Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro I/IV

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Cap. IV

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Libro I - III Libro I - V
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CAPITOLO QUARTO.

Descrizione della Pagode dell’Isola di Salzette;

detta da’ Portughesi del Canarin.


L
A Pagode, o Tempio del Canarin, di cui intendo far veridica relazione, è una delle più grandi maraviglie d’Asia; sì perchè si stima opera d’Alessandro il Grande, come per lo suo eccellente, ed incomparabile lavoro, che certamente da altri, che da Alessandro non poteva imprendersi. Quel che mi reca maggior stupore si è, ch’ella sia quasi incognita a gli Europei; giacchè per molte diligenze ch’abbia usate, non ho trovato, che alcun viandante Oltramontano, o Italiano ne abbia scritto: e spezialmente mi pare strano, che un’uomo virtuoso come [p. 37 modifica]il nostro Pietro della Valle abbia lasciato di vedere, così questa Pagode, come il Palagio di Dario, colle anticaglia di Celmenar, poche leghe discoste dal suo camino; quando egli viaggiava per gusto, e spendeva così facilmente le migliaja di scudi, per soddisfare la curiosità. Io confesso il vero, che quantunque pover’uomo, non posi mente a spesa, nè a fatica, perche potessi veder tutto, e parteciparne il pubblico. Quanto al Tavernier, non è gran fatto, ch’egli non abbia curato d’esserne spettatore; imperocchè in fine il suo mestiere era di fare il giojelliere, e mercante; e per conseguente andava solamente in que’ luoghi, dove sperava dover trovare buon guadagno, ed occasione di far negozio; nè curava, per molti viaggi, che avesse fatti in India, di gir vedendo antichità, quantunque vi passasse da presso.

Voleva io andare a Tanà, e di là passare a veder la Pagode; però mi distolsero da questo pensiero il Padre Visitatore, e’l Priore, dicendomi, ch’era più comodo andar per Deins. Mi appigliai al loro parere, e presa la Domenica 13. in affitto una barca, passai nell’Aldea, o Casale di Gormandel, posto nell’Isola di [p. 38 modifica]Salzette. Le abitazioni sono sparse per ambo i lati del monte, nella sommità del quale si vede il palagio del Signore dell’Aldea. Andai poscia per canale nel Casale di Deins, appartenente alle Monache di Santa Monaca di Goa, distante da Bassin sei miglia. Mi ricevè in sua casa il Padre Eduardo Religioso Agostiniano Proccuratore delle medesime, mercè d’una lettera di raccomandazione, che mi diede il Padre Visitatore.

Essendo giunto riscaldato, e desideroso di bere, il Padre Eduardo cavò fuori due scorze di cedro inzuccherate; ed io senza porvi mente ne mangiai una, e bevei un gran vaso d’acqua; ma invitandomi poi egli a prender l’altra, m’accorsi, che involontariamente avea mandate giù molte centinaja di formiche, delle quali eran coperte le scorze suddette; e forse tolta la quiete a tante anime di defonti idolatri, che abitavano in quei piccioli corpicciuoli. Ricusai adunque l’invito co’ dovuti ringraziamenti, dicendogli, che conservasse quel dolce, (che per l’antichità non la cedeva all’Aldea istessa) per qualche altro ospite; perche io non voleva a patto alcuno commettere un nuovo formicocidio. [p. 39 modifica]

Dopo essermi cibato, e rinfrescato sì malamente, andai nell’Aldea, o Casale di Monoposser, distante un miglio, per vedere una Chiesa sotterranea (che già servì di Pagode) tagliata nella rocca, che sostiene il Collegio, e Convento de’ Padri Francescani. Ella è 100. palmi lunga, e 30. larga: le mura laterali (com’è detto) sono dell’istessa rocca, e solamente dalla parte dell’ingresso sono di fabbrica. Quivi vicino è un’altra Pagode eziandio tagliata nella pietra, che anticamente serviva all’abbominevole culto dell’Idolatria.

Il Convento, e Chiesa sono dell’istessa forma, che tutte le altre d’India. Vi abitano cinque Religiosi, a’ quali il Re di Portogallo dà 200. murais di riso, che toltone il loro vitto, danno tutto a’ poveri per limosina. Uno di questi Frati serve di Parrocchiano nell’Aldea di Cassi, due m. distante, e vi tiene una buona abitazione. Nel monte vicino al suddetto Collegio, si vede un’altro Romitaggio con una Cappella.

Ritornato in Deins, mi disse il Padre Eduardo, che per molte diligenze fatte non avea potuto trovare uomini, che mi portassero in Andora; imperocchè i [p. 40 modifica]suoi sudditi se n’erano fuggiti, e in Monoposser non ve n’erano: onde conoscendo, che ii Padre era una eccezion di regola della civiltà Portughese, per necessità mi contentai di avere un cattivo cavallo.

