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Il flauto nel bosco/I beni della terra

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I beni della terra

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Un dramma Il toro
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I beni della terra.

Quello che dapprima per scherzo, poi per abitudine, e alcuni infine con convinzione chiamavano l’Apostolo, se ne stava a fumare la Favorita, la pipa dei giorni buoni, nel suo magnifico giardino, quando il giardiniere venne a dirgli che una Commissione di persone di servizio domandava udienza.

— Cosa sono, maschi o femmine? — egli domandò, levandosi la pipa di bocca e sputando su una rosa lì accanto.

— Servaccie, — rispose con dispetto il vecchio giardiniere che non amava si mancasse così di riguardo ai suoi fiori. — E se fosse in me non le riceverei, perchè ritengo vogliano venire qui dentro solo per curiosità, del giardino, — aggiunse subito, poichè vedeva il grande viso barbuto del padrone e i suoi occhi celesti colorarsi di sangue.

*

— Fa subito passare. Via!

E il vecchio se ne andò come cacciato [p. 48 modifica]da un colpo di scopa, pensando ancora una volta che il padrone, se era l’apostolo di tutti i mascalzoni dei dintorni, per lui che da trenta anni lo serviva fedele e schiavo, era l’anticristo in persona.

*

La Commissione, composta di quattro donne, una vecchia, la seconda anziana, la terza giovane e l’ultima infine quasi ancora bambina, si avanza in fila, sullo sfondo chiaro del viale delle rose. Tre delle donne sono vestite di nero, l’adolescente di rosso, con le lunghe gambe che sembrano nude, capelli neri corti di qua e di là dei lunghi occhi bistrati.

L’apostolo tornò a farsi rosso, nel vedere quest’ultima: si tolse di nuovo la pipa di bocca e di nuovo sputò sulla rosa come avrebbe voluto farlo su quella promettente fanciullezza.

— Sedetevi, — disse burbero alle donne, accennando la panchina accanto al tavolino di marmo dove su un vassoio stava la sua collezione di pipe.

— Si tratta, — cominciarono a una voce le tre più vecchie.

— Una per volta!

Allora fu solo la più vecchia a parlare. [p. 49 modifica]

Si trattava di organizzare le donne di servizio, che mentre in tutto il mondo dettavano legge, qui venivano ancora mal pagate e trattate come bestie.

Egli fu per gridare: perchè lo siete: ma si frenò. Fu anche per dire che se la paga loro non bastava era perchè si vestivano e si calzavano come quella piccola sgualdrina lì; ma si frenò. Era un uomo prudente, e solo per questo, forse, era considerato come un grande uomo saggio.

— Vostra Signoria ha messo a posto tutti i disgraziati del circondario; persino gl’imbianchini e gli accalappiacani devono la loro fortuna a lei. Perchè non deve provvedere anche alla nostra classe?

— Sarà un’opera altamente morale e sociale — disse l’anziana con enfasi.

La giovine scoppiò a ridere: e fu come lo spaccarsi di una melagrana: risero tutte, in coro, e l’apostolo vide che gli occhi della piccola erano verdebruni come l’agata, e i suoi dentini bianchi e intatti la cosa più pura del mondo.

*

In breve tempo egli dunque organizzò e rese potente e rispettata la classe delle serve. Le radunò a comizio nel suo giardino, le esortò una per una ad essere solidali [p. 50 modifica]e consapevoli dei loro diritti e della loro forza. Così si procurò l’odio e la maldicenza della rispettabile ma disorganizzata classe delle padrone di casa.

Però quando i suoi servi, il giardiniere, la cuoca e la cameriera che lo servivano da secoli, domandarono anch’essi l’aumento della mercede e i giorni di libertà accordati agli altri, rispose che se non erano contenti se ne andassero; ed essi naturalmente rimasero.

*

Un giorno venne solo la piccola serva, a portare una lettera. Questa volta egli stava nel suo grande studio con le vetrate aperte sul giardino che in quel mattino di giugno pareva, così fitto di rami tremolanti sull’azzurro, di rampicanti, di fiori di corallo, il fondo del mare.

Fatta entrare la ragazza, la squadrò da capo a piedi con disprezzo iroso, poi le domandò:

— Ma sei proprio al servizio tu? E non ti vergogni, allora, di andare vestita così, come una donna perduta?

— È la mia signora che mi regala i suoi vestiti vecchi, — ella rispose umilmente, — perchè lo stipendio lo devo dare tutto a mia mamma vedova... [p. 51 modifica]

— Basta, basta, sappiamo la storia. E di’ alla tua signora, da parte mia, di farsi i vestiti più scuri e più lunghi.

— Sissignore.

— E intanto che scrivo la risposta, va un po’ in giardino a prendermi la pipa.

Ella uscì, inciampando sul tappeto; si smarrì nelle stanze attigue, ma non si diede per vinta; saltò da una finestra e corse nel giardino finchè trovò il vassoio con le pipe: quale prendere, però? Ricordò che quella da lui adoperata quel giorno della Commissione aveva un piccolo teschio d’argento sulla coppa bruna: la trovò e la prese fra due dita, con un fulgore di gioia negli occhi perversi, come quando si prende una farfalla.

*

Qualche tempo dopo entrò al servizio in casa dell’apostolo. Disimpegnava ottimamente le sue mansioni di cameriera, svelta, pronta, silenziosa; eppure nessuno si fidava di lei. Il giardiniere specialmente la teneva d’occhio; apriva e chiudeva lui il cancello quando lei usciva, e la frugava con gli occhi fin sotto le vesti.

