Novelle cinesi tolte dal Lung-Tu-Kung-Ngan/Novella II

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Novella II - Il bonzo e la vedova

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Autori vari - Novelle cinesi tolte dal Lung-Tu-Kung-Ngan (Antichità)
Traduzione dal cinese di Carlo Puini (1872)
Novella II - Il bonzo e la vedova
Novella I Novella III

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II.


IL BONZO E LA VEDOVA




Si narra che nel territorio di Si-ngan-fu, nella casa dei Me, famiglia illustre e cospicua per immense ricchezze, fu già una donna per nome Tang-sci, madre di quattro figli. Il maggiore di questi si chiamava Ko-hiao, il secondogenito Ko-ti, il terzo Ko-ciung, il quarto Ko-sin.

Ko-hiao soprintendeva alla casa, e ne dirigeva gli affari; Ko-ti esercitava la marcatura in paese straniero; Ko-ciung, datosi agli studi delle lettere e della filosofia, e ottenuto il grado di Sieu-zai1, pei suoi frequenti e splendidi successi s’acquistò nome di letterato, e prese da sè ad istruire il suo minor fratello Ko-sin. Essi scambievolmente si usavano le più assidue premure, e si amavano di tal tenerezza, che mai l’uno per un momento non si discostava dall’altro.

Sventuratamente, Ko-ciung, il letterato, per non essere riuscito in uno degli ultimi esami2, fu còlto da fiera malattia [p. 12 modifica]che mentre gli turbava lo spirito, lo costringeva a giacersene in letto. Ko-sin ad ogni momento entrava nella camera del fratello per informarsi del suo stato di salute, e prestargli le più amorevoli cure.

Osservando egli la straordinaria bellezza di sua cognata Ziang Sciu-ceng, sposa dell’ammalato, che era veramente tale da affascinare ognuno che la mirasse, temette che fomite alla malattia del fratello fosse la mancanza di calma, e che forse i desideri eccitati dall’avvenenza e leggiadria della consorte, gli potessero nuocere a segno da farlo aggravare ogni giorno di più, per modo che assolutamente non sarebbe potuto risorgere. Espresso pertanto il desiderio di trasportarlo nella libreria, dove la quiete gli sarebbe stata di ristoro al corpo e allo spirito: esser questo l’unico mezzo che forse lo avrebbe salvato dall’imminente pericolo di morte. Sciu-ceng, per l’amore che portava al marito, non volle a nessun patto che egli uscisse dalla camera nuziale, e al desiderio espresso dal cognato rispose: — L’infermo non è in istato da poterlo trasportare altrove; e poi nel gabinetto da studio non v’ha persona che possa essere attenta e sollecita a prodigargli le cure che gli son necessarie, come ben si può fare mentre egli è qui nel cuore della famiglia; ove ad ogni istante gli si può apprestare ora un po’ di brodo, ora un medicamento, a seconda del bisogno. Queste considerazioni ch’io faccio sono dettate da quell’affezione sincera ed onesta che unisce i nostri cuori, nè certo per secondare i desideri d’una smodata passione io cerco di non abbandonare il letto di mio marito. — Per tal risposta Ko-sin fu grandemente contristato in cuor suo3, nè lo nascose.

Parenti ed amici venivano di continuo a domandar le nuove dell’ammalato, e veduto che l’avevano, ciascuno sospirando diceva: Povero Ko-ciung! Ha studiato tanto ch’ei s’è rovinata la salute. — Ma Ko-sin con un sospiro rispondeva: Eh amici, se il fratel mio non si rià, non è perchè egli si sia troppo affaticato a studiare. Quanti eroi e quanti saggi uomini, da che mondo è mondo, non perirono a causa di donne? — In così dire, due grosse lagrime gli solcavan le guance, e i parenti e [p. 13 modifica]gli amici udendo quelle parole, molto temevano per la sorte del malato, e irresoluti per qualche momento, si stringevano nelle spalle e partivano.

Infatti la malattia di Ko-ciung s’aggravò tanto, che la povera moglie, ridotta alla disperazione, mandò a chiamare il cognato. Questi come fu venuto a lei, non potendo frenare lo sdegno, le disse: Quando, pochi giorni or sono io vi consigliava di trasportar mio fratello nella biblioteca, perchè ivi, nella quiete del luogo, fosse curata con maggiore efficacia la malattia, voi non voleste porgermi ascolto. Ora che posso io fare? A che pro chiamarmi?

