I Nibelunghi (1889)/Avventura Settima

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Settima
Avventura Sesta Avventura Ottava

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Avventura Settima

In che modo Gunthero vinse Brünhilde


Divenuti frattanto era lor nave
Là di sotto al castello, e già vedea
Prence Gunthero in alto a le finestre
Molte leggiadre giovinette. E cruccio
5Era questo per lui che a lui ben nota
Nessuna fosse. Ei dimandò a Sifrido,
Al suo compagno ei dimandò: Di queste
Fanciulle che di là guardano in basso
Ver noi su l’onde, conoscenza alcuna
10Forse che avete voi? Qualunque dicasi
Lor prence, sì davver! che alti han gli spirti!
     Accortamente sogguardar dovete
A le fanciulle, principe Sifrido

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Allor rispose, e dirmi poi qual d’esse
15Pigliar volete voi, se pur di tinto
Avete potestà. — Farò cotesto,
Disse Gunthero, il cavaliere ardito
E baldanzoso. E veggo a una finestra,
In vesti bianche come neve intatta,
20Una donzella. È d’inclite fattezze,
E lei, per l’aitante sua persona,
Scelgono gli occhi miei. S’io di cotesto
Avrò possanza, ella sarà mia donna.
     Ben giustamente fe’ per te la scelta
25Degli occhi tuoi la luce. Essa è la nobile
Brünhilde, la leggiadra giovinetta,
A cui l’anima tua, la mente e il core
Anelano pur sempre. — E gli atti suoi
Piacquer d’assai a re Gunthero. Intanto
30Volle sì che le nobili sue ancelle
Da le finestre si levasser tutte
La regina, chè niuna a riguardare
Restar dovea gli estrani prodi. In questo
Ad obbedirle eran sì tutte pronte,
35Ma quanto feano allor, più tardi a noi

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Altri narrava. Per gl’ignoti eroi
Elle si ornâr della persona in quella
Guisa così secondo hanno costume
Leggiadre donne ognor. Vennero poscia
40Là da le feritoie, i prodi estrani
A rimirar, chè per veder soltanto
Ciò per esse si fea. Ma quattro soli
Scendean di quelli a terra, e su l’arena
Trasse un destrier Sifrido ardimentoso,
45E ciò vedean da le finestre anguste
Le vezzose donzelle. Onor pensavasi
D’aversi in questo principe Gunthero1.
     Sifrido inver per le ritorte briglie
Tenea del sire il nobile destriero,
50Buono e leggiadro e forte e grande assai,
Fin che prence Gunthero alto in arcioni
Assidere potè. Cotal servigio
Sifrido gli prestò; ma troppo il sire
Ciò si scordò di poi. Dal navicello

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55Il suo destriero si adducea pur anco,
E tal servigio rade volte assai
Compiuto avea, perch’ei si stesse mai
Presso la staffa d’alcun prode. Intanto
Da lor finestre ciò vedean le donne
60Leggiadre e fiere. E veramente, ad una
Foggia soltanto, i prodi alteri e baldi
Simili avean fra lor lor bianche vesti
E lor cavalli come neve bianchi
E lor pavesi ben costrutti. Lungi
65Essi lucean de’ prodi ardimentosi
Da le destre possenti. E le lor selle
Eran di gemme adorne, e i pettorali
Piccoli, e quei venìan verso a le sale,
In cavalcando, di Brünhilde. In fulgido
70Oro pendean dai colmi pettorali
I sonagli; e frattanto elli venièno
Di Brünhilde alla terra, in quella guisa
Che l’ardir li spingea, con le lor lancie
Novellamente cuspidate e i brandi
75Ben costrutti, che agli uomini leggiadri
Fino agli sproni discendcan. Que’ brandì

