Il nemico (Oriani)/Parte seconda/II

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II.

Il principe Anatolio Lukitch Kovanski si era ritirato nel proprio castello di Kourlak per un dispetto di corte. Malgrado una vita di grandi dissipazioni aveva conservato, caso abbastanza raro in Russia, quasi tutte le proprie ricchezze; ma disinganni di ogni fatta, il celibato e la vecchiaia, gli avevano sciupato il carattere, già bizzarro di per sè stesso. Adesso non gli rimaneva più che una nipote, Tatiana Paulowna Neginski, unica figlia di una sua unica sorella, morta vedova qualche anno prima.

Egli aveva raccolto con piacere la fanciullina, finendo naturalmente per innamorarsene. Tatiana cagionevole di salute, era già troppo alta per i suoi tredici anni, magra, quasi cerea; aveva i capelli di un biondo ardente e gli occhi di un cilestro pallidissimo. Con Tatiana erano venute al castello due vecchie cameriere e una istitutrice francese; al resto dell’istruzione il principe pensava di provvedere da sè.

Cresciuto sotto il regno di Nicolò, egli se ne ricordava ancora come di un lungo inverno politico, che avesse congelato la vita russa. Tutte le speranze suscitate dal misticismo di Alessandro I, il sentimentale amico di Madama Krudener, erano [p. 44 modifica]state a poco a poco distrutte dal ghiaccio di una politica, che concepiva l’ordine nell’immobilità, e l’adesione dei sudditi nel silenzio. Ma appunto allora era cominciato nella coscienza russa quel fermento ideale, che doveva rinnovellare l’impero secondo lo spirito dell’Occidente. Poi Nicolò era morto, e con Alessandro II le idee riformiste avevano ripreso il sopravvento. Il principe Kovanski, tenutosi sino allora in disparte, sperò una rapida ed illustre carriera politica. Anzitutto conosceva abbastanza bene la Russia, e si sentiva così onestamente liberale da meritare il potere nell’interesse di tutti; ma combattuto dal Santo Sinodo e dalla Terza Sezione rispose troppo imprudentemente, aumentando il numero dei proprii nemici. Alessandro II, sul carattere del quale calcolava, titubò al solito nel sostenerlo. Allora, gettandosi all’opposizione temperata, divenne amico di Milutine, di Samarine e più specialmente del principe Tcherkvassky, il grande terzetto, che doveva dopo infinite lotte imporre a tutta la Russia l’emancipazione dei servi.

Ma il principe Kovanski non vi ottenne la parte che desiderava; già le sue idee non combinavano con quelle dei triumviri, essendo al tempo stesso più rivoluzionarie e più conservatrici. Egli avrebbe voluto concedere subito ai contadini minore quantità di terre, ma senza riscatto, ed organizzare per la borghesia mercantile, e per la aristocrazia a mezzo spodestata, una costituzione con un parlamento ed un senato elettivi. Il popolo, siccome analfabeta, non [p. 45 modifica]vi avrebbe partecipato. Senza tale costituzione ogni riforma conchiuderebbe fatalmente ad una lustra, mentre la concessione delle terre ai contadini, coll’obbligo di pagarle in comune, li avrebbe resi più schiavi del mir, che non lo fossero prima dei padroni.

Poi si lusingò di essere assunto, come generale di divisione, al ministero della guerra per la riforma dell’esercito e dell’armata, chiaritisi così male in arnese alla guerra di Crimea. Egli, slavofilo ardente, che sognava per la Russia un primato storico, ben maggiore di quello dei romani e degli inglesi, per iniziare l’ultima grande epoca del vecchio mondo contro la minacciosa rivalità del nuovo, credeva una tale riforma la più urgente fra tutte. Senza una forza guerresca, pari all’estensione dell’impero e al numero de’ suoi abitanti, la Russia non potrebbe compiere la doppia missione di conglomerare nel proprio governo tutti gli slavi d’Europa, e d’insignorirsi nell’Asia di tutte le genti maomettane sino all’India. L’Inghilterra, potenza marittima, esclusivamente mercantile, aveva provato in quasi due secoli la propria insufficienza a risolvere il problema asiatico, riallacciando alla civiltà europea i popoli indiani, che ne erano stati i lontanissimi padri. Solo una potenza continentale, così grande da riassumere tutta la vita europea e così vergine da non trovare ostacoli nel proprio passato, poteva colla creatrice energia dei propri immensi [p. 46 modifica]contatti rinnovellare l’impero braminico. Così il principe Kovanski comprendeva la Russia.

Ma il principe non arrivò nemmeno al ministero della guerra; si dubitò del suo ingegno, si credette troppo alla sua onestà. Le riforme di Alessandro II, più piccole e più leggiere, scorrevano invece sulla superfice dell’impero senza fecondarlo. Egli già ritirato da qualche tempo all’estero, in una lettera al principe Tcherkvassky, definiva così lo Czar:

«Alessandro I era il dubbio nell’intenzione, Alessandro II è l’indecisione nel processo, solo Nicolò in mezzo a loro aveva potuto rappresentare la sicurezza della reazione.»

A poco a poco il suo spirito si falsò, mutandosi di slavofilo in pessimista. Nulla era più vero nella Russia, ne il governo, nè la rivoluzione, nè l’ortodossia, nè l’incredulità. L’emancipazione dei contadini, alla quale non aveva potuto cooperare, l’irritò. Durante l’estimo delle terre e le trattative del loro riscatto coi comuni, che componevano il suo vasto patrimonio, i mugiks gli apparvero anche più ignobili di prima. Non un orgoglio in essi, non un ideale anche lontano.

Adesso si occupava tratto tratto di agricoltura, inspirandosi ai modelli inglesi, senza poterli applicare per l’insufficienza degli uomini, ai quali era costretto di ricorrere.

