. 130 modifica]


CAPITOLO VII.

[Anno 1848]


Rivoluzione in Vienna e in Berlino nel marzo 1848. — Insurrezione di Milano il 18. — L’Ungheria in istato di commozione. — Moti in Roma il 21 di marzo all’annunzio della rivoluzione di Vienna. — Abbassamento degli stemmi imperiali al palazzo di Venezia. — Te Deum all’Ara-Coeli. — Processioni e prediche al Colosseo. — Il padre Gavazzi vi bandisce la così detta santa crociata. — Progetto di armamento. — Festa dei moccoletti la sera del 21 marzo. — Il colonnello Ferrari preposto all’arrolamento. — Il generale Giovanni Durando chiamato al comando dell’armata. — Atto del circolo romano per la pronta organizzazione e movimento delle milizie. — Indirizzo dei cosi detti rappresentanti di tutti gli stati italiani per ispingere il papa a porsi alla testa della dieta italiana. — Commissione per l’armamento. — Offerte nelle pubbliche piazze. — Il Santo Padre benedice la bandiera, ma raccomanda di non oltrepassare i confini. — Atto del governo provvisorio di Milano per ispingere il papa alla guerra. — Atto del Santo Padre del 30 marzo, allusivo alla gravità degli avvenimenti.


Giunti al 21 di marzo, un nuovo campo si schiude sotto i nostri occhi. La mina avea finalmente scoppiato. La Francia era in piena rivoluzione, e Vienna e Berlino erano in rivoluzione ancor esse.

Quanto all’Italia diremo che quel desiderio di sottrarsi dall’austriaca dominazione che rivestiva varie apparenze, ora col gridare viva Pio IX nelle popolari radunate, ora coll’interdire l’uso dei sigari, ora coll’indossare i cappelli alla calabrese o i tessuti di velluto indigeno; che fece pure introdurre quella nuova foggia di vestire chiamata all’italiana, 1 e manifestossi per mezzo degli scritti d’ogni genere che diffondevansi, e che tutti tendevano allo stesso scopo; [p. 131 modifica]quel desiderio, ripetiamo, venne finalmente attuato in Milano nelle famose giornate dei 18, 19, 20, 21 e 22 di marzo, giornate mai sempre memorabili perchè feccr vedere che cosa fosse furia di popolo concitato, cui nè le spade nè i cannoni, se dice davvero, bastano a contenere.

Non fu è vero la sola propria forza della rivoluzione che ottenne questi successi, perchè se fosse stata abbandonata a se stessa, non avrebbe dominato abbastanza le masse per farle insorgere, ma sibbene il prestigio del nome di Pio IX il quale fecesi credere al popolo milanese essere l’animatore, occulto dell’italico risorgimento; e Carlo Alberto intervenendo in Lombardia, far ciò in nome dell’umanità e come spada di Pio IX.2

Di che sia capace l’amore di libertà massime s’egli è congiunto colla devozione pel papato, e qual coraggio si diffonda nel popolo, per frangere i ceppi ond’è avvinto, dalla persuasione che la religione stessa lo comandi e lo sanzioni, ben lo addimostrano quei giorni in cui una popolazione inerme costrinse gli austriaci dominatori ad una fuga quanto precipitosa, altrettanto disonorevole.

Non è nostro ufficio il narrare qui come ciò avvenisse; giacchè, scrivendo noi la storia di Roma, possiamo enunciare soltanto i fatti accaduti in altri paesi per la relazione ch’ebbero colle cose nostre. Non possiamo però omettere di rilevare, e ripetere ad alta voce, che venne ingannato il popolo milanese per farlo insorgere; e che uno dei più caldi insorgenti fu quell’Enrico Cernuschi di Milano, il quale poi nel 1849 venne in Roma e vi diresse le barricate; e mentre in Milano onorava ed esaltava Pio IX, e ne faceva apporre il nome sulle barricate stesse perchè gli faceva gioco, derideva e bestemmiava in Roma il suo nome venerando: e Roma sei vedeva ansante e festoso fra la distruzione delle sue ville e de’ suoi casini, e attonita assisteva alle sue comiche arringhe fra il rimbombar dei cannoni, lo scoppio delle granate, il fragor de’ moschetti, le grida [p. 132 modifica]dei feriti, e lo sgorgo del sangue dalle membra avulse e da’ crani sfracellati de’ suoi difensori.

Sui fatti di Milano potranno attingere i nostri lettori le opportune particolarità dalle opere che designamo a piè di pagina:3 ma non vogliam tralasciare la menzione di alcune circostanze che mettono in sodo ciò che asserimmo, dell’essersi cioè fatta l’insurrezione a Milano in nome di Pio IX; e ciò facciamo affinchè questa verità si conosca da tutti, e s’imprima con traccie profonde nelle menti di chi leggerà le presenti carte.

Le lettere che provenivano dalla Lombardia recavan di fatti che a Milano il governo provvisorio reggeva la città in nome di Pio IX;4 il benedite gran Dio l’Italia, e la falsa interpretazione che ad arte gli si dava, era sempre in tutte le bocche, e questo inganno venne talmente generalizzato, che si vider perfino parecchi del clero prender parte all’insurrezione. Si chiamò santa crociata l’insurrezione italiana, e la croce di Cristo si affisse sul petto degli insorti; e nel pubblicare a Milano una litografia esprimente l’insurrezione, si pose la religione in atto di incoraggiarla.5 Che il nome di Pio IX poi fosse sulle barricate di Milano, oltre le relazioni che lo dissero, lo dimostrano perfino alcune stampe pubblicate a Milano che ci rimangon tuttora, e che possono osservarsi nella nostra raccolta.6Pubblicossi inoltre una carta geografica rappresentante la Lombardia colla iscrizione a grandi lettere di terra santa.7

[p. 133 modifica]Prima però che i casi di Milano venissero a cognizione del pubblico in Roma, eransi conosciute positivamente le cose occorse in Vienna, e la mattina del 21 marzo si osservava per le vie più frequentate della città, un movimento insolito.

Alle undici e mezzo poi si videro una cinquantina circa di giovani, quasi tutti Lombardi, recarsi ordinatamente pel Corso, ed arrestarsi sotto l’abitazione del barone di Binder, agente degli affari ecclesiastici della legazione austriaca, nel palazzo di Venezia, e precisamente nella via detta Macel de’ corvi.

Essi, fatta sosta, richiesero l’abbassamento degli stemmi imperiali, i quali all’abitazione del Binder eran di piccola dimensione. A prevenire il tumulto e le violenze, che in tanto concitamento di animi potevano accadere, si affacciò al balcone, non un addetto alla legazione austriaca, come disse la Pallade, ma sì bene il marchese Ferdinando di Lorenzana, genero del barone di Binder, che colà a caso ritrovavasi. Disse parole miti e conciliatrici, raccomandò loro la calma, e li pregò a non voler fare violenza al palazzo di residenza degli austriaci ambasciatori, nè dare occasione di spavento all’ambasciatore conte Lutzow e a tutta la sua famiglia che ivi dimoravano.