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Recavano gli eroi ardimentosi
E acuti ed ampi. E ciò vedea Brünhilde,
La nobile fanciulla. Appo Gunthero
80Venian pur anco ed Hàgene e Dancwarto.
Noi udimmo ridir come esti eroi
Recavano pomposa, e d’una tinta
Qual di penna di corvo, ogni lor veste,
Come buone e leggiadre ed ampie e grosse
85Eran lor targhe. Si vedean que’ prodi
Gemme portar d’indica terra, e questo
Diceasi ancor che rilucean le gemme
Su le lor vesti. Là su l’onde azzurre
Il navicello abbandonâr gli eroi
90Senza custodia, e mossero al castello
Su’ lor destrieri, essi gagliardi e buoni.
     Ottanta elli vedeano e sei pur anco
Erigersi là dentro altere torri
E tre grandi palagi ed una sala
95Ampio costrutta in nobil marmo, verde
Come un’erba virente. Ivi co’ suoi
Avea sua stanza l’inclita Brünhilde.
     Fu dischiuso il castello, ampie le porte

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Furon dischiuse, e corsero all’incontro
100Di Brünhilde le genti e ne la terra
Di cotal donna gli ospiti venuti
Accolsero. Fu detto i lor destrieri
Di governar, di togliere gli scudi
Da la man degli eroi. Disse un valletto:
     105Darci dovete i brandi e le lucenti
Corazze ancora. — Ciò non fia concesso,
Hàgen rispose di Tronèga; noi,
Noi medesmi portar vogliam quest’armi.
     Ma il vero incominciò prence Sifrido
110Così a ridir: Costume in tal castello
È questo sì, questo vogl’io narrarvi,
Che niun ospite qui l’armi si rechi.
Via lasciate portarle; e ciò per voi
Sarà ben fatto. — Assai di mala voglia,
115Hàgen, l’uom di Gunthero, un tal consiglio
Seguiva; e intanto agli ospiti novelli
Altri indisse recar giocondo un vino
E tutte cose provveder. Fûr visti
Molti leggiadri eroi, con vesti attorno
120Degne di prenci, accorrere da tutte

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Partì alla corte; ma d’assai più grande
Era agli ospiti arditi il riguardare2.
     A regina Brünhilde allor fu detto
Che ignoti prodi in veste signorile,
125Scorrendo sovra l’onde, eran venuti,
Ed ella sì, l’avvenente fanciulla,
Incominciava a dimandar. Mi fate,
Udir mi fate, la regina disse,
Chi mai esser potranno esti campioni,
130Ignoti assai, che fieramente stannosi
Nel mio castello, e di che mai per voglia
Fin quì venian gli eroi. — De’ suoi consorti
Uno allor favellò: Poss’io ben dirvi,
Donna, che niun di loro unqua non vidi,
135Se pur togli che un v’è che di Sifrido
Ha somiglianza. A lui v’è d’uopo intanto
Liete far le accoglienze. È questo il mio
Consiglio in tutta fè. L’altro compagno
È pur degno di lode, e s’egli avesse

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140Poter di ciò, di principi su molte
Ampie terre ei sarìa signor possente,
Quando acquistar se le potesse, tanto
Ei si vede appo gli altri in signorile
Atto restar. Ma de’ compagni il terzo
145È tremendo d’assai, ben che leggiadro,
Regina illustre, della sua persona,
Tremendo in ver pel volger degli sguardi
Ch’ei fa sovente. D’indole feroce
Egli è nell’alma sua, com’io mi penso.
150Il più giovane d’essi è degno assai
Di molta lode. Inver, di giovinetta
Costume ei serba, e vegg’io sì restarsi
L’uom possente e gagliardo in amoroso
Atto con dolce il portamento. Noi,
155Tutti dovremmo noi di ciò temere
Che altri l’offenda in cosa alcuna. Eppure,
Ben che sì dolce abbia costume e rechi
Tanto avvenente la persona, a piangere
Addurre ei ben potrà, quand’ei s’adiri,
160Molte donne leggiadre. È di tal guisa
Suo vago aspetto, ed egli, in tutti pregi,

