Sui monti, nel cielo e nel mare/Problemi inattesi della guerra/Per l'arma aerea

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Per l’arma aerea

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Problemi inattesi della guerra - La crisi dell’offensiva La lotta a Oslavia
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PER L’ARMA AEREA.

Gennaio 2016.

La rigida invernata ha limitato molto l’attività dell’aviazione nella guerra italiana. Da un mese specialmente, le nevi, le piogge, le nebbie, non hanno permesso che il piccolo cabotaggio dell’aeroplano sulla nostra fronte. Col bel tempo sta per riaprirsi la lunga navigazione nei cieli.

Speriamo che in avvenire la lotta nell’aria possa essere contenuta entro i limiti delle necessità puramente militari. Ma sarebbe imprudente portare questa speranza nei calcoli delle probabilità.

Il nemico ha mostrato già troppo chiaramente il suo modo di intendere la guerra aerea. Quando ha potuto, ha volato su città inermi, lanciando bombe, rovinando monumenti, massacrando pacifici abitanti. Dobbiamo tener conto di questo dispregio austriaco per il diritto delle genti, e non facciamo assegnamento su altri vincoli alla feroce iniziativa aviatoria dell’avversario, fuori di quelli che noi stessi sapremo imporre, con i mezzi materiali, [p. 48 modifica] con l’organizzazione della nostra difesa, con le nostre facoltà di rappresaglia.


Il còmpito nostro non è semplice, e va misurato in tutte le sue proporzioni. La guerra nell’aria ha assunto sviluppi inattesi, si è moltiplicata, è andata ingigantendo mese per mese, si è trasformata con nuove risorse, ha avuto progressi vertiginosi imposti da continue necessità improvvise. Apparecchi che sembravano ieri insuperabili sono oggi abbandonati per la loro inefficienza. Nessun’arma come quella aerea subisce così profonde e rapide modificazioni e impone tanto studio, tanta iniziativa, tanta energia. L’aviazione del 1914 di fronte all’aviazione di questo inizio di anno appare meschina e inutile come l’artiglieria napoleonica di fronte ai cannoni a tiro rapido. L’inizio della trasformazione fu la conseguenza logica di un volo: il volo di quel Taube comparso su Parigi in un pomeriggio di agosto, all’inizio delle guerre.

Prima del conflitto europeo, in quasi tutti i paesi l’aeroplano militare pareva destinato ad essere unicamente uno strumento di osservazione e di esplorazione. Si prevedevano combattimenti aerei, ma soltanto per impedire le ricognizioni al nemico o per forzare il passo alle proprie. L’aviazione si considerava generalmente aggregata agli eserciti e legata alle loro operazioni. Nessuna nazione civile [p. 49 modifica] d’Europa immaginava l’aeroplano lanciato fuori della guerra, nel cielo silenzioso di città tranquille, per demolire case e spargere sangue di bambini e di donne. Anche per l’uso delle nuove armi si manteneva nei nostri paesi il senso di una lotta leale e legale, la tradizione della guerra onorata. La Germania sola preparava l’aeroplano a scellerate missioni.

Quelle prime incursioni di Tauben bombardatori sulla capitale francese segnarono l’inizio di una rivoluzione in tutti i principii del volo militare. La guerra si allargava nei cieli. Cominciò allora, fra la Francia e la Germania, una gara febbrile, concitata, gigantesca, per la supremazia nell’aria. Urgeva alla Francia la difesa dei suoi grandi centri abitati. La scienza e l’industria furono chiamate a fare il massimo sforzo per la immane lotta, piena di alternative, nutrita di eroismi favolosi. Si fondarono nuove officine, e nuove scuole, e nuovi campi di aviazione; si crearono macchine volanti sempre più armate; ad ogni trovata del nemico si rispondeva con pronte invenzioni di maggiore efficacia; il numero dei piloti crebbe a legioni; la tattica stessa delle azioni subì continue e profonde modifiche al comparire successivo di nuovi e straordinari aeroplani. Cinquanta anni di pace non avrebbero portato forse il volo umano ai progressi che esso ha raggiunto per le tragiche vicende della immensa lotta nel cielo francese. [p. 50 modifica]

