Le odi e i frammenti (Pindaro)/Frammenti/Frammenti varii

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Pindaro - Le odi e i frammenti (518 a.C. / 438 a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1927)
Frammenti varii
Frammenti - Lamentazioni
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FRAMMENTI VARII

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I

Di molti frammenti non riesce possibile precisare, sia pure in linea congetturale, a che tipo di composizione appartennero. Questo non scema, naturalmente, né il loro valore intrinseco, né la loro importanza per l’intelligenza del poeta. S’intende che una isolata immagine sfolgorante o una profonda sentenza foggiata in forma perfetta possono illuminare sul genio d’un poeta assai piú d’un’integra ma stanca ed incolore composizione.

Anche per questi frammenti seguo la disposizione del Puech, omettendone alcuni — a cominciar dal primo — che tradotti non potrebbero presentare alcun interesse.

II

Il poeta musicista di cui qui si parla, è quel Senocrate di Locri (Magna Grecia) che Plutarco (De mus., IX) cita come uno dei principali rappresentanti della seconda epoca del lirismo, e che passa per inventore del modo locrio. Pindaro aveva anche frequenti contatti coi Locresi (Olimpia X e XI). Qui è notevole la vivace espressione dell’entusiasmo suscitato [p. 288 modifica] nel suo animo dalla trovata d’un altro poeta — in sostanza d’un rivale.


L’ARMONIA LOCRIA


E questo canto, quest’armonia
pei flauti, un uomo trovò dei Locri,
che, al promontorio Zefirio presso,
oltre l’estremo confin d’Ausonia,
in una ricca
città dimorano.
Esso è di cantici
quasi un veloce
carro, ad Apòlline
atto, e alle Muse.
Io, che coltivo
l’arte con voce sedula, udendolo
sol breve istante
cantare, m’eccito
come delfino
che sovra i flutti del mar tranquillo
scosse di flauti soave squillo.


III

LA CANNA PEI FLAUTI

Scolii d’Ammonio al XXI dell’Iliade. Papiri d’Ossirinco, II, 22. Vi si parla della canna che serviva a fabbricare flauti.

Prima la fonte dall’ampia foce
dell’Acheloo,

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e le fluenti del fiume negro,
l’armonicissimo nutríano calamo.


IV

IL TEMPO

Plut. Quest. Plat., VIII.

Il tempo, signore possente
fra tutti i Beati.


V

LA NASCITA D’ATENA

Efestione, 61. Consbruch. Si parla, naturalmente, di Giove.

Che, percosso da pura bipenne,
diede a luce Atena flava.


VI

NULLA DI TROPPO

Efestione, 161.

I saggi, a quella sentenza pure
diedero lode: nulla di troppo.


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IX

LA FORTUNA

Aristide, II, 334.

Nelle gare non vince la forza,
bensí la fortuna.


X

DARE RAGIONE A TUTTI

Ateneo, XII, 513 c. Dice che erano i consigli d’Anfiarao a suo figlio. È massima turpe, ma, bisogna pur convenirne, indispensabile a viver tranquilli.

Figlio, alla cute del mostro
che vive tra scogli nel mare,
simile resa tua mente,
frequenta qualsiasi città.
Dà ragione a chiunque tu trovi,
di buon grado; ed adotta i pareri
di questo e di quello.


XI

APOLLO FONDA UN SUO TEMPIO

Strab., IX. 412.

E prese lo slancio
per terra e per mare,

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e su le vedette
dei monti ristette,
le valli cercò,
dei suoi templi le basi gittò.
E un dí, d’Atamante la figlia,
i recessi occupò sui tre vertici
del Plòo. . . .


XIV

IL CACCIATORE FEROCE

Scol. Nem., VII, 17. Forse parla Giove.

. . . . . Orïone
di Plèiona corra su l’orme,
e seco il suo cane.


XIX

ONNIPOTENZA DIVINA

Clem. Aless., Strom., V, 1708. Non è detto espressamente pindarico.

Dio può dalla tenebra
della notte far sorgere la luce
senza macchia, e con nuvoli negri
di buio, nascondere
il puro fulgore del dí.


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XX

APOLOLO ISPIRA IL POETA

Efestione, p. 44.

Il duce delle Muse m’invita alla danza.
Il tuo ministro guida, tu celeste Latona.


