Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo XVIII

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Capitolo XVIII

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CAPITOLO XVIII.


[Anno 1849]


Cose occorse dal 23 giugno al 3 luglio 1849. — I Romani dopo l’ingresso dei Francesi per la breccia, perseverano impavidi nella resistenza. — Ritorno dell’acqua Paola già tolta dai Francesi. — Morte del general Ferrari. — Il corpo consolare dimanda al generale Oudinot di desistere dal bombardar la città. — Sua risposta. — Proseguimento delle operazioni dell’assedio. — Il dottor Goglioso s’interpone in favore della repubblica romana. — La cupola di san Pietro illuminata la sera del 29 giugno festa di san Pietro. — I Francesi attaccano definitivamente Roma sul Gianicolo nella notte dal 29 al 30. — Zuffa micidiale che ne seguì, e morte del Manara comandante la legione lombarda. — Roma desiste dalle difese. — Sforzi disperati del Mazzini e de’ suoi per la resistenza. — Il Garibaldi vi si oppone, e abbandona Roma il 2 luglio con 4 o 5,000 uomini, e lungo codazzo di compromessi. — Ultimi atti dei repubblicani. — La commissione delle barricate emana il suo ultimo proclama. — Uccisione di preti il 3 luglio. — Il dottor Pantaleoni e l’abate Perfetti assaliti dai repubblicani. Il primo si salva fuggendo, il secondo è ferito. — Ingresso dei Francesi. — Il Cernuschi nel Corso si pone alla testa di un attruppamento ostile ai Francesi che lo disperdono. — I Francesi restano tranquilli occupatori della città.


Rari non sono gli esempi d’uomini che affetti da morbo letale e vicini a morte, pur tali sintomi manifestino di vitalità, che quasi diresti essere in via di risorgimento. Se non che tali sforzi supremi di reazione, effetto non già della guarigione che si manifesta, sibbene della morte che si avvicina, sogliono poi venir meno in un tratto, convertendo le speranze in disinganno, le lusinghe in pianto, le apparenze fallaci in realtà dolorosa.

[p. 639 modifica]Così giudicando degli sforzi supremi che operaronsi dai repubblicani italiani nell’ultima settimana di giugno in Roma, sarebbesi potuto concludere ch’eglino si sentivan rinvigoriti di forze e di coraggio per guisa che non già l’ultimo fine, ma dovesse approssimarsi per loro il desiderato trionfo.

La narrazione di questa lotta suprema e delle cose occorse in sì breve periodo di tempo, che noi protrarremo fino al 3 luglio, giorno in cui i Francesi fecero in Roma il loro ingresso formale, sarà il soggetto del presente capitolo.

Incominciando dalle operazioni dell’assedio, risulta dal giornale del Vaillant e da altre memorie che abbiamo, avere i Francesi nella notte dal 22 al 23 aperto altre comunicazioni dall’esterno della cinta con le brecce, essersi stabiliti più solidamente nel bastione 6 e nel casino Barberini, ed avere aperto un nuovo cammino, sboccando da villa Corsini, verso la casa Giacometti.1

In quella stessa notte s’incominciò dai Francesi sulla breccia della cortina (6-7) la costruzione della batteria n° 11 che armossi poi di due cannoni da 24 e due da 16. Speravano di poter battere così vantaggiosamente una parte del recinto Aureliano e soprattutto l’altura di san Pietro in Montorio, i cui fuochi rendevan molestissima la occupazione de’ bastioni.2

I Romani dal canto loro smascherarono il 23 una nuova batteria sul recinto Aureliano (vascone di villa Spada), ed abbandonarono la posizione avanti sant’Alessio per prenderne un’altra ne’ giardini dietro quella chiesa, donde inquietavan molto i Francesi. Molestati per contrario i Romani dalla moschetteria, trasportarono i cannoni della batteria di villa Spada dietro il fianco diritto del bastione 8.3

[p. 640 modifica]L’acqua ch’era stata tolta dal fontanone di san Pietro in Montorio si vide in un subito ricomparire, e ciò mentre i Romani tentavano di farvi una mina per danneggiare i Francesi. Si disse che nella irruzione subitanea dell’acqua per l’acquedotto vi rimanessero annegati tre lavoranti.

Il Monitore annunziava con gioia il ritorno dell’acqua, e scherzevolmente proverbiava i Francesi di aver voluto, divertendola, assetare la città.4

Proposizione più sciocca di questa non potrebbe pronunziarsi. E chi è che ignori non esservi al mondo alcuna città la quale sia come Roma ricca di acque perenni, fresche e salubri, sia che faccian di se bella mostra nelle pubbliche fontane, sia che pe’ meati sotterranei delle case pacificamente trascorrano? .

E indipendentemente dall’acqua Paola non abbiamo gli acquedotti che ci conducono dall’esterno l’acqua Vergine e l’acqua Felice? E nell’interno della città non abbiamo alle falde del Quirinale numerose sorgive dell’acqua detta del Grillo? E se pure tutti gli acquedotti fosser tagliati, senza parlare dei pozzi numerosissimi, la sola acqua Sallustiana che a guisa di fiume sotterraneo scorre sotti»

la piazza Barberini non sopperirebbe essa un quantitativo sufficiente per dissetare gli abitanti di Roma? Abbiamo anche l’acqua di san Giorgio che scaturisce o si mostra in prossimità della cloaca massima, e che dall’archeologo Fea venne designata come l’antica acqua di Mercurio.

Che se pure i lamenti del Monitore si fosser limitati alla città Leonina cui l’acqua Paola disseta, tolta anche questa, è tanto ricca Roma di acque, che vi rimarrebbe pur quella detta delle Api, e l’altra detta Lancisiana, amendue nel recinto della città Leonina, che provvidamente allacciate, furono con apposite fontane rese di pubblico uso.

Laonde la insinuazione del Monitore, se fu odiosa e sconnessa, altrettanto si riconobbe per maligna e bugiarda. Su ciò basti.

[p. 641 modifica]Il giorno 23 dopo lunga e affannosa malattia passava a miglior vita il generale Andrea Ferrari napolitano, quello stesso che nel marzo dell’anno 1848 partì da Roma alla testa dei volontari romani per combattere gli Austriaci nella Lombardia.

Aveva il Ferrari militato sotto l’impero nell’armata di Napoleone I. Reduce in Napoli, servì sotto il re Gioacchino Murat, e la rivoluzione del 1820 lo contò fra i suoi promotori.

Perseguitato poscia da quella polizia sotto la restaurazione borbonica, riuscigli di evadere da Napoli nell’anno 1830. Condottosi in Parigi, entrò nella legione straniera e si recò a combattere in Algeri, e quindi in Ispagna per sostener le parti della regina Isabella contro le pretensioni di Carlo V.

Il 23 marzo 1848 venne nominato generale dell’armata pontificia. Ebbe per aiutanti di campo il duca don Filippo Lante di Montefeltro, ed il poeta Luigi Masi segretario in allora del famoso principe di Canino, don Carlo Bonaparte.

Prese parte alla guerra della indipendenza italiana. Vuolsi che tenesse di preferenza per la Venezia e pel principio repubblicano del quale sembrava sostenitore, e che si trovasse continuamente in disaccordo col suo emulo o compagno il general Durando, il quale mostrossi costantemente aderente al Piemonte e al principio monarchico, come rilevasi anche dalle Memorie del Montanelli,5 e da quelle del Montecchi.6 Il generale Guglielmo Pepe biasima la condotta del Ferrari in Venezia, o almeno dice che fu biasimata da quel governo.7

[p. 642 modifica]Fino al 7 dicembre dell’anno 1848 rimase in Venezia. Trasferitosi quindi in Roma venne nominato il 18 gennaio 1849 generale della civica romana, e fu eletto deputato all’assemblea costituente.

Morto come si disse il 23, ebbe luogo il giorno seguente 24 di giugno il trasporto della sua spoglia mortale nella chiesa di sant’Andrea delle fratte, dalla sua casa ch’era in via Gregoriana.

L’accompagnarono i rappresentanti del popolo, quattro battaglioni della guardia nazionale, vari distaccamenti di linea, molti officiali, ed il ministro della guerra. La mattina seguente nella detta chiesa furon celebrate l’esequie, ed il capitano Checehetelli ne lesse l’elogio. Se non ebber luogo gli onori funebri, fu conseguenza dello stato di assedio sotto del quale trovavasi Roma.8

E ritornando a parlare dell’assedio, diremo che lo stesso giorno 24 i Romani costrinsero la batteria francese n° 11 a tacersi. Il loro fuoco, di una estrema vivacità, come dice il generale Vaillant, rovesciò tutti i gabbioni ed i sacelli di terra. Onde i Francesi trovaronsi costretti di ricostruire più solidamente la batteria suddetta e di stabilire ne’ bastioni 6 e 7 due nuove batterie di 4 cannoni ciascheduna, per ridurre al silenzio le bocche da fuoco de’ Romani poste sulla seconda linea di difesa, e così attivamente servite. La batteria del bastione 6 fu designata sotto il n° 12, quella del 7 prese il n° 13.9

Vennero nello stesso giorno allietati i difensori di Roma dall’arrivo di un migliaio di militi tra soldati del 3° reggimento leggeri, e volontari; e la loro venuta tanto più fu in buon punto perchè in que’ tristi momenti recarono un soccorso assai considerevole di viveri in bestiami e granaglie. Questi fatti somministrarono al Monitore motivo di esclamare che poche centurie dei repubblicani d’Italia non temevano le migliaia dei repubblicani d’oltralpe: perchè a [p. 643 modifica]dir vero nello stato in cui erano le cose, co’ Francesi penetrati in città, con le speranze deluse dei movimenti parigini, e con l’Europa quasi tutta collegata contro i Romani, vi voleva di molto coraggio e fermezza per continuare ad affrontare il cozzo dell’armata francese. E quindi non del tutto impropriamente riportò il Monitore que’ versi di Orazio:

«Si fractus illabatur orbis
» Impavidum ferient ruinæ!»10

Se non che volendo i repubblicani risparmiare alla città i disastri di un bombardamento rigoroso, divisarono un espediente per allontanarne il pericolo. Questo bombardamento per verità aveva già avuto luogo in qualche parte, o come direbbero i Francesi con ménagement. Erano state lanciate in varie riprese e su qualche punto parziale della città alcune bombe o granate, e la sera soltanto del 22 se ne lanciarono un centinaio e mezzo, di piccolo calibro, come a suo luogo e tempo narrammo nel capitolo precedente. Pochissimi però furono i casi in che que’ proiettili riuscisser fatali, e tra questi si registrarono la morte di una Colomba Antonietti parente del Masi, e quella di una familiare nel palazzo Caserta alle Botteghe Oscure.11

I difensori di Roma d’altra parte, ove fossero occorsi casi moltiplici, non avrebber già avuto interesse di occultarli, ma sì bene di propalarli per mantenere ed accrescere nel popolo sensi d’ira e propositi di resistenza. Alcuni poi di questi proiettili che venivan chiamati bombe, erano piuttosto granate, e molte si confusero con le palle di cannone che in buon numero caddero sulla città e che danneggiarono esteriormente le case riguardanti il Gianicolo, fra le quali sopratutto soffersero il palazzo Farnese ed il palazzo Spada.12

[p. 644 modifica]Comunque si voglia, adempieron l’officio di benemeriti cittadini i componenti la romana magistratura indirizzando ai rappresentanti esteri in Roma la seguente circolare; e siccome non avevamo, diplomaticamente parlando, veri rappresentanti, così venne inviata ai consoli delle rispettive nazioni. Eccone il tenore:


«Onorevole signore!