Quando venne a stabilirsi nel castello, anche per consiglio dei medici, che credevano la vita dei [p. 47 modifica]campi più utile a Tatiana, avvenne appunto la catastrofe del povero pope e di sua moglie; il principe mandò Andrea Ivanovich, il vecchio intendente a prendere Loris, che fu trovato nella casa, accanto alla stufa spenta, col cadavere gelato della madre sulle ginocchia.

Tutto il villaggio era sossopra.

In poche parole Loris disse tutto al principe, le idee e la vita di suo padre, e quanto sapeva della sua morte. Il principe si commosse; Tatiana, sopravvenuta a mezzo il racconto, si rifugiò sbigottita fra le braccia dello zio, guardando Loris ancora così vestito di pelli di lupo, qua e là spelacchiate. Il ragazzo nullameno era bello.

Tatiana sussurrò all’orecchio del principe:

— Tienlo con te.

Questi, mostrandosi più affettuoso del solito, gli offerse tutta la propria protezione.

— Potrete aiutarmi a vendicarmi?

— Ma contro chi?

Due lagrime caddero lentamente per le guancie del ragazzo. Allora il principe gli propose di restare al castello; Tatiana gli sorrideva con simpatia. Egli in quel salotto sontuoso, il primo che vedesse, si sentiva già ammollire dal caldo.

Non pertanto reagì.

— Non farò mai il domestico.

— Eh! ragazzo mio, esclamò il principe con impazienza, avrai dei padroni ugualmente. Tu qui sarai libero, ti prendo per compagno di mia nipote: lo accetti, Tatiana? [p. 48 modifica]

Essa gli rispose con un bacio.

— Allora portalo via, e fallo vestire. Ho sempre avuti molti cani in casa, ma non intendo di tenervi dei lupi.

L’amicizia fra i due ragazzi si strinse presto.

Il principe divenne il loro professore.

Ma la dottrina di Loris da principio l’imbarazzò. Loris sapeva molte cose più di lui, il greco, l’antichità classica, conosceva quanto lui il tedesco, era già iniziato alla teologia. Il principe, volteriano, anche dopo che Voltaire era passato di moda, doveva talvolta retrocedere davanti alle terribili negazioni del ragazzo; quindi una mattina lo chiamò nel proprio gabinetto:

— Tu non credi in Dio, Loris?

— No.

— Già! tu sei quasi di casa con lui, essendo figlio di pope; nemmeno Andrea Ivanovich, il mio intendente, crederà in me. Però Dio è una delle più indispensabili invenzioni umane, dacchè nessun popolo ha saputo ancora farne a meno; mi permetterai dunque di dirti, che in faccia a Tatiana devi astenerti da ogni discorso ateo. Essa è donna, e senza Dio non potrebbe comprendere nè sè medesima, nè il mondo.

Loris non rispose.

— Capisco il tuo silenzio: vuoi dirmi che siccome anch’io ci credo poco in Dio, ho torto di allevare Tatiana nella menzogna. Ma tu non conosci la società: ora non posso in poche parole [p. 49 modifica]dartene la quintessenza. È necessario che una donna creda in Dio; mi farai dunque il favore di non parlarne con Tatiana. Non t’impongo nessuna ipocrisia, ma se assisterai alla messa, te ne sarò grato. Conto sulla tua parola.

Loris ne convenne.

Le lezioni del principe non andavano più in là di una stravaganza. Côlto nelle lettere e nella storia, non sapendo trovar modo d’insegnarla a loro, finiva quasi sempre col lasciare Loris e Tatiana leggere e commentare gli autori alla loro maniera; d’altronde nel suo grande disprezzo per la letteratura nazionale accettava appena Soloviev come storico, e Tolstoi come romanziere. Per imparare la Russia non v’erano secondo lui che i libri esteri di Vallace e di Ralston, di Légèr e di Rambaud, di Haxthausen e di Le Play; tutte le opere degli slavofili, da Komiakof ad Aksakof, da Kostomarof a Katkof, sembravano scritte da maggiordomi dimentichi dell’imbecille tirannia del padrone nel fare l’elogio delle sue tenute.

Laonde tornava sempre alle matematiche, che aveva imparato seriamente da giovane all’Accademia militare. Loris vi si prestava di buon grado, ignorandole quasi del tutto, mentre Tatiana finiva coll’attirarsi per punizione qualche problema, che l’altro le risolveva.

Tatiana aveva già fatto perdere a Loris quanto gli rimaneva di selvatico, apprendendogli come stare elegantemente a tavola, e presentarsi, salutare, [p. 50 modifica]tacere, tutti quei piccoli usi mondani, che compongono la grande educazione signorile, e hanno tanta importanza nella fortuna della vita. Poi Loris aveva presto compito la propria educazione. Il principe stesso gli aveva insegnato a tirare di spada e di pistola; il primo cocchiere, un cosacco che aveva fatto il jockey, lo aveva messo a cavallo. Sulle prime Loris si sentiva umiliato dalle loro rudi osservazioni, ma presto il suo coraggio e la sua agilità gli meritarono elogi. Allora gli si sviluppò la passione delle armi e dei cavalli. Tatiana, alla quale giovandosi della reciproca simpatia, era riuscito a persuadere i medesimi esercizi, ne migliorava in salute; essa dal canto proprio gli insegnava invano la musica. L’istitutrice, vecchia dama francese di nobile famiglia, era scandalizzata dell’insensibilità di Loris, mentre il principe, sempre più affettuoso verso il ragazzo, ne sorrideva.

— Sarà più uomo: la musica non serve che alle donne, per consolare la loro impotenza.

Madama d’Aubrivilliers punta da questa massima, nella quale sentiva un’allusione, ripeteva invariabilmente che la musica ingentilisce gli animi.

— Perchè dunque, esclamò una volta il principe impazientito, le donne così gentili non hanno mai saputo scrivere un pezzo di musica, che si possa ascoltare?