I problemi della nostra aviazione si presentano a noi profondamente influenzati dalle conseguenze della guerra aerea in Francia. Dobbiamo aver ben presenti gli sviluppi e le conquiste delle aviazioni francesi e tedesche, non soltanto perchè nessuna circostanza può presentarsi a noi che non si sia presentata in analoghe condizioni sulla fronte occidentale della guerra europea, ma anche perchè è l’aviazione germanica stessa che l’Austria ci oppone.

I nostri aviatori si sono trovati di fronte unicamente a dei Tauben, degli Aviatik, degli Albatros, dei Fokker. L’Austria ha abbandonato da tempo i suoi tipi di aeroplano, rapidamente sorpassati. Negli armamenti dei due alleati vi è uno scambio costante dei mezzi più perfetti. Sono tedeschi, almeno di fattura, i sottomarini da crociera che affondano le nostre navi nel Mediterraneo, sono austriaci i 305 che bombardarono Verdun e che bombardarono Liegi e Anversa, sono tedeschi gli aeroplani che volano sulle nostre città portando la croce nera di Prussia dipinta sotto alle ali.

Per quel che riguarda la guerra aerea almeno, noi dobbiamo dunque considerare la tecnica tedesca come la nostra vera avversaria, con le sue risorse e con le sue esperienze. La Germania, legata all’azione sulle sue fronti principali, non potrà forse mai mettere troppo numerose squadriglie a disposizione [p. 51 modifica] dell’Austria. Non è quindi tanto la quantità dei mezzi del nemico che s’impone come elemento essenziale alle nostre previsioni, quanto il loro carattere e la loro efficacia.

Ora, prima di noi la Francia li ha paralizzati o li ha battuti, questi stessi aeroplani dalla croce nera. Prima di noi essa ha dovuto difendere contro le loro incursioni selvagge le sue grandi città, più vicine alla fronte delle nostre e più aperte al volo nemico, e vi è riuscita. La Francia ha già superato molte di quelle medesime difficoltà che ci si presentano nella guerra aerea. Non vi sono molti modi per risolvere lo stesso problema. Sarebbe un errore cercare quello che è stato trovato. Dobbiamo far nostra l’esperienza francese come l’Austria ha fatto suoi i progressi tedeschi.

La lotta aerea fra la Francia e la Germania ha per noi un interesse immenso. Essa ci offre tutti gli esempi e tutti gl’insegnamenti.

Quando scoppiò la guerra europea, la Francia godeva un primato indiscusso nella scienza del volo. Ma essa non aveva curato che il volo; aveva perfezionato l’arte di solcare gli spazi, aveva dato all’uomo le ali più agili. Si creavano in Francia infiniti modelli di aeroplani capaci delle più ardite evoluzioni. I piloti francesi erano arrivati al prodigio. Sopra apparecchi docili, sicuri, leggeri, dominavano il ciclo con temerarie e meravigliose manovre. La Germania non pensava invece che [p. 52 modifica] alla guerra e nell’aeroplano non vedeva che un’arma.

Il motore rotante, adottato largamente dall’aviazione francese, leggero e possente, aveva permesso la creazione di piccoli apparecchi, snelli e facili. I tedeschi diffidarono del motore rotante; lo giudicarono di funzionamento poco sicuro, lo disprezzarono anche perchè non era tedesco. Rimasero fedeli al motore fisso, di meno rendimento ma più costante. Compensarono le deficenze del motore accrescendone la forza. Un motore da cinquanta cavalli non pesa come due motori da venticinque cavalli, ma molto meno. Aumentando quindi la potenza del motore si arriva a trovare fra il peso e la forza una proporzione utile. L’aviazione tedesca trascurò le audacie del volo, non salì alle grandi altezze, non tracciò nel cielo i cerchi della morte: ne era assolutamente incapace. Ma costretta a cercare la praticità dell’aeroplano nello sviluppo del motore, seguendo vie analoghe a quelle che avevano condotto all’ingigantimento del dirigibile, era arrivata al poderoso.