Pronunziò il Lorenzana con sì bel garbo il suo discorso, che venne accolto con plausi; e subito dopo si vide un inserviente del palazzo salire dall’interno di questo sul parapetto, togliere gli stemmi e farli cadere sulla strada.

Grande fu l’allegrezza tra coloro sopra tutto che con simile intendimento eransi recati al palazzo di Venezia. Intanto il racconto dell’accaduto attirò molta gente da tutte le parti nelle adiacenze di quel palazzo; e quando l’agglomeramento di popolo si vide ingrossato oltre misura, si pensò per satisfarlo, di far abbassare gli stemmi tragrandi che figuravan di fronte al medesimo. Ciò ebbe luogo senza opposizione veruna, e fra il tripudio degli astanti. [p. 134 modifica]Che poi non vi fosse opposizione di sorta non è da stupire, ove si consideri che il ministero di polizia era in quel tempo affidato all’avvocato Giuseppe Galletti.

Gli stemmi d’Austria caduti che furono nella strada sottoposta, vennero fatti in minutissimi pezzi e raccolti avidamente dal popolo. Si disse pure che un pezzo di maggior dimensione venisse legato alla coda di un asino onde meglio eccitar le risa, e che gli altri venissero bruciati sulla piazza del Popolo. Pareva a quei giovani festanti di avere coll’abbassamento e distruzione delle armi debellato l’impero austriaco.

Si tolse quindi una bandiera tricolore formata da un dei parati che avea servito per decorare la loggia del principe di Canino nei giorni del carnevale, e si collocò ov’erano le armi; ed alla lapida marmorea ove leggevasi «proprietà dell’impero austriaco,» che subito si ruppe a furia di colpi di martello, si sostituì la iscrizione «palazzo della dieta italiana

Questa è la nuda esposizione dei fatti del 21 marzo che vedemmo co’ propri occhi. Ne parlò la Gazzetta di Roma nella parte officiale nel modo seguente:

«Le notizie che giunsero da Vienna martedì (21) si diffusero in un istante per tutta la città. Come suole, la fama le ampliò, e si credette che non solo fosse accordata una costituzione in Austria, ma che eziandio caduta fosse la dinastia.

» Al divulgarsi di tale notizia una moltitudine corse di repente al palazzo di Venezia, residenza dell’ambasciatore austriaco, e volle abbassar gli stemmi di quella imperial Casa. Fu il fatto così istantaneo, che non si ebbe tempo di prevenirlo.

» Il governo non può non disapprovare altamente un simile atto, con cui venne violato il diritto delle genti. Nè il governo stesso tralasciò, con quei mezzi migliori che la prudenza in quel momento consigliava, di opporsi che fosse tocco lo stemma di un pubblico rappresentante.

[p. 135 modifica] » Dobbiamo ancora dichiarare per la verità essere insussistente quanto riferivasi nella Pallade n. 198, che alcuno dell’ambasciata austriaca abbia parlato al popolo e quindi atterrato lo stemma. Niuno dei componenti la legazione ciò fece: nè alcuno di essi in tale disgustoso avvenimento mancò, nella benchè minima parte, al proprio dovere. Solamente un ragguardevole personaggio, estraneo alla legazione stessa, trovatosi a caso nell’abitazione dell’agente imperiale, per amore della quiete e dell’ordine pronunciò parole di legalità, sconsigliando di mandare ad effetto quel disegno.»8

Questo racconto è inesatto, perchè un quaranta o cinquanta individui di apparente civil condizione, non armati, e senza strepito incedenti, non costituiscono una moltitudine, come dice la Gazzetta, la quale poi omise il più essenziale, perchè non ci dice come fu poi che ad onta dell’esortazione del personaggio ragguardevole, gli stemmi in via Macel de’ corvi venissero abbassati. Noi manteniamo fermo il nostro racconto, perchè fummo fra i pochissimi testimoni di vista. Quanto poi alle inesattezze della Gazzetta officiale, non è a meravigliarsene, se si considera che avevamo in quel tempo il conte Recchi per ministro dell’interno, il dottor Farini per sostituto al medesimo, e l’avvocato Galletti per direttore di polizia. Questi governavano Roma, e come tutti sanno, appartenevano tutti e tre alla rivoluzione.

Alle ore quattro pomeridiane circa ebbe luogo una imponente processione che mosse dalla piazza del Popolo e che passando pel Corso, recossi al Campidoglio. Nella chiesa dell’Ara-Coeli fu cantato a popolo il Te Deum, e quindi tutti recaronsi al Colosseo, ove il padre Gavazzi predicò, dicendo nel suo pessimo, goffo, ed enfatico stile tutto quello che seppe dire allusivo a quella occasione. Ma esso fece anche di più, perchè bandì la santa crociata contro gli Austriaci. Enfatiche parole disse pure il Masi, ma il Masi era poeta; e mentre intendeva con abilità somma ad [p. 136 modifica]incendiar gli animi, sapeva temprare siffattamente i suoi discorsi, da poterli pur anche contenere affinchè non trasmodassero. I suoi versi erano spontanei, la sua elocuzione facile, vigorosa, affascinante. Egli era inoltre aggraziato e simpatico della persona; e quindi non ci si vorrà contrastare che con tali qualifiche fu il più abile, pericoloso e influente demagogo della romana rivoluzione. La sua patria era Perugia.

È da premettersi che mentre la processione si recava al Campidoglio, osservavasi un vessillo tricolore sulla facciata del Gesù. Questa insolita vista movea le risa, e faceva insieme gridare ai sottostanti quel famoso in allora è troppo tardi. Alla porteria poi si leggeva un est locanda stampato; e corse gran rischio un tale che per zelo inopportuno tentò di staccarlo.

La sera si celebrò la festa dei moccoletti in luogo di quella che non volle darsi in segno di lutto pei casi di Lombardia, l’ultima sera di carnevale.9

Dobbiam dire a lode del vero che una tal festa non mai riuscì o più numerosa o più brillante di quella del marzo 1848. Il popolo si guidò da sè; e se non accadde alcuno sconcerto fu tutto merito suo, perchè quella sera la soldatesca non intervenne pel Corso.

Raccontaron le feste di quel giorno memorabile più o meno bene tutti i giornali;10 ma chi le narrò con maggiore esattezza fu un giornale in foglio che pubblicavasi in Roma da alcuni Francesi, intitolato Le Capitole.11

Accadevan queste cose il giorno 21 di marzo, producendo tale uno stupore ed eccitamento negli animi, da non si poter descrivere. S’immagini dunque ognuno qual dovesse essere l’effetto prodotto sopra ogni ceto di persone il giorno 23 allorquando si conobbe in Roma la rivoluzione di Milano.

[p. 137 modifica]Poichè la memoria ancora ci assiste, e i documenti non ci mancano, ci accingeremo a raccontare più ragguagliatamente e fedelmente che sia possibile ciò che accadde in quell’epoca, che se ben si considera, fu la più grave, la più importante, e la più terribile di tutte, potendosi asserire che nel mese di marzo del 1848 la rivoluzione fosse quasi generale in Europa. E siccome gli annunzi di tanti e così tremendi avvenimenti, eran vaghi ed incerti, vago ed incerto era altresì lo sviluppo delle cose. Ond’è che gli animi di tutti eran compresi dalla più grande ansietà e perturbazione.