Ben tardi il Lunedì 14. mi fu portato il cavallo dal padrone, ch’era Gentile, (non uscendo alcun di essi di casa senza fare le solite idolatriche superstizioni) e volendo prender qualche poco di cibo, prima di pormi in cammino, il parco Padre Eduardo mi disse, che non era venuto ancora il pane; e replicando io, che avrei mandato a comprarlo, rispose, che non era ancor cotto; e che in un Casale a mezza strada avrei potuto desinare. Richiestolo di più, che mi dasse qualche contadino, per mostrarmi la Pagode (non essendo il Gentile molto pratico); nè contadino, nè uno de’ suoi Servidori volle darmi; onde con rischio di smarrir la strada per difetto di guida, mi posi a camminare dentro una montagna piena di scimie, tigri, lioni, ed altre fiere, ed animali velenosi. Passando per lo Casale dove avea destinato di prender cibo, non trovai altro, che un poco di riso mal cotto nell’acqua schietta; essendo un luogo [p. 41 modifica]composto di 4. capanne nel più folto bosco; onde passai avanti digiuno.

In questo cammino incontrai stravagantissimi uccelli. Ve n’erano alcuni verdi, e grandi quanto un tordo, che cantavano assai dolcemente: altri più grandi, neri come velluto, e con coda lunghissima: altri verdi, e rossi: taluno nero, e verde, della grandezza d’una tortora, ed altri molti non mai veduti nella nostra Europa. Si vedevano anche infiniti pappagalli, come anche scimie, e mone con coda lunghissima, che saltavano d’un’albero in un’altro.

Dopo aver fatte otto miglia per lo folto bosco, non sapevamo ancora ove fusse la Pagode, nè che strada prendere per ritrovarla. Volle il Cielo, che per ventura scontrassimo alcune donne Gentili nude, e cariche di legna, che ci riposero nello smarrito cammino. Giunto poi appiè della rocca, mi vidi in maggior confusione, perche non aveva chi tenesse ii cavallo; e l’Idolatra era d’uopo che mi guidasse nel laberinto di tante Pagodi. In fine trovai un villano vagabondo per lo monte; e datogli a tenere il cavallo, io, e’l Gentile montai l’erta, e strabocchevole rocca, nella cui [p. 42 modifica]sommimità, dalla parte Occidentale, è tagliata la gran Pagode, ed altre minori da presso.

Il primo lavoro, che si vede, sono due gran pilastri, alti 20. palmi, di cui la terza parte, cominciando dal piede, è quadrata, ottangolare il mezzo, e rotonda la sommità. Il loro diametro è di sei palmi; 15. sono distanti l’uno dall’altro nel mezzo, ed otto ciascheduno dalla rocca, ch’è tagliata con lo stesso lavoro: questi sostengono una pietra per architrave, lunga 44. palmi, grossa 4. e larga otto; parimente del materiale dell’istessa rocca. Da questi tre portici si ha l’ingresso in una come loggia, lunga 40. palmi, tagliata nella medesima pietra. Indi per tre porte (una 15. palmi alta, e otto larga nel mezzo, e due altre di 4. palmi in quadro a’ lati) si passa in un luogo più basso. Sopra queste porte è un cornicione dell’istesso sasso, largo quattro palmi; sopra il quale 30. palmi alte dal suolo, si veggono simili porte (o finestre che siano) tagliate eziandio neli’istessa rocca. In simile altezza sono picciole grotte, alte sei palmi, alle quali s’entra per tre porte, di cui quella di mezzo è più grande. Ad altezza poi di 34. palmi [p. 43 modifica]si vede nello stesso luogo un’altra simil grotta: a che uso servissero tutti questi lavori, non si può agevolmente comprendere.

Innoltratomi dieci passi a destra, vidi una come grotta, aperta da due lati, lunga 24. palmi, larga 15. nella quale era una cupola rotonda alta 15. palmi, e larga 10. con cornice quadrata, come quella, che girava intorno alla grotta. Quivi si vede intagliato nel sasso un’Idolo di mezzo rilievo, che par che tenga alcuna cosa in mano, che non bene si può discerner che sia. La sua berretta è simile a quella, che porta il Doge di Vinegià. Da presso gli stanno due statue in piedi in atto ossequioso, come se fussero servidori. Elleno hanno le berrette coniche, o a pan di zucchero; sopra la testa due picciole figure, della maniera, che si dipingono gli Angeli in aria; più sotto due statuette, che tengono le mani in un legno; e due bambini allato, con le mani giunte, come s’orassero; sopra le spalle tengono come un legno.