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È baldo e ardito cavalier d'assai.
     Disse allor la regina: Or mi si porti
La mia corazza, e se venuto è il prode
165Sifrido qui nella mia terra, amore
Da me cercando, va della sua vita.
Tanto nol temo inver per ch’io diventi
La donna sua. — Rapidamente allora
Brünhilde bella si vestì l’arnese,
170E seco ne venian leggiadre assai
Molte donzelle, cento e più, di fregi
Ornate attorno alla persona. Queste
Donne vezzose ben volean gli strani
Ospiti rimirar. Ma con le donne
175Venian pur anco i principi d’Islanda,
Di Brünhilde gli eroi, quali nel pugno
Recavan spade, ed eran cinquecento
Elli e di più. Ciò fu rancura agli ospiti,
E da’ lor seggi si levâr d’un moto
180Arditi e baldi i cavalieri. Intanto,
Ratto che la regina il pro’ Sifrido
Scoverse, volentieri udrete voi
Ciò che a lui disse la regal fanciulla:

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     Sifrido, in questa terra il benvenuto
185Mi siete voi. Ma che vuol dir cotesto
Vïaggio vostro? Volentier da voi
Intenderlo vorrei. — Grazie d’assai,
Donna Brünhilde mia, che vi degniate,
Voi sì, di prenci liberal figliuola,
190Me salutar pria di costui che innanzi
A voi si sta, nobil guerrier. Chè sire
Egli è di me. Cotesto onor pertanto
Ricuso volentier. Nato sul Reno
È cotal sire. Or che di più dirovvi?
200Solo per l’amor tuo siam qui venuti,
Ed ei ben volentier, venga qualunque
Cosa da ciò, porrebbe in te l’amore.
Or tu frattanto con te pensa. Nulla
Fia che il mio prence ti condoni. Detto
205Egli è Gunthero ed è monarca illustre,
E nulla in più desia, se l’amor tuo
Acquistarsi potrà. Volle che seco
Io qui venissi il nobile guerriero;
Ma s’avess’io di tanto ricusarmi
210Potere avuto in me, ben volentieri

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Lasciato avrei cotesto. — Ed ella disse:
     Poi ch’è tuo sire e tu se’ l’uom di lui,
Nel gioco ch’io gli pongo e ch’egli ardisce
Di sostener, s’egli ha vittoria certa,
215Io son la donna sua; ma se ch’io vinca
Avvien, per tutti voi ne va la vita.
     Hàgene allora di Tronèga disse:
Donna, fateci almen questi tremendi
Vostri giochi veder pria che vittoria
220Gunthero, il mio signor, confessi a voi,
Chè ciò male sarìa. Ma sì avvenente
Giovinetta davver! ch’ei vincer spera!
     La pietra ei dee scagliar, dietro la pietra
Avventarsi d’un balzo e lanciar meco
225Lanciotti acuti. Ma di tanto voi
Non v’affrettate! Perder qui potreste
E la vita e l’onor; di ciò pertanto
Pensier vi date, — favellò in tal guisa
L’amabil donna, e al suo signor frattanto
230Si fea da presso principe Sifrido
Ardimentoso e gl’indicea sommesso
Ch’ei volesse dinanzi a la regina

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Tutto ridire il suo voler, del core
Sè da ogni affanno disciogliendo: A lei,
235A lei dinanzi voi degg’io difendere
Con l’arte mia. — Dicea prence Gunthero:
     Regina illustre, c’impartite adunque
Ciò che più v’attalenta. E se maggiore
Cosa fosse pur anco, io mi sobbarco
240A tutto sì per cotesta persona
Di voi leggiadra. E perdere vogl’io
Questo mio capo, se mia donna voi
Non divenite. — Come queste sue
Parole intese la reina, il gioco
245Indisse d’affrettar qual s’addicea;
Cenno fe’ di recar la sua di guerra
Veste leggiadra, splendida lorica
In fulgid’oro e d’un pavese il disco.
Tutta di seta una guerresca veste
250La fanciulla si pose, e in niuno assalto
Arma nessuna non avea tal veste
Squarciata mai, di libica leena
Inclita spoglia. Acconciamente ell’era
Composta ad arte, di bei fregi adorna