A così dure parole la donna si stette muta di mortificazione e di angoscia. Intanto Ko-sin s’avvicinò al letto del moribondo; e questi vistosi al lato il fratello, con gli occhi lacrimosi incominciò: Amico, il mio caso è disperato, e fra poco non sarò più. Se ami lo studio, se vuoi gli onori letterari, non dimenticare le istruzioni che sempre ti ho date. Tua cognata nel fiore degli anni rimane vedova; nel vigore della gioventù dovrà condurre vita casta e pura; trattala con benevolenza, abbi per lei ogni riguardo. — Finite queste parole spirò, e Ko-sin in preda a tal dolore che non soffriva consolazione, prese il più stretto bruno; e senza omettere la menoma cerimonia dei riti funebri, seppellì il cadavere dell’amat0 fratello.

Dall’infausto avvenimento ognuno faceva a gara, co’ suoi servigi, per rendere men dura la sorte della vedova; ed ella, divenuta l’oggetto del più alto rispetto, non aveva persona che osasse farle il menomo affronto o trattarla inurbanamente. I giovani e i vecchi dell’intiera famiglia commiseravano l’immatura morte del buon Ko-ciung; ed ogni sette giorni, per celebrargli un ufficio, pregavano da ogni parte bonzi e taosse che volessero fare un po’ di bene all’anima del defunto.

Al colmo dell’amarezza, la vedova Sciu-ceng si lamentava, gemeva; e il sangue del suo pianto le inondava continuamente le gote. Non v’era modo di indurla a cibarsi, ad accostare alle labbra una goccia d’acqua, una tazza di brodo: in quindici giorni era divenuta talmente estenuata e macilenta, da far temere [p. 14 modifica]che ella sarebbe finita di crepacuore. In tal miserando stato passò un centinaio di giorni, finchè le consolazioni dei genitori, gli amorosi conforti dei più autorevoli della famiglia e le dolci parole delle cognate la racconsolarono alquanto: a poco a poco riebbe il gusto dei cibi, a poco a poco i suoi spiriti si rianimarono, e se non ancor sorridente, il suo viso poteva già dirsi rasserenato.

Con l’andar del tempo, l’aspetto di lei riprese l’antica leggiadria; e quantunque nei suoi acconciamenti non usasse sfoggiare di piume e di perle, e non prodigasse biacca e belletto alle sue guancie, così naturalmente, bella e vezzosa come ella era, innamorava ognuno. Quella schietta riservatezza, quella delicata eleganza, quel tuono stesso così flebile della voce, e quei cari occhi ancora irrorati di lacrime erano irresistibili attrattive per tutti. Ma il suo carattere nobilissimo e fermo, il suo parlare squisitamente modesto e dignitoso, la sua condotta per ogni lato esemplare, non permettevano che il menomo dei vizi mondani riuscisse ad offuscar lo splendore di tante virtù.

Già era quasi trascorso un anno, quando il padre della vedova, Ziang Kuang-kuo, con tutto comodo avendo preparato i regali d’uso venne in persona a rinnovare con più solennità un ufficio funebre all’anima del genero; e profittando della circostanza che un suo nipote, Ziang Kia-yuen, erasi reso taosse nel convento di Ze-yun, per farsi tanto maggior merito in casa i Me, seco lo condusse; e condusse pur seco altri due novizi, suoi parenti anch’essi, cioè Ziang Ta-heng e Ziang Sci-hoa diacono buddista; e finalmente s’unì a loro il taosse Yen Hoa-yuen, per far da maestro di cerimonie. Questo sfarzo di pietà non soddisfece gran fatto Ko-sin, il quale manifestando schietto il suo pensiero a Kuang-kuo, dissegli: Veramente noi riceviamo molte e generose testimonianze d’affetto dal nostro venerabile parente; ma io tengo per fermo che tutto quel che voi fate non abbia utilità veruna. — Kuang-kuo, dolente e indispettito per queste parole, senza dargli risposta entrò nell’appartamento interno ove abitava la vedova Sciu-ceng, e informandola del fatto, le disse: Se io sono venuto ad onorare [p. 15 modifica]la memoria di vostro marito, certo l’ho fatto con le migliori intenzioni del mondo, e non so comprendere perchè il vostro giovane cognato se ne mostri scontento. Se disprezza in così fatto modo un fratello maggiore, figuriamoci come tratterà voi! — Io ve ne dirò la ragione, disse allora la vedova Sciu-ceng a suo padre: quando il povero Ko-ciung giaceva ammalato, egli mi esortò un giorno a trasportarlo dalla nostra camera alla biblioteca. Io, che voleva star presso a mio marito per essere pronta a servirlo in ogni occorrenza, non acconsentii. Venuto questi a morte, Ko-sin per averlo io contrariato mi prese in tanta avversione, che da un anno in qua non è mai venuto a farmi visita. Eppure, prima di morire, mio marito non mancò di raccomandarmi a lui caldamente! E se ora mi tratta a questo modo, come ci potremo aspettare qualche cosa di buono da lui? — Udite queste parole della figlia, il mal animo di Kuang-kuo contro Ko-sin s’accrebbe senza misura.