Neppure Tatiana vi faceva molti progressi per [p. 51 modifica]la troppa nervosità, che la rendeva spesso bisbetica e sgarbata con tutti. In quella vita al castello la noia diventava sovente assai greve; il principe, dopo essersi occupato de’ suoi disegni agricoli, non sapendo più che cosa fare rimpiangeva la vita di Pietroburgo. Talvolta andava alle assemblee del zemstwo, ma ne ritornava sempre di malumore, perchè tutta quella gente non aveva un’idea in testa. Nell’inverno la nobiltà dei dintorni emigrava a Mosca o a Pietroburgo. Appena qualche volta un generale o un governatore passavano dal castello per presentare i proprî omaggi al principe, ma non essendovi altra donna che Tatiana, cui fare la corte, se ne andavano presto. Loris studiava nella biblioteca, Tatiana errava per le sale senza trovar modo di animarne il silenzio. La miglior distrazione erano le passeggiate a quattro cavalli nella slitta, con due altre slitte dietro, piene di domestici armati; ella faceva tenere le redini a Loris, e lanciavano i cavalli al più sfrenato galoppo. Poi a casa parlavano della neve bianca, infinita, del freddo e del silenzio. A giorni faceva ballare i numerosi servitori, accompagnando ella stessa sul pianoforte un cocchiere, che pizzicava la balaika. I domestici ballavano, cantando dei cori secondo il costume russo, ma erano danze lente e fredde quanto quel clima, con grandi inchini come nei saloni dell’alta società. Altre volte metteva madama d’Aubrivilliers al piano per ballare con Loris qualche [p. 52 modifica]valtzer, mentre il viso pallido le si colorava, e il suo naso fino ed imperioso batteva voluttuosamente.

Loris e Tatiana cominciavano a farsi grandi. Ma la posizione di Loris al castello era troppo buona momentaneamente per non destare invidia, e troppo indefinibile per non prestarsi ad umilianti interpretazioni. Egli si ribellava orgogliosamente a questa evidenza senza opporvi ancora alcuna risoluzione. Quanto resterebbe al castello? Come vendicherebbe suo padre? Ora tutte le sue idee ribelli parevano così assopite che nemmeno i giornali, tutti pieni di notizie sulle ultime imprese nichiliste, bastavano a ridestarle. Quella vita e quel lusso signorile lo compensavano di quanto aveva sofferto, lusingando tutti i suoi istinti. Il suo odio contro i ricchi si ammansava dinanzi a quel principe buono, che tutti i domestici amavano sinceramente, sebbene li facesse talvolta frustare malgrado la proibizione della legge; ma in questa crudeltà vi era piuttosto l’uso antico di una correzione corporale che una malvagità verso gli inferiori.

Tatiana ne rideva senza cattiveria.

Il vecchio principe, preso dalla manìa di fabbricare colle proprie mani modelli in legno di case agricole, aveva fatto venire da Veronege due falegnami, coi quali si chiudeva buona parte del giorno in uno stanzone al pianterreno. Madama d’Aubrivilliers, finite le lezioni di pianoforte e di [p. 53 modifica]francese con Tatiana, passava il tempo a leggere vecchi romanzi di cavalleria, che la facevano rivivere nel passato della propria famiglia feudale, lasciando la fanciulla a discutere di mode colle cameriere sartrici.

Ma intanto Tatiana diventava donna. Il primo abito lungo le fece un’impressione, della quale stentò a rinvenire, parendole di non essere più la medesima. Quindi corse da Loris a farsi vedere, girandosi e rigirandosi davanti a lui come una trottola.

— Ti piaccio più così, o come prima?

L’altro rimase pensieroso.

Le loro relazioni cangiavano insensibilmente di tono; ella tentava ancora tratto tratto di scherzare come pel passato, ma non era più possibile.

— Lo voglio, lo voglio, gli gridò un giorno stizzosamente: dovete ubbidirmi.

Questa volta Loris impallidì.

Ella cresceva di civetteria ogni giorno, quasi sollecitando quella bellezza femminile, ancora troppo lenta a rivelarsi nel suo corpo, sebbene le mettesse già nel sorriso della bocca e nelle grazie nascenti del petto una seduzione indefinibile. Il vecchio principe, nel vederla così inorgoglire, le prometteva a certi momenti di buon umore di fabbricarle colle proprie mani un castello di fata, in legno dorato, per sottrarla alle importunità di madama d’Aubrivilliers, sempre intenta a darle sulla voce e a proibirle metà di [p. 54 modifica]quanto faceva. Ma in tanto orgasmo Tatiana non sapeva più con che cosa divertirsi. Poi soccombeva ad improvvise malinconie, come se tutti la contraddicessero per astio.

Da qualche tempo Loris era passato con lei dai tu confidenziale al voi, abbassandosi involontariamente nell’inferiorità della propria posizione. Ma se quella vita al castello gli riusciva sempre più incompatibile colla dignità di uomo, nullameno si sorprendeva spesso a sognare l’impossibile fortuna di sposare Tatiana, diventando così milionario, principe, e fors’anco ministro per grazia dello Czar. La sua onestà giovanile, non al tutto corrotta dall’empietà dell’educazione paterna, gli diceva invano, che sarebbe la più vile delle ingratitudini ricambiare tutte le bontà del principe col sedurgli la nipote; giacchè subito dopo l’orgoglio satanico del suo carattere rispondeva, che egli valeva bene qualunque altro, e che Tatiana, sposando un principe, sceglierebbe probabilmente un uomo a lui inferiore.