Ma quello che più fece sbalordire gli animi fu la rivoluzione di Vienna, perchè nella Francia già si aspettava che accadesser subbugli. La Francia si sa che fa lo rivoluzioni a buon mercato. Napoli non era nuova a politici rivolgimenti, e l’esempio del 1820 era presente tuttora; il Piemonte avea dato i suoi segni nel 1821; le Romagne nel 1831, nel 1843, e nel 1845; quanto a Milano si prevedeva da un momento all’altro che il viva Pio IX associato col viva l’Italia avrebbe presto o tardi condotto le cose a tali estremi, da dover venire alle mani. Ciò dunque se destò ansietà, non destò già meraviglia. Imperocchè fu esso l’annunzio di quello che si voleva e si aspettava, ed a cui tendeva tutto il movimento da due anni iniziato.

Ma la rivoluzione di Vienna, della città più fedele all’Absburghese dinastia, la quale non mai aveva dato il minimo sentore di politici movimenti; ove anzi tutto era rigore e sottomissione; gli spiriti stessi dei cittadini freddi, torpidi, ligi in massimo grado al potere; ove il potere quanto rigoroso, altrettanto scaltro, lasciava che la popolazione si abbandonasse alla mollezza dei piaceri sensuali, col favorire ogni sorta di passatempi, colpì gli spiriti tutti di stupore per la sua inesplicabilità.

E per vero il viver lieto e festevole che in Vienna più che in altra città gode vasi, doveva escludere perfino [p. 138 modifica]l’ombra di quelle tendenze che in altri paesi eran sì comuni. Tutte queste considerazioni rendevano un tale avvenimento, lo ripetiamo, quanto sorprendente, altrettanto misterioso.

Mettendo per un momento da parte la rivoluzione di Vienna, e ritornando a parlare di quella di Milano, diremo che una delle prime conseguenze fu quella di eccitare, tosto che se n’ebbe la certezza, il desiderio in molti di aver le armi nelle mani per correre in aiuto dei fratelli lombardi.

Ad appagare il quale, riunitosi il Consiglio dei ministri, emise subito una ordinanza, affinchè si aprissero i ruoli per inscrivervi i nomi dei volontari. Il ministro di polizia Galletti lesse l’ordinanza sulla piazza del Popolo. Aprironsi le sottoscrizioni al Foro Boario e al Colosseo. In quest’ultimo luogo il padre Gavazzi nel bandire la santa crociata, disse: che avrebbe velato di nero una croce per discoprirla quel dì che l’Italia sarebbe stata libera. Presentò al popolo dal pulpito stesso ove predicava, il generale Ferrari che capitanar doveva i volontari. Applaudì il popolo al designato duce, come nel luogo stesso diciotto secoli prima applaudiva ai gladiatori che combattevano contro le indomite fiere delle africane regioni.

Il popolo poi, siccome era preso da entusiasmo nelle sue determinazioni, leggendo scritto il nome di Ciceruacchio nei ruoli fra i primi campioni, levò alto la voce dicendo di non voler perdere il suo rappresentante; e Ciceruacchio allora giurò di non partire, soggiungendo: partirà il figlio mio in mia vece, partirà il sangue mio.nota

Coll’atto però da noi memorato col quale dal ministro delle armi ordinavasi l’arrolamento, prescrivevasi pure che il colonnello Ferrari fosse preposto alla direzione del medesimo, chiamando il generai Durando al comando dell’intero corpo di operazione. In pari tempo il generale principe Rospigliosi, con un ordine del giorno, invitava i 12 [p. 139 modifica]militi civici, dagli anni venti agli anni trentacinque inscritti nei ruoli, a recarsi agli offici dei battaglioni per dare i loro nomi, quante volte volessero far parte dei battaglioni mobilizzati.13

Alle disposizioni armigere del ministro della guerra e del generale comandante la civica, univansi ancor quelle del circolo romano, il quale nello stesso giorno 23 marzo fece sì, che sotto i suoi auspici si formolasse un indirizzo al Santo Padre per la pronta organizzazione e movimento delle milizie; e detto indirizzo veniva sottoscritto dal

Marchese Massimo d’Azeglio piemontese.
Rodolfo Audinot di Bologna.
Dottore Pietro Sterbini di Vico.14

Un avvicendarsi sì rapido di tanti e sì inaspettati avvenimenti, quanti nel decorso di pochi giorni erano accaduti, riscaldar dovea le teste al massimo grado. Di fatti il giornale l’Epoca, dopo aver parlato nella sua esultanza della rivoluzione di Vienna, di Pesth, e di Lemberg, e dell’esequie a Pietroburgo per la pretesa morte dell’imperator Nicolao, e delle presunte confusioni a Mosca, e della sognata emancipazione a Odessa, riscaldava viemaggiormente gli animi de’ suoi lettori colle parole seguenti:

» L’assolutismo è così languente, che basteria il soffio di un fanciullo per ispegnerlo. Avete mai veduto un orso o altra fiera incatenata? Non fa più terrore; anche i pargoletti l’insultano. Iddio ha incatenato l’assolutismo. e gli ha messo la morte nel cuore. Correte! correte! fate di giungere a tempo per vederne gli ultimi aneliti. Affrettatevi! bisogna portar di corso la bandiera di Pio IX e dell’Italia sino alla cima delle Alpi, sin dove incontrerete un’altra bandiera a tre colori e coi nome della libertà. Tra le cose che la paura getta per via, [p. 140 modifica]troverete certo una vecchia spada, raccoglietela, è la spada di Radetzky: troverete anche qualche corona ducale — son cose che non se ne fabbricherà più: si metteranno al museo delle mummie.15»

Un cosiffatto linguaggio denota in modo lampante che già ritenevasi essere Roma in istato di repubblica: perchè se le corone ducali di Toscana, di Parma, e di Modena, alle quali alludeva l’Epoca, riguardavansi come oggetti da museo, non è a supporre che l’archeologia rivoluzionaria non tenesse già di mira la tiara pontificale, come complemento del museo stesso. E in prova ulteriore che tale era l’opinione degli eccessivi, i quali già guidavano il movimento, noi troviamo in una raccolta di caricature pubblicate in quell’epoca, una litografìa rappresentante alcune donne che giocano a pallone colle corone reali e ducali.16

Ma a che cercar prove nelle colonne dei giornali e nei concetti degli artisti, se gli atti stessi governativi ce ne porgono una irrefragabile? E qual prova maggiore di questa se ne potrebbe addurre? Il papa voleva e comandava una cosa, e il ministero ne faceva un’altra; il papa inculcava e raccomandava sempre la pace, e i ministri davan disposizioni per la guerra. Dunque il papa non comandava altro che apparentemente. E prima ancora che venisse il Mamiani a riporlo fra le nuvole, per pregare, benedire e perdonare solamente, ce lo aveva posto il ministero Recchi: e se vogliamo pur dirlo, ve lo avevan posto gli agitatori colle popolari dimostrazioni mediante le quali si sostituì l’impero della piazza a quello dell’aula sovrana.