XXII

I CANTI DEGLI ELLENI

Scol. vatic., Reso, 895. Questo brano, molto corrotto, è tuttavia interessante, perché ci fa vedere con quanta poesia un poeta greco sentisse quella che oggi si chiamerebbe storia della letteratura.

Canti vi sono ch’ogni stagione
pei due figliuoli
suonan di Lato dal fuso d’oro,
ch’han di peani forma. Delirano
i ditirambi
per Bacco, florido di serti d’ellera.
E tre deposero salme tre Dive
nel sonno eterno.
Ed una, ahi Lino, Lino, il melodico
spirito canta:
l’altra, coi funebri
inni, Imenèo
canta, che Morte rapí nei primi
giorni di nozze:

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la terza, Iàlemo,
il cui valore fu da crudele
morte fiaccato.
E il figlio d’Eàgro. . . .


XXIII

IDDIO

Clem. Aless., V. 726.

Iddio che cosa è? Il tutto?


XXIV

TUTTO PROVIENE DA DIO

Clem. Aless., Strom., V, 26.

Tutto il Nume concede ai mortali:
Egli ai cantici accorda la grazia.


XXV

CONDIZIONE DEI NUMI

Plut., De superstit. VI, p. 167.

E da vecchiezza, da morte immuni,
quelli, ed ignari delle fatiche,

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sfuggono il tramite dell’Acheronte
che grave echeggia.


XXVIII

ATENA

Scol., T, II, 100.

Tu che alla destra del padre siedi,
piú presso al fulmine che fuoco spira.


XXX

APOLLO

Ateneo, I, 22 B.

Apollo dall’ampia faretra,
danzatore, signor della festa.


XXXV

BACCO

Plut., De Is. et Osir., p. 365.

Possa Bacco, datore di gioia,
il rigoglio degli alberi accrescere,
egli ch’è pura luce d’Autunno.


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XXXVII

PAN

Paus., III, 25. 2.

Il folle di danze, l’estroso,
cui l’alpe Malèa nutricava,
della Naiade sposo, Sileno.


XXXVIII

DIALOGO FRA OLIMPO E SILENO

Scol., Aristof., Nuv., 223.

O stolto mortale, che futili
inezie mi cianci,
che mi vai la ricchezza esaltando?


XLI

CHI MUORE GIACE

Stob., Floril., 126, 2.

Tradiscono i defunti anche gli amici.

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XLIII

OTO ED EFIALTE

Cramer, Anecd. Oxon., I, 201, 14.

Gittata un’agile scala
nel cielo profondo,
conficcavan le lancie nel corpo
un dell’altro, con strage reciproca.


XLVI

I CENTAURI

Ateneo, 476 b. È la famosa lotta fra Lapiti e Centauri nelle nozze di Piritoo.

Poi che i Centauri sentirono
la forza soave del vino
che gli uomini abbatte,
via dalle mense scagliarono
il candido latte;
e, senza aspettare il coppiere,
da sé, dagli argentei corni
trincando, fûr ebbri.


XLVII

LA MORTE DI CENEO

Ateneo, XI, 476. Appartenne probabilmente alla medesima composizione del frammento precedente. Cenèo, capo [p. - modifica]

[p. 297 modifica]dei Lapiti, era invulnerabile; e i Centauri poterono averne ragione solo seppellendolo sotto tronchi d’abete.

Colpito dai rami d’abete
di fresco recisi,
Cenèo, con un colpo
diritto del piede,
fenduta la terra, sparí.


XLVIII

IL PASTO D’ERCOLE

Ateneo, X, 411, b. Parla il Lapita Coròno, nella cui casa s’era svolta la scena. Come si vede, il motivo comico d’Ercole mangione non era sdegnato neanche dalla poesia austera.

Due corpi di bove ancor caldi
misero sopra i carboni,
e li giraron sul fuoco.
E poi, delle carni lo strepito,
lo sgretolio formidabile
udii dell’ossa. Momento
fu quello opportuno a conoscerlo.


XLIX

L’USO DELLA MORALE

Platone, Gorgia, 484 b. È sentenza sulla quale ciascuno può esercitare la propria riflessione, senza bisogno di sussidii eruditi. [p. 298 modifica]

È d’ogni cosa sovrano l’uso,
per i mortali, per i Celesti:
ei tutto adduce con potentissima
mano, il sopruso sommo giustifica.
V’adduco a prova l’esempio d’Ercole.
Egli ai vestiboli
ciclopî addusse d’Euristio, i greggi
di Gerïone; né comperati
li aveva o chiesti.