Poi Tatiana era bella. Qualche cosa di puro e al tempo stesso di voluttuoso esalava dalla sua fresca personcina di quindici anni, come uno di quei vapori di primavera, lievi e penetranti, che salgono dalle zolle umide ai primi tepori del sole. Ella stessa sembrava inebbriarsene a certe lunghe occhiate di Loris, nelle quali s’abbandonava come nuotando inconsciamente verso di lui malgrado i sospetti, che già la vigilavano. Senonchè madama [p. 55 modifica]d’Aubrivilliers avendola ripresa un giorno seccamente, Tatiana non trovò che un sorriso stentato. Loris invece stette più sull’avviso. Quindi cominciò ad assentarsi dal castello, stringendo più intima relazione con Andrea Arsenief, quel settario del Raskol, che gli aveva regalato Aiace. La sua isba, non diversa dalle altre, sebbene Arsenief fosse meno povero de’ suoi compagni, sorgeva all’estremità del villaggio. Andrea Arsenief era un uomo di cinquanta anni, corto e grosso, dagli occhi dolci; sua moglie, una brutta donna ancor giovane, non aveva mai avuto figli, quindi vivevano ritirati con una grande modestia. Ma quantunque per gratitudine dei servigi ricevuti dal vecchio pope Arsenief si mostrasse molto devoto a Loris, non aveva mai voluto rivelargli nulla sul Raskol, o diffidasse della sua età o, vedendolo così innanzi nella grazia del principe, credesse coll’ingenuità di un villano, che finirebbe collo sposare la principessina e diventare il padrone del villaggio.

Batouska, voi sarete un giorno il nostro barine; gli diceva talvolta, strizzando l’occhio.

E Loris, pure irritandosene, sentiva una sottile vanità salirgli al cervello dalla supposizione di così immensa fortuna.

Nell’estate capitò al castello il principe Nesvitskj, maresciallo della nobiltà di Veronege; egli si ricordava confusamente il processo del pope Nicola, ma non fece più attenzione a Loris che agli altri servitori. Madama d’Aubrivilliers, che [p. 56 modifica]detestava il ragazzo, se ne compiacque vivamente vedendolo malgrado la protervia del carattere perdere improvvisamente ogni spirito.

Appena finito il pranzo, Loris si ritirò. Tatiana nel traversare il grande salone con un fascio di musica nelle mani lo trovò poco dopo appoggiato alla finestra.

— Loris! gli disse con voce tremula, indovinando il suo dolore e prendendogli una mano, che l’altro ritirò. Ma la fanciulla, indispettita dell’inefficacia della propria carezza, gettò tutta quella musica in mezzo al salone, e fuggi nelle proprie stanze.

Il principe Kovanskj dovette andare egli stesso a cercarla.

— È troppo brutto il tuo maresciallo, guaì per tutta risposta la fanciulla; non suono, non suono. Fagli suonare quello che vuole da madama d’Aubrivilliers; egli potrebbe anche sposarla, perchè è nobile quanto lui, e quasi altrettanto brutta.

L’indomani Tatiana, che s’aspettava da Loris una grande effusione di riconoscenza, rimase così piccata del suo contegno, che madama d’Aubrivilliers potè profondersi in elogi maligni al maresciallo senza trovare contraddizione. Tatiana guardava Loris, sentendo crescere fra loro due una indefinibile distanza. Chi era Loris? Quale sarebbe il suo avvenire? Ella non sapeva che il proprio, un avvenire di splendori, nel quale Loris non aveva posto. Però quel destino oscuro di lui [p. 57 modifica]l’attraeva come certe profondità misteriose della foresta, ove qualche volta erano andati a cavallo seguiti da Vaska.

Quell’estate Tatiana andò a molte feste dei castelli vicini col principe, ma Loris, dopo l’umiliazione inflittagli dal maresciallo della nobiltà, evitò di accompagnarla colla scusa di nuovi studi nella biblioteca. Ella comprese, poi dimenticò. Quelle piccole riunioni aristocratiche erano come uno spiraglio aperto sul gran mondo; tutti l’accoglievano con premura, mentre le giovinette della sua età, compiangendola per quella vita d’inverno, sola col vecchio principe, la consigliavano ad usare di tutta la sua influenza per ritornare a Pietroburgo. Anche madama d’Aubrivilliers era della stessa opinione, e Tatiana cullata da tutte quelle promesse pregustava già i trionfi dei saloni, ove brillerebbe come una stella di primo ordine fra le dame più corteggiate.

Alcuni giovanotti la fecero ballare, ma essendo ancora troppo bambina non ricevette dichiarazioni d’amore.

Solo Giulia Mikailowna Touchine, una baronessina sua amica, che aveva già l’amante, le chiese improvvisamente fra un crocchio di compagne:

— E il tuo bel seminarista?

Era stata Fedora Dmitriewna a raccontare la storia di Loris, dicendo di averlo visto. Tatiana si vergognò; in quel momento ricominciava il valtzer, e le ragazze si dispersero per la sala. [p. 58 modifica]

— Dovresti sposarlo quel povero figlio di pope, insistè Giulia malignamente. Sarebbe bello da parte tua, tu che sarai così ricca.

Ritornando al castello Tatiana pensava a queste parole. L’indomani a pranzo Loris non l’interrogò sulla festa; Tatiana, che già si pentiva di non averlo difeso con Giulia, si mise a particolareggiare col principe tutti i piaceri di quella serata.

— Andremo a Pietroburgo quest’inverno? domandò al principe senza guardare Loris.

Il principe volse bruscamente la testa.

— A Pietroburgo, signorina, non ci andrete per un pezzo; io non ci rimetterò più il piede.

— Vorrete dunque farmi morire qui?

— Spero che potrete andarci prima, quando sarete in grado di scegliervi un marito. Allora potrete abbandonarmi, se sarò ancora vivo. Ecco quello che tocca a noi, dopo che ci siamo sacrificati. Siete tutti ingrati.