Se dunque il popolo avea già da lunga pezza preso il sopravvento, se chi doveva comandare non era obbedito, qual governo se non quel repubblicano avevasi in Roma?

[p. 141 modifica]Ma pure in una repubblica vi ha un presidente, o un dittatore, o i consoli investiti per legge del potere: e in Roma col disconoscere le volontà, i desideri, il comando del pontefice, non si venne col fatto a spogliarlo di questa essenziale prerogativa? Eppure l’Europa, non ancora chiarita sul vero stato delle cose, teneva su Roma fisi gli sguardi, la prendeva a modello, e gl’infelici suoi abitanti stoltamente invidiava.

E che si volesse conservare l’apparenza del papato e avere una repubblica italiana col papa alla testa, risulta da un indirizzo al Santo Padre elaborato nel circolo romano, del quale indirizzo ci contenteremo trascrivere qui un brano, essendo già riportato per disteso nel nostro sommario. Era scopo dell’atto pregare il pontefice onde volesse accettare la presidenza di una dieta italiana.

Ecco il brano:

«Coll’animo compreso da inenarrabile letizia tutti i cittadini d’Italia si rivolgono pieni di fiducia e di spetanze al generoso pontefice che iniziò l’italico risorgimento, e lo supplicano a compire la santa opera sua. I popoli italiani hanno coscienza della loro nazionalità. Sono figli della stessa famiglia, ed anelano a stringere il patto di amore e di fratellanza, radunandosi attorno al loro padre, al loro liberatore. A tal uopo i sottoscritti domandano alla Santità Vostra di adoperarsi perchè senza perdita di tempo, la rappresentanza di tutti gli stati d’Italia promossa da voi si raccolga in Roma a parlamento nazionale, a dieta italiana.

«Beatissimo Padre, in questo gran naufragio di tutte le potenze della terra, in questo sublime riordinamento delle nazionalità europee, un solo potere sussiste perchè poggia sulle inconcusse fondamenta della verità e del diritto, il vostro. La Santità Vostra pronunciò prima la sacra parola, e iniziò l’era novella italiana ed europea. Alla Santità Vostra tocca parimenti la gloria di aggiungere nuovo splendore al papato ed alla religione, sorgendo alla [p. 142 modifica]prema dignità di moderatore di tutti i popoli italiani, e ridonando a Roma il suo primato morale e civile non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .


Li 23 marzo 1848.


» Carlo Rusconi per Bologna.
» Padre Gioachino Ventura per la Sicilia.
» Professor Francesco Orioli per gli stati romani.
» Eugenio Albèri per la Toscana.
» Cavalier Francesco Mortara per gli stati di Parma e Piacenza.
» Rodolfo Audinot per lo stato romano.
» Francesco Dall’Ongaro per lo stato veneto e illirico.
» Giulio Litta Modignani per lo stato lombardo.
» Massimo D’Azeglio pel Piemonte.
» Giuseppe Massari pel regno di Napoli.
» Carlo Berti Pichat per Bologna.
» Luigi Masi per Roma.
» Pietro Sterbini per Roma.17»

Un atto importantissimo fu questo, perchè estorse una confessione di gran momento, e fu quella che il solo potere il quale nello sfasciamento generale di Europa poggiava sulle solide basi della verità e del diritto, era quello delle somme chiavi, la qual confessione se era sincera, dava [p. 143 modifica]mostra del più consolante ravvedimento: se bugiarda, della più esecranda iniquità per parte di chi la pronunziava. Gli atti posteriori chiarirono per quello che erano alcuni dei soscrittori i quali, fra le altre irregolarità, convocavan diete e conferivano primati senza che ci dicessero da chi ne avevan ricevuto il mandato: e così Roma fatta zimbello di tutti gli agitatori politici, ebbe l’alto onore di avere nei due poeti Masi e Sterbini i suoi rappresentanti.

La mancanza del mandato però non si limitò ai pretesi rappresentanti dei vari stati italiani ch’eran tutti estranei a Roma, ma si estese anche a coloro che s’intitolarono come rappresentanti di Roma stessa, la quale non si è mai sognata di devolvere ai poeti Masi e Sterbini il carico onorevole di rappresentarla presso il Santo Padre. In quel tempo però guardavasi così poco pel sottile, che simili irregolarità accadevano senza che niuno le avvertisse o ne facesse il minimo richiamo.

In prova di che il 24 di marzo leggevasi un atto nelle pubbliche vie di Roma, emanato da una commissione che non si sapeva se fosse stata creata dal papa, dal così detto popolo, o da se stessa.

Formate in questa guisa le commissioni di allora, presentavansi in sulla scena, e senza dire nè come nè da chi fossero state investite del potere, ordinavano e disponevano di ogni cosa; e il gregge servile, non riflettendo nè punto nè poco, obbediva ciecamente, mentre in tempi più regolari se non ricalcitrava del tutto, obbediva almeno di malincuore anche agli ordini della legittima autorità. È vero per altro che la commissione di cui teniamo proposito era composta di persone per ogni conto ragguardevoli; e però speriamo non vorranno imputare a colpa questo libero sfogo di un loro concittadino il quale per amore della verità è costretto a richiamare alla memoria alcuni falli che i medesimi, non già per malizia, ma per politica inesperienza o per necessità di posizione, involontairamente commisero.

[p. 144 modifica]Se la commissione non richiese il permesso all’autorità, fece male; se lo richiese, l’ottenne, e non ne fece parola, fece peggio; e se l’autorità poi concedette il permesso d’istallarsi, e non volle che se ne facesse menzione nell’atto, non potrebbe andare esente dal biasimo che deve incontrare tutto ciò che difetta di regolarità.

L’atto in discorso dice come segue:


Offerte volontarie per l’armamento e la partenza
dei nostri concittadini.


«La gioventù romana ha risposto degnamente ali’ invito della patria: essa s’incammina verso i confini dello stato in compagnia della milizia pontificia, nè teme le fatiche della guerra e il rischio della vita, decisa di concorrere coi fratelli italiani a liberare la madre comune dallo straniero.

»È giustizia, è santo dovere che coloro i quali restano alle loro case, e che godranno il frutto di tanto spontaneo sacrificio contribuiscano anch’essi in qualche modo al trionfo di una causa da cui dipendono i futuri destini del nostro paese: e lo faranno deponendo sull’altare della patria una parte del loro denaro per soccorrere l’erario esausto, e sovvenire alle spese straordinarie di questo movimento di truppe.

»Sulle pubbliche piazze nei luoghi indicati qui appresso, s’innalzeranno pulpiti destinati a ricevere i doni volontari dei ricchi, dei commercianti, dei nobili, dei luoghi pii, delle corporazioni religiose. Una commissione si è formata per raccogliere le somme versate, e rimetterle nelle mani di Sua Eccellenza il ministro della guerra, signor principe Aldobrandini, il cui officio sarà d’impiegarle soltanto al servizio della nuova truppa mobilizzata, e coll’obbligo di mostrarne al pubblico l’uso che ne sarà fatto.

