Compendio del trattato teorico e pratico sopra la coltivazione della vite/Parte I/II

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Parte I - Capitolo II

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CAPITOLO II.


Della preparazione del terreno: della scelta delle piante: della loro distanza, e delle diverse maniere di piantare.


Il coltivatore vignajuolo non pianti indifferentemente sul primo terreno, che gli si offrirà alla vista: non iscordi, che un buon suolo, una plaga favorevole, al coperto de’ nocivi venti, dalle nebbie, e dalle violenze delle procelle, procurandogli una buona temperatura, gli darà sempre vino di buona qualità, ed assicurerà il successo della sua impresa. Sarà allora sua prima cura farlo svolgere completamente colla vanga e colla zappa, e fargli coll’aratro profondi solchi in diversi sensi, per ben apparecchiare la terra, e disimbarazzarla dalle piante parassite. Il suolo dev’essare sfondato almeno ad otto pollici, poichè occorre alle radici, perchè preudano, o perchè viemeglio si sviluppino (secondo lo stato delle piante adoperate) una terra mobile, un poco umida, ed attraverso la quale [p. 23 modifica]possano facilmente penetrare. Nell’apparecchiare il sito, che avrà scelto, non negligerà di mettere da parte le pietre più grosse, delle quali se ne servirà vantaggiosamente per fare muri, chiuse, e muri di divisione, che conterranno le terre, se la disposizione del suolo potesse facilitare lo sgrottamento con tempi burrascosi, e piogge abbondanti. Non imiti soprattutto quei proprietarj sconsigliati sui loro veri interessi, i quali contornano le loro vigne con siepi vive di spinalla, o di rosaj selvaggi. Sono così nocivi ai ceppi, non solo coll’ombra che portano, l’umidità che determinano, ma eziandio involando i succhi nutritivi a pregiudizio della pianta. Torna più conto, nel caso che per circostanze locali si durasse fatica a procurarsi delle pietre, scavare d’intorno alla piantagione un largo fosso, il quale la difenderebbe benissimo dalle incursioni de’ diversi animali.

Vi sono dei casi rarissimi veramente, in cui delle rupi tenere, quasi a nudo, oppongono grandi difficoltà per la preparazione del terreno; la vanga e la zappa non ànno che poca azione sopra di esse, non si arriva a farle scoppiare, e fendere se non, col soccorso della mina, ed allora se ne cava un vantaggiosissimo partito.

«Un particolare dei contorni di Anduse, dipartimento del Gard, possedeva nel suo dominio una rupe calcarea nuda, di cui non sapeva che farne; prese il partito, sono quarant’anni circa, di far giuocare la mina, e farla scoppiare. Si ruppero in seguilo le pietre a colpo di maglio per ridurle alla grossezza di noci, o piselli. La rupe così rotta fu posta sopra un piano [p. 24 modifica]inclinato, secondo la natura del luogo. Vi piantò delle viti, le quali con sorpresa di tutti produssero, e producono ancora il miglior vino del paese. Allorchè questi rottami di pietra sono riscaldati dal sole, sarebbe impossibile sopportarne il calore, e di camminarvi sopra a piede nudo. Questo luogo si chiama souberain, vicino a Gaujac.»

Si può mettere nel numero delle buone preparazioni, che sono in uso per disporre le terre, che si vogliono piantare a vigna, il metodo di seminare, nel corso di qualche anno, dei legumi, soprattutto i fagiuoli e la fava, i quali rendendo necessarj dei frequenti lavori, apparecchiano la terra, e la migliorano, tanto più che il concime che si adopera così per tempo produce, in questo solo caso, e sempre col più grande successo il trifoglio, e la lupinella, (sainfoin) i quali ànno il vantaggio di distruggere tutte le piante parassite, e dividere la terra colle loro lunghe radici, che bisogna allora strappare colla maggior cura.

Dopo avere ben lasciato seccare gli steli e le radici, si abbruciano, e si spargono le ceneri sul suolo.