Come si fu a celebrare l’uffizio, e quando esso era già sul finire, al momento cioè d’intonare le ultime preghiere all’anima del defunto, Kuang-kuo ritornò dalla figlia per invitarla a venire, dicendole: I taosse celebranti sono tutti, può dirsi, gente di casa e parenti; senza ostacolo dunque tu puoi lasciare le tue stanze per venire ad inchinarti dinanzi all’anima. Sciu-ceng che, immersa nella tristezza, sentiva già il bisogno di sfogare la piena del dolore che la travagliava, udite le parole del padre, di gran cuore, e tutta in lacrime, accorse, e si prostrò divotamente innanzi all’ombra del caro estinto.

L’atto gentile e pio di quella bella addolorata destò un’amorosa pietà nel cuore di tutti gli astanti. Solo quel fetido frate di Yen Hoa-yuen, al primo vederla, disse in cuor suo: Capperi! avevo sentito dire che la signor Sciu-ceng fosse la più bella donna del nostro secolo; or quantunque io la vegga così per casa, e dopo tanti giorni passati nel dolore di un lungo lutto, pure, così com’è, ella è davvero fra le belle sovrana. Or che sarebbe a vederla senza tristezza, senza cordoglio! Che sarebbe a intrattenersi giocondamente con lei! Come un uomo non ne morrebbe di voluttà? — Così trascinato il frate da’ suoi [p. 16 modifica]lascivi pensieri, fermò in cuor suo d’attentare al pudore della castissima donna.

La notte era già molto inoltrata, e certe ultime cerimonie dei taosse4 già terminate, quando i religiosi, dopo i soliti inchini di comiato, partirono. Ma intanto Kuang-kuo aveva detto alla figlia: Kia-yen, Ta-hiang e Sci-hoa sono tutt’e tre persone della nostra famiglia, e un piccolo regalo basterà a compensargli, poichè son certo che essi non guarderanno al più o al meno. Ma quanto al reverendo Yen, essendo egli persona di differente casato5, sarà d’uopo accomiatarlo con più generoso regalo. — Sciu-ceng uniformandosi ai desideri del padre, accrebbe il presente destinato al reverendo Yen, aggiungendovi un gruppetto d’argento. — Com’era possibile conoscere i disonesti propositi di costui? Egli si fece ben sentire da tutti a prender comiato con molti ringraziamenti, e prima dei suoi compagni si pose in via; ma poi nascostamente trovò modo di rimpiattarsi in un cantuccio del piano superiore a quello destinato alle donne. Poco ebbe quivi ad aspettare, che presto la casa fu tutta silenzio. Allora si mise a fare un certo rumore come di topi che rosicassero. Sciu-ceng, udendo ciò, con in mano la candela s’avviò per vedere che fosse: il frate allora fu pronto a lanciarle un potentissimo filtro6, atto ad indurre in ogni più onesta donna un inconsapevol desiderio di lincenziosi abbracciamenti. Sciu-ceng non appena fu tocca dall’incantato farmaco, si sentì in preda ad un disordinato senso di voluttà, per modo che, con atto d’amore, accolse il taosse fra le sue braccia. Parevale di esser trasportata sulle nubi, che inestricabilmente la circondassero e l’avvolgessero; e che poi delle nubi si facesse una larga fiumana, di cui ella (com’era il suo inganno) dilettosamente si dava in balìa, pur sempre stringendo fra le sue mani una mano.....