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255Che scintillar vedeansi lunge. Intanto,
Agli eroi mo’ venuti alte minaccie
Si fean per vano ardir; n’eran turbati
Ed Hàgene e Dancwarto, e questo in core
Avean grave pensier quale del sire
260Esito avrìa l’ardita impresa. A noi,
Elli pensâr, non fia giocondo assai
Questo nostro viaggio in questa terra.
     Ma l’uom leggiadro, principe Sifrido,
Pria che alcun s’avvedesse, era frattanto
265Tornato al navicello in che la sua
Cappa rinvenne alto riposta. Ratto
Alla persona ei la gittava attorno,
E niun di ciò s’avvide. Ei ritornavasi
Rapido a dietro e molti prodi accolti
270Là rinvenìa dove a’ suoi aspri ludi
Già s’apprestava la regina. Venne
(Per sottil’arte ciò accadea) di tutti
Invisibile al guardo, e niun di tanti
Là intorno accolti lo scoverse allora.
     275Già segnato era il cerchio ove dinanzi
A molti arditi eroi, che furo addotti

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Questo a mirar, dovea compirsi ’l gioco,
Ed eran più d’assai che settecento
Che si vedean l’armi portar. Cotesti
280Incliti eroi di qual de’ contendenti
Esito avesse il periglioso gioco,
Asseverar dovean. Ma già venuta
Era Brünhilde. Armata ella fu vista
Come se per la terra d’un gran sire
285Ell’avesse a pugnar. Sovra la seta
Molti recava in or fregi lucenti
Intrecciati con arte; eppur, sott’essi
Nobil candor del volto si mostrava
Meraviglioso. Gli alleati suoi
290Venian pur anco. D’un pavese il disco
Tutto di fulgid’or portavan elli
Alto nel pugno, con fibbie d’acciaio,
Ampio e grande d’assai; sotto quel disco
Volea suoi giochi la leggiadra donna
295Così compir. Ma dell’ampio pavese
Era su la correggia un nobil fregio
Di passamano, e su quel fregio stavano,
Verdi com’erba, prezïose gemme,

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Che contro a l’or, con inclito splendore,
Luceano in varie guise. Oh! ben gagliardo
Esser colui dovea cui simil donna
280Saria propizia e amica! Era la targa,
Come fu detto a noi, là sotto al culmo
Di tre spanne in grossezza, e la fanciulla
Sorreggerla dovea, d’oro e d’acciaio
Ricca e grave d’assai; con tre consorti
285Carreggiarla poteva un de’ valletti
A stento inver. Ma come l’ampio scudo
Hágene il forte là recarsi vide,
Ei, l’eroe di Tronèga, in corrucciata
Anima disse: o re Gunthero mio,
290Dove siam noi? Noi qui perdiam la vita!
Quella che amar cercate voi, del diavolo
È la mogliera! — Questo udite ancora
Delle sue vesti, ch’ella avea sì ricche.
     Di seta d’Azagouc ella portava
295Nobile e forte un arnese di guerra,
Su cui splendean le gemme prezïose
Fra un luccicar di tinte. Alla donzella
Altri portava ponderoso e grande

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E cuspidato un giavellotto, quale
300In ogni tempo ella scagliar solea,
Immane e forte, sposso ed ampio. In guisa
Orrenda inver con la sua punta acuta
Squarci inferìa l’arma tremenda. Intanto
Udrete voi del pondo di quest’arma
305Cose narrar meravigliose. In essa
Ben quattro masse in fulgido metallo
Furon battute, e la recarno a stento
Tre de’ valletti di Brünhilde. Allora
Grave cura ad averne incominciava
310Gunthero illustre, onde in suo cor: Deh! questo
Che mai sarà? pensò. Come, deh! come
Di qui scampar, ben che d’inferno uscito,
Il diavolo potria? Che s’io ritorno
Di Borgogna nel suol con la mia vita,
315Lunga stagione assai dovrà costei
Libera andar dall’amor mio! — Quel prode
Dancwarto allora, d’Hàgene fratello,
Così parlò: Mi tocca un pentimento
Del cor per questo mio vïaggio in corte.