Il principe cominciava ad indebolirsi, la vista gli era scemata improvvisamente così che doveva usare sempre gli occhiali; poi quella manìa delle casine in legno lo aveva stancato. Quando leggeva i giornali della capitale, a certe notizie politiche andava in bestia pentendosi segretamente di vivere così fuori del mondo, e di non avervi mai avuto importanza. Un cordoglio pieno di segreti rancori lo irritava perfino contro la giovinezza di Tatiana e di Loris. [p. 59 modifica]

Nell’inverno una bronchite l’obbligò per quattro mesi a non uscire dalle proprie stanze; Loris andava a leggergli i volumi dell’inchiesta agraria, e doveva lasciarsi strapazzare per tutte quelle leggi e quei fatti contrari alle sue idee. Poi madama d’Aubrivilliers gli leggeva i giornali, e Tatiana veniva a suonargli il pianoforte, che aveva fatto portare nella sua camera di malato. Così riuniti passavano le sere. Spesso il principe dormigliava; allora nessuno parlava più per non svegliarlo, ma bisognava rimanere nella camera.

Il principe non aveva voluto nessun medico.

— Non ho bisogno che mi si aiuti a morire, aveva risposto a Tatiana: tu sei una sciocca, che vorresti ereditare troppo presto.

La fanciulla era scoppiata in lagrime.

Adesso il principe pareva prediligere Loris.

— Hai pensato ad abbandonarmi? gli chiese una volta bruscamente; e siccome Loris tardava a rispondere: è inutile che tu mi dica una bugia, t’avvertirò io, quando sarà tempo.

— Perchè mentirei con voi?

— Perchè invece non saresti ingrato anche tu? Vattene piuttosto fuori; qui ti annoi senza divertirmi.

Ma una volta, per l’attentato di Solovieff contro lo Czar, le parole furono più aspre. Loris, che non aveva mai parlato delle proprie idee nichiliste, sentendo il principe inveire contro la politica dell’imperatore, si permise un elogio dei rivolu[p. 60 modifica]zionari. Il principe s’irritò, Loris insisteva; allora l’altro lo coperse d’ingiurie, e finì dicendo:

— Per te i nichilisti non dovrebbero essere che assassini: io solo sono abbastanza vecchio per giudicare se dal canto loro ci possa essere qualche scusa. Vorresti darti anche tu delle arie nichiliste? per un figlio di pope...

— Principe, esclamò Loris fremendo, rispettate mio padre; egli aveva quelle idee...

— E ha saputo anche morirne: tu non sei che un inutile chiaccherone.

Una risata fresca di Tatiana troncò la disputa.

Vivendo così molti mesi in quella stanza, Loris e Tatiana avevano potuto riavvicinarsi fondendo il proprio orgoglio, lentamente, nella dolcezza intima di quelle cure affettuose per il principe, che li strapazzava egualmente ambedue. Sebbene non se lo fossero detto, sentivano troppo che quella loro esistenza dipendeva dalla sua per non gareggiare di premure verso di lui. Loris affettava un contegno freddo verso Tatiana, ma quando il principe s’addormentava, e nelle lunghe sere anche madama d’Aubrivilliers si lasciava cadere il libro di mano, essi si mostravano involontariamente con un sorriso quei due dormienti. Nell’aria calda pesava una nausea. Il principe in fondo all’alcova, sotto le cortine di damasco, sedeva quasi sui cuscini, ravvolto entro un bornous ovattato, respirando faticosamente; e pareva più secco e malandato alla luce incerta, che riverberava su lui dal[p. 61 modifica]l’armadio delle sacre iconi. Madama d’Aubrivilliers russava lievemente colla testa abbandonata sulla spalliera della larga poltrona rossa, e gli occhiali penzoloni sul naso; passavano così delle ore.

Tatiana leggeva dei romanzi, Loris generalmente non leggeva.

A poco a poco parlavano. Poi vennero le confidenze; Loris le narrò tutto quello che le aveva sino allora nascosto della sua vita passata coi particolari più atroci, frenandosi a stento per velare le proprie opinioni più atee. Tatiana ne fu commossa. Anch’essa aveva dei dolori da raccontare, un mondo di futilità, perchè non aveva conosciuto abbastanza nè il padre nè la madre per soffrire della loro morte; ma ella pure era sola nel mondo. Loris tornava subito grave. Egli sapeva ora che non gli restava più gran tempo da vivere nel castello, il principe guarisse o morisse.

Lo disse a Tatiana; ella protestò. Perchè andarsene? Ma Loris, diventato uomo, non poteva profittare più a lungo di quell’ospitalità; era già troppo, se avesse dovuto andarsene alla morte del principe. Tutti avrebbero creduto allora ad una cacciata.

— E chi vi scaccierebbe?

— Voi per la prima.

Tatiana scosse le spalle. Il principe fece un movimento, Loris corse tosto al letto, ma il principe dormiva. Tatiana, che si era levata anch’essa, curvandosi sul volto dello zio sfiorò col proprio quello di Loris. [p. 62 modifica]

— Dorme, disse cercando di nascondere il proprio rossore.

Ma quando il principe cominciò a star meglio, Loris gli chiese improvvisamente:

— Quando mi avvertirete dunque?

Egli lo guardò senza comprendere.

— Ma di andarmene. Dopo aver fatto di me un uomo, non vorrete distruggere l’opera vostra.

Tatiana dietro la poltrona del principe gli faceva cenno di tacere; sembrava sorridere dolorosamente.

Il principe si girò sui bracciuoli.

— Ah! vi credete un uomo? Infatti parlate come un imbecille: leggetemi piuttosto il Golos, a meno che, aggiunse tossendo, io non vi sia diventato insopportabile. In questo caso non pretendo di sacrificarvi, non sono egoista io.

Tatiana applaudì scherzosamente dietro la testa dello zio, ma questi rimasto di malumore, a mezzo della lettura, li cacciò via tutti due.

Madama d’Aubrivilliers sembrava non sospettare più di alcuna relazione fra loro dal momento che Loris aveva detto di andarsene dal castello; mentre invece i due fanciulli avevano già in comune il segreto di una passione, contro la quale non cercavano nemmeno di lottare. Una indefinibile dolcezza li sorprendeva appena si trovavano soli per qualche minuto; pareva che l’aria si riscaldasse intorno, e le camere stesse diventassero più grandi. Egli sempre più addolorato della propria [p. 63 modifica]inferiorità dinanzi a quell’ereditiera di uno dei più illustri nomi e dei più grossi patrimoni della Russia, riparlava sempre di andarsene con un accento, nel quale un fino osservatore avrebbe notato una certa smanceria. Tatiana, più nervosa, s’indispettiva dicendo che lo zio stesso non lo avrebbe permesso, giacchè sino dal primo giorno lo aveva ceduto a lei.