Già l’alba incominciava a biancheggiare in cielo, quando i vapori del filtro si dileguarono, e con essi il loro magico effetto. Allora la donna conobbe che per via d’incantesimi qualcuno, avendole ottenebrata la mente, le aveva infuso nelle vene un fuoco divoratore per costringerla a macchiare la sua castità, che [p. 17 modifica]pura voleva serbare nel vedovile suo stato. La verità che allora le apparve agli occhi, la immerse in tal vergogna e dispetto, che, morsasi la lingua, se la recise; e vomitando sangue, in poco d’ora morì d’angoscia. Hoa-yuen, saziata per tal modo l’impudica sua voglia, e mutato per virtù magica aspetto e figura, si mosse per partire. Ma prima d’allontanarsi depose sul petto della misera vedova l’involto d’argento, che ella stessa gli aveva largito in dono; perchè sperava ch’ella si sarebbe riavuta, e in quell’oggetto avrebbe veduto un segno della gratitudine di lui.

Era già ben alto il sole sull’orizzonte, e già preparata la refezione del mattino, quando Kiu-hiang, l’intima ancella dell’infelice Sciu-ceng, entrava nella camera di questa, apportando, come soleva, un bacino pien d’acqua. Chiamò ella la padrona, perchè si pettinasse e lavasse; ma osservando da per tutto, non vide nella camera tracce della sventurata, onde salì per cercarla nella galleria superiore. Allora vide il cadavere della vedova, giacente sur una coltre di lana, che era ivi a terra. Kiu-hiang piena di spavento andò in fretta a narrare il fatto a Ko-hiao e a Ko-sin, gridando: Accorrete, accorrete! la padrona è stesa morta in una delle stanze disopra alla sua camera. — Ko-hiao e Ko-sin saliti subito al luogo indicato, s’accorsero infatti che la povera Sciu-ceng aveva reso l’ultimo fiato; e l’aria fu piena dei gemiti e dei pianti, che il dolore strappava dai petti degli sconsolati parenti. Le donne di servizio trasportarono il corpo della infelice nella gran sala, per deporlo nella cassa mortuaria. Ma mentre discendevano dal luogo del funesto avvenimento, cadde di sul petto al cadavere della vedova il gruppetto d’argento, che v’avea deposto il taosse prima di partire; e Kiu-hiang, che veniva dietro, subito lo raccolse e lo nascose.

Kuang-kuo, che se ne stava ancora nella biblioteca del defunto suo genero, udito che la figlia era morta, prima che al pianto si sentì mosso all’ira, e proruppe: Questo è certo Ko-sin che l’ha uccisa! il cognato l’ha uccisa! — E fuori di sè entrò nella sala, ove si era trasportato il corpo di Sciu-ceng. [p. 18 modifica]Là, versando lacrime di dolore e di rabbia, con grida disperate diceva: Mia figlia, mia figlia! Tu, che avesti dal cielo un naturale sì innocente, sì puro, tu morta all’improvviso fra le tenebre della notte! Vedete, vedete! ella si è strappata la lingua coi denti. È certo che si volle offenderla nel pudore, si volle farle violenza. Il dolore e l’odio m’uccideranno, se io non accuso il colpevole ai tribunali. Vendetta, vendetta di così atroce delitto!

Kuang-kuo ritornò frettoloso alla sua famiglia, e narrando l’accaduto alla moglie: Sappi, le disse, che Ko-sin avendo a noia che nostra figlia passasse in onesta vedovanza tutta la vita nella casa del defunto marito, e di più avendo preso in odio anche me, perchè condussi meco alcuni taosse per celebrare un uffizio funebre in suffragio dell’anima di mio genero, si è approfittato d’una occasione favorevole per commettere un delitto che meditava da lungo tempo. A forza sfogando su nostra figlia le impudiche sue voglie, fu causa che ella, divorata dalla vergogna, si mordesse la lingua e morisse vomitando sangue.