Quivi vicino è un’altra cupola rotonda tutta d’un sasso, e dell’istessa forma dell’altra; però è rotta la sommità. Si giudica, che così quella, come l’altra [p. 44 modifica]abbian servito di sepolcri all’antica gentilità; però non v’è segno, onde con certezza possa affermarsi; non veggendosi apertura, per la quale vi avesser potuto metter dentro i corpi, o le ceneri, anzi apertamente si discerne, che dentro non sono vuote, ma lavorate solamente nell’esteriore a guisa di cupole. All’intorno di quella seconda sono scolpite quattro grandi figure di mezzo rilievo, che tengono nella man sinistra, una come veste, e l’istesse berrette sul capo, e figurine a’ piedi, con altre due in alto. Dirimpetto ne stanno tre piccioie sedute; e sei altre ben grandi, e tre mezzane, in piedi, tagliate nel sasso dell’istessa maniera; però quella che si vede nel mezzo, e par che sia l’Idolo, tiene nella sinistra un’albero con frutta. Dall’altro lato sono 16. figure tutte sedute con ambe le mani sul petto, e con le medesime berrette: una di esse par che fusse di qualità superiore, perche le stanno allato due figure in piedi, e due bambini al di sopra.

Camminando verso Settentrione, si truova poco distante una picciola grotta di otto palmi in quadro; e quivi come un letto della medesima pietra, largo 4. palmi, e lungo 8. Sul frontispizio vi è una [p. 45 modifica]statua sedente sulle gambe, all’uso d’Oriente, e colle mani giunte sul petto; ed un’altra in piedi con un ramo d’albero fruttifero in mano, e sopra un Bambino alato.

Più oltre della grotta, e nel’istessa facciata (che si stende 60. palmi dentro la rocca) sono due statue nell’istesso modo sedute, colle mani della stessa maniera, e berrette coniche sul capo; ed assistono loro due come servidori in piedi.

Nel medesimo lato è la famosa Pagode del Canerin. Vi s’entra per un’apertura di 40. palmi fatta in un muro della stessa pietra, lungo 50. e largo 8. sopra il quale sono tre statue. Prima d’entrar nella Pagode, dal lato destro si vede una grotta rotonda, di più di 50. palmi di circuito: in essa sono più statue all’intorno, parte sedute, e parte in piedi; ed una a sinistra è più grande dell’altre. Nel mezzo s’innalza una cupola rotonda, tagliata nell’istessa rocca (come se si facesse un pilierò dell’istesso sasso) con varj caratteri all’intorno scolpiti, che nissuno saprà mai esplicare. Entrandosi nel primo atrio della Pagode (ch’è di 50. palmi in quadro) si truovano a’ lati due colonne alte 60. palmi; co’ loro capitelli, e di palmi 6. [p. 46 modifica]di diametro. Sopra quella, ch’è a destra quando s’entra, sono due Lioni, con uno scudo allato; nell’altra a sinistra due statue. Passate queste colonne si vedono, sull’ingresso d’una grotta a sinistra, due grandi statue in piedi, che si riguardano. Più dentro due statue grandissime a sinistra, ed una a destra della porta, tutte in piedi, con più statuette da presso, nello spazio di quell’atrio solamente; perche entrandosi nella contigua grotta (di 24. palmi in quadro) non si vede cosa alcuna di curioso. Dal lato destro, ove sono i Lioni, non vi sono statue, ma due gran vasi sopra convenevoli piedi.

Si passa quindi per tre uguali porte alte 30. palmi, e larghe 8. (però quella di mezzo in piano, e le laterali alte 5. palmi dal suolo) in un’altro luogo piano. Quivi sopra i’istesso sasso sono 4. colonne alte 12. palmi, situate fra le cinque finestre, che danno lume alla Pagode. Dallato destro della porta si veggono alcune incognite lettere corrose dal tempo, come tutto il lavoro. In questo luogo sono a’ lati, oltre varie figure picciole, due grandissime statue di Giganti in piedi, alte sopra 25. palmi; che mostrano la destra mano aperta, e nella sinistra [p. 47 modifica]tengono una veste: in testa portano le stesse berrette, e nell’orecchie pendenti all’Indiana.

Sull’ingresso della porta grande della Pagode (alta 15. palmi, larga 10.) sono a destra quattro statue in piedi; una delle quali è di donna, che ha un fiore in mano; ed altre 12. più picciole, parte sedute, e parte in piedi, che hanno le mani sul petto, con qualche cosa. A sinistra sono altre quattro statue, delle quali due sono di donne, con annelli ben grandi a’ piedi, fatti dell’istessa pietra; e 16. statuette a’ lati, così in piedi, come sedute; ed alcune colle mani sul petto, com’è detto. Sopra la stessa porta se ne veggono altre due grandi, ed altrettante dirimpetto sedute, con tre picciole in piedi. Dalla parte interiore vedesi a sinistra un’altra iscrizione del medesimo carattere. Sopra l’arco di questa porta è una finestra 40. palmi larga, quanto appunto è la Pagode, con un sasso a guisa d’architrave nel mezzo, sostenuto dalla parto di dentro da due colonne ottangolari.