» Da ventidue giorni si lanciano proiettili dalle truppe francesi sopra l’abitato di questa città, rimanendone offesi anche i tempi, ed i monumenti più insegni. Ne h notte dal giorno 22 al 23 fu aumentato oltremodo queste mezzo di aggressione, tanto più vituperevole quanto è maggiore il grado dell’attuale civiltà: vecchi, donne, fanciulli ne furono vittima. Il Magistrato Romano in questi stato di cose volgesi a voi, tenendo certo che nell’interesse umanitario, e rappresentando una nazione grande e civile, non possiate rimanervi testimonio indifferente di un fatto così barbaro contro la città monumentale per eccellenza, e vi adopererete valevolmente perchè una guerra. d’altronde non provocata, non prorompa almeno in quelli eccessi che ripugnano alla condizione presente delle nazioni civili di Europa.

» Aggradite le sincere proteste dell’alta nostra stima.

» Dal Campidoglio li 24 giugno 1849.


» Francesco Sturbinetti Senatore
» Gallieno Giuseppe Conservatori
» Tittoni Angelo
» Lunati Giuseppe
» Galeotti Federico
» Corboli Curzio
» Giuseppe Rossi Segretario.13

[p. 645 modifica]In seguito di ciò l’agente consolare inglese Giovanni Freeborn il quale faceva da capo del corpo consolare, rispose quanto segue:


«Regio Consolato
» di S. M. Britannica in Roma.


» Non appena il sottoscritto Agente Consolare di S. M. Britannica ha ricevuto il pregiato dispaccio delle SS. VV. Illme rappresentanti il Magistrato Romano, in data di questo giorno, si è fatto sollecito di convocare in sua casa i soggetti componenti il Corpo Consolare residente in questa Capitale, coi quali sin dalla prima comparsa dell’armata francese alle mura di Roma si era posto di concerto per offerire, siccome fecero, per mezzo del Ministro delle relazioni estere, i loro servigi alla Magistratura Romana per qualunque officiosa interposizione presso il Comandante in Capo di quell’armata, Generale Oudinot.

» Il medesimo dispaccio è stato da tutti sentito col più vivo interessamento, e ben tosto intesi sul modo e forma di corrispondere all’invito delle SS. VV. Illme, una energica, quanto officiosa dichiarazione, nel modo che meglio per noi si potesse, è stata diretta allo stesso Generale Oudinot, che qui acclusa io mi affretto di rimetter loro in originale e copia, onde Elleno proveggano al modo di far pervenire il primo al campo francese colla massima sollecitudine, nella fiducia che la medesima venga accolta favorevolmente.

» Il sottoscritto, di concerto co’ suoi Colleghi, si permette di aggiungere che ove il Magistrato Romano giudicasse opportuno di valersi dell’opera loro personale presso lo stesso Generale in Capo per ulteriori ufficî, i medesimi non esiteranno a prestarvisi con ogni buon grado, sempre che le SS. VV. Illme proveggano che si ottenga per parte [p. 646 modifica]delle parti combattenti una tregua sufficiente di tempo per!a loro gita e ritorno al campo francese.

» In tale intelligenza lo scrivente ha l’onore di rassegnarsi.

» Li 24 giugno 1849.

» Umilissimo devotissimo servitore
» Gio. Freeborn.14»


» Agli onorevoli Membri
» della Magistratura Romana



La dichiarazione del corpo consolare portava quanto segue:


«Signor Generale.

» I sottoscritti Agenti Consolari rappresentanti i loro Governi rispettivi, prendono la libertà di esporvi, signor Generale, il loro profondo dispiacere di aver veduto la Città eterna subire un bombardamento di parecchi giorni e notti. La presente ha per oggetto, signor Generale, di fare le più energiche rimostranze contro questo modo di attacco, che non solamente mette in pericolo le vite e le proprietà degli abitanti neutri e pacifici, ma quelle eziandio delle donne e de’ fanciulli innocenti.

» Noi ci permettiamo, signor Generale, di farvi noto. che questo bombardamento ha già costato la vita a parecchie persone innocenti, ed ha portato la distruzione a capi d’opera di belle arti che non potranno giammai essere rimpiazzati.

» Noi confidiamo in voi, signor Generale, che in nome dell’umanità e delle nazioni civili voi vorrete desistere [p. 647 modifica]da un bombardamento ulteriore, per risparmiare la distruzione alla Città monumentale, che è considerata come sotto la protezione morale di tutti i paesi civili del mondo.

» Abbiamo l’onore di essere con profondo rispetto, signor Generale,

» Vostri umilissimi servitori

» Freeborn, Agente consolare di S. M. Britannica.

» D. Marstaller, Console di S. M. il Re di Prussia.

» Cav. P. C. Magrini, addetto alla Legazione di S. M. il Re dei Paesi Bassi.

» Giovanni Bravo, Console di S. M. il Re di Danimarca.

» Federico Bégré, Console della Confederazione Svizzera.

» Cav. Kolb, Console di S. M. il Re di Würtemberg.

» Conte Shakero, Segretario della Repubblica di S. Salvador nell’America centrale.

» Niccola Brown, Console degli Stati Uniti d’America.

» Giacomo E. Freeman, Console degli Stati Uniti d’America per Ancona.

» Girolamo Borea, Console generale di S. M. il Re di Sardegna, e provvisoriamente anche della Toscana.»15



Due o tre giorni dopo volle associarvisi pure il console generale di Portogallo il colonnello Husson.16 [p. 648 modifica]Sentiamo ora dal maresciallo Vaillant come fu presentato questo indirizzo, e quale impressione produsse al campo francese. Egli dice così:

«Verso le otto ore del mattino (25 di giugno) un officiale superiore romano si presentò davanti le trincee del bastione 7, siccome parlamentario, recando al generale in capo una protesta di parecchi consoli stranieri contro il preteso bombardamento di Roma. Si capì subito che egli non cercava che di riconoscere lo stato de’ nostri lavori: si ritenne la lettera e licenziossi l’officiale immediatamente.»17

Il complesso di questi fatti ci fa conoscere che il municipio romano prese le mosse per dare corso a un indirizzo il cui scopo era quello di scemare ai Francesi gli spedienti dell’assedio. Il municipio però, ove direttamente avesse reclamato, non avrebbe ottenuto ascolto. Si rivolse allora al console inglese Freeborn, le cui morbidezze verso i repubblicani eran piuttosto palesi, e palese pur anco la sua facilità nell’accogliere esagerate o false informazioni, di che dette prova allorquando scriveva al suo superiore lord Palmerston che in Roma oltre la linea e la civica, eranvi quarantamila Romani armati di picche e coltelli.18

Il Freeborn pertanto che in quel tempo figurava qual maestro di cappella del concerto consolare, convocò i suoi colleghi, scrisse la nota, e la fece a tutti sottoscrivere: e siccome lo scopo era umanitario e civile, non vi fu al certo chi si ricusasse dallo associatisi.

Ma i tempi eran tali che non potevan prendersi le cose pel sottile, nè verificare se e fino a qual numero fosser caduti i proiettili, se e fino a qual misura fossero risultati i danni. L’indirizzo si sottoscrisse e fecer bene; ma noi domanderemo ora quale fu fra i templi, quale fra i palagi dei magnati, quale l’oggetto di arte che venisse danneggiato o distrutto?

[p. 649 modifica]Comunque si voglia l’indirizzo ebbe il suo corso, e se fu esagerato poco male perchè tendente a produrre un bene evidente ed a preservare da quei guasti che se non accaduti, potevano accadere a detrimento dei monumenti di Roma. Così lungi noi dal disapprovare l’atto in discorso, ne porgiamo ai promotori i nostri rallegramenti. Nè è il primo caso in cui il corpo consolare presentasse l’esempio d’intromettersi per uno scopo sì salutare ed umano, perchè in Palermo il 19 gennaio 1848 quel corpo consolare fece altrettanto per impedire o arrestare il bombardamento.19

A noi peraltro piacerebbe di più che talune corti, o governi, o nazioni, o tribune, o stampe libere, e fra queste in primo primissimo grado comprendiamo Francia e Inghilterra (perpetue fomentatriei di torbidi in Europa), in luogo di ricorrere quando arde il fuoco al filantropico officio di estinguer gl’incendi, usassero invece maggior cautela nel non accenderli sia colla parola incoraggiatrice, sia colle armi, sia cogli emissari, sia coll’oro. Se si astenesser da ciò non vi sarebbe allora bisogno delle loro pietose interposizioni. Bell’officio per verità sarebbe quello dei vigili o pompieri se occultamente eccitassero un incendio per darsi poi la soddisfazione di saperlo estinguere alla vista di tutti, e carpirne mal compre lodi e ringraziamenti. Egli è certo una cosa curiosa il vedere che i buoni amici politici prendon sempre la parte d’intercessori verso i padri affinchè trattino i figli dolcemente, e mai non si vedano dirigersi ai figli per inculcare loro sommissione e obbedienza a’ propri genitori! Queste nostre verità riporteranno (osiamo sperarlo) l’approvazione di 4/5 dei nostri lettori, ed 1/5 a cui non piaceranno, se non ci loderà apertamente, sogghignerà occultamente, e converrà che abbiane colto nel segno.