— Allora mi prendeste per giuocare; adesso non potrei essere che uno dei vostri domestici.

— Vi dispiacerebbe tanto di servirmi? Ma sotto la gaiezza dell’accento si sentiva la nota imperiosa.

— Potrei amare, non servire, egli rispose con durezza.

Erano nella piccola sala rossa dai mobili dorati; Tatiana vestita di bianco si baloccava con una lunga treccia di capelli.

— Amare chi?

— Forse chi non potrà mai capirlo.

Un sorriso di trionfo illuminò il volto della fanciulla.

— Addio! esclamò Loris con accento teatrale.

L’indomani nel giardino s’abbracciarono giurando d’amarsi, ma la fanciulla rimase al di sopra di lui, meno per quella adorazione che l’uomo tributa sempre alla donna nel primo amore, che per l’altezza della sua posizione sociale. Involontariamente Loris si sottometteva alla signora, credendo di ubbidire deliziosamente alla fanciulla. [p. 64 modifica]Siccome non avevano parlato che d’amore, ella non vi trovava ostacoli; la società era scomparsa lasciandoli soli fra la scena bella di quel giardino primaverile. Non vi erano più che fiori, gli uccelli cantavano nell’aria, e le nuvole passavano nel cielo come tende leggiere, che il vento avesse involato ad immensi palazzi di altri mondi.

Allora cominciarono i loro convegni dappertutto; si parlavano alla sfuggita gettandosi un bacio, quando non potevano darselo. Ma le fiamme avvampavano nel loro sangue troppo giovane. Senza accorgersene non facevano che cercarsi; la notte sognavano l’uno dell’altro, il giorno avevano bisogno di scriversi. Tatiana si abbandonava con passione a questo torneo epistolare, cercando di farvi dello stile colle frasi più pazze dei romanzi, mentre tutte le loro scene le s’imbrogliavano dentro la testa attraverso una stravaganza di combinazioni, dalle quali l’amore usciva sempre vittorioso. Però non osava nemmeno seco stessa discutere la soluzione più semplice, che Loris domandasse al principe la sua mano. Sapeva bene che il principe non avrebbe potuto concederla, e in fondo all’anima ella stessa si rafforzava di questa sicurezza. Il suo amore non era che effervescenza di sensi e di fantasia; Loris, bello e sventurato, aveva la solita eccentricità di tutti gli eroi da romanzo. Egli invece l’amava con tutta la passione, di cui era capace. Quella fanciulla gracile [p. 65 modifica]ed aristocratica, posta così in alto nella scala del mondo, era l’ideale di tutte le sue sofferenze. Il fascino di quella sua fresca giovinezza gli faceva dimenticare tutti i propositi di vendetta nella speranza di una felicità semplice e profonda, amare ed essere amato.

Ma questo idillio primaverile non era possibile che nella solitudine delle loro stanze; appena ne uscivano, la realtà li separava rigettandoli brutalmente all’immensa distanza, posta fra loro dalla società. Loris, rinvenendo pel primo, le parlò seriamente del futuro; l’altra s’imbronciò, quindi si bisticciarono. Tatiana cansava istintivamente il problema, contenta se avesse potuto tornare nell’inverno a Pietroburgo con lui, perchè l’amore dell’uomo le svegliava l’amore del mondo.

— Tu non mi ami.

— Cattivo!

— Come faremo dunque?

— Così, e gli diede un bacio.

Loris l’abbracciò stretta. Tatiana sentiva una paura inesprimibilmente deliziosa, tremando fra le sue braccia. Per un momento Loris perdette la testa; si chinò, la morse al collo, la sollevò robustamente correndo verso un divano. Allora Tatiana gettò un grido respingendolo, non le pareva più Loris.

Questi arretrò pallido, senza parlare, ella aveva abbassato la testa, sorpresa come da una improvvisa ripulsione per lui. [p. 66 modifica]

Poco dopo Loris l’intese suonare nella sua camera la delirante dichiarazione d’amore della Traviata: «amami, Alfredo, amami quanto io t’amo».

Un’altra volta che Loris era nella camera del principe, dietro la sua poltrona, Tatiana entrando inavvertita gli si sospese al collo, coprendolo di baci. Ella provava una perfida delizia nel comprometterlo così; ma quel giorno accadde un’altra brutta scena. Siccome Loris aveva finito pel principe un lungo rapporto sull’inchiesta agraria, questi per ricompensa gli offerse un biglietto da cinquanta rubli.

Tatiana sorrise a Loris, tutta contenta del regalo.

Questi invece ricusò di riceverlo; il principe andò in bestia.

— Tu credi che con questi cinquanta rubli intenda pagarti il tuo scritto; anzitutto tu lo stimi troppo, perchè non li vale. Te li do, mi piace di darteli. Bada, gridò alzandosi, se non li prendi, sono capace di sbatterteli sul muso. Sarebbe bella che non potessi fare del mio danaro quello che mi pare!

— Del danaro sì, ma non di me.

Il principe cominciò a passeggiare per la stanza.

— Sei qui anche tu! esclamò scorgendo Tatiana, che si era appressata allo scrittoio. Lo vedi? Ricusa questo regalo per superbia: siete un imbecille. Se aveste davvero della superbia, avreste accettato questi cinquanta rubli, e me li [p. 67 modifica]avreste restituiti in acconto di quanto mi dovete pei quattro anni, che vi ho tenuto qui. Questa sarebbe stata superbia; non siete che un imbecille. Se aveste almeno saputo far questo, vi avrei fatto frustare, ma vi avrei stimato un uomo. Tatiana, conducilo via.