Quanto alla Pagode ella è a volta (com’è detto) larga 40. palmi, e 100. lunga, e di figura circolare nell’estremità. Oltre le quattro colonne dell’ingresso, ve ne sono [p. 48 modifica]altre 30. al di dentro, che la rendono a tre navi; 17. però di esse tengono capitelli, e figure d’Elefanti sopra, e l’altre ottangolari semplicemente lavorate. Lo spazio, che rimane fra le colonne, e la rocca, cioè la larghezza delle navi laterali, è di sei palmi per parte. In fine della Pagode è tagliata nell’istessa viva rocca, come una cupola rotonda, non vuota al di dentro, che ha di altezza 30. palmi, e di circuito 16. de’ miei passi. Io credo, che abbia servito a qualche uso, che noi ora ignoranti degli antichi costumi di quei luoghi, non poniamo per conghietture comprendere. Non sò qual giudicio ne facciano gli Autori Portughesi (a’ quali è ben nota, venendovi talvolta gli stessi V. Re di Goa per vederla) per la scarsezza di tai libri qui in Napoli; ma egli si è verisimile, che per veruna industria abbian potuto il vero rintracciarne.

Tutto ciò, che sin’ora è descritto, è scolpito nella stessa pietra senza veruna aggiunta alle statue, o altro che si possa distaccare. Nel suolo però della Pagode si veggono diverse pietre lavorate, che servivano forse per gradini di qualche edificio.

Uscito dalla Pagode, e montati 15. [p. 49 modifica]gradi, tagliati altresì nella rocca, trovai due conserve d’acqua piovana, assai buona a bere; e dopo altrettanti una grotta di 16. palmi in quadro; ed un’altra grande più avanti, con molt’acqua stagnante. Innoltratomi più in su 20. passi, trovai un’altra grotta di 20. palmi in quadro, donde si passava in un’altra della stessa misura; ed indi in una di 12. Nella prima era una finestra fatta a scala nella stessa pietra, con due colonne presso una picciola cisterna.

Poco distante da queste grotte è un’altra Pagode, che tiene un convenevol piano dinanzi, con muricciuoli all’intorno per sedere, e una cisterna nel mezzo. S’entra nella prima volta per cinque porte tagliate nel sasso, fra le quali sono quattro colonne ottangolari; fuori però di quella di mezzo, l’altre porte sono alte due palmi dal suolo. A’ lati di questa volta (lunga quanto la Pagode, e larga 8. palmi) sono a sinistra varie statue sedenti, come le soprammentovate; ed a destra in piedi. Per tutto il frontispizio ve ne sono molte in piedi, e sedute, in nulla differenti dalle descritte. Per tre porte poscia s’entra alla Pagode (quella di mezzo 12. palmi alta, e sei larga; le due laterali alte [p. 50 modifica]10. e larghe 4.) la quale è di 60. palmi in quadro, e con molta sproporzione, alta solamente 12. palmi. In amendue i lati, e sulla parte interiore dell’ingresso, sono scolpite più di 400. figure, e grandi, e picciole; ed in piedi, e sedute, come le narrate: due però a destra più grandi delle altre, stanno in piedi, come anche quella in mezzo del frontispizio, ch’è l’Idolo maggiore; ed un’altra a sinistra nella stessa positura; però consumate tutte dal tempo, d’ogni cosa divoratore. In ambo i lati sono due grotte di 14. palmi in quadro, con un muricciuolo dentro, alto due palmi da terra.

Montando dieci altri gradi verso Settentrione, s’incontra una grotta, dentro la quale ne stà un’altra più picciola. A destra un’altra simile, parimente con un’altra picciola dentro, nella quale è un murello, come i suddetti. La grande sarà 20. palmi lunga, e 10. larga; l’altra 10. in quadro, e tutte con le loro picciole cisterne. Al destro lato se ne vede un’altra della stessa grandezza, con due colonnette davanti, due picciole grotte, e tre cisterne; una a destra, e due a sinistra: e quindi un’altra contigua, parimente con l’altra più dentro, e cisterna, [p. 51 modifica]della stessa misura dell’antecedente. E’ facile, che avessero servito per abitazione de’ Sacerdoti della Pagode, i quali ivi menavano vita penitente, quasi in un’altra Tebaide del Gentilesimo.

Scendendo da tanta altezza per 15. gradini tagliati nei sasso, si truova una picciola Pagode, con un’atrio davanti di 30. piedi in quadro; donde poi s’entra in essa per tre porte, fra le quali sono due pilastri quadri. A sinistra si veggono 4. statue; due sedenti, e due in mezzo più picciole in piedi. A destra una picciola grotta aperta, ed un’altra Pagode (con cisterna davanti) alla quale s’ha l’adito, entrando prima (per una porta alta 10. palmi, e larga sei) in una camera di 20. palmi in quadro, che tiene a destra un’altra cameretta oscurissima di 12. palmi in quadro; ciò che rende alquanto oscura anche la Pagode.