[p. 650 modifica]Dopo esserci diffusi in queste osservazioni per dilucidare un punto di storia che a noi parve interessante, riporteremo la risposta del generale Oudinot alla protesta del corpo consolare. Eccola:


«Corpo di spedizione del Mediterraneo
» Il Generale in capo

» Dal Quartier generale il 25 giugno 1849.


» Signori,

» Le ultime istruzioni del mio governo sotto la data del 29 di maggio contengono quanto segue:

» Noi abbiamo esaurito i mezzi di conciliazione, il momento è venuto, nel quale bisogna necessariamente agire con vigore o rinunciare ad un’intrapresa per la quale si è versato il sangue de’ figli della Francia; ad una intrapresa nella quale per conseguenza il nostro onore è impegnato come pure i nostri più grandi interessi di politica esterna. In una tale alternativa lo esitare non è possibile. Importa dunque, o generale, che, senza perdere un istante, voi vi dirigiate su Roma colle forze imponenti in questo momento riunite sotto il vostro comando, e che voi vi prendiate posizione non ostante tutte le resistenze. Tale è la volontà del governo della repubblica, della quale io sono stato incaricato di trasmettervi l’espressione.

» Voi lo vedete, o signori, gli ordini del mio governo sono assoluti. Il mio dovere è tracciato. Io compirò la missione di cui sono incaricato.

» Senza dubbio il bombardamento di Roma trarrà seco l’effusione di sangue innocente e la distruzione di monumenti che dovrebbero essere imperituri. Niuno saranne afflitto più profondamente di me. Il mio pensiero a questo riguardo, o signori, vi è ben conosciuto; esso è riassunto nelle notificazioni che io indirizzai il 13 di questo mese [p. 651 modifica]al triumvirato, al presidente dell’Assemblea costituente, ai comandanti della guardia civica e dell’armata, agli abitanti della città di Roma!

» Io ho avuto l’onore di darvi immediatamente notizia di questa notificazione di cui aggiungo qui nuovi esemplari.

» Dopo il 13 la situazione delle due armate è totalmente cambiata. Dopo alcuni combattimenti gloriosi le truppe sotto i miei ordini han dovuto montare all’assalto. Esse si sono energicamente stabilite sopra i bastioni di Roma. Tuttavia il nemico, non avendo ancor fatto alcun atto di sottomissione, io sono obbligato di continuare le operazioni militari.

» Più la resa della piazza sarà differita, più grandi saranno le calamità che voi temete così giustamente, ma i Francesi non potranno essere accusati di questi disastri; la storia gli affrancherà da qualunque responsabilità.

» Ricevete, vi prego, o signori, le assicurazioni della mia perfetta considerazione e de’ miei sentimenti distintissimi.

» Il Generale in capo
» dell’armata di spedizione francese
» Oudinot di Reggio.


» Ai signori Agenti consolari
» delle Potenze estere in


» Roma20


Ritornando alle operazioni dell’assedio, diremo che la batteria n° 10 bersagliava co’ suoi colpi tanto il trinceramento della Montagnola dietro il recinto Aureliano, quanto il casino Savorelli; e che essendosi dai Romani abbandonata la così detta Maison blanche posta all’esterno della cinta avanti la cortina (7-8), i Francesi eseguirono in quel [p. 652 modifica]luogo nella notte dal 24 al 25 due nuove trincee per formare una 4ª parallela.21

Scavarono i Francesi nella notte dal 25 al 26 metri 110 di trincea nella parte centrale della 4ª parallela che fu cosi compita, ed altri 60 metri incominciando da questa e venendo a riuscire avanti la casa Giacometti, verso la strada che mena alla porta san Pancrazio.22

Nella stessa notte tentarono ancora una volta di discacciare i repubblicani italiani dal casino detto il Vascello fuori la porta san Pancrazio. L’attacco fu bravamente respinto sotto il comando del tenente colonnello Medici, e del maggiore Cenni. Il Vaillant non ne parla affatto, ma il Garibaldi pubblicò il suo bollettino che può leggersi nel Monitore.23

Il giorno 26 l’assemblea volle consolare i difensori di Noma con una grida di lodi e d’incoraggiamento, che potrà leggersi in Sommario.24

Nella notte dal 26 al 27 di giugno fu compiuta la batteria n° 12; le altre due n° 11 e 13 lo erano fin dal giorno innanzi. Fu costruita ed armata la batteria n° 14 destinata a battere in breccia il fianco sinistro del bastione 8. E qui è da sapere che i lavori dei Francesi venner molestati così gagliardamente dai Romani che dovettero sospenderli. Ci serviremo delle stesse parole del Vaillant: «La vivacità del tiro del nemico non permise agli officiali incaricati della esecuzione di questa trincea (vicino alla casa Giacometti) di mantenervi i loro lavoranti.» E più sotto: «Un tentativo egualmente infruttuoso fu fatto sopra la cortina (5-6), per coronar di trincea la prominenza su cui sorge il casino Barberini. La fucilata della trincea dei Romani ed il cannoneggiare di san Pietro in Montorio impedirono di proseguire questo lavoro.»25

[p. 653 modifica]Son queste tali parole (e non già le sole) che pronunziate da un’autorità si competente come il Vaillant, costituiscono il più grande elogio per la bravura dei Romani, sopratutto nel tiro dell’artiglieria.

Nel giorno 27 la batteria di mortari nº 5, e sei piccoli inortari cominciarono a far fuoco. Anche la batteria n° 10 si rimise a tirare. L’artiglieria romana rispose subito con tiro vivissimo e perfettamente ben diretto,26 talchè la batteria francese del bastione 6 fu obbligata a tacere. Pure le batterie romane soffersero. Ebbero i Francesi 3 officiali feriti Canu, Brisac, e Tricoche, 2 cannonieri uccisi e 10 feriti.27

Nella notte poi del 27 al 28 i Romani dai loro trinceramenti avanti il Vascello e dal bastione 8 con una fucilata vivissima molestarono molto i Francesi che prolungavano la trincea avanti la casa Giacometti. Anche i lavoranti preser le armi e lasciarono la trincea. Ritornarono poi al lavoro che avanzò poco; e siccome al far del giorno non eran per anco al coperto fu d’uopo abbandonarla di nuovo.28 Ebbero i Francesi nelle ventiquattro ore 5 uccisi e 36 feriti fra i quali i 3 officiali già nominati.29

Nella stessa notte la cavalleria francese sorprese sulla strada di Albano più di un centinaio di vetture cariche di viveri che portò al campo.30

Verso le ore 11 circa della mattina del giorno 28 la lotta tra l’artiglieria dell’attacco e quella della difesa potè riguardarsi come terminata. «Uopo è dirlo, questo combattimento di artiglieria, che durò un giorno e mezzo, fu sostenuto da ambedue le parti con un vigore notabile e con molta perseveranza e bravura.» Così il Vaillant.31

[p. 654 modifica]La batteria francese n° 14 aveva però continuato dal mattino a trarre in breccia contro il fianco sinistro del bastione 8. Alle ore 4 e 1/2 della sera il muro cadde: alle ore 8 la breccia era quasi praticabile. Furon prese subito le disposizioni per dar l’assalto durante la notte montando direttamente per la breccia del bastione 8, mentre un’altra colonna, nell’interno della cinta, avrebbe attaccato di viva forza questo bastione alla gola; ma alle ore 9 della sera il generale in capo fe’ sapere che l’assalto doveva differirsi alla notte seguente.32

Anche il giorno di san Pietro (29 di giugno) vi fu cannoneggiamento tutta la giornata. I Francesi tirarono sopratutto sul bastione 8 per isquarciarne la breccia e molestare i Romani che lo munivan di difese, sul bastione 9, e sul palazzo Savorelli. Alle 3 pomeridiane circa la breccia fatta al bastione 8 era visibile da tutti, anche ad occhio nudo, accanto al casino di villa Spada. Vi fu pure in quel giorno cannoneggiamento fra la batteria n° 2 e quella dei Romani nel giardino di sant’Alessio.33

Prima di raccontare l’attacco finale che mise Roma in potere dei Francesi, dobbiamo far menzione di due episodi storici.

Consiste il primo in una lettera che un tal Goglioso dottore in medicina dell’università di Pisa e della facoltà medica di Parigi, diresse al generale Oudinot.

Era il medesimo giunto in Roma da un mese coll’intendimento di cooperare ad imprimere alla vertenza franco-romana un indirizzo più conforme ai diritti e ai doveri delle due repubbliche.

In quella lettera il dottore medico-politico dimandava all’Oudinot di desistere dal bombardamento perchè non [p. 655 modifica]ispaventava i Romani, non dava coraggio a’ reazionari, ma solo produceva danni. — Ci asterremo dal fare osservazioni su questa e sulle altre cose che ivi si dicono.34

Roma, come tante volte avvertimmo, era divenuta il ritrovo generale di tutti i faccendieri politici; ed anche il dottor Goglioso volle venirvi a dare un saggio della sua valentia non già nella medicina, ch’era la sua professione, ma in politica, ove quasi tutti fan naufragio. E naufragò ancor lui, essendo disconosciuti i suoi consigli: sicchè annunziava la sua partenza per Pisa affine di riassumervi la cura de’ suoi malati, i quali è da sperare nol fossero gravemente, altrimenti la sua assenza di un mese poteva esporlo al rancore di non trovarli più fra i viventi.

Il secondo episodio fu la occupazione per parte dei Francesi della polveriera in Tivoli, la quale, ad impedire la fabbricazione ulteriore delle polveri, venne distrutta completamente, gettando nell’acqua la polvere, il salnitro e lo zolfo.35 Inoltre ci racconta il Vaillant che furon prese centottanta vetture, la maggior parte cariche di vino e alcune di polvere, che dirigevansi a Roma.36

Ripiegandoci ora all’interrotto racconto delle cose militari, diremo che il 29 di giugno come festa di san Pietro sarebbesi dovuto, se in tempi regolari, solennizzare colla solita pompa. Assenti però il papa, i cardinali, e la corte pontificia, nè il pontificale nè le altre sacre funzioni ebber luogo. Solo si fece la sera, per ordine del municipio, la consueta illuminazione della facciata, del colonnato, e della cupola di san Pietro. Se non che un temporale orribile suscitatosi appunto nell’ora dell’illuminazione, impedì alla popolazione di concorrervi. Vi fu dunque, ma passò quasi del tutto inosservata. I Francesi vedevanla dal campo ma di sghembo; e intanto meditando di dar l’assalto finale [p. 656 modifica]in quella notte dal 29 al 30, prendevano a tal uopo tutte le necessarie disposizioni.37

Formavansi cioè quattro colonne,

la 1ª di attacco comandata dal capo di battaglione

Lefebvre,

la 2ª di riserva comandata dal capo di battaglione

Lerouxeau,

la 3ª di sostegno comandata dal capo di battaglione

Laforêt,

la 4ª di lavoranti comandata dal capo di battaglione

Galbaud-Dufort.