Durante questa scarica d’ingiurie, Loris era diventato livido; poi Tatiana volle ammonirlo. Loris la guardava meravigliato di non essere compreso, l’accento di Tatiana diventava sempre più freddo.

Stettero impermaliti parecchi giorni. A tavola il principe affettava di non vedere Loris, questi perdeva il coraggio di mangiare. Tatiana non sapeva che dire, madama d’Aubrivilliers tentando di annodare una qualche conversazione si attirava dal principe certe occhiate, che parevano schiaffi. Allora Loris si chiuse nella propria camera. Si sentiva più abbandonato della mattina, nella quale era rimasto solo, nella casa deserta, col cadavere della mamma sulle ginocchia accanto alla stufa spenta. Bisognava partire; i milionari non possono amare i poveri, nemmeno volendo.

Ma Loris amava Tatiana; avrebbe voluto abbracciarla, stritolarla sul proprio petto, commettendo magari un delitto per uscire da quella condizione in faccia al principe. Tutti gl’istinti malvagi della sua natura rifermentavano, mentre la ragione più terribilmente limpida ora gli rivelava [p. 68 modifica]la falsità di quei quattro anni. Il principe non era che un vecchio bisbetico, generoso del proprio danaro, non sapendo che farsene; se lo aveva raccolto per carità, fors’anche per un dispetto al vladika, non aveva e non poteva avere nessuna affezione per lui. Perchè dunque Loris avrebbe dovuto essergli grato? Tatiana era una civetta, che giuocava all’amore con lui, come quattro anni prima a mosca cieca. Egli invece l’amava perdutamente: perchè? Perchè si era egli abbandonato a questa passione, che lo ratteneva ancora nel castello a ricevere simili affronti?

Il passato lo riprendeva. Tornava a rivivere gli anni dell’infanzia, quando soffriva la fame, e la mamma era malata e il padre ruggiva bestemmiando per la casa. Allora tutto era vero intorno a lui. Egli rimpiangeva quella miseria, della quale gli rimaneva almeno l’orgoglio di non aver mai piegato dinanzi a nessun altro uomo. Ora invece era un giullare due volte vile e ridicolo.

Evitò Tatiana per tre giorni; il quarto ella gli scrisse un biglietto, ma invece di risponderle Loris cercò d’incontrarla nella sala rossa.

Era un giorno d’estate. Il sole, passando attraverso le tende rosse, riempiva la sala di una luce quasi sanguigna. Loris, che si era finalmente deciso, le offerse di fuggire con lui o di permettergli di andare dal principe a chiedere la sua mano; Tatiana, di umore più chiassoso quel giorno, si mise a ridere. Allora egli la prese per mano, [p. 69 modifica]la condusse al canapè, e con tutto l’impeto della giovinezza le rinnovò per la centesima volta la solita dichiarazione di amore. Il mondo era sparito; non pensava al come avrebbero vissuto, se Tatiana lo seguisse nella fuga e il principe non li riprendesse a qualche versta dal villaggio; non vedeva più che il volto di lei pensieroso, più pallido, col seno che le ansava, e un sorriso tremulo sulla bocca. L’abbracciò. Tatiana invece, sentendo l’impossibilità di quella scena, ne soffriva senza osare di opporsi alla passione di Loris; quindi con abilità istintiva si fece scherzosa per evitare di rispondere alle sue pressanti domande, ma segretamente irritata seco stessa di quella momentanea soggezione.

Loris voleva domandare la sua mano al principe.

Tatiana ebbe un cattivo sorriso:

— Non l’oserai.

— Io!

Pareva che ella si compiacesse d’irritarlo.

— Vorrei essere presente, quando gli farai la domanda. E dopo una pausa: è impossibile, non puoi averne il coraggio.

— Lo avresti tu?

Ella si turbò, ma la sua faccia esprimeva una sfiducia così ingenua, che Loris non ripetè la domanda.

Poi tacque; egli era in preda alla più viva agitazione. Tatiana, mutando discorso, gli parlò di [p. 70 modifica]un abito, che doveva arrivare da Pietroburgo: nella settimana ci sarebbe festa al castello di Viasma. Ella ci andrebbe collo zio. Loris l’ascoltava ricevendo a una a una le sue parole sul cuore come goccie gelate; poi fece un gran gesto drammatico. Tatiana tornò a sorridere.

— Vuoi che ci vada adesso? e scattò in piedi.

Tatiana corse salterellando nel mezzo della stanza, si rivolse, e gli gettò dall’uscio beffardamente:

— Povero Loris!

Sotto questa scudisciata egli s’avviò precipitosamente verso le stanze del principe, a pianterreno; traversando il cortile vide Tatiana alla finestra, che rideva. Evidentemente la fanciulla, non credendo a questa smargiassata, lo beffava colla monelleria dei primi giorni, quando si erano conosciuti. Loris si arrestò: forse a lei parve irresoluto, e gli fece un gran cenno per aria, rinchiudendo la finestra.

Egli era già presso il piccolo uscio a vetri, che dava nell’appartamento del principe.

Nell’anticamera trovò Andrea Ivanovich e Vaska.

— Andate dal principe, batouska? gli chiese colla sua voce buona il vecchio intendente: ci vado anch’io. Vaska vorrebbe domare i due morelli, figli di Gourko e di Letounia.

— Bisognerebbe aver già cominciato, intervenne Vaska battendosi con un grosso frustino sugli stivaloni molli, che gli strozzavano le corte gambe [p. 71 modifica]muscolose: ma il principe, non so perchè, teme che si sciupino.

Loris ebbe un’impressione di ghiaccio a questo discorso così semplice: Andrea Ivanovich notò il suo turbamento.

— Che cosa avete, batouska?

Ma stavano già sull’uscio del gabinetto; era impossibile indietreggiare.

— Avanti, rispose il principe alla piccola battuta di Vaska.

Il gabinetto era vivamente illuminato.