»Si stamperanno e si affiggeranno le liste dei nomi e [p. 145 modifica]delle somme donate, onde il popolo possa riconoscere i suoi veri amici.

» Evvi certa speranza che l’esempio di Roma sarà imitato dalle provincie.

» Si renderanno in tal modo più facili e più sollecite le operazioni di guerra.

» Potrà dirsi allora con orgoglio che non vi fu cittadino in qualunque classe sociale il quale non si mostrasse pronto ad ogni sagrificio per liberare per sempre la patria dal vergognoso dominio dello straniero.

» I giorni di sabato e di domenica 25 e 26 del corrente sono destinati per raccogliere i doni.

» I luoghi dove si alzeranno i pulpiti sono, piazza Colonna, piazza di Venezia, piazza di Sant’Eustachio. Le ore, dieci del mattino alle cinque pomeridiane.

» I signori componenti la commissione destinata a ricevere le offerte sono i seguenti:

Principe Corsini Senatore Marchese Gio. Paolo Muti
» Borghese Paolo Costa
» di Teano Alessandro Castellani
» Doria
Duca di Rignano Giuseppe Guerrini
» Torlonia Don Marino Ottavio Gigli
Filippo Cagiati
Marchese Pio Capranica Vincenzo Cortesi
» del Gallo Avvocato Zaccaleoni
Commend. Pio Grazioli Filippo Meucci
» Campana Vincenzo Gentili
Fratelli Mazzocchi Pietro Tomassini
Giacomo Polverosi Avvocato Petrocchi.18»

Questo fu l’atto stampato e affisso al pubblico. L’Epoca però pubblicò la seguente aggiunta:

«Per maggior comodo degli offerenti, le oblazioni sì in denaro come in oggetti per lo armamento dei volontari, saranno ricevute anche nei luoghi seguenti:

[p. 146 modifica]

» Piazza di Spagna,
» Piazza di san Carlo a Catinari,
» Sale del circolo romano,
» Palazzo Bernini al Corso numero 151,
» Casino dei commercianti al Corso.


Deputati aggiunti.

Conte Antonio Lovatti Bigioni Domenico
Giuseppe Ponzi Passega Leopoldo
Michele Matteini Modigliani Laudadio
Achille Lupi Enrico Serny.19»
Giuseppe Cartonaggi

Concorsero a sottoscrivere le offerte circa un 1,600 individui, che sopra una popolazione di 180,000 abitanti, ne formano sotto al centesimo: e la somma raccolta di cui il Contemporaneo ci dette la lista, ascese a scudi 31,839.02, oltre vari oggetti preziosi.20

Comecchè anche i Romani desiderassero in gran parte di vedere quanto prima sgombre le italiane contrade dagli Austriaci, pur tuttavia se le sottoscrizioni fossero state veramente spontanee, e non già violentate con quel manifesto, e coll’annunzio d’inserire i nomi degli offerenti nel Contemporaneo ch’era lo spauracchio dei retrivi, la somma che si sarebbe raggrannellata con le sottoscrizioni, sarebbe stata al certo assai minore. Parve a molti, e malignaron sul manifesto medesimo paragonandolo al caso di quel tale che chiedeva la limosina, sussidiato da un fucile che seco recava.

Altri poi rassomigliarono il manifesto romano ad una ricetta.

La sottoscrizione (per conoscere quali erano i veri amici del popolo) ad una droga medicinale.

Gl’ingredienti che componevanla, i seguenti:

[p. 147 modifica]

5/10 intimidazione, onde evitare l’odio della rivoluzione. E che la intimidazione facesse il suo effetto, basta legger la nota. Gli stessi Gesuiti dettero 1000 scudi, come li dettero i principi Borghese, Corsini, Doria, Piombino e Torlonia; e quasi tutte le corporazioni religiose, i capitoli, le collegiate dettero chi 50 e chi 100 scudi, ed anche di più: cosicchè osservando la lista, apparisce che un 12,000 scudi furon dati da una quarantina di persone.
1/10 vanagloria, onde non comparir da meno degli altri in finanze.
1/10 rispetto umano, e finto spirito di carità di patria.
3/10 amore dell’indipendenza italiana scevro da qualunque altra considerazione.
Totale 10 decimi, ossia l’unità.


Su questa base pertanto si sarebbero avuti scudi 10,000 circa, che sopra una popolazione di 180 mila abitanti di tutte le classi, farebbero risultare la entità delle offerte a cinque baiocchi e mezzo a testa: cifra che per combinazione corrisponde a quella famosa che la società principe Conti e compagni proponeva di risparmio giornaliero, per fare le strade ferrate.21

Che se pure si volessero escludere la vanagloria e la paura, sarà sempre vero che tutto l’entusiasmo per la guerra al barbaro (come dicevasi in allora) non giunse a dare altro che diciotto baiocchi a testa, cosa ben tenue per un affare di sì grave momento.

Mentre però da un lato si raccoglieva il danaro, dall’altro incominciava a partire la truppa pel confine fino dal giorno 23, dopo essere stata passata in rivista dal general Durando. Facevan parte di questa prima spedizione

[p. 148 modifica]La 2.a compagnia dei dragoni.

Un battaglione di cacciatori a piedi.

Il 2.° battaglione fucilieri.

Una compagnia di carabinieri a piedi.22

Tutto il resto delle soldatesche partì dal 23 al 30 di marzo.

Il generale Giovanni Durando partì col marchese Massimo d’Azeglio e col conte Casanova, suoi aiutanti di campo.

Il general Ferrari, col duca Don Filippo Lante, col poeta Luigi Masi, e col maggiore Mattia Montecchi, i quali formavano il suo stato maggiore.

Detti due generali non dieder saggio di molto accordo fra loro: imperocchè il primo se la teneva più per Carlo Alberto e per lo ingrandimento della sua corona; il secondo sembrava propendere per una repubblica italiana.

Per maggiore schiarimento però porremo sott’occhio dei nostri lettori la nota di tutti i corpi di armata, insieme co’ loro rispettivi comandanti.


Armamento e partenza dei militi di linea, civica e volontari dal 23 al 30 marzo, i quali s’avviarono al confine dello stato pontificio, e che poi sconfinando recaronsi in Lombardia.




Generale Giovanni Durando piemontese comandante in capo il corpo di operazione e la divisione di linea. Detto generale dopo la prima campagna di Lombardia venne in Roma per giustificarsi dall’accusa di malversazione, e pubblicò un opuscolo a quest’oggetto.23

Generale Andrea Ferrari napoletano comandante le guardie civiche e i volontari mobilizzati, cioè

[p. 149 modifica]

1ª Legione romana.

Colonnello Natale Del Grande,


che la comandò fino al combattimento di Vicenza il 10 giugno 1848, giorno nel quale vi venne ucciso; da quell’epoca in poi fu comandata dal

Colonnello Bartolomeo Galletti.