S’impiegano, ad oggetto di perpetuare una vite, i piccoli rami tagliati sul ceppo, i talli, le barbatelle, le piante con radici, le margotte, e i sarmenti. I piccoli rami del ceppo, chiamati anche marzi, è una parte del sarmento pullulato fra l’anno, a cui si lascia una parte del vecchio legno, che non serve ad altro sicuramente, che a provare il punto dove è stato tagliato il nuovo getto: senza quel vecchio legno, la marza non sarebbe che un tallo o getto dell’anno.

[p. 25 modifica]Si fanno delle piante con radici, piantando in un semenzaio, o in un giardino dei talli, o delle marze. Si à cura di fargli i lavori necessarj, e come si levino di là in capo a due, o tre anni, ànno allora un numero grande di radici finissime, in forma di capelli il che fà, che in alcuni paesi si chiamano capellute, o cavollute. Si fanno anche piante colle radici, scegliendo in febbraio un sarmento forte e vigoroso, la cui parte superiore si pianta in una piccola fossa destinata a riceverlo: alla fine dell’autunno, o dell’inverno seguente si à un cavolluto, che si separa dal cepo permetterlo dove si à bisogno. La marcotta si fa fissando in una cassetta piena di terra una porzione di sarmento, della cui estremità si lasciano sortire due o tre nodi. Ma questo metodo troppo lungo non può servire per la vite, e non s’impiega che per gli alberi, ed a perpetuare ceppi preziosi.

Dietro la preferenza, che gli antichi ànno accordata alle piante, che ànno gettato radici dai piccoli rami tagliati sul ceppo, alcuni grandi vignajuoli ànno indubitatamente adottato questo metodo, che presenta non perciò gravi inconvenienti, e che non può essere praticato per tutto.

Quando voi piantate in luoghi difficili, dove siete obbligato impiegare il piantatore di ferro, le aperture che fate non sono mai tanto grandi, quanto basti alle radici della vostra pianta per non essere compresse, e aggomitolate. Se allora per rimediare a questa troppo grande quantità di radici, che incomodano ed imbarazzano, ne levate una porzione, questo taglio nuoce essenzialmente allo sviluppo della pianta, le cui radici così accorciale [p. 26 modifica]trattengono talmente la vegetazione, che languisce, e termina col morire. Le sole radici, che puossi permettere di tagliare, sono quelle, che sono morte, muffite, o rotte: il che non arriva, che per difetto del coltivatore vignajuolo, che non à abbastanza sopravvegliato su’ suoi operaj.

Esiste una differenza tanto più grande tra i piccoli rami tagliati sul ceppo, e la pianta con radici, che quella avvezza al suolo nel quale si trova, abituata alle differenti intemperie dell’aria, riprende assai bene, intanto che questa allevata con attenzione in giardini, o seminarj, dove giornalmente era lavorata, irrigata, ingrassata, si trova tutto ad un tratto privata in un momento, che le sue radici stanche, semivive, le procurano con fatica i i succhi nutritizi, dei quali ne à un gran bisogno.

Un errore massiccio, e ciò nullostante generale; è quello di credere, che la piantagione dei talli con radici lunghe sia preferibile all’altra dei piccoli rami tagliati sul ceppo, o marze. La sola sperienza, che può decidere un fatto di questa natura, prova sempre, che lo sviluppo delle radici nelle marze non è più lungo, che il riprendere di quelle, di cui sono già fornite le piante, il che segue per queste ultime sovente male e con molta pena.

