Melmoth o l'uomo errante/Volume I/Capitolo V

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Volume I - Capitolo V

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
Volume I - Capitolo V
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CAPITOLO V.


La sera susseguente Melmoth si ritirò di buon’ora. Il poco riposo, che aveva gustato la notte antecedente, gli rendeva necessario il sonno, e la malinconia del tempo non gl’ispirava il desiderio di prolungare la giornata. Era la fine dell’autunno; folte e grosse nubi trascorreano lentamente per lo cielo, come per uniformarsi alla noia che l’anima prova in questa stagione dell’anno. Non cadeva però neppure una gocciola di pioggia; le [p. 128 modifica]nuvole accatastandosi una sull’altra presagivano una orribil tempesta, nè la minaccia tardò a realizzarsi. La serata offriva una oscurità prematura, e degli improvvisi ed impetuosi colpi di vento facevano crollare la casa fino alle fondamenta. All’avvicinarsi però della notte la burrasca si spiegò con tutta la sua forza. Il letto di Melmoth era agitato, e scosso al punto di toglierli ogni possibilità di dormire; si alzò e discese nella cucina, ove i domestici radunatisi tutti se ne stavano intorno al focolare. Tutti convenivano di non aver mai sentita una burrasca simile a quella, e nell’intervallo de’ colpi di vento, che scendevano giù pel camino, essi offrivano preci al cielo per coloro che in tanto terribil notte si trovavano in mare. La prossimità della spiaggia, che era di quelle, che i marini chiamano fondo mal sicuro, aggiungeva ai loro voti una terribil sincerità.

Melmoth frattanto non tardò ad accorgersi, che il loro spirito era preoccupato da altri terrori, oltre quello ispirato dalla tempesta. [p. 129 modifica]Sembrava che tutti la credessero intimamente collegata con la morte recente del loro vecchio padrone, e con la vista dello straordinario personaggio, sulla cui esistenza non aveano il minimo dubbio. Essi si comunicavano a vicenda i loro dubbi e timori a voce bassa; ma assai distintamente, così che Melmoth passeggiando a gran passi per la cucina, potè molto bene sentire ciò che dicevano. Lo spavento ama l’associazione delle idee, e si compiace di collegare l’agitazione degli elementi con quella della vita dell’uomo. Il vento, i lampi, il fragor dei tuoni trovano sempre alcuno, la cui immaginazione riconosce in essi la conseguenza o il presagio di una calamità; essi hanno sempre relazione con la sorte de’ viventi o col destino de’ trapassati.

Egli è partito con questo colpo di vento, disse una vecchia femmina, togliendosi la pipa di bocca, e cercando invano di riaccenderla con le ceneri che il vento aveva disperse sul piano del focolare.

Egli ritornerà, gridò un’altra, [p. 130 modifica]tornerà; desso non riposa mai! grida e si lamenta fino a tanto che abbia detto una certa cosa, che non ha mai potuto dire mentre viveva. Dio ci tenga sotto la sua santa custodia, aggiunse quindi abbassandosi per parlare più da vicino al camino, come se avesse voluto indirizzar la parola a quell’anima orrante ed inquieta: Ditemi, proseguiva a dire, ditemi che cosa desiderate e fate cessare la tempesta. Vi consentite voi? Il vento gli rispose con un sibilo acuto e spaventoso: la vecchia si ritrasse sentendosi imbrividire il sangue.

Se questo è quello, che volete, prendetelo, disse una giovanetta che Melmoth non aveva ancora osservata, e dicendo queste parole si tolse con impito i pezzi di foglio co’ quali aveva ripresi ed arricciati i suoi capelli, e li gettò sul fuoco. Cotesta azione fece risovvenire Melmoth di una storiella ridicola, che gli era stata raccontata la sera antecedente. Pare che questa giovinetta per arricciarsi i capelli avesse fatto uso di alcuni vecchi fogli di famiglia trovati a caso, e che [p. 131 modifica]erano affatto inutili; ella dunque immaginò, che il rumore terribile che si faceva in alto, provenisse dell’essersi impadronita di una cosa appartenente al defunto; pensò dunque di tosto disfarsene aggiungendo: Andiamo, andiamo, siate contento così in nome del signore. Ora che avete riavuto quello che desiderate, lasciateci tranquilli.