Si dava al tenente colonnello Espinasse il comando superiore delle quattro colonne ed al general di brigata Levaillant (Carlo), in qualità di generale di trincea, quello di tre battaglioni di guardia (della trincea).

Adottate queste disposizioni, alle ore 2 e 1/4 del mattino, a’ primi albóri, la colonna di sostegno che era negli alloggiamenti del bastione 7, ed il cui movimento doveva preceder quello delle truppe eh"erano al di fuori della cinta, ebbe ordine di sboccarne. Alcuni istanti dopo il colonnello Niel, capo di stato maggiore del genio, dava il segno dell’assalto del bastione 8, e subito la prima colonna di attacco comandata dal Lefebvre superava la breccia non ostante una viva fucilata. Sono molto interessanti tutte le particolarità di quest’assalto e della difesa de’ Romani, le quali vengon narrate con chiarezza e precisione dal Vaillant nella sua opera sull’assedio di Roma, cui rimandiamo i nostri lettori non potendo noi dire più o meglio.

Si era giudicato opportuno da’ Francesi all’intento di dividere gli sforzi del nemico e render così facile l’assalto che preparavasi, di far operare una diversione dal generale Guesvillier che aveva preso posizione con fanteria, zappatori, ed artiglieria su’ monti Parioli fuori la porta [p. 657 modifica]del Popolo. Un’ora avanti l’attacco di fatto incominciarono i cannoni a lanciar proiettili che penetravano nella città nella direzione del Corso ch’è l’arteria principale della Roma moderna.

Destati ed esterrefatti i cittadini dal tremendo tonar de’ cannoni che senza tregua colpiva le loro orecchie, ritennero che la pioggia di proiettili (pioggia non benefica al certo) fosse un formale bombardamento. Ratti que’ pochi ch’eran nelle strade dieronsi alla fuga, ma i più, vestitisi in fretta o alla meglio copertisi, nei più reconditi luoghi si rifugiarono. Ciò avvenne specialmente in quel quartiere che nomasi Campo Marzo e che è più vicino ai monti Parioli d’onde partiva quella grandine di proiettili.

Parole d’ira uscivano in quei momenti dalle bocche indignate dei cittadini. Molte imprecazioni udivansi che non solo al generale e alla francese nazione s’indirizzavano, ma sì bene a chi faceva gli onori di Gaeta. Tristi momenti son quelli ne’ quali la passione copre d’un velo gli umani giudizi, talché al retto s’impreca, al disonesto e all’ingiusto s’inneggia. Non una sola voce in momenti siffatti tu ascolti che alla verità renda omaggio. Il delitto allora è virtù cittadina; la giustizia ed il diritto vengon derisi o capovolti; e la confusione, invidiosa del bene, passeggia trionfante e compiacentesi sulle infrante rovine del senso morale.

Cessò alle tre il creduto bombardamento, sicché durò poco men che due ore: ma furon quelle due lunghe ore di spavento e di agonia nelle quali tumultuariamente ricovraronsi ne’ sotteranei delle case, nelle stalle, e perfin nelle grotte in un confusi coi padroni i servi, co’ magnati i privati, e con loro anche taluni dell’infima plebe. Cessato però il fuoco, cessò quell’ansia affannosa. I più timidi fecero capolino, altri più coraggiosi uscirono all’aperto, e quindi preser tutti animo ritornando nelle lor case d’onde il timore gli aveva discacciati.

Dal lato opposto, in quella stessa notte, i cannoni di marina francesi ch’erano sull’altura al nord della basilica [p. 658 modifica]di san Paolo, traevan palle e granate sopra la città per contribuire ad accrescer l’incertezza e il turbamento dei difensori. Questa diversione aveva luogo nel momento stesso in che i Romani facevano un nuovo ed inutil tentativo d’incendiare il ponte francese di battelli, detto di santa Passera, lanciandogli contro sul Tevere varie piccole barche cariche di materie incendiarie. 38

Intanto sul Gianicolo erasi accesa la zuffa terribile, ostinata, micidiale. L’assalto fu tremendo: tremenda e coraggiosa del pari fu la difesa. Ai Francesi furon subito feriti i capi di battaglione Lefebvre e Galbaud-Dufort E fra i Romani fu ferito mortalmente il non romano colonnello Manara, comandante la legione lombarda.

Dopo otto o nove ore di fuoco e di carneficina (perchè i Romani ebbero oltre a quattrocento morti, ed altrettanti se non più ebbero a deplorarne i Francesi) cessò il cozzo delle armi. Le vittime dei dissidi politici languivan sol campo rosseggiante di sangue, seminato di membra infrante, divenuto baccano orrendo di grida disperate, di bestemmie e di pianto: e queste vittime reclamavano cura, aiuto, sepoltura. A mezzo giorno i Romani inviarono un parlamentario per dimandare un armistizio affine di poter raccogliere i morti ed i feriti sparsi qua e là su’ luoghi dei combattimenti. Il general di trincea accordollo, e per tal modo si potè dall’una parte e dall’altra compiere questo pietoso e commovente officio. Dopo il mezzo giorno poi si dimandò di capitolare: così finì la guerra. 39

Crediamo prezzo dell’opera il riportare qui i nomi di alcuni dei nostri officiali uccisi o feriti nel combattimento del 30 di giugno, desumendoli dagli scritti del [p. 659 modifica]diligentisimo Torre: e ciò facciamo unicamente affinchè si veda quanto pochi furono i Romani.

Si ebbero dunque fra i feriti:

Francesco Vildi di Forlì.
Giovanni Volpato di Roma.
Ignazio longhi di Ferrara.
Finocchi romagnolo.
Rivalta di Roma.
Giuseppe Peron di Pavia.
Nicola Varani di Mantova.
Emilio Dandolo lombardo.
Francesco Cattaneo di Milano.
Carlo Guglielmi di Frosinone.
Giovanni Gogliani dell'isola della Maddalena.
Bassano Bignami    di Mantova.
Boltrini Cesare
Vincenzo Ugolini di Forlì.

Fra i morti:

Il moro Andrea Aghiar
americano (ordinanza del general Garibaldi).
Giuseppe Verzelli di Bologna.
Pietro Signoroni (di Brescia?)
(Luigi?) Bandi romagnolo.
Luciano Manara di Milano.
Emilio Morosini lombardo.

Fra gli artiglieri feriti o morti:

Cesare Scarinzi di Lugo.
(Mario?) Tiburzi    di Roma.40
(Candido?) Casini

I Romani ai non Romani stanno come 4 a 23.

[p. 660 modifica]L’assemblea intanto si riuniva la mattina del 30 e continuava la discussione degli articoli della costituzione della repubblica elaborata dal Saliceti. Gli atti della medesima ci somministrano i discorsi che si pronunziarono, e sono gli ultimi stampati e pubblicati di questa collezione importante. E qui si avverta che poi possediamo gli atti dell’assemblea fino al giorno 30 giugno, mentre tutti gli abbonati non li ricevettero che fino al giorno 27, ossia fino alla pagina 502. Noi perciò abbiamo altri quattro fogli stampati e non distribuiti, dalla pagina 503 alla pagina 518: e questa è una delle tante singolarità della nostra raccolta.

Or bene: nella discussione che incominciò alle 11 di quella mattina non una parola fu detta circa gli avvenimenti memorabili del giorno.

La sera però ebbe luogo una riunione straordinaria che si conobbe in genere, ma della quale il pubblico non fu se non che confusamente informato. L’ingresso dei Francesi non permise di stampare e pubblicare gli atti alla medesima relativi.

Siamo quindi costretti di ricorrere alla Gazzetta di Genova che ce ne conservò la memoria, e dalla quale estragghiamo la interessantissima narrazione degli ultimi fatti concernenti l’assemblea; eccola:


«Roma 1° luglio 1849.

» Dietro i gravi disastri sofferti dall’armata romana nel combattimento di ieri mattina l’Assemblea Costituente nelle ore pomeridiane si radunò in comitato segreto. Le relazioni che a questa fece il Mazzini, dicendo di seguire i rapporti del Garibaldi, benché presentassero un infelice aspetto, nondimeno si conchiudeva dallo stesso Mazzini che dovevano attendersi le 9 della sera, ed allora prendere un qualche finale provvedimento.

» La Camera, non ostante che opinasse quasi tutta per una totale desistenza dalle ostilità, e per una resa, [p. 661 modifica]nondimeno, mossa dalle persuasioni del Mazzini, si piegò a procrastinare la sua risoluzione.

» Il Generale Bartolucci che fino allora aveva assistito in silenzio all’Assemblea, domandò la parola, e siccome quegli che ben conosceva il vero stato delle cose, e che aveva originalmente letti i rapporti del Garibaldi, parlò in modo che persuase tutti i deputati a prendere una sollecita risoluzione, perchè la Città non avesse a soffrire più gravi disastri.

» Faceva egli riflettere, essere del tutto impossibile qualunque ulteriore difesa, nè a lui dare il cuore di vedere minata l’eterna Città.

(Degna risposta fu questa di un Romano che abborre dalle rovine della sua patria, e ben dissimile da quella del Cernuschi il quale appunto perchè non romano ma lombardo, si allietava, sorridendo, per la distruzione delle ville e delle delizie suburbane di Roma).

» La Camera dunque a tale discorso riprese animo, persuadendo il Mazzini ad un’onorevole resa. Questi fe’ appello al Garibaldi domandando che di persona venisse all’Assemblea per notiziarla a voce. Dopo due ore il detto Generale era nella sala. Egli fece conoscere quanto tremenda fosse la posizione della truppa, e quali i vantaggi ottenuti dai Francesi, e perciò non rimanere che due partiti o di arrendersi onoratamente o di una disperata difesa con richiamare tutti gli abitanti del Trastevere nella sinistra del fiume, piantare ivi e sui bastioni di S. Spirito le batterie.