Aveva raggiunto la costanza e la stabilità del volo portando gradatamente la forza motrice a cento cavalli. Potè profittare allora dell’eccesso della potenza per corazzare i suoi aeroplani, per armarli, per gravarli di munizioni e di combustibile, adattandoli ai lunghi viaggi e alla battaglia. Quando essi comparvero, [p. 53 modifica] solidi, sicuri, insolenti, furono come degli sparvieri arrivati in mezzo agli eleganti giri di stormi di allodole. Erano inattaccabili. Filavano dritti verso le loro mète come sopra invisibili guide. Tutti i giorni, alla stessa ora, qualche Taube, qualche Aviatik aleggiava su Parigi, impassibile, rigido, inavvicinabile, mitragliando e bombardando.


L’aviazione francese non poteva trasformare di colpo il suo materiale, e urgeva difendersi. Pensò di sfruttare la leggerezza e la duttilità stessa dei suoi aeroplani, di volgere a profitto le loro caratteristiche, quelle che parevano inutili virtù di agilità e di eleganza. E inventò la caccia.

I francesi scelsero uno dei loro monoplani più piccoli e più veloci, il Morane, facile all’ascesa, e lo armarono di una mitragliatrice. Fissata sulla fusoliera, fra le due ali, sopra la testa del pilota, l’arma faceva fuoco attraverso il disco rotante dell’elica. Dove le pallottole potevano toccarla, l’elica aveva un rafforzamento di acciaio per deviarle. Il pilota non puntava la mitragliatrice, che era immobile: puntava l’aeroplano. La sua tattica consisteva nel salire più in alto del nemico e mitragliarlo poi scendendo con un volo librato.

I piccoli monoplani si slanciarono. La caccia cominciò. I tedeschi sorpresi furono sopraffatti. I primi Tauben precipitarono al [p. 54 modifica] suolo colpiti a morte. L’allodola abbatteva l'avvoltoio. Per qualche tempo il cielo di Parigi fu sgombro di nemici. L’aviazione tedesca era ricondotta alle operazioni di guerra. E anche sulla fronte s’incontravano resti di potenti macchine teutoniche infrante.

I tedeschi per difendersi non trasformarono i loro aeroplani ma i loro motori. Calcolarono di poter riconquistare il predominio come velocità e come forza ascensionale, aumentando ancora la potenza motrice. Volare più rapidi e volare più in alto del nemico: ecco il segreto della vittoria nell'aria. Le incursioni ricominciarono sulle città francesi e sulla capitale. Venivano compiute da Aviatik e da Albatros con motori da centocinquanta cavalli, filanti a centoventicinque chilometri all’ora. I Tauben monoplani erano quasi scomparsi.

Le nuove macchine sfuggirono alla caccia. Il Morane era sopravanzato. I voli del nemico si svolgevano ora oltre ai duemila metri. Le altitudini di manovra si andavano già elevando, per arrivare gradatamente alla fantastica altezza attuale di quasi quattromila metri.

Per la seconda volta l’aviazione germanica riprendeva il dominio. Si sentiva nuovamente sicura; gettava bombe su Dunkerque, su Calais, su Parigi. Ma non trascorsero molti giorni che un minuscolo biplano impetuoso venne su dalla terra, si lanciò sotto agli Aviatik e agli Albatros, e gli aviatori tedeschi sentirono [p. 55 modifica] grandinare dal basso la mitraglia, così vicina da sfondare talvolta corazzatura e fusoliera. La caccia ricominciava.