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320Forti noi sempre ci chiamammo; e intanto
Di qual mai foggia perderem la vita,
Noi, cui trarranno in manifesto esizio
In questo suol le donne! E mi corruccia
L'alto dolor che addotto quì mi sia.
325Che se avesse nel pugno l’armi sue
Hàgen fratello ed io m’avessi l’armi,
Con dolcezza dovrian in loro orgoglio
Di Brünhilde le genti comportarsi
Tutte davver! Sappiate voi di certo
330Che in guardia elli starian. S’anche ben mille
Giuramenti avess’io per questa pace
Giurati qui, pria che morir vedessi
Il mio dolce fratel, dovria la vita
Perder cotesta sì leggiadra donna.
     335Liberi e sciolti questa terra noi
Potremmo abbandonar, così rispose
Hàgen fratello, se gli usberghi nostri
Avessimo, di cui, nella distretta,
Abbiam necessità, coi nostri brandi
340Acuti e buoni. Mansüeto allora
Di tal virago si farìa l’orgoglio.

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     Ciò che disse il guerrier, l’inclita donna
Bene ascoltar potè, sì che rivolta
Indietro alquanto, con ridente bocca,
345Poi che sì forte ei si presume, disse,
L’usbergo suo sì gli recate. In pugno
Date agli eroi lor armi acute assai.
     Tosto che racquistati aveano i brandi
Sì come indisse la fanciulla, in volto
350Per molta gioia si fè rosso il prode
Dancwarto. Or quì si giochi, ei disse allora,
L’uom baldo e ardimentoso, or quì si giochi
Ciò che più si desia. Gunthero è invitto,
Poi che abbiam noi quest’armi nostre. — Grande
355Virtù mostrossi di Brünhilde. A lei,
Là dentro al cerchio, ponderosa e immane
E grossa e tonda e smisurata assai
Fu recata una pietra, e la recavano
Dodici a stento valorosi e prodi
360Guerrieri suoi. Scagliato il giavellotto,
Ad ogni tempo ella solea l’immane
Pietra avventar; così avvenìa che grande

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Fu corruccio ai Burgundi. Oh! per le mie
Armi, Hàgene disse, il mio signore
365Qual donna mai si fece amante! Certo
Ch’ella dovea laggiù, nel buio inferno,
Al diavolo maligno andarne sposa!
     Alle candide braccia ella frattanto
I bracciali si cinse, e incominciava
370L’ampio scudo a brandir, levava in alto
Il giavellotto, e l’orrida tenzone
Al principio venìa. Già di Brünhilde
Temean lo sdegno e Sifrido e Gunthero,
E se accorso in aita allor non fosse
375Prence Sifrido, a re Gunthèr la vita
Ella rapita avrìa. Furtivamente
Ei s’accostò, la man toccògli, e il sire
Con suo sgomento assai di tale astuzia
S’avvide allor. Chi mi toccò? pensava
380L’uom valoroso e guardavasi attorno
Da tutte parti, nè vedea che alcuno
Là si stesse davver. Disse Sifrido:
     Sifrido mi son io, l’amico tuo
Diletto e caro. Ben dêi tu, dinanzi