» Presso tali disposizioni la Camera decretò in questi precisi termini:


«In nome di Dio e del Popolo


» L’Assemblea Costituente Romana cessa una difesa divenuta impossibile, e sta al suo posto.

[p. 662 modifica]» Il Triumvirato è incaricato della esecuzione del presente decreto.

» Roma li 30 giugno 1849.

» Il presidente
» A. Saliceti.
» I segretari
» PennacchiZambianchi
» FabrettiCocchi41


Il Mazzini però ch’era per la guerra a oltranza, lungi dal curvare il collo allo imperio delle circostanze, avrebbe voluto in vece tentar di nuovo la sorte delle armi, secondo il sistema di guerra suo favorito, cioè guerra non regolare, guerra di popolo.

Esso come campione indomabile della resistenza e della guerra di barricate, d’incendi e di rovine, mal comportava una resa fatta con rassegnazione; laonde dirigeva all’assemblea la lettera seguente:

«La mia coscienza si oppone che io assuma l’incarico di comunicare al generale Oudinot il Decreto dell’Assemblea del 30 giugno. Io era con vostro mandato Triumviro per difendere la Repubblica e Roma; l’atto che mi commettete, muta il mandato. Mi sento libero, e lo rassegno nelle vostre mani.»

Gli altri due suoi colleghi protestarono ugualmente e si dimiser dall’ufficio. Trattossi allora di sostituire un altro potere.42 Questo fu eletto e non sotto il nome di triumvirato, ma sotto quello di potere esecutivo; ne furon membri:

[p. 663 modifica]Egli è singolare che questa nomina venne annunziata nel Monitore senza formalità veruna di decreto, ordine, o notificazione, ma con un semplice articolo di giornale, e senza veruna sottoscrizione; cosicchè resterebbe sempre a sapersi da chi venne eletto questo potere esecutivo.

L’assemblea peraltro decretò il 1° di luglio che i cittadini Armellini, Mazzini e Saffi avevano ben meritato della patria.44

Il generale Garibaldi poi ed il ministro della guerra Avezzana, accennando ai fatti accaduti, indirizzarono il 1° di luglio parole di elogio e di consolazione ai Romani, le quali posson leggersi nel nostro Sommario;45 ed il triumvirato nel dimettersi dava l’addio ai Romani con un proclama da noi riportato nel Sommario.46

Il Consiglio comunale venne incaricato di intendersela coi Francesi. Pe’ quali il generale Oudinot propose alcuni articoli che riferiamo in Sommario,47 ed il municipio alla sua volta volle aggiungerne quattro che posson leggersi egualmente in Sommario.48 Rigettati dal generale Oudinot, decise il municipio di non accettar patti per non compromettere minimamente la dignità del popolo romano, dichiarando solo di cedere alla forza. Ciò annunziava col seguente proclama che crediamo dover trascrivere:


«S. P. Q. R.


» Romani!


» Il coraggio da voi dimostrato nella difesa di Roma, i sacrifici che incontraste vi hanno assicurata la gloria e la stima degli stessi stranieri. Una difesa ulteriore, [p. 664 modifica]come fu annunciato dal decreto dell’Assemblea, sarebbe stata impossibile, senza volere la distruzione di una città che conserva memorie le quali non debbono perire. La vostra Rappresentanza municipale non ha accettato patti per non compromettere menomamente la dignità di un popolo cosi generoso, ed ha dichiarato di cedere alla forza. Le leggi di umanità e d’incivilimento, la disciplina di un’armata regolare, le assicurazioni dei Comandanti ci ripromettono il rispetto delle persone e delle cose,

» La vostra Rappresentanza municipale vi promette che non mancherà di fare quanto è in suo potere, onde non si rechi ingiuria ad alcuno. Abbisogna però del vostro concorso, ed è certa di ottenerlo. Fida nel vostro contegno dignitoso e nella esperienza costante, che ha dimostrato al mondo come i Romani in circostanze prospere avverse hanno saputo egualmente mantenere l’ordine, e costringere anche i nemici a salutare con riverenza la città dei monumenti, e rispettarne gli abitanti che cod la loro virtù rendono impossibile l’obblio della romana grandezza.

» Dal Campidoglio il 2 luglio 1849.

» Francesco Sturbinetti Senatore
» Lunati Giuseppe Conservatori
» Gallieno Giuseppe
» Galeotti Federico
» De Andreis Antonio
» Piacentini Giuseppe
» Corboli Curzio
» Feliciani Alceo
» Tittoni Angelo

» Giuseppe Rossi Segretario49

[p. 665 modifica]Noi simpatizziamo col municipio repubblicano del 1849 e ne abbiam fatto l’elogio nel capitolo XII pel modo col quale si condusse a tutela del popolo romano. Con pari franchezza però dobbiamo criticare questo suo atto, perchè ivi si dice che i nemici salutano in Roma la città, dei monumenti. Permetterà il municipio che un Romano gli domandi se Roma (anche parlando soltanto storicamente) non abbia altro merito se non che quello di essere la città de’ monumenti? Crediamo che a questa domanda si troverebbe assai imbarazzato per dare una risposta.

Occupandosi sempre lo stesso municipio dei provvedimenti a mantenimento dell’ordine, vietava di togliere il legname e qualunque altro materiale delle fortificazioni tanto interne quanto esterne, lungo le mura della città, senza un ordine in iscritto della magistratura romana.50 E prometteva di elargire soccorsi a coloro che nella difesa della patria furono resi inabili al servizio, od ai loro congiunti che traevano dai medesimi il sostentamento.51

La mattina poi del 2 fu memorabile pel servizio funebre celebrato nella chiesa di san Lorenzo in Lucina in suffragio dell’anima del colonnello Manara morto il 30 giugno per la ferita toccatagli sul Gianicolo.

Luciano Manara appartenente ad una chiara famiglia di Milano aveva preso una parte attivissima nella rivoluzione lombarda del 1848, e fu il condottiero di quella legione che allora formossi, e che poi si chiamò legione lombarda.

Non è luogo a rammemorarne le gesta che con tanta semplicità, ingenuità, chiarezza ci narra nel suo aureo libretto il conte Emilio Dandolo, sotto il titolo: I volontarii ed i bersaglieri lombardi ec., pubblicato in Torino nel 1849.

Il Manara non aveva che 24 anni, e lasciava, morendo, una tenera moglie con tre figlioletti. Spirò fra le braccia del Dandolo stesso che era stato ed era il suo amico più sviscerato.

[p. 666 modifica]Fu accompagnata la salma al tempio da un 400 giovani, residuo dei 900 onde componevansi i due battaglioni della detta legione.52 Una musica romana seguiva i soldati, poi la bara (ahi spettacolo tristo e lacrimevole!) coperta della tunica insanguinata. Venivau quindi un centinaio di feriti che si erano a stento trascinati fuori del letto per salutare rultima volta il povero loro colonnello.

L’esequie ebbe luogo nella chiesa. Solo è a lamentarsi che il padre Ugo Bassi, immemore della santità del luogo, recitasse sul feretro non la orazione funebre ma un’atroce piuttosto e violentissima diatriba contro il papa e il clero, quel clero cui apparteneva pur esso.53

Convenutosi come dicemmo, che ai Francesi non si sarebbe fatta violenza ulteriore, ed incaricato il municipio di provvedere al modo di rendere meno acerba la resa della città e l’ingresso dell’oste vincitrice, s’immagini ognuno la sorpresa e lo sgomento che cagionò il vedere nelle ore pomeridiane del giorno 2 che distruggevansi i parapetti del ponte Quattro Capi. Si seppe poi ch’eran questi gli sforzi supremi del partito esagerato che il Mazzini capitanava, e che sognava tuttavia una resistenza quanto impossibile, altrettanto fatale alla città. Non era più il Mazzini però come triumviro (perchè erasi già dimesso), ma sì bene Mazzini il grande agitatore, che simili indegnità come semplice privato fomentava. Che se pure, come taluni sostenevano, egli vi fu estraneo, eran sempre le sue dottrine che professate da fanatici settatori accendevano e tenevan vivi propositi sì esorbitanti. In quel momento il mal genio di Roma per brevi istanti sollevò il capo truculento e sanguinoso su lei. Ma la necessità, la ragione, il buon senso pubblico prevalsero, e lo ricacciarono negli antri [p. 667 modifica]suoi tenebrosi. Le convenzioni segnate e statuite non venner rotte, e Roma fu salva.

Ed affinchè sparisca ogni dubbio sulla esistenza di questo episodio appena conosciuto delle nostre lacrimevoli sventure, riporteremo un brano di storia che ci dette un tal Ruggeri in un opuscolo sulla ritirata di Garibaldi da Roma, che pubblicò in Genova nel 1850. Esso dice così:

«Roma più non reggea.... L’Assemblea nazionale avea disperato.... Il Triumvirato avea rimesso il potere.... Quel gran popolo desolato, ma pur sempre magnanimo, attendea con calma l’armata irrompente, e l’ire pontificali, amministrate dalla nazione delle libertà.

» La santa città, benché minacciata dal Gianicolo, benchè aperta al nemico, non parea vinta. Una parola si avea pronunziata di novella difesa alla linea del Tevere, e già in un baleno mille braccia cittadine si apprestavano a rovinare i ponti, cari per memorie, a ritrarre all’amica sponda i molini e le barche, ed alzare fortini lungo la riva.

» Ma non fu che una parola, e ben tosto sopraggiunse il silenzio e la tristezza. Roma sarebbe salva, se a tanto avessero bastato l’abnegazione ed il coraggio de’ suoi difensori.

» I militi di Garibaldi, gli ultimi reduci dalle rovine della estrema difesa di san Pancrazio, davano l’ultimo addio a quei valenti borghigiani.

» Composto alla calma consueta, Garibaldi dall’alto delle mura di san Giovanni esaminava le linee nemiche; egli avea in quel momento decisa la partenza: era il 2 luglio.