I francesi avevano scelto uno dei loro migliori tipi di piccolo biplano rapido a due posti, il Nieuport, lo avevano ridotto ad un posto solo, aumentandone così prodigiosamente la rapidità e la capacità di ascesa, e lo avevano armato di una mitragliatrice con appoggio a bascule, che permetteva di tirare dal basso in alto. Riuscendo troppo difficile ora superare l’aeroplano nemico in altitudine, si andava a ferirlo nel ventre. Esso non poteva difendersi, non aveva mezzo di colpire sotto di sè, poteva essere avvicinato impunemente.

Fu l’epoca delle grandi cacce di Pégoud. Il celebre aviatore fece con questo apparecchio le sue stragi di Aviatik. La manovra di gettarsi sotto al nemico, come il nuotatore sotto allo squalo, ha conservato in aviazione il nome di «colpo alla Pégoud.»


I tedeschi, battuti ancora, corsero subito ai rimedi. Cominciarono con l’aumentare la superfice protetta, mettendo gli aviatori in vere scatole di corazza al bromo. Poi, prepararono una sorpresa. Un giorno, il cacciatore francese che stava tentando il colpo alla Pégoud, vide aprirsi sul fondo dell’aeroplano avversario uno sportellino, dal quale lampeggiò il fuoco di una mitragliatrice. L’Aviatik difendeva [p. 56 modifica] il suo ventre. La caccia francese diveniva nuovamente impossibile e subiva un’altra sosta.

Bisognava cambiar tattica e cercare altre armi. Non potendo attaccare più dal basso, si era costretti a ritornare all’attacco dall’alto. Era necessario superare per questo tutte le velocità fino allora raggiunte. Si seguì il sistema inverso di quello tedesco: invece di aumentare il motore si diminuirono le proporzioni dell’apparecchio. Comparvero delle vere libellule dal volo fulmineo. Non avevano che ottanta cavalli di forza, ma raggiungevano, negli strati più densi e più bassi dell’aria, la velocità di centosettantacinque chilometri all’ora. Armate di mitragliatrice, manovrarono come aveva manovrato il Morane. Si precipitarono sul nemico dall’alto, mitragliandolo.

Le incursioni tedesche erano per la terza volta fermate. Ma a questo punto il Fokker faceva la sua apparizione. I tedeschi si gettavano anche loro alla caccia. Copiavano il nemico nei suoi sistemi; adottavano persino il motore rotante. Avevano sentito alla loro volta l’urgenza di possedere uno strumento piccolo, di poca autonomia ma di impetuosa e sicura azione difensiva. Perchè mentre si svolgeva questa gara concitata per l’aviazione da caccia, piena di alternative, di sorprese, tragica, superba, meravigliosa, progredivano con non minore impulso tutte le forme dell’aviazione da crociera, dell’aviazione potente, dell’aviazione da [p. 57 modifica]avanscoperta, da osservazione, da combattimento, da bombardamento.

Gli aeroplani si erano andati classificando in tipi sempre più perfetti. Ogni nuova necessità faceva sorgere un nuovo ordigno. Era lontana l’epoca in cui pareva che tutto il problema della lotta aerea consistesse nel volare bene ed essere in tanti. Ogni apparecchio inadatto allo scopo era inutile. Peggio ancora, era perduto.

Non bastava creare delle macchine assalitrici che interdicessero al nemico i lunghi voli sul paese; quella era la difesa ma bisognava rendere utile attivamente la propria aviazione creando le macchine che potessero volare alla loro volta sul nemico, e sentirsi sicure nel compimento delle loro missioni militari.