Nel mezzo di essa si vede parimente una cupola rotonda d’un pezzo di sasso, ed alta 15. palmi, quanto è la Pagode. Scendendo precipitosamente in giù, per cinquanta gradini, si truova un piano tagliato nella stessa rocca (che non è molto dura) e poscia otto pilastri ottangolari, alti 12. palmi, che lasciano nove spazj, [p. 52 modifica]per montare 5. gradini, che conducono in una volta. In questa dal lato sinistro (ch’è dieci palmi) si vede un grande Idolo seduto col capo scoperto; due altre statue grandi in piedi, ed alcune picciole; dal destro lato due altre statue sedute, e due statue in piedi, oltre le molte picciole all’intorno. S’entra poscia nella Pagode (per tre porte, alte 12. palmi, larghe sei, con due finestre al di sopra) la quale è cento palmi lunga, 50. larga, e 10. alta. All’intorno vi è una volta, larga otto palmi, con dieci pilastri quadrati. Quivi sono quattro camere, o grotte di 12. piedi in quadro; oltre le sette, che sono nel frontispizio, e lato sinistro della Pagode, dov’è la cisterna; le quali tutte stimai essere state camere per gli Sacerdoti del Tempio. Nella nicchia di esso, (ch’è di 10. piedi in quadro) si vede un grande Idolo seduto, con due statue in piedi, ed un’altra sedente a sinistra; alla quale stanno parimente da presso duo statue in piedi, e varie picciole figure di mezzo rilievo all’intorno.

Sagliendo dieci palmi dirimpetto, s’entra in una picciola grotta, sostenuta da due colonnette, alte dieci palmi. Indi per una porta alta dieci palmi, larga quattro [p. 53 modifica]si passa in una grotta, o camera di 16. palmi in quadro; e poi in un’altra di 12. dove è un grande Idolo sedente, che tiene le mani sul petto.

Scendendosi poi 20. gradini si truova un piano, dal quale si entra (montando quattro gradi a sinistra) in una volta, in cui sono quattro pilastri, alti 12. palmi; fra gli spazj de’ quali si può entrare in tre picciole grotte, fatte nella stessa rocca.

Più in giù 10. gradi si truovano altre grotte tagliate nel sasso, con picciole cisterne, l’uso delle quali non si puote in alcun modo conghietturare: se pure non si volesse dire, che tutte si fatte concavità servissero per abitazione degl’Idolatri. Si narra solamente, che sì gran lavoro fusse dato fatto con immensa spesa da Alessandro il Grande, che della stessa Religione si era.

Sceso dall’alta rocca montai a cavallo con buon’appetito (avendo fatto quel giorno un’involontario digiuno) e mi posi di fretta in cammino, per dar triegua alla fame. Incontrai nel ritorno molte mone, e simie, che stavano nel cammino; e volendone uccidere una, il Gentile mi pregò a non farle male. Vidi in [p. 54 modifica]appresso due Palmere, che dalla midolla d’un grosso albero s’innalzavano 50. palmi in aria, ed ivi molto dilatavano i loro fruttiferi rami.

Vicino l’Aldea, o Casale di Canarin, (dal quale prende nome la Pagode suddetta) è un sasso di 100. passi di circuito, con molte grotte, e cisterne al di sotto, che han potuto servire per lo passato d’abitazione; amando gli antichi Gentili fare le case dentro le rocche, per non consumar materiali nella fabbrica. Dalla parte d’Oriente, dinanzi la più gran grotta, si vede un grande Idolo seduto, colle mani sulle gambe incrocicchiate.

Ritornato in Deins incontrai il Padre Eduardo di S. Antonio, che passeggiava. Egli in luogo di farmi trovar bene da mangiare, cominciò stranamente a novellare; dimandandomi delle cose più particolari delle Pagodi: ma io lo lasciai a suo piacer zufolare, dicendogli, che non era tempo di perdersi tempo da uno, che aveva la pancia vuota.

Posto piede a terra, e montato nella stanza, il primo saluto che feci al servidore di casa, si fù la dimanda, se vi era alcuna cosa da mangiare. Mi rispose quegli, che non; e dettogli, che almeno cavasse [p. 55 modifica]fuori un poco di pane; mi pose innanzi un panellino di 2. oncie, colle medesime scorze dì cedr, coperte di formiche. Non lasciano cotali animalucci cosa alcuna intatta nell’Indie; ond’è, che gl’Indiani, per serbare intatto qualche vaso di dolce, lo pongono su d’una tavola, i di cui piedi siano entro scudelle di legno, piene d’acqua; acciò quivi truovino il passo impedito. In due bocconi mandai giù il pane; ma non mi diede l’animo di far lo stesso al dolce, ch’era fatto al mio credere in tempo de’ primi inventori dell’inzuccherare; onde dissi al servidore, che serbasse sì fatto avanzo delle formiche, per quando il suo padrone avesse a ricevere altro forestiere.