Melmoth a questa apostrofe non potè rattenere le risa. Ad un tratto si arresta avendo sentito un rumore che non era quello del vento. Zitto! grida, silenzio! Mi è sembrato di udire un colpo di cannone. Vi è qualche naviglio vicino alla costa. Tutti si posero in ascolto. Noi abbiamo già detto antecedentemente che la casa di Melmoth era vicina al mare; e perciò i suoi abitanti erano accostumati ai nuafragi e a tutti gli orrori da cui sono essi accompagnati, e dobbiamo render giustizia al vero, dicendo, che giammai segnale di pericolo imminente e di angustia gli avevano trovati lenti a correre in soccorso de’ loro simili. [p. 132 modifica]

Tutti i domestici fissarono i loro sguardi in Melmoth: sarebbesi detto, che i suoi occhi potevano svelare i segreti degli abissi. Il vento si calmò per un momento, e questo momento fu passato in un triste silenzio e nella più dolorosa aspettativa. Lo stesso suono si ripetè e nessuno poteva più ingannarsi. È un colpo di cannone; vi è un naviglio in pericolo, gridò Melmoth slanciandosi fuori della cucina e dicendo agli uomini di seguirlo.

Essi non si fecero pregare, non desiderando altro che di andare incontro al periglio. Una tempesta è meno terribile per chi si trova all’aria aperta, che per uno che stia rinchiuso tra quattro muraglie. Essa risveglia l’energia di quelli, che vi si trovano esposti, gli stimola ad agire, e lusinga la loro vanità, mentre quelli che rimangono in casa provano un bisogno di azione, che loro fa quasi preferire i patimenti ed il timore.

Non è possibile descrivere la confusione, che ad un tratto si vide sparsa per tutta la casa. Da tutte le [p. 133 modifica]parti andavano in cerca di vecchi e logori vestiti, di vecchi stivali, di vecchi cappelli del defunto. In questo frattempo Melmoth era salito alla camera più alta della casa. Il vento ne aveva spezzata la finestra. Se il cielo non fosse stato onninamente buio avrebbe egli potuto distinguere il mare e una grande estenzione di costa. Sporse in fuori la testa il più che potè, ritenendo il respiro, per meglio sentire e meglio vedere. La notte era tetra; ma il suo occhio renduto penetrante dalla inquietudine, finì col distinguere un lume ad una grande distanza in mare. Un colpo di vento lo sforzò a ritirarsi per un momento; quando si riaffacciò vide una debole luce, che fu immantinente seguita da un colpo di cannone.

Non gli bisognò di più, ed in meno di cinque minuti Melmoth con la sua gente erano sulla riva del mare. Questa non era a grande distanza, ma la violenza del vento ritardava il loro cammino; l’inquietudine faceva che questo sembrasse ancor più [p. 134 modifica]malinconico. Di tanto in tanto si dicevan fra loro con una voce interrotta: Risvegliate agli abitanti di questa capanna: — In questa casa si vede del lume. — Ciò non deve far maraviglia. — Chi potrebbe dormire in una notte simile? — Tenete la lanterna un poco più bassa. — È impossibile di tenersi fermi su questa sabbia.

Un altro colpo di cannone! gridarono tutti ad un tratto distinguendo fra le tenebre una luce improvvisa, che fu tosto seguita dal fragore del colpo, il quale rimbombò per la spiaggia circonvicina. Ecco lo scoglio, soggiunsero di poi, teniamoci bene stretti fra noi e non ci abbandoniamo.

Gran Dio! esclamò Melmoth, che era nel numero di quelli, che si erano inoltrati di più, qual notte e quale spettacolo! Alzate la lanterna. Non sentite anco voi delle grida? Fate loro un segnale; fate loro comprendere che possono sperare e che il soccorso è presso di loro. Fermate, aggiunse dopo un breve istante, [p. 135 modifica]lasciate salir me sullo scoglio; essi intenderanno le mie grida.