Nello stesso momento in cui gli aeroplani da caccia erano lanciati a grandi stormi da numerose stazioni strategicamente disposte, sempre più numerose, la Francia creava le grandi squadriglie a largo raggio di azione. Studiando nuovi modelli, trasformò intanto i tipi già provati e più facilmente adattabili. Aveva nei Farman e nei Voisin dei solidi e stabili biplani, ma lenti, incapaci di salire presto, deboli e perciò di poca autonomia, impossibilitati ad agire utilmente con un soverchio peso di armi. La loro forza motrice fu aumentata in una proporzione che va da otto a tredici, a quattordici, [p. 58 modifica]e in certi casi a quindici. Così rafforzati poterono portare dei carichi di mezza tonnellata, salire oltre i tremila metri, volare a centoquindici e a centoventi chilometri all’ora, percorrere cinquecento chilometri senza scalo.

Si ebbero allora notizie di grandi incursioni francesi, di bombardamenti di basi e di retrovie tedesche, di irresistibili spedizioni di rappresaglia. Squadriglie di venti, di trenta, di quaranta aeroplani, bene armati, compirono le prime imponenti azioni dell’aria. Il Fokker ne fu la conseguenza.

Il Fokker è stato per qualche tempo la più formidabile delle macchine da caccia. I tedeschi avevano talmente trascurato ogni studio dell’aviazione leggera, che si trovarono imbarazzati a creare il piccolo aeroplano da aggressione, agile, minuto, dominatore. Presero l’invenzione da un olandese, l’ingegnere Fokker. Costui era stato impiegato in Italia, presso Caproni, e si dice anzi che il suo apparecchio non sia altro che una copia di un monoplano Caproni, munita di un motore tipo Gnome costruito dalla «Mércédes». All’aspetto il Fokker ricorda quel piccolo Morane che fu il primo cacciatore dei cieli.

La comparsa del Fokker avvenne nel maggio del 1915. Non possiamo dimenticare questa data. Cominciava allora la nostra guerra.

In quell’epoca, dunque, l’aviazione militare era già così trasformata che nessuno dei [p. 59 modifica] migliori aeroplani francesi, inglesi e tedeschi di nove mesi prima avrebbe potuto prendere il volo in azione di guerra, senza rischio di distruzione immediata. Le velocità di crociera si avvicinavano ai centotrenta chilometri all’ora, le velocità di caccia si avvicinavano ai duecento, l’altitudine media di volo dai mille metri era salita ai tremila.


Alla creazione di nuove macchine corrispondevano nuove organizzazioni difensive, nuove disposizioni tattiche. La protezione delle città ha assunto in Francia, fin dal primo momento, un’importanza estrema. Come l’Italia, la Francia ha di fronte al nemico questa inferiorità: che molte delle principali città francesi sono entro il raggio di operazione degli aeroplani avversari, mentre i massimi centri vitali tedeschi sono per ora oltre i limiti dell’azione francese. Parigi si trova appena ad ottanta chilometri di volo dalla fronte. La Francia e l’Italia presentano alle attività aviatorie di un nemico senza scrupoli una vulnerabilità che non ha contrapposto. Quello che la Francia ha fatto per la difesa aerea delle città, mentre dava a tutta la sua aviazione lo sviluppo al quale abbiamo accennato, ha per noi un enorme interesse.

Fin dal maggio la salvaguardia di Parigi poteva dirsi perfetta. Gli aeroplani tedeschi non erano già più in grado di raggiungere [p. 60 modifica]la capitale, lontana solo trentacinque o quaranta minuti di volo dai loro campi più vicini. La difesa era ottenuta con una sapiente cooperazione fra squadriglie di blocco e squadriglie da caccia.

Il blocco consiste nella presenza di numerosi aeroplani nel cielo stesso della città. Non importa molto il loro modello e la loro velocità: basta che siano bene armati e che siano molli. Non debbono muoversi da lì, non debbono nè inseguire nè sfuggire; non rappresentano che il modo di disporre nell’aria più mitragliatrici che sia possibile sulla zona da proteggere. Essi incrociano i loro fuochi, ingombrano, chiudono. Sono i monitori dello spazio. Hanno pattuglie sempre in volo, notte e giorno, a meno che il cattivo tempo non paralizzi ogni azione. Fanno crociere a turno, di due ore. Si distribuiscono a varie altitudini, a seconda degli apparecchi. I più moderni ed i più forti salgono più in alto. La difesa è distribuita anche nel senso della profondità.