Il peggio si era, che non si trovava nella miserabile Aldea, che comprare, per mitigare l’accesa fame; onde tra per la debolezza cagionatami dall’antecedente fatica, e quella dell’inedia; mi posi in letto, attendendo l’ora della cena. Il Pad. Eduardo in tanto, dopo essere stato lungo tempo spensierato passeggiando, senza ricordarsi di me; se ne venne in fine verso le due ore e mezza di notte nell’oscura camera. Sentendo io fra sonno, e vigilia un calpestio; nè potendo [p. 56 modifica]vedere chi si fusse, dimandai, chi veniva; ed egli con una flemma incredibile: Oh (rispose) io certamente non pensava, che V. S. fusse qui, (e pure avevamo insieme parlato nell’ingresso dell’Aldea) e come ebbe udito, che io non avea mangiato che un poco di pane, ordinò, che si apprestasse la mensa.

A tal novella cominciai ad avere speranza di ristorarmi, con qualche cosa di buono; quando ecco venire due piatti di pesciolini fritti; e porsi quello, dov’erano alcuni minimi naturali, avanti di me; e l’altro co’ più grandi avanti il Padre. Stiedi due volte in sul punto di stender la mano, e cambiar i piatti; ma poi mi ritenne la modestia, e mi armai di pazienza.

Terminata la cena mi trattenne il Pad. Eduardo sino a mezza notte con mille filastrocche (non contento di aver fatte tre altre ore di discorsi inutili co’ Contadini) che io mal volentieri udendo colla testa vuota; in fine mi posi a dormire senza dargli risposta. Svegliatomi poscia, e trovatolo partito; mi spogliai ben presto, e mi posi in letto (annientito dalla stracchezza, e debolezza) aspettando con gran desiderio il seguente giorno, per fuggire da luogo così meschino. [p. 57 modifica]

L’Isola di Salzette, nella quale è situata la riferita Pagode, tiene circa 70. miglia di circuito, 20. di lunghezza, e 15. di larghezza. Come che stà molto bassa, vien tagliata da più canali, che vi forma il Mare; però non vi mancano montagne alte coperte di alberi. Il suo terreno è fertilissimo, e produce in abbondanza canne da zucchero, riso, e frutta; come mangas, palme di cocos, tranfolin, giacchare, tamarindi, ananas, papais, ed altre, che altrove si descriveranno.

Vi sono diverse Aldee, o Casali di meschini, e poverissimi Gentili, Mori, e Cristiani, abitanti in case fatte di legna ligate, ed incrustate di fango; e coperte di paglia, o fronde di palme. Vanno essi nudi, coprendo così i maschi, come le femmine le parti vergognose con una tela, e’l petto con un’altra; overo con una picciola camiciuola, che non passa il bellico; rimanendo scoperte le coscie, le gambe, e le braccia. In queste portano maniglie d’argento, e di vetro; siccome alle gambe annelli d’argento ben grossi.

Questi villani sono peggio che vassalli de’ Padroni delle Aldee; poiche son tenuti di coltivare il terreno, o di [p. 58 modifica]toglierne ad affitto tanto, quanto non gli renda inabili a pagare il padrone; anzi come se fussero schiavi, se fuggono d’una in un’altra Aldea, i Padroni col braccio della giustizia, gli ripigliano a forza. Ordinariamente pagano per lo terreno, chi 4. chi 6. chi 12. morais di riso; così chiamato quando è senza la scorza, e con essa vate, della qual maniera per lo più lo consegnano. Il Morais è 25. Paras, e questo è 24. libbre di Spagna; misure, che usano i Portughesi nelle vittovaglie, siccome ne’ drappi il cubito. Pigliando tai Contadini il terreno a coltura, ne’ luoghi di loro abitazione, non pagano altra imposizione al Re, nè al Padrone utile (benche ve n’abbia alcuno, che esigge giornate di fatica personale) i feudatari però pagano al Re a proporzion delle rendite, los foros (che val quanto l’Adoa nel Regno di Napoli) ogni quattro mesi a’ suoi Tesorieri, o Fattori, che stanno in tutte le Città Settentrionali. Si concedono queste Aldee in feudo a’ soldati, che han lungo tempo servito; o ad altre persone benemerite della Corona, per tre vite (alle Chiese in perpetuo) quali passate, sogliono proccurarne l’ampliazione.

Oltre tante Aldee, sono in questa [p. 59 modifica]medesima Isola varj luoghi d’importanza: fra gli altri la Fortezza, e Città di Bombain, che ha molte miglia di circuito. E’ separata da Salzette per mezzo d’un canale, che nella ritirata della corrente può passarsi da un’uomo a piedi. Fu questa Isola data dal Re di Portogallo in dote alla Regina Caterina d’Inghilterra; onde sotto questo titolo la possiede quel Re sin dal 1662. Sono eziandio in Salzette i Forti di Bandora, e Versavà co’ loro Casali; come anche Tanà, nelle cui vicinanze sono cinque piccioli Forti, provveduti di artiglieria, e soldati. La Terra avvegnache aperta, è nondimeno ottima per esser nell’Indie, con tre Conventi di PP. Domenicani, Agostiniani, e Riformati di S.Francesco. Ella si è celebre per le tele, non essendo nel dominio Portughese altra Città, che in questo particolare la superi: anche nelle biancherie da tavola. Otto anni già sono, in Tanà un fratello uccise l’altro fratello, a cagion del possesso d’un’Aldea. I PP. Gesuiti posseggono la miglior parte di questa Isola di Salzette, avendo tutta quasi la punta, che riguarda Oriente, e’l Canale di Bassin; e si narra per cosa certa, che eglino tengono più rendite nell’Indie, che [p. 60 modifica]il medesimo Re di Portogallo.