E così dicendo si mise a traversar temerariamente il seno di mare, che li separava dal promontorio su cui voleva salire, intanto che la schiuma delle onde, dalle quali era circondato, minacciava di ricoprirlo. Alla fine pervenne sulla sommità, e fiero del successo si mise a gridare a tutto suo potere. Ma la sua voce si perdeva nella tempesta; appena egli stesso udiva la propria voce. In quell’istante le nuvole, spinte dal vento con rapidità, lasciarono un poco di spazio vuoto, e la luna venne a dissipare l’oscurità. Melmoth vide distintamente la nave, e ne riconobbe tutto il pericolo. Essa aveva urtato contro una roccia al di sopra della quale i cavalloni lanciavano la schiuma all’altezza di più di trenta piedi. Il corpo del naviglio era metà sott’acqua; l’albero di maestra era spezzato; il sartiame tutto lacero, e ad ogni ondata che strisciava sul ponte Melmoth sentiva le grida di quelli, che eran da quella portati via [p. 136 modifica]seco, o di quelli che avendo perdute ugualmente le forze e il coraggio, non conservavano più speranza, ed aspettavano un’altra ondata che loro facesse altrettanto. Non vi è cosa più orribile di veder perire delle umane creature poste sì vicino a noi, alle quali basterebbe in certo modo stender loro la mano per salvarne almeno alcune, senza che sia possibile eseguire il semplice movimento, dal quale dipenderebbe la loro salvezza. Melmoth lo sentì, e fu sì penetrato della inutilità de’ suoi sforzi, che i suoi inarticolati clamori imitavano a perfezione il rumore de’ venti che gli sibilavano intorno.

Intanto la gente di que’ contorni allarmata dalla infausta notizia, che una nave stava per calare a fondo e perdersi in vicinanza della spiaggia, rivava in folla sulla riva, e quegli stessi che o per esperienza, o per convinzione, o per ignoranza non cessavano di ripetere, ch’era impossibile di poter salvare la nave, che tutto l’equipaggio doveva infallibilmente morire, questi medesimi [p. 137 modifica]affrettavano il passo, come se fossero stati impazienti di veder avverate le loro predizioni, quantunque si sforzassero di distorne l’effetto.

Fra tutti gli altri però rimarcavasi un uomo, il quale assicurava che la nave sarebbesi sommersa prima che essi fossero arrivati alla spiaggia. Salito sopra un’altura e vedendo lo stato disperato de’ naufraghi, disse con un’aria di trionfo: Non ve lo aveva io detto? Non aveva io forse ragione e quanto più la tempesta aumentava, tanto più elevava la voce per dire: non aveva io forse ragione? e ripeteva questa frase in mezzo alle grida dell’equipaggio, che periva. Stravagante, o per meglio dire, barbaro sentimento di vanità, che innalza de’ trionfi in seno delle tombe! Per lo stesso motivo talvolta vien dato un consiglio ad un infelice, e quando la di lui disgrazia è pervenuta al colmo, colui che lo ha dato si consola coll’idea di averlo predetto. Del rimanente, l’uomo, che in tal guisa favellava, aveva il cuore generoso e sensibile; e ne diede [p. 138 modifica]delle prove in quella medesima notte; conciossiachè perì il misero mentre cercava di salvar la vita ad un marinaio, che si forzava di salvarsi a nuoto, e non era più di venti passi distante da lui.