Non vi affidate giammai del vostro vignajuolo, o di estranei per la scelta dei piccoli rami, scelta che dovete far sempre da voi stessi, non prendendoli che da ceppi forti e vigorosi, in età di otto o dieci anni al più, sui terreni dove la vite dura venticinque, trenta anni. Per essere ben sicuro [p. 27 modifica]della qualità della vostra pianta, non andate a tagliarla in un momento, che la vite è spoglia delle sue foglie, e de’ suoi frutti. Rischiereste ingannarvi, malgrado la maggiore abitudine. Percorrete invece le vostre viti, e le migliori del vostro cantone, poco avanti la vendemmia. La natura, e qualità dell’uva fisseranno la vostra scelta in maniera certa. Marcate allora il più bel sarmento, e il più sano, secondo la specie che vi conviene, con un filo ben attaccato, che servirà a farvela riconoscere. Quando il legno dell’annata avrà acquistato la sua maturità, il che arriva d’ordinario dopo il cadere delle foglie, e che voi giudicherete perfettamente bene dalla secchezza della midolla, e da una specie di minorazione nel suo volume, ritornate alla vigna, e tagliate i vostri piccoli rami; la lunghezza loro dev’essere tale, che dopo avere levato una parte dell’estremità superiore, buona solamente da riscaldarsi, il resto piantato in terra due o tre piedi, due nodi sormontino ancora la superficie del terreno. Non abbiate soprattutto la mania di certi gran proprietarj, che per fare delle vigne fanno venire con grande spesa del moscato di Champagne, dell’acino di Bourgogne, del verdino della Guienne, sperando così di fare a loro volontà del vino di Lafitte, di Marenil, o del vino della Chenette. Se avessero avuta la più piccola cognizione di oenologia; se si fossero dati la pena di consultare almeno il suo vignajuolo, avrebbero meglio apprezzato l’influenza del suolo, e saprebbero positivamente, che la specie, che riesce in una provincia è difettosa in un’altra: non avrebbero speso tanto danaro per ripetere una sperienza, che [p. 28 modifica]à già costato a tante altre persone molti sacrifizj.

« Nell’anno 1774, il conte di Fontenay, proprietario in Lorraine, uomo felicemente nato per avere il gusto delle cose utili, ed abbastanza ricco per potersi esercitare con saggi costosi, formò il progetto di stabilire una vigna di Champagne nella sua terra di Champigneulle. Alcuni osservatori gli rappresentarono inutilmente, che il suolo non essendo quello di Champagne, non potrebbe raccogliere che del vino di Lorraine. Le margotte furono ritirate dalla montagna di Reims. Si piantarono sopra una costiera in una plaga felice: non si risparmiò alcuna cura, alcuna spesa, nè rapporto alla piantagione, nè relativamente alla coltivazione di questa giovine vigna. I primi frutti parvero infatti dare qualche speranza del buon successo; avevano un altro sapore diverso da quelli delle vigne vicine: ma dopo sette, otto anni, questo sapore particolare disparve, e non erano ancora passati venti anni, che non restava altro privilegio a questa vigna, che di portare il nome di piante di Reims.»

Riducete a un picciolissimo numero le piante che devono comporre la vostra vigna, poichè la grande varietà di specie, i di cui principj sembrano non avere tra loro alcuna correlazione, producendo un miscuglio bizzarro, non danno mai un vino deciso.

Quanto al tempo proprio alla piantagione, egli non può essere lo stesso per tutti i climi. L’abitante dei dipartimenti meridionali può, dopo le vendemmie, cominciare questa operazione, che non può rimettere alla primavera: perchè le piante non [p. 29 modifica]trovando più l’umido necessario per sollecitare la formazione del succo, non resisterebbero ai primi calori; nelle contrade che abita, l’inverno non è mai tanto forte per impedire lo sviluppo delle radici, che in ogni caso saranno assai ben disposte per effettuarlo al venire de’ bei giorni. Al Nord all’incontro, non si può piantare che dopo l’inverno, per ragione dell’umidità che regna ordinariamente in questa stagione, marcisce la parte messa in terra, intanto che la parte superiore è sovente distrutta dal gelo.

Il sig. Maupin in un trattato che pubblicò sulla vite nel 1763, all’articolo della distanza de’ ceppi, risolve la questione in una maniera generale per tutti i climi; deduce dalle sue sperienze conclusioni false, ed estremamente pericolose per quei coltivatori, che fossero tentati di seguirlo.

Se si potessero sospettare le intenzioni del sig. Maupin, se non si fosse persuasi della buona fede, ch’egli à messo nelle sue ricerche, si potrebbe credere, che non avesse altro scopo, che di far portare alla vite la maggior quantità possibile di uva, e farle acquistare quelle proporzioni straordinarie, cui arriva nei climi infuocati dell’Africa, e dell’Asia. Parla sempre, con una specie di entusiasmo della forza che le sue viti acquistano col suo metodo: gettavano talmente in legno e in frutti, erano così belle, che non si potevano vedere senza sorpresa. Citando le viti della contessa di Pons, che aveva disposte alla sua maniera, ecco come si esprime: « Al sesto anno, ch’è quello che ò cessato di vederla, questa vigna situata sopra una ghiajaja di un’assai cattiva sabbia, portava un legno in[p. 30 modifica]comparabilmente più bello, che quello delle migliori terre. Questo legno era tanto forte, tanto vigoroso, in tanta quantità, che il vignajuolo più smoderato sull'uso del concime sarebbe stato forzato a confessare, che lungi dall’essergli stato utile in quella vigna, non avrebbe potuto che riuscirgli di pregiudizio. »