LI

LA STRAGE DEI NELIDI

Porfirio, scol. B, II, X, 255. Si parla di Ercole, che uccise Neleo e i suoi dodici figli: rimase in vita solamente Nestore.

Dodici figli d’età fiorente
gli uccise: ei cadde decimoterzo.


LII

PELEO GIOVANE

Scol., Eurip., Androm., 796.

Per mille gesta rifulse
la gioventú di Pelèo
simile ai Numi. Dapprima
col figlio d’Alcmèna
sui campi di Troia

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ei mosse a conquidere il cingolo
dell’Amazzone; e insieme a Giasone
la celebre gesta navale
compié, dalla casa dei Colchi
conquise Medea.


LIII

LE AMAZZONI

Strabone, XII, 544.

Esse reggevano il popolo
di Siria, dall’armi possenti.


LVII

IL CANTO È UN DIADEMA

Scol., Nem., VII. 116.

Per gli Amitaònidi appresto
un dïadema variopinto.


LVIII

IL SILENZIO È D' ORO

Clem. Aless., Strom., I, 345.

Non pronunciare parole
vane al cospetto di tutti.

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C’è quando sono piú fide
le vie del silenzio; ed è pungolo
della lotta l’altera parola.


LIX

CHI SI LODA S’IMBRODA

Scol., Nem., VII, 89.

L’elogio che viene da casa
non mesce che biasimo.


LX

CECITÀ UMANA

Aristide, II, 238. Keil.

Ahimè, come s’inganna
la mente degli effimeri,
che nulla sa veder!


LXI

UN ALLEATO DEGLI ACHEI

Strab., IX, 431.

Fenice guidava dei Dòlopi
le ardite coorti, di frombole

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maestri, che aiuto
coi tiri portassero ai Dànai
di cavalli signori.


LXXI

PINDARO IN CULLA

Biografia ambrosiana di Pindaro, p. 218, ed. Drachmann.

La festa dei buoi
quinquennale, che prima deposto
amorosamente
io fui tra le fasce.


LXXII

IL CANTO È UN MONUMENTO

Aristide, II, 159, Keil.

Ho pei miei cantici sacri
battute le basi nell’oro.
Adesso, un facondo
monumento estruiamo,
con vario color di parole.

· · · · · · · · · · ·
E Tebe, piú chiara di quanta

già non sia, renderà pei sentieri
dei Numi e degli uomini.


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LXXIII

IL LEONE E LE VOLPI

Aristide, II, 159, Keil. Il quale dice che erano parole rivolte da Pindaro a un uditore poco attento. Ma Pindaro non improvvisava. Sarà una delle solite altere uscite contro i suoi subdoli nemici.

Dietro alle volpi temerarie
io sto, come fulvo leone.


LXXIV

UNA STATUA PER TEBE

Scol., Pit., IV, 25.

Tebe dal carro bello, dall’aurea
tunica, statua bella.


LXXVI

SUME SUPERBIAM

Crisippo, Περὶ ὰποφατικῶν, 2. Non è detto esplicitamente che sia di Pindaro; ma l’accento è senza dubbio pindarico.

L’inclita Tebe in me
non ha nutrito un estraneo
ignaro alle Muse.


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LXXVII

UNA FONTE CELEBRE

Ateneo, II, 41, e.

L’acqua ambrosia, dolce come il miele,
de la fonte bella di Tilfossa.


LXXVIII

LA VITA A SPARTA

Plut., Licurgo., 21.

Qui di vecchi savie assemblee,
qui di prodi giovani schiere,
qui canzoni, carole, feste.


LXXIX

LE DONNE DI MENDE

Strab., XVII, 802. Forse la pratica ributtante aveva una base nel culto teriomorfo.

L’egizia Mendète,
vicina a un dirupo marino,
il corno postremo del Nilo.
Costí, con le femmine
si mescono i becchi petulchi.


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LXXXI

L’UVA ACERBA

Zenobio, III, 23. La cita a chiarimento d’un proverbio che diceva, su per giú: «Sciti e cavalli», e la cui sentenza doveva corrispondere alla morale della nostra favola della volpe e dell’uva.

Gli Sciti ipocriti
a parole spregiano
il cavallo morto,
sin che brilla il giorno.
Quando vien la tenebra,
testa e pie’ sottecchi
rodon torno torno.