Intanto tutta la riva era ricoperta di persone accorse in aiuto; le roccie sembravano esser animate, ma era denegato di prestare ogni assistenza. Non fu possibile di mettere in mare neppure il più piccolo palischermo; tanto era il mare tempestoso e furente! Solo si sentivano le grida risuonare dall’una all’altra roccia; grida terribili e funeste, che annunziavano ad un tempo agl’infelici naufraghi la prossimità e l’impossibilità del soccorso. Mediante la luce che sfolgorava dalle lanterne, essi vedevano la riva popolata di abitatori, dai quali erano separati dai mugghianti marosi, barriera insormontabile! Fu in tal momento che Melmoth si risvegliò da un orribile stupore, al quale aveva dovuto, benchè involontariamente, cedere; diede un’occhiata intorno a se, e [p. 139 modifica]veggendo l’attenzione di tante persone verso lo stesso oggetto diretta, e nella vana speranza di soccorrere quegli infelici, esclamò: Il cuore umano è dunque realmente buono, quando esso eccitato dalle sofferenze e dai patimenti dei suoi simili! Ma non ebbe il tempo di abbandonarsi a questa dolce e consolante riflessione, che ne fu distolto immantinente dal vedere alla distanza di alcune tese sopra di sè una persona stante in piedi sulla rupe, e che non dava segno nè di compassione nè di terrore. Esso era immobile, e non proferiva accento, nè s’offriva a dare verun soccorso. Melmoth poteva sostenersi appena sullo scoglio sdrucciolevole, ove era salito; l’incognito quantunque stesse in un luogo più elevato, pareva immobile più della stessa rupe. Egli non era commosso pella tempesta nè dal miserando spettacolo che aveva innanzi agli occhi. Le vesti di Melmoth erano in brani; malgrado tutti i suoi sforzi quelle dello straniero non si movevano punto nè poco al soffiar [p. 140 modifica]della procella. Una tal circostanza, quantunque fosse da ammirar sommamente, colpì meno il nostro giovane, che non la insensibilità, che egli testimoniava al terrore ed ai pericoli da cui era circondato; onde esclamò vivamente: Giusto cielo! possibile, che una creatura umana rimanga là senza fare uno sforzo, senza esprimere un sentimento in favore di questi miseri che sono prossimi a perire? Dopo alcuni istanti di silenzio egli intese distintamente questa parola: muoiano. Alzò gli occhi, e vide lo straniero che era tuttora al medesimo posto con le braccia incrociate sul petto, con un piede sporto in avanti, immobile in mezzo alle onde spumose dalle quali era incalzato. Per mezzo del pallido raggio della luna Melmoth potè osservare che esso considerava quella scena con una espressione di fisonomia formidabile, crudele, la quale attitudine non poteva se non muovere ad ira. In quel momento medesimo un maroso andò ad urtare con impeto contro la parte della nave che [p. 141 modifica]rimaneva ancora a fior d’acqua, ed un grido di orrore uscì dalla bocca di tutti gli spettatori.

Subito che questo grido ebbe cessato di risuonare, Melmoth sentì uno scroscio di risa per cui il sangue gli si gelò nelle vene. Il medesimo proveniva dal personaggio situato al di sopra di lui. Ad un tratto una rimembranza venne a rischiarargli l’intelletto con la rapidità del baleno. Si rammento di ciò che il manoscritto diceva della notte in cui Stanton incontrossi per la prima volta in Ispagna con cotesto ente straordinario, la cui esistenza cotanto maravigliosa, e che si burlava del tempo e dello spazio, ebbe in seguito una sì fatale influenza sul destino di lui. Si risovvenne del riso infernale, col quale esso aveva contemplato i cadaveri de’ due amanti colpiti ed annientati dal fulmine. Melmoth credette di aver udito quel medesimo riso, e non dubitò che il medesimo straordinario ed indefinibile personaggio si trovasse a sè vicino. Senza entrare in alcuna considerazione si [p. 142 modifica]affrettò a salire su per l’erta, e già già non più di pochi piedi era lontano da quel oggetto, che dì e notte gli teneva ingombrata la mente, ed avrebbe potuto quasi toccarlo, se stesa avesse la mano. Non gli rimaneva da fare che un passo per giugnere alla sommità della rupe; si attiene arrampicandosi ad un masso, questo frana, si distacca e Melmoth cade giù rotolando fino al basso, ove sembra che le onde siano preparate per inghiottirlo.

Dapprima egli non si accorse di tutta la profondità della caduta; intese bensì il fragore dell’acqua che si divise in due parti. Egli andò in un momento al fondo ed incontanente ritornò alla superficie. Si dibatteva senza poter trovar nulla da afferrare. Il suono di migliaia di trombe romoreggiava nelle sue orecchie; delle fiamme ardenti gli uscivan da gli occhi. Finalmente perdette la conoscenza, e non riprese l’uso de’ sensi, se non dopo il giro di parecchi giorni, quando si ritrovò nel suo letto, con la vecchia governante vicina [p. 143 modifica]al capezzale. Il primo suo movimento fu di esclamare con voce languente: Che sogno terribile! e ricadendo sull’origliere soggiunse: come ha spossate le mie forze!