Guerra in tempo di bagni: racconto/IV - Parla l'interessata

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IV — Parla l’interessata

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IV.


Parla l’interessata.


L’ammiraglio, fumando come una vaporiera, stava leggicchiando il volume dello Stanley, quando si spalancò l’uscio dello studio e Bice entrò, sorridente, tranquilla, fresca e olezzante come rosa di maggio.

L’ammiraglio buttò da parte libro e pipa e afferrò, con tenerezza, la vita snella di Bice, sballottandola paternamente quasi [p. 91 modifica]fosse un bimbo, mentre la figlia gli passava dolcemente la mano entro i ruvidi capegli.

— Babbo mio caro!

— Come va che non sei al bagno?

— Mi sento un pochino stanca.

— Ninì mia: che vuol dire? non saresti mica indisposta?

— Ma no, papà: t’assicuro che sto benissimo, è l’effetto appunto dei bagni e nulla più.

— Lascia che ti guardi! — esclamò l’ammiraglio, dopo averle baciato le punte rosee delle dita: — sì, sì, hai ragione: hai ragione: stai benissimo: sei uno splendore.

— Non sono una smorfiosa; sai bene che non ho mai avuto neppure un leggero dolor di testa. [p. 92 modifica]

— Precisamente come me; il sangue non mentisce.

— Tu lo sai; son qualche cosa più d’una ragazza: quando mi metto sul serio, son quasi.... un uomo.

— Meglio per te; e poi, cara bimba mia, vedi, purtroppo s’avvicina l’epoca della serietà. Tu stai per prendere marito, per formare una nuova famiglia.... tu stai per chiamarti la signora Liberti....

— Ma, dunque, è proprio deciso?

— Che domanda! — sai bene che abbiamo preso impegni precisi. Il capitano dev’essere giunto o deve giungere a Napoli, da un momento all’altro, e son sicuro che volerà subito a Livorno.

— Veramente, il caso è ben curioso; sposare un uomo che non conosco neppure di vista! [p. 93 modifica]

— Questo non vuol dire che sia un ignoto; dal momento che sappiamo appunto chi è, chi non è....

— Sappiamo, sappiamo! — esclamò Bice, con una smorfietta d’impazienza, — che cosa sappiamo? che ha ventisei anni, che è bruno, che è capitano di vascello.... Ah, no: sappiamo pure che si chiama Ezio, un bel nome, molto romano, ma che, per dirne una, non mi piace per nulla.

— È la prima volta, che mi parli in questa maniera!

— No, caro babbino mio; diciamo, piuttosto, che è la prima volta che se ne parla. Tu, quando ero in collegio, mi promettevi questo maritino, per dire come dicevi te, così, senza importanza, come si promette un libro di premio, rilegato in rosso e oro, a una ragazza diligente, [p. 94 modifica]purchè perseveri nello studio. E io, dal canto mio, non davo più importanza alla cosa di quel che non avessi dato alle mie bambole. Ma poi si cresce, si diventa donnine, si capisce qualche cosa del mondo, si suppone, almeno, di conoscere qualche cosa della vita, e allora si comincia a riflettere....

— E tu hai riflettuto?

— Molto, papà.

— E perchè non mi hai detto mai nulla di queste tue profonde riflessioni?

— Prima di tutto, perchè le stavo facendo, e poi perchè non si è mai presentata l’occasione di esporle.

— Tale occasione sarebbe dunque venuta?

— E perchè no? vogliamo parlarci liberamente, col cuore in mano? [p. 95 modifica]

— Ma sicuro: io non domando di meglio.

— Ebbene, papà mio: ti confesso che non mi sento punto disposta a questo matrimonio, combinato così alla cieca, come se si trattasse d’estrarre un numero alla lotteria.

— La fortuna entra sempre in tutte le vicende umane.

— E se mi toccasse un numero cattivo? Per lo meno, mi pare che non si dovrebbe precipitare nulla. Non sono poi una zitellona, da correr dietro a un marito, per paura che scappi.

— In quel che dici, devo riconoscerlo, c’è molto buon senso, e potrei anche darti ragione; ma io sono vecchio e pratico di mondo, e mi domando: sotto questa tua resistenza, non ci sarebbe qualche cosa [p. 96 modifica]di nuovo, che mi nascondi? Vedi che anch’io sono schietto.

Bice abbassò gli occhioni cerulei, sorrise amabilmente e arrossì.

— Ah, dunque si nasconde qualche cosa al «caro papà» al «carissimo babbino mio»? Male, male: una figlia come te, non deve avere nessun sotterfugio, con un padre come sono io. Voglio dunque sapere, e bada che indovinerei, se mi celassi, in tutto o anche in parte, la verità.

— Io non rispondo nulla, — replicò Bice con tranquillità piuttosto apparente, dominando la propria emozione, — del resto, farei male a fingere, perchè so che voi.... sapete quello che vi potrei dire.

— E come lo sai?