» L’odio implacabile allo straniero per cui l’Italia nostra geme nella servitù e nella sciagura, la gallica mala fede troppo nota pei fatti del 3 giugno e pel seguito, ispirarono il disegno di abbandonare Roma a Garibaldi, e di aprirsi il passo in mezzo ai nemici, abborrendo di piegare il collo ai patti del vincitore, ed a qualunque [p. 668 modifica]costo intento a condurre i suoi in terra italiana, ove deposte le armi potessero però servire anche una volta alla sperata riscossa. Il generale fissò la mente a Venezia, e colà fu suo intendimento di condurre le sue schiere.»54

Coll’aver noi riportato questi brani dell’opuscolo sovra indicato siam venuti anche accennando l’inizio della celebre ritirata di Garibaldi e de’ suoi, vogliam dire gli avanzi della sua legione, di quella lombarda, e di tutti que’ volontari che sotto il suo comando militarono. A loro poi associarono molti altri individui compromessi in primo grado nella rimana rivoluzione. Sommava il corpo esulante ad un 4 o 5,000 uomini. Il Ruggeri dice ch’eran 4,000 fanti e 800 cavali.

Si riunirono nelle ore pomeridiane sulla piazza di san Giovanni in Laterano. Fra i cavalieri erano molti dragoni che al loro giungere in quel luogo venivan festeggiati. Sull’imbrunire dell’aria al venir della notte partirono, prendendo per le mura della città la direzione di Tivoli.

Sorprese da un lato questo ritiro del duce dell’armata, Garibaldi, perchè non avevasene alcun sentore, ma se ne penetrò da taluni il disegno, e si disse perfino esservi nei piani del generale di voler trasportare e sostenere colla sua armata il governo repubblicano in altra parte d’Italia55 o gettarsi, se ne venisse discacciato, nella Venezia. Le vicende di questa ritirata sono a tutti note, e nell’opuscolo del Ruggeri più volte citato se ne possono rinvenire le particolarità.

I Romani pacifici furon gratissimi al Garibaldi per cosiffatta determinazione, perchè col suo allontanamento andavasi spegnendo negli esaltati repubblicani l’ardore di parte di cui il Garibaldi era il più valido ed incoraggiante appoggio; e di tal guisa vennersi ad impedire conflitti tremendi coll’armata francese irrompente nelle mura dell’eterna [p. 669 modifica]città. È da considerare che con lui partirono molti fra i più virulenti demaghoghi, e fra questi il padre Ugo Bassi, i Ciceruacchio padre e figlio, e il disgraziatamente famoso Zambianchi.56 Doppiamente poi obbligati, in quanto che indipendentemente dai conflitti co’ Francesi, era voce che fosse a temersi che tanti soldati, esasperati per il mal successo della loro resistenza, avesser meditato di lasciare, prima di partire, con un saccheggio un tristo ricordo alla città. Noi nol crediamo, ma lo si temeva da molti, ed asseveratamente lo ripetevano.

Comunque si voglia, prima di narrare l’ingresso dei Francesi in Roma, ingresso che costituisce l’atto finale di questo dramma doloroso, crediamo opportuno di annunciare i proclami, i decreti e le altre disposizioni tutte che compatibilmente colle circostanze vennero adottate in quei supremi momenti.

Il 30 giugno in vista dello stato disastroso del commercio accordavansi dieci giorni di proroga pel pagamento degli effetti commerciali.57

Il direttore della zecca Pietro Girometti dava lo stesso giorno un rendiconto di tutto l’argento ricevuto dai cittadini, cominciando dal gennaio fino a tutto il mese di giugno, ed una esposizione dello stato di quell’importante stabilimento.58 E davansi il giorno stesso alcune disposizioni pel pagamento della tassa prediale o scutato, che in Roma nomasi dativa reale.59

L’assemblea dichiarava il 3 luglio che il municipio romano era benemerito della patria,60 e decretava che la legge del 29 marzo riguardante le pensioni da accordarsi ai feriti ed alle famiglie degli estinti per la guerra dell’indipendenza [p. 670 modifica]italiana, venisse estesa ai cittadini uccisi in occasione della guerra coml’attuta per la repubblica.61 Autorizzava il triumvirato ad assistere gl’Italiani e gli esteri venuti a difendere la repubblica romana.62 Accordava il diritto di cittadinanza romana a tutti gl’Italiani non appartenenti alio stato, i quali avevan combattuto per la repubblica.63

Per la rinuncia poi emessa dal cittadino Mattia Montecchi al ministero del commercio ordinava il triumvirato che le funzioni fosser disimpegnate dal sostituto cittadino Cesare Agostini. E per la dimissione data al ministero della guerra dal cittadino generale Avezzana, e per la demissione data dal sostituto cittadino Montecchi ordinara che quel ministero fosse retto interinamente dal segretario cittadino Federico Torre. Ed infine per la dimissione del cittadino Salvati dalla carica d’intendente generale, ordinava il triumvirato che le dette funzioni fosser provvisoriamente disimpegnate dal sotto intendente cittadino Rossi; e per la rinuncia emessa dal cittadino Mattia Montecchi al ministero dei lavori pubblici ordinava che quelle funzioni venissero disimpegnate dal sostituto Paolo Provinciali.64

L’ultimo atto poi della commissione delle barricate, che fu l’addio o il vale ai cittadini romani, pubblicato il 3 di luglio poco prima ch’entrassero i Francesi, fu il seguente:


«Commissione dello Barricate.


» Popolo!

» Da un anno le città italiane sono bombardate e mitragliate dallo straniero e dai Re. Roma ebbe i più civili stranieri, ebbe il più sacro dei Re per Bombardatori, [p. 671 modifica]Roma è vinta — La Repubblica francese volle immergere nel cuore della Repubblica romana un pugnale, mentre gli Austriaci e i Borboni ne torturavano barbaramente le membra. E perchè mai, o giustizia di Dio?

» Il leone ferito a morte è ancora maestoso. Non garrisce, non rimprovera, non guata a chi lo ferì, non prorompe in un estremo, inutile sfogo di vendetta. No; la morte dei forti è spettacolo di dignità.

» Popolo! la virtù non s’insegna, è nel cuore.

» Ascolta il tuo, che è cuore romano, e sarai grande.

» Roma 3 luglio.
» I Rappresentanti del Popolo

» Cernuschi
» Cattabeni
» Caldesi
» Andreini65



Anche di questo prezioso documento l’originale è in nostro potere.66

Per ultimo poi leggevasi dalla loggia del Campidoglio, la mattina stessa del 3 di luglio (ch’è quanto dire pochi momenti prima che i Francesi occupassero la città), fra gli applausi di una turba esilarata, acciecata e baccante, la costituzione della repubblica romana e con solennità festeggiavasi. Che mai fa il fanatismo! La repubblica romana non era soltanto moribonda, ma era già morta, e pur non ostante statuivansi le regole per farla ben vivere.

Ecco come si espresse il Monitore su tale proposito:

«A mezzo giorno, dalla loggia del Campidoglio, fu promulgata la Costituzione della Repubblica Romana, tra i plausi e gli Evviva la Repubblica del popolo.»67

Chi leggerà queste cose le crederà un sogno. Difatti scrivere, discutere, proclamare, festeggiare la costituzione [p. 672 modifica]della repubblica romana in Roma, nel mezzo al secolo XIX, e mentre il mondo incivilito e tutte le potenze cattoliche erano in azione per rovesciarla ed abbatterla, non è un sogno, un delirio, un vaneggiamento?

Ritornando all’ingresso de’ Francesi, dietro le premesse intelligenze non era a dubitarsi ch’esso sarebbesi operato nel massimo ordine: e per verità la popolazione in genere era rassegnatissima a questo espediente risolutivo, e diremo di più che n’era contenta, perchè tendeva a far cessare uno stato così anormale, e rimuovere la causa di un pericolo permanente il quale, o per sè, o pe’ suoi, o per gli amici, teneva tutti in uno stato di palpitante agitazione.

I Francesi di fatti sul far del giorno occuparono il Trastevere fino al di qua dei ponti Sisto e Quattro Capi, e quanto alle porte, Portese, san Pancrazio ed Angelica come più vicine al Gianicolo, ne avevan preso possesso nella sera antecedente. Le truppe ch’erano fuori della porta del Popolo preser possesso del Pincio, della Trinità de’ Monti, e del Quirinale.

L’ingresso dei Francesi nel Trastevere fu accompagnato da dimostrazioni benevole. Alle 8 i Francesi bivaccavano sulla piazza del fontanone di ponte Sisto, fattivi i fasci d’armi: e nel Trastevere uomini e donne guastavan le barricate, e si portavan via le legna non ostante il divieto del municipio.

Alcuni pochi Francesi vedevansi alla spicciolata passeggiare per Roma nella massima buona fede, ed in un aspetto decisamente inoffensivo.

Se non che più tardi si disse che un trasteverino accompagnando un Francese per la città, fosse stato trucidato all’istante. Alcuni preti vennero uccisi barbaramente. Di uno fra gli altri raccontaronsi cose tali, che rifugge la penna dal ripeterle.

Fra le 3 e le 4 l’abate Perfetti e l’ex-deputato del Consiglio, dottor Diomede Pantaleoni, vennero aggrediti alle stalle di Chigi. Pantaleoni si difese colla spada ch’era [p. 673 modifica]nel suo bastone, e salvossi fuggendo. L’abate appiattatosi al muro, si raccomandava e supplicava per aver salva la vita, quando da un vicino caffè esce di tutta furia un giovane esaltatissimo, e gli scaglia nel ventre un colpo di daga. È da sapere che tanto il Perfetti quanto il Pantaloni avevano avversato la repubblica ed appartenevano entrambi al partito del Mamiani ch’era il capo dei così detti moderati o di parte mezzana.68

Alle 5 eransi riuniti molti giovani al Caffè Nuovo, in quello delle Belle Arti, e ne’ luoghi adiacenti. Eran fra i medesimi i più dichiarati repubblicani, ed a capo figurava il famoso Cernuschi. Era loro intendimento all’imminente passaggio dei Francesi per que’ luoghi, di fare una dimostrazione ostile.69 Bastaron però un 50 o 60 cacciatori spediti a passo celere per discacciare tutti, e far chiudere tanto il caffè quanto la trattoria delle Belle Arti. Giunse verso le 6 l’armata francese la quale era entrata per la porta Cavalleggieri, e procedendo per ponte sant’Angelo, la via dell’Orso, la fontanella di Borghese, ed il Corso, si diresse verso piazza Colonna. Erane alla testa il generale Oudinot col suo stato maggiore. Arrivato al caffè delle Belle Arti, e vedutavi inalberata tuttavia la bandiera repubblicana, ordinò che venisse tolta, il che agevolmente si ottenne.