Il padrone la maltrattava.

— Forse credi di essere entrata nel regno dei cieli? — le diceva. — I beni della [p. 52 modifica]terra son tutti radunati qui, sì, ma non fanno per te.

Lei taceva.

Un giorno rovesciò il vassoio con le pipe; egli le si gettò addosso, con una mano le afferrò il ciuffo dei capelli tirandole indietro la testa, con l’altra la schiaffeggiò.

Ella balzò curva qua e là stringendosi fra le palme le guancie come avesse male ai denti, poi andò a fare il suo fagotto, e la cuoca la sentì brontolare:

— L’apostolo! Ammazzalo! Te lo darò io, però, l’apostolato: aspetta, aspetta...

Ma quando fu per andarsene, il giardiniere le disse che aveva ordine dal padrone di non aprire il cancello.

E di saltare i muri non c’era speranza perchè altissimi: e sopra vi marciava l’esercito di alabarde della cancellata.

*

Sette anni ella stette in quella prigione, preparando giorno per giorno la sua conquista. Giorno per giorno prendeva possesso degli oggetti, se non delle persone, e strofinava i mobili con la cura, a volte dispettosa, con cui si ripuliscono i propri figli; e quando rimetteva a posto una sedia diceva: «sta lì», con l’impressione che [p. 53 modifica]quella rimanesse ferma al suo posto solo per obbedire a lei.

Il padrone adesso la trattava meglio e le concedeva qualche ora di libertà; ma quando ella rientrava le girava intorno come per sentire l’odore di dove era stata, con una gelosia animale.

S’era molto invecchiato in quegli ultimi anni, il padrone; invecchiava e si annoiava, perchè nessuno aveva più bisogno di lui. La gente era tutta felice: tutti guadagnavano e si divertivano; i beni della terra, com’egli diceva, erano alla portata di tutti.

In fondo egli non si curava del prossimo. Divideva l’umanità in costellazioni: stelle fisse, pianeti, poi la via lattea delle folle inferiori. E i grandi astri fermi e felici non sono i re, nè i potenti della terra, nè i ricchi o i meschini gaudenti: sono gli uomini solitari che non escono di casa e la cui vita si aggira intorno a sè stessa nell’infinito spazio del suo essere.

Egli si credeva uno di questi.

*

Eppure quando la ragazza che gli preparava il bagno e gli stirava le camicie, gli annunziò che doveva sposarsi, provò un senso di smarrimento. Dove trovarne un’ [p. 54 modifica]altra come lei, fidata, sottomessa anche alle botte, forte e silenziosa?

Eppoi non era solo questo: era una rabbia gelosa al pensiero che l’ultimo dei servi poteva godersi quella giovinezza in fiore, quel bene della terra, mentre lui, che doveva appena stendere la mano per coglierlo come un frutto del suo giardino, se lo lasciava portar via idiotamente.

*

Allora furono proposte e controproposte: offerte di denaro e d’altro. Ella non cedeva. Il suo bene non era da cedersi così, per poco. Più lei resisteva, più il vecchio s’infuriava; finchè le propose di sposarla lui.

*

E fu così che il vecchio giardiniere assistè un giorno ad una scena straordinaria.

Il padrone stava seduto a fumare la pipa allo stesso posto dove un giorno aveva ricevuto la Commissione delle serve. Fumava, ma non più la Favorita dal teschio d’argento; non più da qualche tempo la Favorita: le provava tutte, le sue pipe, e di tutte sembrava scontento.

Ed ecco apparire in fondo al viale e [p. 55 modifica]avanzarsi rapida e concitata la giovane moglie. Anche lei era sempre concitata, dacchè stringeva in pugno la fortuna: non lavorava più, ma neppure godeva come prima le ore di libertà, e il giardiniere aveva ordine dal padrone di tener più che mai chiuso il cancello.

Passando ella lo guardò coi suoi occhi verdastri annegati in una tristezza velenosa, ed egli ammiccò alle sue forbici da potare.

— Ben ti sta, ben ti sta: hai tessuta la tua ragnatela per sette anni, e lo stupido moscone vi è caduto dentro: goditelo, adesso, con la sua puzza di pipa e di vecchiume; goditelo bene, coi suoi denti neri che cadono quando ti bacia, e con tutto il resto.

Ella sente, si fa rossa di stizza, e va dritta verso il vecchio sposo dicendogli qualche cosa sottovoce. Che cosa gli chiede? Forse di mandar via il giardiniere, o d’impedirgli almeno di pensare come pensa.

L’uomo non risponde; continua a fumare rassegnato, prudente. Anche lei non grida, ma si agita convulsa, e d’un tratto sporge le mani con le unghie adunche, come il gatto infuriato: ed egli, che s’è già tolto la pipa di bocca nascondendola in tasca per salvarla da un pericolo imminente, si ritrae un po’ smarrito guardandosi intorno non per paura di sè, ma che qualcuno veda. [p. 56 modifica]

Il giardiniere infatti accorreva, istintivamente, non sapeva se per spirito di solidarietà o di avversione, se per difendere o deridere il padrone.

La sua presenza non fece che inasprire la donna. Con una mano afferrò sulla nuca i capelli del marito, con l’altra lo schiaffeggiò sulla guancia sinistra. Poi, dritta e possente, aspettò che il suo nemico si avvicinasse, per fare altrettanto con lui.