I partigiani del sig. Maupin, per appoggiare il suo sistema, non citeranno sicuramente l’esperienze che fece a St Germain-en-Laye presso il sig. di Tourqueun, che lo sopravvegliò con molto zelo, e delle quali à reso conto con estrema esattezza. Risulta dalle sue lettere, e dalle risposte di suo figlio, indirizzate al sig. Abeille, che se con questo metodo si ottiene una maggior quantità di uva, maturava sempre male. Lo stesso difetto costante nella maturazione à obbligato il sig. Tourqueun figlio (come dice egli stesso) a far cavare quelle viti, che gli restavano così disposte.

Com'è possibile infatti di poter ritrovare un metodo, che possa abbracciare tanti casi particolari, convenire a tutti i suoli, a tutte le plaghe, a tutti i climi, quando esiste tra essi una quantità di varietà senza numero? Si possono trovare, per esempio, delle vigne, in cui la distanza dei ceppi possa procurare qualche vantaggio: ma non si scordi, soprattutto, che per operare la conversione della mucilaggine in mucoso dolce, e mucoso zuccherino accorre una elevazione di temperatura, che sia in proporzione esatta coll’abbondanza del succo, e senza la quale non si otterrà mai una maturità perfetta, un vino di buona qualità. L’esperienza, i di cui utili risultati confermano sempre le indicazioni [p. 31 modifica]di una teoria saggia, e ben ragionata, prova in modo certo, che la distanza dei ceppi deve accrescere, o diminuire, a seconda che si è vicini al Nord, o che avvicinandosi al mezzogiorno si approfitta di circostanze locali più favorevoli alla coltivazione della vite.

Il coltivatore vignajuolo deve portare la sua attenzione a distinguere anche nella sua piantagione i diversi ceppi, che dietro la loro natura, esigono diverse posizioni. «Il ceppo che matura più difficilmente è sempre quello che annuncia maggior vigore nella vegetazione: dev’essere posto nella parte meno feconda della costiera. Le specie, o varietà bianche, maturando costantemente le ultime, non occuperanno mai il basso del pendio; marcirebbero avanti di maturare. Riservate questo luogo alla specie, la quale annuncia meno forza vegetativa, a quella più raccomandabile per la qualità, che per il volume; e l’abbondanza dei frutti. Abuserà meno di ogni altra della bontà del terreno, al quale l’avrete confidata.»

Se si tagliano i talli, o le marze lungo tempo prima di servirsene, bisogna prendere tutte le precauzioni necessarie per conservarle fresche, e sane sino al momento di metterle in terra. Avendole legate in mazzo nelle due estremità con vinchi, si segnano affine di riconoscere, allorchè sarà tempo, i ceppi di differente qualità, e si mettono dritte nella sabbia di una cantina un poco umida, in modo di non lasciar passare, che due o tre nodi dalla parte superiore. È arrivato il momento di piantare? Si può farlo secondo la natura del suolo in tre differenti maniere. Quando il terreno presenta alla sua [p. 32 modifica]superficie delle rupi tenere sopra costiere in pendio, pietrose, gelate, la tanivella è il solo istrumento di cui si possa servirsi. «Questo istrumento (dice Olivier de Serres) assomiglia molto alle grandi scuri del falegname. È composta di una barra di ferro, lunga tre piedi, e grossa come il manico della zappa, l’estremità ch’entra in terra essendo rotonda in punta, ben fatta, ed acciajata: l’altra che guarda in alto è attaccata a un pezzo di legno traverso, tutto formando la figura di un T, per tenerla colle mani, ed affine che la tanivella non penetri troppo nella terra, ma giustamente vi entri secondo la vostra risoluzione. Un ostacolo sarà posto al pezzo di ferro, che entra nella terra, al luogo segnato apposta: il quale essendo egualmente di ferro servirà inoltre a mettervi sopra il piede, per ajutare le mani, premendo in basso a far entrare la tanivella in terra, al caso che fosse dura, e forte.»