Ma l’attruppamento del Caffè Nuovo se pure non erasi ingrossato, si credette in forza non tanto per numero quanto per ardire, passati che furono i Francesi, di prorompere in urli e fischi. Il Cernuschi portava la bandiera della repubblica romana, e baccante inanimava quei giovani sconsigliati. Passata l’armata, questo che neppure chiameremo vero attruppamento sibbene una mano di giovani arrabbiati e furenti, la seguiva nel suo cammino lungo il Corso, e giunse quasi alla piazza Colonna. Annoiato allora il generale da tale insensata disfida, ordinò ad [p. 674 modifica]uno de’ suoi capitani con pochi uomini d’imporre silenzio a quelle provocanti vociferazioni. E bastò il solo mettersi in attitudine di voler disperdere quel gruppo d’indemoniati condotto sempre dal Cernuschi, perchè si arrestassero; e fatta una qualche resistenza per non consegnare la bandiera, venne lor tolta. Ed allora le grida cessarono, ed i pochi ma molesti ammotinatori si dispersero.

Si racconta l’ingresso dei Francesi nel supplemento di un mezzo foglio al Monitore del 3 di luglio, supplemento che fu distribuito a qualcuno soltanto degli abbonati, e che conseguentemente è divenuto rarissimo.

Il racconto però, opera del partito repubblicano irritato e soccombente, dimostra tutta la passione e l’esagerazione di partito, e non è quindi tale da potersene fidare.

Sappiam noi ch’eravamo in Roma quale giorno di trepidazione e di terrore fu quello. Era partito il Garibaldi è vero con quattro o cinquemila combattenti. Ma ve n’erano altri dieci o quindici mila per lo meno. Vera una parte della civica mobilizzata, composta massimimente di gioventù indisciplinata e pronta al mal fare, V’eran tutti gl’impiegati o i beneficati dal nuovo governo: vi eran pure i nemici più dichiarati dei clericali fra i cittadini di bassa e di media classe. Chi ignora poi che il ributto, il lezzo, il fondo della sentina di una grande città somministra sempre molti torbidi e pestiferi elementi? E questi vi erano e fermentavano e ribollivano, e le ire compresse non erano spente.

Si conoscevan già dal pubblico le avvenute uccisioni di preti o di altri di cui facemmo discorso, ma si temeva di peggio; e quindi tutti i cittadini d’indole temperata e tranquilla stavano nelle lor case. Chiuse eran le porte; chiuse, è verissimo, le imposte delle finestre all’ingresso dei Francesi.70 Taluni lo avran fatto per odio, altri e molti più lo fecero per timore: e così o per timore o per [p. 675 modifica]odio facendo tutti la cosa stessa, si vide Roma deserta. E siccome da molti erasi divulgato che all’ingresso dei Francesi lo scoppio dell’ira avrebbe fatto nascere inevitabilmente un conflitto e conflitto sanguinoso, aveasi ben altra voglia che quella di far mostra di se per le strade o baldoria in piazza in un momento così supremo e pericoloso. E si può esser certi che chi trovossi all’entrar de’ Francesi in compagnia di Cernuschi e consorti, osservò che eran proprio di quelli che amavano di accattar brighe, ed ai quali (come se poco se ne fosse versato) non sarebbe rincresciuto di vedere scorrere altro sangue umano. E che fra questi vi fosser di coloro che gridarono morte a Pio IX, morte ai preti, morte al cardinale Oudinot, evviva la repubblica romana, come dice la relazione stampata, lo crediamo agevolmente; ma il quadro che abbiam tracciato farà conoscere da quanti e da chi in quel momento cosiffatte grida pronunciaronsi.

La sera la città tutta era occupata dai Francesi. Altri sconci non accaddero. Roma versava nel più cupo silenzio. La sua condizione però era tristissima, perchè l’assemblea con quel suo fiero spartanismo che la portò a ricusare ogni trattativa di resa, volle rinnovellar l’esempio o meglio scimiottare il contegno dei senatori romani che rimasero all’entrar de’ Galli fermi al loro posto. Meglio però ci sembra avrebbe fatto provvedendo con patti e condizioni alla incolumità de’ suoi difensori, fra i quali v’erano i giovani lombardi, meritevoli al certo d’ogni rispetto. Non essendo stata pattuita condizione veruna, restaron tutti alla mercè dei vincitori senza malleveria di sorta alcuna, e il Dandolo stesso a ragione se ne lamenta.71 A lode per altro dell’onore francese, eglino non abusarono del loro stato, ed ebbe ragione il Cernuschi di esclamare nell’atto di sopra riferito, che Roma ebbe i più civili stranieri per soggiogarla.72

[p. 676 modifica]Ma con tutto ciò tra per le non pattuite guarentigie che lasciavano esposti i Romani agli sdegni dei vincitori, per il livore dei vinti, e pel terrore inspirato dalle uccisioni del giorno o dalle minacce di uccisioni e di sangue, i cittadini rimaser tutti in istato di costernazione, e quindi nel più assoluto silenzio e riservatezza. E così viene spiegato luminosamente il perchè all’entrar de’ Francesi nella città ella apparisse cupa, silenziosa, e deserta.

Se questi motivi ragionevolissimi per comandare il silenzio non avessero esistito, non vi ha dubbio veruno che una gran parte della popolazione si sarebbe recata loro incontro per festeggiarne l’ingresso. Le unanimità non esistono: elleno sono o finzioni o violenze. Ogni città è composta di uomini parteggianti, chi pel vecchio, chi pel nuovo ordine di cose. Questa è la verità. Ma la verità nella nostra rivoluzione stette sempre in fondo di un pozzo.

Così finì l’assedio di Roma.

Ora crediamo di dover riportare la lista dei morti e feriti ch’ebbero i Francesi durante l’assedio, desumendone le cifre dall’opera più volte citata del generale, ora maresciallo, Vaillant direttore del medesimo. Eccola:


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Date Feriti Morti Pagine dell'opera
del Vaillant.
4 e 5 giugno 1849 N.° 73 N.° 10 47
6 al 7 » » 9 » 5 52
7 all'8 » » 10 » 5 55
8 al 9 » » 19 » 2 59
9 al 10 » » 17 » 4 62
10 all'11 » » 9 » 1 67
11 al 12 » » 25 » 7 71
12 al 13 » » 12 » 72
13 al 14 » » 33 » 9 76
14 al 15 » » 7 » 1 80
15 al 16 » » 10 » 2 83
16 al 17 » » 6 » 2 87
17 al 18 » » 6 » 2 90
18 al 19 » » 19 » 4 92
19 al 20 » » 12 » 3 95
20 al 21 » » 12 » 7 98
21 al 22 » » 60 » 15 107
22 al 23 » » 31 » 6 112
23 al 24 » » 26 » 4 115
24 al 25 » » 20 » 2 119
25 al 26 » » 14 » 3 122
26 al 27 » » 10 » 124
27 al 28 » » 36 » 5 128
28 al 29 » » 14 » 2 132
29 al 30 » » 98 » 20 142
N.° 588 N.° 121
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I feriti dell'armata romana durante l’assedio furono, secondo la lista pubblicata col Giornale di Roma il 15 settembre 1849:

Date Feriti Date Feriti
4 giugno 1849 N.° 17 Riporto N.° 368
5 » » 42 18 giugno 1849 » 13
6 » » 8 19 » » 14
7 » » 4 20 » » 34
8 » » 13 21 » » 43
9 » » 19 22 » » 51
10 » » 61 23 » » 23
11 » » 16 24 » » 48
12 » » 35 25 » » 22
13 » » 25 26 » » 18
14 » » 39 27 » » 47
15 » » 52 28 » » 48
16 » » 17 29 » » 64
17 » » 20 30 » » 155
Da riportare N.° 368 In tutto N.° 948


Sui quali i Romani feriti, giusta il ristretto nella suddetta lista, dal 4 al 30 giugno furono 113, ossia circa una nona parte della totalità dei feriti.

Crediamo poi non inopportuno di sottoporre alla considerazione dei nostri lettori alcuni appunti storici su tutti i feriti che ebbe l’armata romana in tutti i combattimenti dal fatto del 30 di aprile a quello definitivo del 30 di giugno, desumendoli tanto dal giornale officiale, quanto da alcune opere valutabili per la loro esattezza, le quali trattarono questo argomento.

E prima di tutto abbiamo la mentovata lista generale dei feriti che il governo romano pubblicò il 15 settembre 1849 ed ove la loro totalità ammonta a


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N.° 1,298, cioè
350 nel fatto del 3 di giugno,73 e
948 in tutti i fatti dell'assedio dal 4 al 30 di giugno.
1,298. Si aggiungono
» 200 pel fatto anteriore del 30 di aprile, circa il quale si distribuì, insieme col Monitore romano, un elenco di feriti che li faceva ascendere a 111; ma questa cifra fu rettificata nel rapporto del triumvirato inserito nel Monitore il 5 maggio, portandola a 200. Più
» 500 pe’ fatti di Palestrina e di Velletri. Quanto al primo pubblicossi nel Monitore una lista di feriti che li faceva ammontare a 81.74 Quanto al secondo non se n’ebbe verun elenco: la opinione prevalente però fu che i feriti ne’due combattimenti non fossero stati meno di 500. Avremo pertanto
N.° 1,998 feriti in tutto, giusta le memorie stampate ed il ragionamento.


Il Vaillant però dice che, secondo i documenti pubblicati a Torino, i difensori di Roma avrebbero avuto un 3,063 feriti, e 1,700 o 1,800 morti.75

Ma consultando il Torre, che a noi sembra il più esatto ed il meglio informato di tutti in simili materie, vi si troverà presso a poco la conferma dei nostri calcoli. [p. 680 modifica] Egli dice quanto appresso:

«Durante l’assedio di Roma e nei tre combattimenti del 30 aprile e di Palestrina e Velletri l’esercito romano ebbe a deplorare tra morti e feriti circa tremila uomini in tutto fra i quali centosettanta officiali d’ogni grado.»