2ª Legione romana.

Colonnello marchese Filippo Patrizi.


Detta legione si sciolse dopo il fatto di Cornuda, ed i superstiti si fusero nella


3ª Legione romana.

Colonnello Giuseppe Gallieno.


Dopo però il combattimento di Vicenza i militi che ne facevan parte, ritornarono in patria.

4ª Legione romana.

Colonnello conte Luigi Pianciani.



Battaglione universitario.

Colonnello Angelo Tittoni,


che si ritirò dopo il fatto di Vicenza.

Maggiore Ceccarini.


1° Reggimento volontari.

Colonnello duca Don Filippo Lante Montefeltro.


Creato colonnello il 25 marzo dal principe Aldobrandini, venne in seguito eletto generale dal presidente della repubblica di Venezia Daniele Manin. Egli pubblicò in Roma un’apologia della sua condotta.24

[p. 150 modifica]

2° Reggimento volontari.

Colonnello cavaliere Luigi Bartolucci.


Artiglieria civica romana.

Capitano Federico Torre.


Nel giornale l’Epoca si riporta25 alla pag. 42 un ordine del giorno del comando generale civico, nel quale è trascritto il quadro di tutti gli officiali dello stato maggiore, dei quartier mastri, portabandiere, officiali sanitari ec., il quale crediamo di riportare qui sotto per intiero.


[p. 151 modifica]
quadro degli officiali di stato maggiore

per la legione della guardia civica romana mobilizzata.

Tenente colonnello Del Grande Natale comandante.

1° Battaglione.
 
Maggiore ff. di ten. colonnello. Gallieno Giuseppe.
Maggiore. Galletti Bartolommeo .
Capitano aiutante maggiore. Lombardi Giuseppe.
Aiutanti sotto ufficiali. Ferranti Francesco.
Giamboni Sante.
Quartier mastro tenente. Montecchi Mattia.
Porta bandiera tenente. Tommasoni Tommaso.

2° Battaglione.
 
Maggiore ff. di ten. colonnello. De Angelis Pietro.
Maggiore. Tittoni Angelo.
Capitano aiutante maggiore. Gariboldi Alessandro.
Aiutanti sotto ufficiali. Zarù Luigi
Pietrongavi Alessandro
Ufficiale pagatore tenente. Del Frate Giuseppe.
Porta bandiera sotto tenente. Navona Giacomo.
 
Ufficiali sanitari. Mag. Battistini dott. Luigi.
Cap. Dedominicis dott. Casimiro.
 »   Mazzocchi dott. Francesco.
 »   Orioli dott. Gaspare incaricato dell’ambulanza.
 
Ufficiali aggiunti al generale Ferrari comandante.
 
Tenente colonnello. Patrizi marchese Filippo.
Maggiori. Stefanori marchese Carlo.
Amici Ignazio.
Capitani. Masi Luigi.
Diamilla Demetrio.
Cappellano. Scoldalizzi don Antonio.


Possiamo aggiungere che colla qualifica di cappellano partì qualche giorno dopo anche il famoso padre Gavazzi. Era in quei giorni un parlare continuo delle partenze dei militi; e quantunque abbiam detto che la somma raccolta avrebbe potuto esser maggiore, perchè i contribuenti formarono appena un centesimo della popolazione, non può tuttavia negarsi che in quella occasione vi fosse un certo entusiasmo in città per la partenza dei militi e per lo scopo che li spingeva ad allontanarsi da Roma. Queste partenze poi formarono un soggetto di spettacolo in parte tristo, in parte festevole, perchè alternavansi con gli evviva ed amplessi degli uni, i pianti e i singulti degli altri.

Ora dobbiamo narrare un aneddoto, il quale quantunque per se stesso oltremodo importante, non lascia di presentare alcuni tratti che sentono del comico.

La sera del 23 i volontari inscritti ed i civici mobilizzati ch’eran di partenza, recaronsi al Quirinale onde ottenere dal Santo Padre che benedicesse alla loro bandiera.

Il Santo Padre bene informato del disegno di chi avrebbe desiderato di comprometterlo, e fedele sempre alle idee pacifiche che in qualunque incontro aveva esternato, fece dire [p. 152 modifica]che trovandosi indisposto per infreddamento, non avrebbe potuto mostrarsi sulla loggia, ma che avrebbe ricevuto soltanto una deputazione di cinque o sei persone. La deputazione si formò all’istante, e più sotto ne daremo i nomi.

Esclusa così la pubblicità della benedizione, e poco calendo ai capi ed ai giovani che volevan partire e sconfinare, come la pensasse il Santo Padre relativamente alla guerra, abbandonaron quasi tutti la piazza del Quirinale, senza neppure attendere il ritorno della deputazione e sentir la risposta del pontefice.

Essa deputazione componevasi dei seguenti:

Sopranzi Domenico parrucchiere all’Impresa, il quale era il porta bandiera.
Masini Giuseppe caporale.
Pinelli Pietro.
Fontana Ferdinando.
Marabini Tommaso.
Piferi Alessandro.

Ammessa al cospetto del Santo Padre, esso con quella amabilità di maniere tutta sua, e con un sorriso benigno che quasi mai non si diparte dalle sue labbra, disse: «Ebbene miei figli voi partite dunque domani?» al che rispose il Sopranzi in nome de’suoi compagni: «sì, Santo Padre.»

«Sapete voi, replicò loro il pontefice, ove dovete andare?

» Ove i nostri capi ci condurranno, Santo Padre.

» Sta bene, miei cari, ma sarebbe meglio che sapeste da me stesso la vostra destinazione. Sappiate dunque che voi partite unicamente per andare a proteggere le frontiere dei nostri stati. Guardatevi bene di superarle, imperocchè facendolo, non solamente voi trasgredireste i miei ordini, ma voi assumereste sulle truppe pontificie la responsabilità di una aggressione. Andate dunque, [p. 153 modifica]miei figli, ma alle frontiere soltanto, lo ripeto, non al di là delle frontiere; tale è la mia volontà26

Dopo questa breve allocuzione il papa, raccomandato loro l’obbedienza all’autorità, la stretta osservanza della disciplina militare, e la pratica di quelle virtù che costituiscono il vero soldato, benedisse alla bandiera pontificia presentatagli dal Sopranzi, ed ammise al bacio del piede i delegati.

La narrazione che fece il Sopranzi ai rimasti sulla piazza, non volle ascoltarsi; e quando parlava di frontiere se gli imponeva silenzio col gesto e colla voce. In una parola si voleva far credere che il Santo Padre comandava di sconfinare, e guai a chi avesse voluto avversare un tal piano.

Fu pubblicata una relazioncella in termini ambigui il giorno seguente per far credere meglio, anzi per mantenere il pubblico nella falsa credenza che il papa autorizzasse lo sconfinamento delle truppe.

Di leggieri si persuaderà ognuno ehe la cosa passasse così, perchè troppo era l’interesse che il segreto non venisse svelato, e che la popolazione romana non solo, ma quella dello stato e di tutta l’Italia non venisse disingannata.