In questo tenore fece appunto un’accusa, che indirizzò all’omai celebre giudice Pao-kung, la quale diceva:

«Porto accusa per delitto d’incesto ed omicidio commesso sulla persona d’una cognata.

Quando anticamente nei costumi si diffondevano sani insegnamenti di morale, nessuna cosa avevano gli uomini in maggior pregio che i doveri creati dai vincoli sociali; i rapporti di giovanotti e fanciulle d’una stessa famiglia non divenivano mai troppo intimi; fra cognati e cognate, non che altro, non era lecito prendersi per mano.

Maritai mia figlia al baccelliere Me Ko-ciung; ma sventuratamente presto le morì lo sposo. Essa però, volonterosa, mantenevasi casta e fedele alla memoria del defunto consorte. Se non che il suo cognato Ko-sin, uomo di sentimenti corrotti e bestiali, già da un pezzo cupidamente teneva d’occhio la straordinaria bellezza della cognata: ma le virtù di mia figlia non offrendo adito alcuno alla soddisfazione dei suoi selvaggi appetiti, nè al compimento dei suoi disegni, [p. 19 modifica]egli profittò del tempo in che si facevano le ultime esequie al defunto suo fratello; e accomodate le cose per modo da cogliere la cognata alla sprovvista, mentre spossata e stanca giaceva in letto, l’assalì entro le cortine della sua camera, e con odiosi abbracciamenti sfogò la sua sozza libidine.

La povera mia figlia, al vedersi coperta d’obbrobrio, per rabbia si recise coi denti la lingua, e vomitando sangue, divorata dal dispetto, in poco d’ora morì.

Le volpi7 stanno in agguato, i cani han già puntata la loro preda: le fanciulle vegliano tutta la notte ansiose e tremanti per così abbominevoli esempi. Le quaglie hanno spiegato il volo, le piche da ogni parte c’invadono: come potranno le donne, per l’avvenire, udir senza offesa l’osceno lor canto? — Ora nelle famiglie ogni discorso di matrimonio sarà come il duetto fra la montagna e il colle; nei pubblici ritrovi ogni trattativa di parentadi sarà come il dialogo fra la muraglia e l’assito8.

Per la donna qualsiasi riparazione è impossibile, poichè solo a prezzo della sua vita ella redime l’onor oltraggiato: contro gli stupri e le stragi dei ribaldi vi è nondimeno un riparo; ma solo pagando il fio dei delitti col sangue una espiazione è possibile.

Pensando in lacrime alla inviolabilità degli ascosi talami, di troppo frequenti macchie veggo offeso e bruttato il candore della donna. Traggansi dunque fiumi d’acque a lavarle; anzi più: nei contaminati penetrali delle famiglie si sollevino i venti e le onde vorticose del re dei fiumi, lo Yang-ze Kiang9.

Vinto come son io dal dolore e dall’ira, la punta smussata del mio pennello10 mal potrebbe, scrivendo, esaurire il soggetto. Nello sporgere accusa al vostro tribunale, domando che, dopo la tortura, le più severe pene della legge sieno inflitte senza indugio al colpevole.»

Intanto Me Ko-sin, essendo venuto a sapere che Kuang-kuo lo aveva accusato al tribunale d’avere a forza sottomessa la cognata a brutali e turpi servizie, stimava che sulla terra [p. 20 modifica]non vi fosse più luogo ove l’onta e l’obbrobrio, che a lui venivano per quella calunnia, non lo seguissero. Si pose egli a mani giunte ad implorare soccorso all’anima di suo fratello; si straziò il cuore in gemiti e pianti dirotti, e il suo miserabile stato giunse a tale, che gettando a boccate il sangue, rimase sfinito di forze e privo di sensi. A un tratto egli divenne l’ombra d’un morto, e ritornò11 ai regni bui; dove incontrata subito l’anima del fratello, le si prostrò dinanzi, e dolente narrò quale accusa pendesse sul suo capo. Ko-ciung lacrimando gli rivolse questo parole: «Colui che spinse tua cognata nei dominii della morte, non è altri che Yen il taosse. Un involto d’argento, che ora è nelle mani di Kiu-biang, proverà la tua innocenza. Tua cognata segnava tutto a registro, e da sè stessa notò sul suo libro di conti anche questa partita; prendilo dunque, mostralo al magistrato, ed ogni incertezza sull’autore del misfatto sparirà, e facilmente si verrà in chiaro che tu non sei affatto implicato in così nero delitto. Và, io ti prometto che l’anima mia, invisibile, starà nella sala del tribunale per venire in tuo soccorso. Và, presto, ritorna al regno della luce; appresso, non dimenticare i suffragi all’anima di tua cognata. Ricordati, ricordati delle mie parole.»