Quindi soggiunge in nota:

«Il nostro amico l’egregio dottore Agostino Bertani di Milano, che giunto in Roma durante l’assedio volle gratuitamente prestar l’opera sua negli ospedali militari anche dopo l’ingresso dei Francesi, prese cura di correggere per quanto potè il catalogo de’ nostri morti e feriti, e pubblicò in Genova una sua relazione sul proposito. Egli reca la cifra di 2063 che come egli stesso confessa non raggiunge la vera. Noi coll’aiuto di alcuni rapporti intorno ai fatti d’armi abbiamo fatto alcune aggiunte e correzioni a quel catalogo, nè perciò lo crediamo ancora esatto. Oltrecchè molti Romani feriti pnferivano la casa propria per essere assistiti dai parenti, dicasi altrettanto dei provinciali che avevano dimora e amici in Roma, e spesso accadeva che di essi non si avea notizia. Cosi anche di molti feriti prigionieri dei Francesi, e dei morti i cui cadaveri erano sepolti dal nemico o dai nostri senza conoscerne i nomi e prenderne nota. Ciò specialmente avvenne il 30 giugno ultimo giorno del combattimento. Quindi se è esagerata la cifra di 4000 riportata dai Francesi (Gazette Medicale de Paris, 3 novembre 1849) quella di 3000 incirca da noi recata se noe è sicura non si discosterà molto dalla vera.» 76

Constatato pertanto, secondo il Torre, che non più di 3,000 uomini in tutto possa aver perduto l’esercito romano, può desumersene ragionevolmente che 2,000 fossero i feriti, e 1,000 i morti circa.

Ed ammettendo che i feriti siano stati 2,000 in tutt’i combattimenti, vediamo, secondo le liste stampate che ce ne han conservato il nome e la patria, quanti fossero i Romani.

[p. 681 modifica]Secondo l’elenco dei feriti nel fatto del 30 di aprile, distribuito insieme col Monitore, i Romani furono

N.° 24, e nei fatti posteriori dal 1° maggio al 30 giugno, come dal Giornale di Roma del 15 settembre, furono
» 113  uomini.77
       Nella stessa proporzione sui fatti di Palestina e Velletri, essendovi stati circa 500 feriti, si computano a
» 48  i Romani, ossia in tutto
N.° 185. Poniamo anche che fossero 200 i Romani sopra 2,000 feriti, eglino sarebber sempre nella proporzione di 1/10, circa: il che è importante per la storia di poter constatare.

Narreremo nel seguente capitolo le disposizioni governative dei Francesi, e tutt’altro dal 4 al 15 luglio giorno in cui il governo pontificio venne ristabilito nella città di Roma, la quale coll’ingresso dei Francesi il 3 di luglio, e colla nomina il giorno stesso del general Rostolan a governatore della medesima, rimase per quasi due settimane sotto la dominazione esclusiva dei Francesi.





Note

  1. Vedi Vaillant, pag. 109. — Atlante generale dell’assedio ec., pag. 4.
  2. Vedi Vaillant, pag. 111.
  3. Vedi detto, pag. 112. — Atlante generale dell’assedio ec., pag. 4.
  4. Vedi il Monitore del 24 giugno 1849, pag. 622.
  5. Vedi Montanelli, Memorie sull’Italia ec., cap. 38, e 39.
  6. Vedi Montecchi nella raccolta Documenti della guerra santa d’Italia. Capolago, 1850, pag. 26, 27 e 117.
  7. Vedi Pepe, Histoire des révolutions et des guerres d’Italie en 1847, 1848 et 1849. Bruxelles, 1850, pag. 211.
  8. Vedi il Monitore romano del 25 giugno, pag. 626.
  9. Vedi Vaillant, pag. 116 e 117.
  10. Vedi Monitore, pag. 622.
  11. Vedi Monitore, pag. 584. — Pallade n. 557. — Rusconi, vol. I, pagina 156 e 157.
  12. Vedi Monitore, pag. 580, 588, 605, 611, 622, 633.
  13. Vedi Documenti, vol. IX, n. 99. — Vedi Monitore del 24 giugno pag. 622.
  14. Vedi Monitore, pag. 628. — Documenti, vol. IX, n. 90.
  15. Vedi Monitore, pag. 626.
  16. Vedi detto, pag. 633.
  17. Vedi Vaillant, pag. 110.
  18. Vedi Correspondence respecting the affairs of Rome, 1849, pag. 35.
  19. Vedi l’opera Ruggiero Settimo e la Sicilia. — Documenti sulla insurrezione siciliana del 1848, pag. 13.
  20. Vedi Documenti, vol. IX, n. 99 A. — Vedi il testo francese di questo atto nel Sommario, n. 96.
  21. Vedi Vaillant, pag. 118. — Vedi Atlante generale dell’assedio ec., pag. 4.
  22. Vedi Vaillant, pag. 121.
  23. Vedi Monitore, pag. G29.
  24. Vedi Sommario, n. 97. — Vedi Monitore del 26 giugno, n. 143.
  25. Vedi Vaillant, pag. 123 e 124.
  26. Vedi Vaillant, pag. 124.
  27. Vedi detto, pag. 125.
  28. Vedi detto, pag. 128.
  29. Vedi detto, pag. 128.
  30. Vedi detto, pag. 128.
  31. Vedi detto, pag. 129
  32. Vedi Vaillant, pag. 129 e 130. — Vedi Atlante generale dell’assedio ec., pag. 4.
  33. Vedi Vaillant, pag. 132 e 133, Atlante generale dell’assedio ec., pag. 4.
  34. Vedila per extensum nel Monitore del 28 giugno 1849, pag. 637.
  35. Vedi Monitore, pag. 645. — Vedi Vaillant, pag. 131.
  36. Vedi Vaillant, pag. 131 e 132.
  37. Vedi Vaillant dalla pap. 134 alla pag. 146. — Vedi Atlante generale dell’assedio ec., pag. 4 e 5.
  38. L’altro tentativo d’incendiare quel ponte, ugualmente non rinato, ebbe luogo la notte dal 10 all’11 giugno. Vedi Vaillant, pag. 67.
  39. Vedi la relazione del generale Garibaldi nel Monitore, pag 651 — Vedi Vaillant da pag. 134 a 146. — Farini, vol. IV., pag. 201. — Vedi Sommario storico ec., vol. IV, pag 339. — Vedi Torre, vol. II, pag. 262 e segg.
  40. Vedi Torre, vol. II, pag, 267 e 268.
  41. Vedi Gazzetta di Genova del 6 luglio 1849.— Vedi Monitore del 1° luglio,
    p ig. 649. — Vedi altresì il racconto del Torre, vol. II, pag. 270, 271, 272.
  42. Vedi Gazzetta di Genova del 6 luglio 1849, pag. 3, riportata come documento nel vol. X, n. 5. — Vedi Monitore del 1° luglio, pag. 649.
  43. Vedi Monitore del 1° luglio, pag. 649.
  44. Vedi Monitore, pag. 653.
  45. Vedi Sommario, n. 98 e 99.
  46. Vedi detto, n. 100.
  47. Vedi detto, 2. 101 e 102.
  48. Vedi detto, n. 103.
  49. Vedi Monitore del 3 luglio 1849, pag. 658.
  50. Vedi Monitore del 3 luglio, pag. 658.
  51. Vedi detto.
  52. Alla legione lombarda di 000 uomini era stato aggiunto in Roma nel maggio un altro battaglione di bersaglieri composto della così detta legione Trentina e di una compagnia del 22.° Vedi Dandolo, pag. 1S6.
  53. Vedi Dandolo op. cit., pag. 244 e 245. — Vedi Monitore, pag. 654. — Vedi Miraglia, pag. 292.
  54. Vedi E. Ruggeri, Della ritirata di Garibaldi da Roma — Narrazione Genova, 1850, in-12, nelle Miscellanee, vol. XV, n, 11, pag. 5, 6, e 7.
  55. Vedi Ruggeri op. cit., pag. 8 e 9.
  56. Vedi la Speranza dell’epoca dell’11 luglio.
  57. Vedi Monitore, pag. 652.
  58. Vedi Supplemento al n. 50 del Monitore romano del 3 luglio. Vedi Documenti n. 104 del vol. IX.
  59. Vedi Monitore del 3 luglio, pag. 660.
  60. Vedi Supplemento al n. 150 del Monitore.
  61. Vedi Supplemento al n. 150 del Monitore.
  62. Vedi detto.
  63. Vedi detto.
  64. Vedi tutte le detto nomine nel Supplemento al n. 150 del Monitore.
  65. Vedi Supplemento al n. 150 del Monitore.
  66. Vedi Autografi ec., n. 53.
  67. Vedi Monitore del 3 luglio.
  68. Vedi Speranza dell’epoca del 4 luglio 1819.
  69. Vedi Sommario storico ec., vol. II, pag. 251.
  70. Vedi Dandolo, pag. 247.
  71. Vedi Dandolo, pag. 247.
  72. Vedi Supplemento al n. 150 del Monitore.
  73. La cifra di 350 non concerne soltanto i feriti nel fatto del 3 di giugno, come scrive l’autore, ma sì bene i feriti dal 1° maggio al 3 di giugno. Così è detto nella lista pubblicata dai governo romano il 15 settembre del 1849, alla pagina 17, dalla quale l’autore stesso desume quella cifra. Laonde può ritenersi che nei 350 sian compresi se non tutti una parte dei feriti ne’ combattimenti di Palestrina e di Velletri.

    L’editore.

  74. Vedi Monitore del 24 maggio, pag. 500.
  75. Vedi Vaillant, pag. 159.
  76. Vedi Torre, vol. II, pag. 274.
  77. I Romani feriti dal 1° maggio al 30 di giugno furono 136, secondo la lista pubblicata dal governo romano il 15 settembre 1849, alla pagina 17, con la quale concorda su ciò un articolo nella prima pagina dei Giornale di Roma di quel giorno, e non già 113 come enuncia l’autore. Egli riportando separatamente il numero de’ Romani feriti nel fatto d’armi del 30 di aprile, desunto dall’elenco distribuito insieme col Monitore romano, credette forse di dover diminuire la cifra di 136; ma Runa lista non è da confondere con l’altra perché riguardanti cose diverse. Quanto poi a’ Romani feriti nei combattimenti di Palestrina e di Velletri torna la osservazione da noi fatta nella nota antecedente, che cioè può supporsi essere eglino compresi almeno in parte nei 136, la qual cifra, lo abbiam detto di sopra, rappresenta la totalità de’ feriti dal 1° maggio al 30 di giugno.

    L’editore.