— Che cosa vuoi? si volse il principe a Loris, vedendolo dietro i due servi. Era seduto allo scrittoio ingombro di carte; la sua sottile veste da camera, di seta azzurro cupa, era aperta sul petto lasciando vedere il bianco della camicia. Stava senza berretta.

— Vieni dunque avanti: che cosa vuoi?

Egli si avanzò automaticamente, pallido come un morto, ma non tremava.

Il principe l’osservava meravigliato, e stava per ripetergli la domanda, quando Loris lo prevenne:

— Vengo a chiedervi la mano di Tatiana.

— Che?

Loris non replicò; i servi non avevano bene inteso, ma il principe appoggiando le mani sullo scrittoio, si era chinato verso la sua faccia. Allora Loris ripetè come in sogno:

— La mano di Tatiana...

La cosa parve così enorme al principe che sulle [p. 72 modifica]prime non ne rinvenne: guardava Loris con curiosità non scevra di apprensione. Lo credette impazzito.

— Loris...

Ma questi, avendo finalmente ritrovato tutto il proprio coraggio, si raddrizzò:

— Sono venuto a chiedervi la mano di Tatiana. Non ignoro nè la mia, nè la sua posizione, ella mi ama.

— Tu menti, miserabile! gridò il principe con voce strozzata. Tu, ridicolo figlio di pope, che ho raccolto per carità come un cucciolo, cui fosse morta la cagna...

Loris tentò di rispondere, ma il principe non glie ne lasciò il tempo.

— Ah! ti ama, vigliacco bugiardo! Tatiana, mia nipote, ama un pari tuo... almeno avessi cominciato col dire che l’amavi tu. Tatiana?

— Perchè no? ribattè Loris livido di umiliazione.

— Perchè, perchè? Vaska, si rivolse con un gran gesto al cocchiere; tu Andrea... Ah! Perchè? e respingendo la sedia, che cadde, uscì dallo scrittoio. Si avvicinò a Loris coi pugni chiusi, poi, voltandosi, prese Vaska per una spalla e lo cacciò contro di lui.

— Gettami in terra quel miserabile; in terra, figlio di pope! Tu sposare Tatiana? così, eccoti: è la tua posizione, quella dei pari tuoi. Tienilo dunque anche tu, vecchio Andrea... [p. 73 modifica]

Ma non potè seguitare, la collera lo soffocava.

Vaska alla spinta datagli dal principe si era scagliato su Loris, e lo aveva istantaneamente atterrato con uno sgambetto, cadendogli con ambe le ginocchia sulla schiena e una mano sul collo, prima che il vecchio Andrea, spaventato della scena, avesse pensato a muoversi. Loris nello stramazzare aveva battuto duramente la faccia; tentò istintivamente di liberarsi, ma era come dentro una morsa. Mise un grido, poi più nulla.

— Muoviti dunque, vecchio! gridò il principe spingendo Andrea Ivanovich su Loris: e tu frustami questo miserabile.

Loris, colla faccia schiacciata sul tappeto, non diè un tremito; un mutamento improvviso era avvenuto nel suo spirito, una calma più orribile di qualunque sforzo. Avevano ragione di frustarlo: era il suo pensiero di quel momento, il solo pensiero limpido, indiscutibile.

Ma vi fu un istante d’indecisione negli altri; il vecchio Andrea non sapeva come piegarsi per tenere Loris, e tremava per l’affezione posta a quel ragazzo, e per paura del principe. Vaska, tenendolo così stretto, non poteva maneggiare il frustino, poi non aveva ancora capito bene di che si trattasse. Questa incertezza degli altri rattenne il principe, che si appoggiò con una mano allo scrittoio ansando. Sembrava attendere una parola di Loris.

— Miserabile! tornò a gridare esasperato dal suo silenzio. [p. 74 modifica]

— Debbo spogliarlo? chiese Vaska.

— Frusta sulla schiena così; e dopo una pausa: due colpi soli.

Vaska s’alzò. La sua faccia non esprimeva alcun sentimento; teneva gli occhi su Loris, pronto a scagliarsi se avesse tentato il più piccolo moto. Il vecchio Andrea aveva fatto un passo addietro, Vaska si voltò verso il principe, quasi per attendere un altro ordine, poi girò sapientemente il frustino su Loris, e lo sferzò sulla schiena.

Loris rimase insensibile.

Vi fu un momento d’immobilità, quindi il principe rientrò dietro lo scrittoio. Loris si alzò sulle ginocchia, lentamente; una polvere bianca gli era rimasta, davanti, sul vestito, si drizzò e guardò il principe. Vaska fece un movimento per rattenerlo, ma Loris pareva calmo, solamente la bianchezza della sua faccia non somigliava più a nulla. Andò verso lo scrittoio, fissando il principe.

Questi sostenne fieramente il suo sguardo; Loris abbassò il proprio, si spolverò colla mano una macchia bianca sopra la manica, parve tardare. Poi appoggiandosi allo scrittoio, così che il suo volto toccava quasi quello del principe, gli disse:

— Non vi debbo più nulla.... Auguratevi di essere morto il giorno, che mi vendicherò su quell’altra.

Gli voltò le spalle, raccolse il berretto, ed uscì [p. 75 modifica] senza guardare nè Vaska nè il vecchio Andrea. Ma appena fuori del gabinetto le forze l’abbandonarono, e i muscoli della sua faccia si distesero.

Passando pel cortile il rumore di una finestra gli fece alzare gli occhi; comparve il viso ridente di Tatiana, che gli fece cenno di salire per raccontarle la scena. Ella rideva sempre.

Loris si fermò. Tatiana, spaventata dall’espressione del volto di lui si gettò indietro.

Quella sera Loris dormì nell’isba di Andrea Arsenief; l’indomani ne partì per sempre, e il mugik gli disse salutando colla sua voce buona:

— Dio ci abbandona qualche volta, perchè vuole che noi lo cerchiamo.