Ki-sin si ritrovò di nuovo fra i vivi.

Ma già era passato un giorno, e il giudice Pao-kung aveva già dato rigorosissimi ordini d’arresto: onde il nostro accusato ebbe appena il tempo di preparare in sua difesa la seguente rimostranza12:

« Senza vergogna e rimorso all’Eccellenza vostra ricorro, ed espongo il lugubre caso di un vivente morto di cruda a morte, e di uno che, mezzo morto, ritornato poi a vita, vive tuttora13.

Mia cognata, rimasta vedova, ebbe violentemente a soffrire sfregio al pudore, e ne morì. Non poteva non morire dopo l’onta ricevuta; ma per morire ella non seppe scegliere il suo momento. Il padre di mia cognata, vista la morte di sua figlia, presentò accusa al tribunale. Chi non avrebbe ricorso ai tribunali? Però quell’accusa denunziava un uomo che non era il vero colpevole.

[p. 21 modifica]Che volli io dire affermando che la cognata, per morire, non seppe scegliere il suo momento? Quand’ella rimase vittima di colui che macchiò il suo onore, ciò che innanzi tutto importava, era di fare le più esplicite e precise rivelazioni; e non importava affrettarsi tanto a morire. Il padre di mia cognata, innanzi di presentar querela al tribunale, avrebbe dovuto saper fare le più accurate indagini per iscoprire chi fosse il violento e l’adultero, e non doveva alla cieca colpire un innocente.

Io sempre amai per la vita e rispettai mio fratello, che mi faceva da buon maestro. Verso mia cognata io mi sono sempre diportato come verso mia madre. Per verità noi non ci parlavamo: ma in tutte le occasioni di solennità e cerimonie domestiche, io non ho mai mancato di un punto alle regole della buona creanza, nè mai osato farle cenno che mostrasse non curanza o disprezzo. Come avrei potuto reggere solo all’idea di condurmi si turpemente verso di lei, da costringerla a darsi la morte? No; il vero autore di questo delitto è Yen il taosse.

Il padre di mia cognata, con imprudenza e con leggerezza pari a quella del vento e del vuoto, lanciò una falsa accusa che poteva essere la mia rovina, se col soccorso d’un’anima pietosa io non fossi giunto a scoprire tutto il mistero di questo lacrimevole avvenimento.

I fagiani14 esultino, perchè la luce della verità pose in chiaro l’altrui innocenza. La rete lanciata contro i pesci sia sospesa in alto, e l’oca selvatica15, messa nell’impossibilità di fuggire, con rassegnazione morrà in luogo dell’innocente.

Scritto in lacrime.»

Appena che Pao-kung ebbe esaminata la difesa che di sè stesso aveva fatta Ko-sin, mandò per Kuang-kuo che aveva mosso l’accusa, affinchè accusato e accusatore, l’uno dinanzi all’altro dicessero le loro ragioni.

Kuang-kuo incominciò: «Quando mio genero era ammalato, Ko-sin suo fratello mostrò desiderio di tramutarlo dalla [p. 22 modifica]camera ov’era, alla biblioteca, ove diceva volerlo curare con non so quali suoi prodigiosi medicamenti. Mia figlia non v’acconsentì, perchè ella credeva più utili pel malato le dolci e continue cure che egli trovava nel seno della famiglia. Ora l’avversa fortuna volle che mio genero morisse vittima del male divenuto indomabile; e Ko-sin dal profondo del petto prese a odiare mia figlia, come quella che aveva spinto il fratello di lui nella tomba. Perciò con brutale violenza la costrinse alla più turpe azione, che a lei fu causa di morte, ed a lui mezzo di smaltire il rancore che da gran tempo covava in seno.»

«Colui che macchiò l’onore di mia cognata, e la costrinse alla morte, rispose Ko-sin, non fu altri che Yen il taosse.»