Volevasi portare da alcuni in trionfo la bandiera papale, ma il Sopranzi la consegnò al quartier generale alla Pilotta; e così ebbe fine questo episodio. Lo stesso Ranalli ammette che il papa non dette il permesso che pei confini.27

Intanto la truppa seguitava di giorno in giorno a partire fra gli evviva degli uni e le ansietà degli altri: perchè o dai figli i genitori, o dai fratelli i fratelli, o dalle spose gli sposi separavansi. Nè ciò era da meravigliare, perchè in fine coloro che partivano andavano a combattere, quantunque per animarne il coraggio, si venisse spargendo [p. 154 modifica]che gli Austriaci o pochi si fossero, o laceri, o stanchi e rifiniti per gli stenti e la fame.

Mentre queste cose accadevano in Roma, di molte altre parte vere, parte false, divulgavasi l’annunzio: cosicchè tutti gli animi erano in lotta coi timori e eolie speranze.

E volendo narrare più minutamente le cose che in Roma accadevano, è a sapere che il generale in capo dello stato maggiore duca di Rignano, pregava i civici che rimanevano in città a voler cedere ai mobilizzati i loro cappotti.28

Il canonico Ambrosoli, sermoneggiando in santa Maria in Trastevere, pronunziava parole ch’eran care agli amici della libertà e favorevoli agl’Israeliti.29

Il ministro sardo marchese Pareto riceveva una ovazione non di popolo ma di pochi; e fattosi al balcone per ringraziameli, annunziava il passaggio del Ticino per parte di Carlo Alberto.30

Il generai Rospigliosi con ordine del giorno del 28 invitava la civica a prender parte ad una suddivisione di artiglieria civica.mobilizzata.31

E il giorno 29 graziava il Santo Padre venticinque detenuti politici in Civita Castellana, ed uno in Castel sant’Angelo, mentre dall’altra parte le deputazioni dei circoli recavansi all’avvocato Galletti ministro di polizia, affinchè allontanasse i Gesuiti: ma su ciò meglio sarà consultare il capitolo seguente.32

Chiudevansi lo stesso giorno le liste per l’annoiamento della civica mobilizzata.33

E per dire anche di ciò che accadeva all’estero, convien sapere che si conobbe il proclama di Carlo Alberto col [p. 155 modifica]quale annunziava il suo imminente ingresso in Lombardia. 34

Il giorno 25 il governo provvisorio di Milano compilava un indirizzo al Santo Padre, nel quale senza tanti preamboli chiaramente dicevasi di aver fatto la rivoluzione in suo nome. Ecco le parole dell’indirizzo:

«Nel nome vostro, Beatissimo Padre, noi ci preparammo a combattere: scrivemmo il nome vostro sulle nostre bandiere, sulle nostre barricate: nel nome vostro inermi quasi e improvvidi di ogni cosa, fuorchè della santità de’ nostri diritti, affrontammo i formidabili apparati del nemico: nel nome vostro giovani e vecchi, donne e fanciulli lietamente combatterono, lietamente morirono: ed ora nel nome vostro apriamo la gioia de’ nostri cuori a Dio, che ha vinto in noi la sua battaglia.35

Queste parole somministrano la prova più evidente dell’astuzia dei rivoluzionari nel mettere avanti il nome del papa, ed il prestigio immenso ch’esercitava sul popolo questo nome venerando.

Lo stesso giorno aprivasi pure in Palermo il parlamento siciliano, e Ruggiero Settimo pronunziava il discorso di apertura.36

Ed il re di Napoli dava ancor esso le prime disposizioni per inviare truppe in soccorso della Lombardia.37

Due giorni dopo il generai Durando, giunto appena in Bologna, emanava un proclama nel quale fra le altre cose diceva:

«Le presenti condizioni d’Europa e d’Italia sono gravi e solenni. In un prossimo futuro saremo forse chiamati ad adempier grandi doveri, a compiere generosi sacrifìci, dalla voce della patria e di Pio, suo santo [p. 156 modifica]rigeneratore.» Chiudevasi il proclama col viva Pio IX, viva la indipendenza italiana.38

E la rivoluzione intanto, che vincitrice signoreggiava in Francia, in Germania ed in Italia, scoppiava e veniva compressa in Madrid il 25 di marzo. 39

Sotto il giorno 29 poi lo Czar delle Russie Nicolao emanava un proclama minaccioso ed iracondo contro lo spirito rivoluzionario che invadeva l’Europa. Ma di ciò meglio nel capitolo IX.40

In questo sconvolgimento universale di cose fu inspirato il Santo Padre ad emettere un atto, che ci sembra ripieno di sentimenti così alti e peregrini, che crediamo bene di riportarlo qui per intiero. Era del tenore seguente:


PIUS PP. IX.

ai popoli d’italia salute ed apostolica benedizione.


«Gli avvenimenti che questi due mesi hanno veduta con sì rapida vicenda succedersi e incalzarsi, non sono opera umana. Guai a chi in questo vento che agita, schianta e spezza i cedri e le roveri, non ode la voce del Signore! Guai all’umano orgoglio, se a colpa o a merito di uomini qualunque riferisse queste mirabili mutazioni, invece di adorare gli arcani disegni della Provvidenza, sia che si manifestino nelle vie della giustizia o nelle vie della misericordia: di quella Provvidenza nelle mani della quale sono tutti i confini della terra! E noi, a cui la parola è data per interpretare la muta eloquenza delle opere di Dio, noi non possiamo tacere in mezzo ai desideri, ai timori, alle speranze che agitano gli animi dei figliuoli nostri. [p. 157 modifica]» E prima dobbiamo manifestarvi che se il nostro cuore fu commosso nell’udire come in una parte d’Italia si prevennero coi conforti della religione i pericoli dei cimenti, e con gli atti della carità si fece palese la nobiltà degli animi, non potemmo per altro nè possiamo non essere altamente dolenti per le offese in altri luoghi recate ai ministri di questa religione medesima. Le quali, quando pure noi contro il dovere nostro ne tacessimo, non però potrebbe fare il nostro silenzio che non diminuissero l’efficacia delle nostre benedizioni.

» Non possiamo ancora non dirvi che il bene usare la vittoria, è più grande e più difficile cosa che il vincere. Se il tempo presente ne ricorda un altro della storia vostra, giovino ai nepoti gli errori degli avi. Ricordatevi che ogni stabilità e ogni prosperità ha per prima ragion civile la concordia: che Dio solo è quegli che rende unanimi gli abitatori di una casa medesima; che Dio concede questo premio solamente agli umili, ai mansueti, a coloro che rispettano le sue leggi nella libertà della sua Chiesa, nell’ordine della società, nella carità verso tutti gli uomini. Ricordatevi che la giustizia sola edifica: che le passioni distruggono: e quegli che prende il nome dire dei re, s’intitola ancora il dominatore dei popoli.