Il lavoratore facendo il buco destinato per mettere il piccolo ramo, deve dirigere lo strumento, perchè il ceppo possa inalzarsi in maniera un poco opposta al pendio del terreno. È impossibile determinare in modo esatto la distanza dei ceppi, e il loro grado di profondità. Esistono rapporti favorevoli tra la quantità di rami, e di radici che può comportare ciaschedun terreno, e per i quali i differenti cantoni, che circondano somministrano buoni esempj. Non si lasciano ordinariamente, che due nodi sopra terra: una maggior lunghezza del piccolo ramo l’esporrebbe certamente all’intemperie delle stagioni. Lo stelo sorte sempre dal nodo più vicino alla terra: ma se qualche causa lo [p. 33 modifica]distrugge, o gl’impedisce di sortire, basta scoprire col dito l’occhio inferiore vicino, e quegli lo rimpiazza subito.

Se il terreno è stato disposto prima a formare uno scacchiere regolare, disposizione che in seguito riesce vantaggiosissima per l’esecuzione della vigna, l’operajo che porta la tanivella, non à nemmeno bisogno di una misura per mettere i ceppi ad eguale distanza, poichè le linee paralelle, che si trovano tagliate dagli angoli del quadro, gli additano e la direzione e la misura, ch’è costretto lasciare tra ogni buco. Questo primo operajo è seguito da un secondo, il quale tenendo con una mano un vaso ripieno di acqua, tira coll’altra dei fili, che mette nei buchi fatti dal primo. Un terzo viene dietro, e riempie le aperture con qualche pugno di terriccio, o di buona terra. Si può riguardare come un eccesso di premura, o precauzione il metodo di certi vignajuoli di spargere subito in ciascun buco un poco di acqua di mare, o del succo di concime, che aggravando la terra, l’avvicina troppo al piccolo ramo.

Vi sono dei casi in cui la tanivelia non può essere adoperata, come nei terreni sabbionosi, le parti dei quali ànno poca aderenza, e riempirebbero il buco avanti d’introdurvi il tallo. In altre circostanze, il suolo, sebbene favorevole alla vite, è talmente ineguale dalle rupi, che non si può osservare alcuna distanza simetrica per la disposizione del terreno. Si fanno allora, dove si può, dei buchi di un piede e mezzo di profondità, e di larghezza, dove si mettono i piccoli rami più verticalmente che sia possibile, dopo aver posto la miglior terra sul fondo. [p. 34 modifica]Si ricopre in seguito con quella del secondo e terzo strato, che si trovano già disposte in modo inverso rapporto alla posizione che occupavano.

Se il terreno è in dolce pendio, ed à molta consistenza, aprite delle trincere, o dei raggi dal principio al fine, di una profondità relativa allo spazio de’ ceppi. Fatto questo, piantate subito la vostra prima trincera, nella quale spargerete, se la terra non è mobile, qualche pollice di buon terriccio. Evitate d’inclinare troppo a destra, o a sinistra il vostro tallo, poichè in questo modo le radici potrebbero unirsi, ed affogarsi scambievolmente. Mettete in diversi corsi le diverse varietà de’ ceppi, che non si possono confondere senza inconveniente, e senza nuocere essenzialmente all’ordine che dev’esistere in una piantagione ben regolata. Terminate la piantagione al primo anno, per il lentore con cui la vite lascia come fuggire i primi segni della sua ricognizione; lentore che diviene sempre penoso per il coltivatore vignajuolo, che attende impazientemente il frutto delle sue pene, e dei suoi sacrifizj.

Non iscordate di conservare delle margotte, affine di poter rimpiazzare sul momento quelle, che non avessero preso, o che qualche accidente avesse potuto distruggere.

Non imitate il pernicioso uso adottato da qualche vignajuolo, di lasciare il terreno ineguale, presentando su tutta la di lui estensione piccole eminenze, leggeri solchi, i quali conservando facilmente l’umido, occasionano sovente il gelo, da cui dovete temere dei cattivi effetti.