«Yen il taosse! riprese Kuang-kuo. Un venerando sacerdote, che appena appena si trattenne là un giorno per celebrarvi l’uffizio, come avrebbe egli in un momento reso suscettibile il proprio cuore di sì sozzi ed animaleschi appetiti? Egli entrò nella camera di mia figlia! Egli la fece salire al piano superiore! Ma se, terminate le esequie, Yen il taosse; con la comitiva uscì per la gran porta e se n’andò con gli altri: e tutti, tutti furono testimoni del suo operare. Oh no! questo, lo dichiaro altamente, non è che un prendersi giuoco del magistrato.»

«Un taosse! riprese allora il giudice, volgendosi all’accusato: non è questo il modo d’esprimersi compiutamente. Voi dite soltanto: è stato Yen il taosse; ebbène, quali prove adducete, su che v’appoggiate per avvalorare una simile asserzione?»

«Quando Kuang-kuo, che mi sta qui dinanzi, disse Ko-sin piangendo, presentò quella falsa accusa a mio danno, visto l’imminente pericolo che mi sovrastava, io subito a mani giunte mi raccomandai all’anima del mio caro fratello; e tanti furono i miei pianti e i singulti, che io morii di dolore, empiendo la terra del sangue che per la bocca veniva dallo straziato mio petto. Così mi ritrovai nel regno dei trapassati: e fra l’ombre che ivi vagavano, subito riconobbi quella di mio fratello Ko-ciung, dinanzi al quale battendo più volte a terra la testa, dolente implorai soccorso. E mio fratello allora, tutto [p. 23 modifica]compassione pel misero che lo pregava, mi disse: Yen il taosse è colui che commise il delitto inverso tua cognata. V’è dell’argento che si trova presso Kiu-hiang, e che farà testimonianza della tua innocenza. Tua cognata, seguitò egli, tenne conto dell’uso che ella fece di quell’argento, nel registro ove soleva segnare le spese di casa. — Ora dunque Vostra Eccellenza s’informi debitamente e verifichi la cosa.»

«Con quali fanfaluche mi venite voi fuori, disse Pao-kung pieno di risentimento: queste sono parole d’un’anima dell’altro mondo, e come osate voi, innanzi ad un magistrato di giustizia, tenere questo intricato e inutile cicaleccio? — Ciò detto fece subito acciuffare Ko-sin, e gli fece amministrare trenta colpi di bastone. Ko-sin fra gli acerbi spasimi della punizione che gli veniva inflitta, piangendo e implorando diceva: « Spirito invisibile di mio fratello, che pur promettesti di venire in mio soccorso, deh! mostrati innanzi al magistrato. Come oserebbe egli allora accusare il mio linguaggio di menzogna e stravaganza?»

E Pao-kung beffeggiandolo gli rispondeva: «Ebbene, poichè voi avete l’anima di un morto dalla vostra, come va che ella non parla direttamente a me? perchè non risponde essa stessa alle mie domande?»

Non aveva finito queste parole, che si sentì spossato e sfinito di forze; sicchè fattosi guanciale delle braccia piegate, s’addormentò sul banco del tribunale. Ed ecco gli apparve una visione in sogno; era l’anima del baccelliere Me Ko-ciung, che in tuono lamentevole gli diceva: «Grande e venerabile magistrato, che da gran tempo porti il vanto di uomo di divina intelligenza, perchè si è ora così oscurato il tuo intelletto da renderti incapace di chiaramente distinguere il vero? Colui che vituperò la mia sposa, colui che fu causa della sua morte, è Yen il taosse; e mio fratello è innocentissimo d’ogni colpa. Kiu-hiang, l’ancella di mia moglie, s’impossessò d’un involto d’argento, che è quello stesso che Vostra Eccellenza mi regalò in occasione del mio primo esame, quando cioè ottenni il grado di Sieu-zai, e che poi mia moglie diede in dono al taosse, [p. 24 modifica]per assistenza religiosa prestata nelle mie esequie. Questo regalo fu notato sul registro della famiglia, e lo scritto proverà la verità del fatto. Fortunatamente Vostra Eccellenza, potendo esaminare con ogni accuratezza queste prove, e venire in chiaro d’ogni cosa, procederà subito a seconda delle leggi contro il delitto di Yen Hoa-yuen, e porrà in libertà mio fratello innocente.»