Da Bassin a Tanà, e da Tanà a Bombain corre un canale d’acqua salsa, stretto dove mezzo miglio, e dove più, o meno; e perche si vede passare per le viscere d’una Rocca in vicinanza di Goadel, dicono comunemente i Portughesi, che Alessandro il Grande, venuto (secondo alcuni) diverse volte in Bassin facesse tagliare il sasso per lo passaggio dell’acque: e che egli anche facesse fare nel vivo sasso la Pagode vicina degli Elefanti Io: Baptista Nicolos. Histor. pars 3. verbo Bazaim..

Il Martedì 15. appena cominciava l’Aurora a rischiarar l’Orizonte, che mi posi in cammino. Giunto in Gormandel non trovai nel porto alcuna barca, che mi traggettasse in Bassin: e camminando avanti ne vidi una, che stava per partire; onde corso di fretta alla marina, feci segno a’ Mori, e Gentili marina; della medesima, che s’avvicinassero a prendermi: ma non volendo essi venire, io per non rimanere a patire nella spiaggia, mi valsi dell’autorità Portughese, fingendo di voler loro tirar con lo schioppo; e a tal veduta voltarono la prora, e vennero a terra a prendermi. Imbarcatomi passai in Bassin, e giunto appena al Convento, fui richiesto dal [p. 61 modifica]P. Visitatore, e dal Priore, come m’avea trattato il P. Eduardo. Risposi, che avea prodotto cattivi effetti la loro raccomandazione: e volendo essi sentir per minuto quanto accaduto mi era; presi il mio libricciuolo di memoria, e lessi loro tutte le circostanze notate del mal passaggio datomi dal Frate. Scoppiavan delle risa il P. Visitatore, e’l Priore; però internamente aveano grandissimo dispiacere, che i zotichi costumi di colui scemassero l’opinione della gentilezza Portughese.

Il Mercordì 16. passando il Signor Conte di Villa Verde V. Re di Goa, con quattro vascelli grandi, e dieci navi picciole verso Diù, visitando la Costa Settentrionale; la Città lo salutò con tutta l’artiglieria. Rispose egli con sette tiri, a’ quali replicò la Città con un’altra salva Reale.

In passando egli avea riportato una vittoria contro gli Arabi di Mascati, in quella guisa. Scoperte ch’ebbero i Barbari le navi Portughesi, fecero arrenare tre de’ loro vascelli dentro il seno, e fiume di Zanghisara (giurisdizione del Savagì), e levando da due di essi la notte tutto il meglio, fortificarono il terzo; piantando anche artiglieria sulla riva, per [p. 62 modifica]difenderlo. I Portughesi, per esser tardi, non poterono dar loro sopra l’istesso giorno; ma la seguente mattina de’ 25. di Gennaio attaccarono la mischia; e mentre il fuoco postovi da gli Arabi stessi consumava i due vascelli, entrarono con otto fra Manciuche, e Balloni pieni di soldatesca (non potendosi avvicinare i vascelli) e dopo aver lungo spazio, e collo spargimento di molto sangue combattuto il terzo vascello, e gli Arabi di terra, saltaronvi dentro; e con l’armi bianche tagliando a pezzi centinaja di Barbari, se ne impadronirono: come anche di 14. m. Rupie, che vi erano, oltre 30. pezzi d’artiglieria. Morirono in questo fatto solamente quattro Portughesi, oltre 20. feriti; e de’ nemici sì gran numero, che il fiume, e la spiaggia tutta ne divenne vermiglia.