— Perchè me lo figuro. Quando intesi che il conte Tibaldi.... [p. 97 modifica]

— Dunque siete in corrispondenza? — gridò l’ammiraglio, battendo il pugno.

— Ma no, papà mio: non t’inquietare, perchè non c’è nulla di male. A Firenze, il conte mi fece comprendere la simpatia che gli avevo ispirato. Quando seppi dunque che era venuto a Livorno, che desiderava vederti, parlarti.... quando vidi che tu stesso andavi a fargli visita, supposi.... una cosa naturalissima....

— Non tanto naturale: quel Tibaldi, per tua regola, è un prosuntuoso, un insolente.

— Che dici mai? non è possibile....

— Possibilissimo.

— Se è quasi più timido di me: tanto riguardoso: fin troppo.... non osa dire una parola che non sia misurata.

— Ah sì?... e sai che questo signore [p. 98 modifica]tanto misurato, che parla col metro e col decimetro, ha avuto l’audacia di dirmi in faccia.... proprio a me.... di dirmi....

— Che cosa mai?

— Che cosa? che pretende la tua mano, e che l’avrà a mio dispetto, a costo di farmi qualsiasi tiro birbone. Come? Non ti sdegni? Ci ridi anche sopra? Francamente, sono cose dell’altro mondo.

— Papà mio, ti prego di riflettere che noi consideriamo lo stesso fatto da due punti di vista, non solo diversi, ma del tutto opposti. Quello che in te produce indignazione, in me deve produrre una sensazione contraria: è naturale. Ma vuoi tu che io mi arrabbi perchè un giovane gentiluomo, assai simpatico, mi vuole tanto bene, da affrontare dei pericoli per me? [p. 99 modifica]

— Ma metti un po’ ch’egli volesse rapirti?

— Prima di tutto, ci dovrei essere anch’io, mi pare: eppoi, credi che per il cuore di una donna sia dispiacevole pensare che un uomo l’ama al punto da pensare di rapirla?

— Ma una signorina per bene....

— Prego, non fare sentenze sopra le signorine per bene: io credo che anche una regina non possa odiare un uomo che l’ama rispettosamente, sia pure d’umile condizione. Essere amate, non offende mai.

— Ma chi t’ha insegnato questa razza di filosofia?

— Nessuno, papà mio: è logica semplice del cuore. Ma tu stesso non sei forse come tutti gli altri? forse che tu detesti chi ti vuol bene e ami chi ti odia? [p. 100 modifica]

— Io, io.... Io so quello che devo fare. Se quel signorino ardisse tentare qualche sotterfugio, non ci pensare, che avrò gli occhi aperti e gli darò tali lezioni.... Quanto a te, poi, dal momento che ti vedo prevenuta in suo favore, vigilerò anche con la massima severità: ti metto intanto in consegna e, ove sia necessario, magari agli arresti di rigore.

Bice fece una risata trillante e argentina, esclamando:

— Gran Dio, anche prigioniera! bada, babbino mio, chè tu sbagli strada. Noi non possiamo essere prigioniere che dell’affetto, sotto qualunque forma. Pensa che essere carcerata, fa nascere nel cervello una sola idea: quella della liberazione.

— Saresti dunque capace di tentare una fuga? [p. 101 modifica]

— Eh, chi lo sa! — rispose Bice, gaiamente, — a ogni modo, non sono cose che.... si devano confidare proprio al carceriere.

— Tu prendi la faccenda in burletta, ma invece io parlo molto sul serio.

— Ne sei persuaso? a me invece pare che, pigliandola troppo sul serio, la cosa volga in burletta.

— Con me non si scherza! — gridò l’ammiraglio, alquanto sovreccitato nel sistema nervoso, — intanto, cominciamo da questo: tu non uscirai, finchè non sia giunto il capitano Liberti.

Bice continuò a ridere e, facendo la voce grossa con graziosa comicità, rispose gravemente:

— Sta bene, signor ammiraglio; vado a rinchiudermi nella mia, cella, a pane e acqua! [p. 102 modifica]

E scappò via, come una farfalla, attraverso il giardino, ridendo più che mai.

L’ammiraglio rimase qualche momento sopra pensiero, lisciandosi, con moto convulso, i favoriti, poi diede una crollata di spalle e mormorò tra sè:

— Il caso è ben curioso! devo fingere di pigliarmela contro una figlia che adoro: e sono costretto a fare l’orso, il leone, la tigre, verso un giovane che, in fondo, mi è molto simpatico. Ma dopo tutto, corpo d’un cannone! non mi lascio fare la barba da nessuno: e se il conte mi cimenta, non sento più nulla, e chi ne piglia son sue.

Dopo di che, l’ammiraglio uscì, non senza ripetere a Gennaro:

— Bada bene: se lasci entrare anche un gatto in casa, ti dò tante di quelle [p. 103 modifica]legnate che non bevi più vino per un paio d’anni.

— Non dubiti, signor padrone: non passerà nessuno, se non attraverso il corpo.

— E allora, felice notte: perchè se si presenta un fiasco di Chianti, passa subito!