LXXXIII

ALLA VERITÀ

Stob., Flor., XI. 18.

Verità, che di grandi virtudi
sei principio, non fare che cozzi
il cuor mio contro l’aspra menzogna.


LXXXV

LA FATALITÀ

Plut., Cons. ad Apol., VI.

L’abisso invincibile
ti schiaccia del Tartaro,

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coi ceppi del màlleo
battuti dal Fato.


LXXXVI

NON AVER FRETTA

Stob., Ecl., II, pag. 719, Wachsmuth.

Il frutto di saggezza cogliere non maturo.


LXXXVII

LA TRISTA GENTE

Plut., De cohib. ira, VII.

La gente ambizïosa, e di contese
vaga, è della città danno palese.


LXXXIX

INVIDIA E STUPIDITÀ

Plut., De inimic., Util., X.

Invidia e teste sceme
le vedi sempre insieme.


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XC

SCETTICISMO

Plat., Repub., II, 365 b. Veramente, la massima è piú degna di Simonide che di Pindaro.

Con la giustizia sopra fastigi
piú eccelsi adergersi
può la terrigena stirpe degli uomini,
o con le oblique menzogne? Io pèncolo
fra due, se cerco la verità.


XCI

SPES ULTIMA DEA

Plat., Rep., I, 33.

Speranza, la dolce
dei vecchi nutrice,
molcendogli il cuore,
vicina gli sta,
che volge degli uomini
lo spirto volubil, qua e là.


XCII

PAESE CHE VAI USANZA CHE TROVI

Cramer, Anecd., Par., II, 154, 13.

D’usanze han gli uomini varia dovizia,
ciascuno loda la sua giustizia.


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XCV

NATURA NON FALLA

Plut., Quest. conv., VII, V, 3.

Nulla è biasimevole,
nulla è da mutare, di quanto
la fulgida terra
e i flutti del mare producono.


XCVI

VARIETÀ DEI GUSTI

Sesto Empir., Hyp. Pyrr., p. 20, Bekker. Fa pensare alla famosa prima ode d’Orazio.

Seducono alcuni
i fregi ed i serti
dei cavalli dal pie’ di tempesta:
altri, amano vivere
nei talami d’oro opulenti:
e c’è chi si allieta
la vita arrischiare
su rapida nave
tra i flutti del mare.


XCVII

ORO PERFEZIONE

Scol., Pit., IV, 407.

L’oro è di Giove prole:
non lo rodono vermi, e non tignuole.


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XCIX

LA PROTEZIONE DEI NUMI

Scol., II, XVII, 98.

Schivar tanto un Nume conviene,
quanto un uomo che il Nume sostiene.


C

CHI HA FORTUNA NON HA CUORE

Scol., Olimp., II, 42.

Se la gioia a un mortale un Nume invia,
il negro cuore gl’indurisce pria.


CI

PRIMA CHARITAS AB EGO

Aristide, II, 238.

Nessuno il proprio mal cerca da sé.


CII

LAVORO E FAMA

Clem. Aless., Strom., IV, 586.

Dei giovani le cure
che con pena si svolgono,

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trovan la fama; e l’opere col tempo
brillano alte nell’ètere.


CIII

MERITO E INTRIGHI

Plut., An seni, etc., I.

Spesso il cavillo nelle gare fa
che sul valor si stenda oscurità.


CIV

I VINTI

Scol. Olymp., VIII, 92.

Nel silenzio irretiti,
i vinti non ardiscono
farsi avanti agli amici.


CVII

ONNIPOTENZA DEL DESTINO

Plat., Marcello, XXIX.

Né fuoco, né muro di ferro
arrestano il destino.


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CVIII

OMNIA IMMUNDA IMMUNDIS

Clem. Aless., Paed., III, 307.

Nulla di fido c’è per gl’infidi.


CIX

OGNI COSA AL SUO POSTO

Plut., De vita mor., p. 451.

Il cavallo sotto il cocchio,
il bue sotto l’aratro.
Presso la nave il delfino
si lancia rapidissimo.
E, se morte disegni ad un apro,
trovar devi un tenace segugio.


CXI-CXII

LE GREGGI DI CIRCE

Scol., Pit., II, 31.

Quivi addomesticate sono greggi
di cinghiali e di leoni.


· · · · · · · · · · ·

Erod., De fig. (Rhet. gr. III, 100, Spengel).

Gravi ruggiti mandano
le schiere dei leoni.