In caso di allarmi, se l’avvicinarsi di aeroplani nemici è segnalato dalla fronte, le pattuglie in crociera perenne sono raggiunte da tutti gli apparecchi disponibili negli aerodromi della città. E siccome a Parigi e una delle riserve generali dell’aviazione, sono centinaia di macchine pronte a slanciarsi.

Nel gennaio del 1915 già prendeva sviluppo il volo notturno, e la folla che usciva dai [p. 61 modifica] teatri vedeva per la prima volta strane luci palpilare nelle profondità tenebrose del cielo. I campi di atterramento lanciano lampi verticali di fari intermittenti, hanno segnalazioni luminose automatiche che indicano la direzione del vento, allineano luci, invisibili dall’alto, che segnalano la prossimità del suolo, e gli aeroplani, muniti di dinamo mosse dall’impeto stesso del volo, possono accendere dei proiettori sotto alla fusoliera al momento di toccare la terra. Con queste disposizioni la sorveglianza del blocco non ha più sosta, nella luce e nel buio.

Le squadriglie da caccia sono lontane. Il loro compito è di assaltare il nemico all’andata o al ritorno, di non lasciarlo entrare o di non lasciarlo uscire, di dargli addosso ovunque càpiti, di inseguirlo, di perseguitarlo. Sono innumerevoli, e non possono essere legate ai centri da difendere, non debbono avere limiti fissi all’azione. La loro forza è la velocità e la loro superiorità sul nemico si afferma nella lunga corsa.

Appena l’incursione di aeroplani avversari è segnalata, tutte le squadriglie da caccia si levano. Prendono altezza, salgono e salgono, prima di sapere dove andranno. Raggiunta l’altitudine utile osservano le segnalazioni della terra. E laggiù, delle grandi frecce bianche indicano un punto sull’orizzonte. Mostrano da quale parte il volo nemico si annunzia. Gli [p. 62 modifica] stormi partono alla ricerca. Strada facendo ubbidiscono a successive indicazioni, deviano sulla direzione di nuove frecce. Accorrono altre squadre; una cooperazione immensa si sviluppa; più il nemico s’inoltra e più si allarga la caccia. L’invasore finisce per trovarsi bloccato fra stormi di agili assalitori adunati da ogni parte. È come se, annunciato un volo austriaco su Milano, si precipitassero in un’azione comune, a chiudere gli sbocchi al nemico, tutte le squadriglie leggere che fossero disseminate fra Treviglio e Vicenza e nella valle del Po, libere da ogni vincolo di sorveglianza locale. La caccia spazia e sconfina, non ha altra legge che l’accanimento, segue i segnali come una muta segue le peste della fiera. È l’hallali dell’aeroplano.


Oltre al blocco e alla caccia, contribuisce alla efficace difesa dei grandi centri francesi l’artiglieria antiaerea. Passarono presto in Francia i tempi in cui per scoprire nel cielo l’aeroplano perseguitato dalle cannonate, bastava cercarlo un chilometro avanti alle nuvole degli shrapnells. Il tiro antiaereo ha fatto in Francia e in Germania progressi rapidissimi, ed ha avuto una grande influenza nella creazione di nuovi aeroplani. Si sono moltiplicate le batterie fisse e le batterie automobili, sempre più esatte nei resultati, si è andato sostituendo il proiettile ad alto esplosivo allo [p. 63 modifica] shrapnell, si è accresciuta la portata dei cannoni. Ultimamente è stato abbattuto a cannonate qualche aeroplano che volava a quattromila metri di altezza. L’artiglieria ha contribuito a portare il volo alle maggiori altitudini, e ad essa si deve in parte la necessità di apparecchi ultrapotenti, muniti di prodigiosa forza ascensionale.