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385Alla regina, da ogni affanno e cura
Andar disciolto. Porgimi lo scudo,
Lascia ch’io ’l rechi e nota con tua cura
Ciò che dir m’udirai. Tu del trar colpi
Fa i gesti e gli atti, ch’io la gran faccenda
390Da solo compirò. — Come s’accorse
Chi veramente quei si fosse, n’ebbe
Prence Gunthero molta gioia. — Questa
Astuzia mia tu dêi celar, soggiunse
Prence Sifrido, e nulla dirne. E poco
395Vampo davver potrà su te menarne
Questa regina, anche se il voglia. Vedi
Ch’ella innanzi ti sta senza paura!
     L’inclita giovinetta un fiero colpo
Sferrò contro uno scudo ampio e di nuova
400Foggia ed immane, cui recava in braccio
Di Sigelinde il figlio, e ratto il fuoco
Scintillò dall’acciar come se vento
Entro soffiasse. Del lanciotto immane
L’acuta punta attraversò lo scudo,
405Sì che la fiamma lampeggiar fu vista
Là per gli anelli. Vacillâr di sotto

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Al fiero colpo gli uomini gagliardi,
E morti elli sarìan, se ivi mancata
Fosse la cappa di Sifrido. Il sangue
410Dalla bocca del prode usciva in copia;
Ma tosto ei rilevossi. Il valoroso
Il lanciotto afferrò che attraversando
L’ampio pavese già scagliò la donna,
E la man di Sifrido inclito e forte
415L’arma le rese. Ma pensava in pria:
Non vo’ ferir la bella giovinetta!
     Così la punta del lanciotto immane
Egli a dietro rivolse, e sol con l’asta
L’usbergo a lei colpì. Sotto a quel colpo
420Della man poderosa, alto di lei
L’armi guerresche risuonâr. Schiantaro
Vive scintille dagli anelli, come
Se vento là soffiasse, e forte invero
Mandò quel colpo di Sigmundo il figlio,
425Nè quella già potè l’impeto fiero,
Con sua fermezza, sostenerne. Tanto
Fatto mai non avrìa prence Gunthero!
     Ma rilevossi rapida la bella

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Brünhilde e disse: Nobil cavaliero,
430Gunthero prence, grazie di tal colpo!
     Ella credea che in suo vigor scagliato
Re Gunthero l’avesse. Oh! ma d’accanto
Furtivamente s’era posto a lui
Uom d’assai più valente! Ella n’andava
435Rapidamente, e n’era il cor sdegnoso.
     Una pietra levò l’inclita donna
E lungo assai dalla sua man gittolla
Con forza immane. Alla rotante selce
Ella dietro avventossi, e l’armi sue
440Tutte su lei romereggiâr. Caduta
Più che dodici braccia era lontana
L’immane pietra, ma con un sol balzo
L’agil fanciulla superato avea
Della pietra il gittar. N’andava intanto
445Prence Sifrido ov’essa giacque, e un poco
La smosse re Gunthèr, ma chi gittolla
Fu Sifrido gagliardo. Era Sifrido
Ardimentoso ed alto e forte assai,
E più lunge d’assai lanciò la pietra
450E dietro le balzò più lunge ancora,

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E per l’arti sue belle ebbe di tanto
In sè vigor, che nell’ardito salto
Prence Gunthèr portò con sè. Ma il salto
Era compiuto, ma la pietra immane
455Là si giacea, nè altri si vide allora
Fuor che Gunthero valoroso e prode,
Ond’è che in volto si fè rossa e accesa
Per disdegno Brünhilde. Allontanata
Di re Gunthero avea l’acerba morte
460Per tal’arte Sifrido; e la fanciulla,
Ratto che vide a l’estremo del cerchio
Incolume l’eroe, con alta voce
A’ suoi consorti così disse: Voi
Rapidamente v’accostate, voi
465Congiunti e amici miei. Tutti dovete
Farvi soggetti a principe Gunthero.
     Gli ardimentosi dalla man lasciaro
Cader loro armi, ed uomini valenti
A’ piè gittârsi di Gunthero illustre,
470Della burgundia terra. Elli credeano
Che compiuto egli avesse il fatal gioco
Col vigor di sua mano. E il nobil prence,