» Possano le nostre preghiere ascendere al cospetto del Signore, e far discendere sopra di voi quello spirito di consiglio, di forza e di sapienza, di cui è principio il temere Iddio: affinchè gli occhi nostri veggano la pace sopra tutta questa terra d’Italia, che se nella nostra carità universale per tutto il mondo cattolico non possiamo chiamare la più diletta, Dio volle però che fosse a noi la più vicina!

» Datum Romæ apud S. Mariam Majorem die XXX martii MDCCCXLVIII pontificatus nostri anno secundo. 41»

Pius PP. IX.


[p. 158 modifica]Non riuscì il detto atto abbastanza chiaro a tutti, e parve a taluno un saggio dì misticismo biblico. I più assennati però lo giudicarono per un atto dignitoso e sublime così pel concetto come per l’espressioni.

Esso ci rivela di fatti un papa che attonito gira intorno lo sguardo e mira in ogni parte lo spirito di vertigine che invade le menti umane; che vede pure troni caduti o barcollanti, famiglie regnanti tremebonde e fuggiasche; che premunisce gli uomini, i quali chiama suoi figli, a non ritenere tutto ciò come opera dell’uomo superbo, ma come volere della Provvidenza per chiamarli a riconoscerla e rispettarla; che raccomanda la concordia agli uni, la giustizia agli altri, il timore di Dio a tutti; che inculca il rispetto ai ministri del santuario, e rimprovera di non averli sempre rispettati; e quindi simili cose, e di un sì alto subbietto da esso trattato, rendono l’atto in discorso uno dei più importanti che nei tempi moderni abbia veduto la luce.

È notevole che parlandosi in esso dell’Italia si dice non la più diletta ma la più vicina al papato per volere di Dio, dandoci con ciò a conoscere che ove son cattolici, ivi sono suoi figli, i quali nella sua carità universale è tenuto ad amarli tutti egualmente.

Se si rifletta che quest’atto sublime fu emanato dal pontefice in un momento di universale scompiglio, dovrà convenirsi che resterà come eterno monumento nella memoria dei posteri di quanto possa quel benefico raggio di luce evangelica che solo si diffonde dal Vaticano per illuminare e confortare l’umana società, minacciata da universale naufragio.

Essendo stato pubblicato detto atto il giorno seguente 31 di marzo, con esso si chiuse questo mese, celebre nelle storie dei tempi moderni.

Tre altri avvenimenti accaddero lo stesso giorno, il primo dei quali fu il concordato fra la Santa Sede ed il gran duca di Toscana, per ristabilire le principali norme circa il [p. 159 modifica]regolamento delle cose spirituali nei domini granducali.42 II secondo fu lo sgombramento della fortezza di sant’Agostino e de’ vicini forti di Comacchio, occupati dagli Austriaci in virtù del trattato di Vienna. 43 Il terzo fu lo sgombramento per parte dei Gesuiti dei locali da essi occupati, come meglio diremo nel capitolo seguente.









Note

  1. Vedi il volume delle Stampe e litografie, num. 54.
  2. Vedi Documenti IV vol. num. 113. — Vedi sommario, num. 16.
  3. Vedi Farini, vol. II, pag. 11. — Vedi Ranalli, vol. II, pag. 313. — Vedi Memorie della guerra d’Italia ec. di un veterano austriaco, Milano 1852, pag. 109. — Vedi Cattaneo Della insurrezione di Milano nel 1848 ec., Lugano 1849, pag. 27. — Vedi il vol. IV, dei Documenti num. 85, 85 A, 85 B, 85 C, 87, 100, 101.
  4. Vedi il IV vol. Documenti num. 113.
  5. Vedi detta litografia pubblicata dal Tornaboni, nel volume Stampe e litografie num. 63.
  6. Vedi il volume Caricature politiche num. 34, 35, 36, 37.
  7. Vedi detta carta geografica pubblicata dal Vallardi, nel vol. Stampe e litografie num. 56.
  8. Vedi la Gazzetta di Roma del 23 marzo 1848.
  9. Vedasi la data del 7 marzo nel capitolo III, di questo volume II.
  10. Vedi l’Epoca n. 6. — vedi il Contemporaneo n. 35.— la Pallade n. 98.
  11. Vedi Le Capitole del 24 marzo 1848.
  12. Vedi l’Epoca num. 7. in fine, e il num. 8, alla prima pagina.
  13. Vedi la Gazzetta di Roma e l’Epoca del 24 marzo 1848:
  14. Vedi la Pallade num. 200.
  15. Vedi l’Epoca del 24 marzo 1848 seconda pagina.
  16. Vedi detta litografia nel vol. in quarto intitolato Caricature politiche, numero 7.
  17. Vedi l’Epoca n. 8 del 24 marzo 1848. — Vedi il Contemporaneo anno IL n. 36 con una variante in principio. — Vedi Ranalli vol. II, pagina 331. — Vedi vol. IV, Documenti n.106. — Vedi il Sommario n. 17
  18. Vedi gli Atti officiali vol. I, n. 50.
  19. Vedi l’Epoca n. 10 del 28 marzo pag. 2
  20. Vedi il Contemporaneo supplemento al n. 51
  21. Vedi il capitolo IV, del vol I.
  22. Vedi l’Epoca del 24 marzo 1848.
  23. Vedi nel vol. IV delle Miscellanee storico-politiche, n. 18.
  24. Vedi l’opuscolo intitolato: Don Filippo Lante Montefeltro a Treviso e a Venezia — memoria storica ec. Roma 1848 in-8, legato insieme con la storia del Grandoni nella nostra raccolta.
  25. Vedi l’Epoca del 29 marzo 1848.
  26. Vedi Balleydier Histoire de la révolution de Rome, vol. I, pagina 103. edizione di Parigi del 1851.
  27. Vedi Ranalli, vol. II, pagina num. 331.
  28. Vedi Atti ufficiali vol. I, num. 53.
  29. Vedi il vol. XVII. num. 1 delle Miscellanee storico-politiche.
  30. Vedi l’Epoca del 28 marzo pagina 39.
  31. Vedi il vol. I. Atti ufficiali num. 54.
  32. Vedi l’Epoca del 29 pagina 43. — Vedi il Labaro di detto giorno. — Vedi la Gazzetta di Roma del 30.
  33. Vedi il vol. I, Atti ufficiali num. 55.
  34. Vedi Farini vol. II, pagine 21. — Vedi il IV. vol. Documenti, num. 105.
  35. Vedi l’indirizzo intero nel vol. IV. Documenti, num. 117.
  36. Vedilo nel vol. IV Documenti, n. 116.
  37. Vedi il vol. IV. Documenti, n. 118.
  38. Vedi il vol. IV, Documenti, n. 127.
  39. Vedi l’Epoca dell’11 aprile 1818 alla pag. num. 88.
  40. Vedi il vol. IV, Documenti, n. 130.
  41. Vedi la Gazzetta di Roma del 31 marzo 1848. — Vedi l’Epoca del ai marzo detto. — Vedi il vol. IV. Documenti, num. 137.
  42. Vedi Moroni Dizionario di erudizione eccles. vol. LIII, pag. 196.
  43. Vedi il suddetto come sopra.