I progressi continuano. Abbiamo descritto sommariamente quelli che hanno preceduto la comparsa del Fokker, perchè riassumono le condizioni dell’aviazione al momento della entrata in campagna dell’Italia. Ma da allora tutto si è rinnovato. I tedeschi hanno raddoppiato la forza dei loro Albatros; possono fare ricognizioni e osservazioni nella tempesta; hanno aeroplani potentissimi, per dirigere il fuoco dell’artiglieria, muniti di radiotelegrafia trasmettente e ricevente. I francesi hanno risposto al Fokker con un piccolissimo biplano che è un fulmine, che balza a duemila metri in otto minuti e che raggiunge, nei voli bassi, i duecento chilometri di velocità. Sono entrati in azione apparecchi da caccia a due posti che fanno fuoco tutto in giro. Volano adesso in enormi squadre aeroplani da bombardamento che vanno a centoquaranta chilometri all’ora, con tre uomini a bordo, con due mitragliatrici che sparano in ogni direzione, e che possono percorrere seicento chilometri senza scalo. Con queste macchine si vola anche nella bufera. [p. 64 modifica]

La tecnica della costruzione si è trasformata. Il legno è quasi sparito dagli aeroplani, che hanno ossature di acciaio o di alluminio indurito, indeformabili, resistenti, capaci di far sopportare alle ali la spaventosa pressione di quattrocento chilogrammi per ogni metro quadrato, che è la pressione prodotta dalle velocità ora raggiunte. L’esperienza preziosa dei piloti è sfruttata nella creazione di nuovi apparecchi; essa è l’anima vera dei progressi, come l’esperienza dei grandi conducenti di automobili da corsa fu la forza che portò alla perfezione dei motori. Il pilota in aviazione non può essere soltanto un esecutore, ed uno dei segreti della efficienza della aviazione francese è nella collaborazione delle competenze.

Quando la nostra guerra scoppiò, la nostra aviazione era ancora allo stadio sportivo del bel volo, nel quale la Francia era stata sorpresa nove mesi prima. Ma essa fu sufficiente al suo compito. L’Austria non ci opponeva allora che alcuni di quei Tauben scomparsi dalla fronte francese. Poi vennero degli Albatros del vecchio tipo. Poi vennero degli Albatros del nuovo tipo, corazzati, velocissimi. L’eroismo dei nostri piloti è riuscito a mantenere alla nostra aviazione una supremazia, quando nuovi mezzi materiali ancora non la ringagliardivano. Il valore temerario dei nostri aviatori si è imposto costantemente all’ammirazione del nemico, ed essi sono stati certo più nominati e più [p. 65 modifica] lodati nelle pubblicazioni austriache e tedesche che non nelle nostre.

Da quei primi tempi si è molto fatto per aumentare nella misura dei bisogni la nostra potenza nell’aria. Considerando ora l’aiuto tedesco dato all’aviazione austriaca, quello che ci resta a fare diventa molto più grande di quanto si poteva forse prevedere, ma diventa anche più semplice. Non vi debbono essere più incertezze, ricerche di direttive, conflitti di teorie; la via è tracciata; le possibilità che fronteggiamo hanno la evidenza dei fatti. Siamo davanti all’indiscutibile. Il nostro còmpito è grave ma è chiaro. Non andiamo, per carità, alla ricerca di una via nostra, almeno finché non abbiamo raggiunto chi ci precede nella stessa direzione.

Occorre sopra tutto una visione netta, coraggiosa, delle necessità, e considerarle imprescindibili. Rifuggiamo dalla tendenza italiana di fare «quello che si può». È la nostra maledizione; da noi si fa sempre quello che si può. No, in guerra almeno, facciamo quello che ci vuole.