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E cortese e gentil, pieno d’affetto
Li salutava, e lui prendea per mano
475L’inclita giovinetta e concedea
Che là sire egli fosse. Oh! ne gioìa
Hàgene allora, l’uomo ardito e baldo.
     Ella pregò che il nobil cavaliere
Seco ne andasse all’ampio suo palagio.
480Fatto cotesto, altri apprestò servigi
Al nobil re migliori assai. Dancwarto
Ed Hàgene con lui senza rancura
Dovean di ciò piacersi. Oh! ma d’assai
Accorto era Sifrido agile e bello!
485La sua cappa egli avea lunge recata
Per riporla, e tornavasi a quel loco
La ’ve sedute eran donzelle molte,
E al suo sire dicea (questo egli fece
Accortamente assai): Deh! che attendete,
490O mio prence e signor? Perchè non date
Principio al gioco omai quale v’imparte
Qui la regina? Deh! veder ci fate
Ratto in qual foggia il compirete voi.
     Come se nulla ei ne sapesse, l’uomo

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495Comportavasi accorto, e la regina
Così parlò: Deh! come avvenne adunque
Che visto il gioco non abbiate voi,
Prence Sifrido, quale or qui compia
Di Gunthero la man? — Così rispose
500Hàgene allor della burgundia terra:
     Poi che, o donna, egli disse, a noi turbata
L’anima avete e mentre al navicello
Sifrido si tenea, l’uom buono e forte,
Del Reno il sire sopra voi si vinse
505Il fatal gioco; ed è per ciò ch’è ignoto
Questo a Sifrido. — Così l’uom parlava
Di re Gunthero; e principe Sifrido:
     Ben mi vien questo annunzio, onde abbassata
Sia di cotanto l’alterezza vostra
510Che tal viva quaggiù che di voi sia
Prence e signor. V’è d’uopo in fino al Reno
Di qui seguirci, nobile fanciulla.
     L’inclita donna rispondea: Non questo
Ancora esser potrà. Dènno di tanto
515Aver contezza li congiunti miei,

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Li miei consorti; nè poss’io per lieve
Ragion così lasciar questa mia terra.
È d’uopo sì che i miei più fidi amici
Qui sian raccolti in pria. — Da tutte parti
520Ella fe’ cavalcar suoi messaggieri,
Gli amici suoi raccolse ed i congiunti
Ed i consorti suoi. Volle che ratto
E senza indugi ad Isenstein venissero,
E ricche a tutti fe’ donar le vesti
525E pompose d’assai. Ad ogni giorno
Quelli venìan, venìan da mane a sera
Di Brünhilde al castello a torme a torme.
Ah! ah! che fatto abbiam qui noi, gridava
Hàgene intanto! Male assai che gli uomini
530Venisser qui da la vaga Brünhilde,
Noi stemmo ad aspettar! Che s’elli vengono
Con lor schiere alla terra (ignota è a noi
La volontà della regina, e tutti
Perduti siam s’ella s’adira), è nata
535Per il nostro dolor, per nostra cura
Grave ed acerba l’inclita fanciulla!
     Io questo impedirò, dicea Sifrido,

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Eroe gagliardo; nè vogl’io che avvenga
Che cruccio alcuno abbiate voi. Recarvi
540In questa terra di campioni eletti,
Ignoti ancora a voi, bramo l’aita.
Nulla di me per voi si cerchi, ed io
Di qui ne andrò. Per questo tempo Iddio
Custode sia dell’onor vostro! Intanto,
545Ritornando fra breve, io mille prodi
Qui v’addurrò, di tutti i forti in guerra
I migliori d’assai ch’io mi conosca.
     Non v’indugiate lungo tempo, allora
Il prence favellò. Di vostr’aita
550Lieti siam noi veracemente. — Disse:
     Fra pochi giorni assai farò ritorno.
Che m’invïaste voi, dite a Brünhilde.



Note

  1. Dell’essere servito da Sifrido che voleva passare per suo vassallo. Vedi più sopra.
  2. Più che agli altri eroi, si guardava agli stranieri allora venuti.