Col ritorno d’alcune Manciuche, che erano state a portar rinfreschi al Signor V. Re, avemmo più certa notizia dell’asassinamento seguito in persona d’Antonio Macciao de Britto, Generale dell’Armata a’ 30. di Decembre 1694. dopo un’impareggiabile valore mostrato a’ suoi nemici. Per la mordacità della sua lingua s’avea egli concitato l’odio di quasi tutta la nobiltà di Goa, e della Costa; [p. 63 modifica]particolarmente della famiglia Melo; molto grande di parentela, e di nascita. Or non potendosi più soffrire le vituperose ingiurie del Macciao, si congiurarono al numero di 50. per privarlo di vita: e per recare questa loro deliberazione ad effetto, concertato il modo, il luogo, e’l tempo, fecero di molte balestriere per le case della contrada, e Parrocchia di San Pietro; affinche potessero con maggior sicurezza colpirlo. Il Generale intanto persuaso, che non potesse in petti nobili albergar desiderio di vendetta ignominiosa; avvegnache avvisato di andar con cautela, perche se gli tramavano tradimenti; giammai non volle seco soldati, e fra gli altri due Capitani riformati, che volevano accompagnarlo nel periglio. Quindi venuto solo in palanchino, con un nero, che gli portava l’ombrina, gli fu da una casa tirata un’archibuggiata; dalla quale leggiermente ferito, saltò fuori del palanchino, e prendendo il tabacco, che teneva in mano, disse: Con chi è questo? A queste parole uscendo di casa Tristano di Melo: Con te (rispose) e scaricogli un’altro colpo di beccamarte (ch’è arma da fuoco Portughese.) Intrepidamente lo riparò quegli col cappello, e piegando [p. 64 modifica]la persona. Posta quindi mano alla spada, e combattendo coll’assalitore, gli diede ben cinque stoccate; le quali non facendo effetto, incontrandosi in una camicia di maglia, gli diede un gran fendete sul capo, e con un roverscio gli tagliò la faccia, e fecelo cadere a terra. Allora presolo per gli capelli, gli salì sopra co’ piedi, in atto di porgli la spada nel seno; ma richiestagli da Tristano in dono la vita, generosamente glie la concedette; dicendo, che non voleva macchiarsi le mani in sangue sì vile. In questo mentre venne fuori il figlio di Tristano, ed un’altro mulato (così si chiamano i nati di bianco, e nera), e con due altri colpi di beccamarte, posero più palle nel petto del Generale; a segno che gli ruppero in più pezzi la veniera (come chiamano gli Spagnuoli, la gioja dell’abito cavalleresco) però tuttavia reggendosi in piè, e schermendosi; gli fu sopra uno schiavo, e passogli il fianco con una zagaglia (arma della costa di Mozembiche): non andò impunito però dalla sua malvagità, perche il Generale valorosamente, con un roverscio gli aperse il ventre, onde la notte se ne mori. Essendo per spirare il Macciao s’avvicinò al palanchino, e accomodata, si [p. 65 modifica]come meglio potè la perucca, vi pose dentro. Ma temendo i sicarj, che ancor potesse vivere, venne uno di essi (ch’era Sacerdote) con un beccamarte in mano, per finirlo d’uccidere: vedendolo però in istato d’esalar l’anima, gli dimandò, se voleva confessarsi; e gli fu risposto, ch’era un Giudeo, e che se ne andasse in ora mala. Sopraggiungendo poi un Padre Domenicano diede segno di penitenza, e stringendo la mano spirò, dicendo: Il Sangue di Cristo mi vaglia. Gli trovarono nel petto da circa 30. palle; onde ammirando il valore di tal Cavaliere, ciascheduno diceva, ch’egli bisognava, che tenesse più spiriti vitali degli altri viventi, avendo tanto indugiato a morire.

I soldati dell’Armata, che stavano quasi tutti imbarcati, per partire il dì seguente, udite tante archibugiate, e poi la morte del loro Generale, accorsero al luogo; et avriano presa la dovuta vendetta di Tristano di Melo (che in braccio a due neri era portato in casa dell’Arcivescovo) se un’Auditore non gli avesse trattenuti, per dar luogo a Tristano, che si ponesse in salvo, dicendo loro: si fermi ciascheduno al Re. Ciò fu, perche il Generale, com’ è detto, s’avea con la [p. 66 modifica]cattiva lingua fatti tutti nemici: ne fu nondimeno l’Auditore qualche tempo appresso carcerato.

Fu pianto da tutti il Maciao, e particolarmente da me, che avendo nel 1689. fatto seco il viaggio da Madrid a Genova, e ricevutene molte cortesie, maggiori ne sperava nell’Indie. Egli si era il terrore de’ Mori, e degli Arabi; e teneva nel dovere più migliaja di vagabondi soldati, ch’essendoli ribellati nel paese del Gran Mogol, minacciavano di voler porre a sacco le Terre de’ Portughesi. Riportò molte vittorie sull’Armata degli Arabi di Mascati; e la più considerabile si fu nella Baja di Suratte nel mese d’Aprile 1694. allora quando con tre soli vascelli ne combattè 14. Arabi un’intero giorno: nè di ciò contento, nell’oscurità della notte pose l’ancore, per ripigliare il conflitto colla chiarezza del dì seguente; ma trovò fuggiti gli Arabi nascostamente, con perdita di molte centinaja di persone, e molti vascelli malmenati. Per vedere questa battaglia uscirono in Mare più barche di Francesi, Inglesi, ed Olandesi; essendo il combattimento seguito a fronte di Daman.

Il Giovedì 17. andammo col P. [p. 67 modifica]Francesco a spasso in campagna: e’l Venerdì 18. vidi fare alcune buone processioni in Bassin: et udii la predica nella nostra Chiesa.