Il sogno si dileguò. Pao-kung svegliossi, ed alzando le mani giunte, esclamò fra i sospiri: È verità! è verità! Le anime degli estinti ritornano! — Allora rivoltosi subito a Ko-sin: «Le vostre parole eran vere, gli disse: quel che mi narraste non era una fola, e vostro fratello, appunto ora, mi espose chiaramente il tutto. Io vi prometto che voi sarete giustificato, e si conoscerà la calunnia di cui foste vittima. Ma dite, conservate voi sempre il libro dei ricordi appartenente a vostra cognata? E la donna che fu già sua fantesca è sempre al vostro servizio?»

«In quanto al registro di mia cognata, rispose Ko-sin, siccome da sè stessa vi scriveva le sue memorie, così lo conservava pure presso di sè; ed io non saprei dove ora si trovi. La fantesca essendo pure sua cameriera particolare, non serviva che lei, ed io non l’ho mai avuta ai miei comandi.»

Allora Pao-kung senza frapporre indugi inviò un sergente ad arrestare la fantesca, la quale condotta dinanzi al giudice e messa alla tortura, finì col cavar fuori l’involto di argento.

Veduto che, in effetto, era quello da lui primitivamente regalato, domandò alla fantesca: Qual provenienza ha questo oggetto che si trova presso di voi? — E Kiu-hiang rispose: Questo argento stava in seno alla mia padrona morta: quando la trasportarono giù dal piano superiore, le cadde di dosso; ed io che mi trovava dietro a tutti, lo raccolsi e lo conservai presso di me.

Altri sergenti furono allora mandati insieme con la fantesca a prendere in casa dell’estinta il giornale dei conti. Gettandovi un colpo d’occhio si vide infatti annotata, a chiarissimi caratteri, questa partita: «Spesi cinque zien d’argento per raddoppiare la mercede a Yen il taosse.»

[p. 25 modifica]In questo mentre il giudice aveva mandato ad arrestare in tutta fretta il nuovo imputato; il quale, come fu giunto, ed ebbe subìta una buona stretta ai malleoli, fu presto ridotto a confessare, come, contro la volontà della donna e ad insaputa di lei, con un malefico filtro la forzò alle sue voglie, e così l’indusse a darsi la morte.

Disse pure esser vero, che, inconsideratamente, egli le pose in seno il gruzzolo d’argento che fu trovato, e che egli aveva già da lei ricevuto in dono. Infine disse che il suo desiderio era di sottoporsi volonterosamente alla pena che il suo delitto meritava; delitto, nel quale Ko-sin non era per nulla implicato.

Udite queste confessioni, restò a Pao-kung di pronunziar la sentenza, la quale fu del seguente tenore:

«Dopo maturo esame siamo venuti in chiaro che:

Yen Hoa-hiuen, dimentico affatto d’appartenere alla sacra famiglia dei Sacerdoti del Tao, lasciossi conturbare la mente dalle sfrenate concupiscenze dei sensi, cosicchè le sue passioni divennero veementi come l’onde del mare in tempesta. E volto ogni pensiero al sesso che pone suo studio sol nei piumati adornamenti e nelle seriche vesti, solo sognava, nel suo segreto, i favori e le grazie di coteste consumatrici di roseo belletto.

Ultimamente, per servigi religiosi da lui prestati, ricevè un’adeguata ricompensa, e fu congedato. Ora mentre costui con parole ringraziava la donatrice, e diceva di voler tornare il primo al convento, istigato dal demone della voluttà, salì nell’appartamento delle donne per commettere la più bassa e vile azione. Con un veleno di magica potenza asperse il corpo della vedova: ed ella, vittima dell’incantesimo, come avrebbe potuto mantenersi nella sua parità? Addormentata voluttuosamente tra i fiori, soggiacque al destino della donna. Così tanta virtù fu perduta!

Gl’incestuosi e i carnali, come oserebbero alzar la fronte al venerando del cielo? I figli della colpa, come potrebbero sfuggire alla prigione infernale? — Mossa da questi pensieri, [p. 26 modifica]la donna infelice, poi ch’ebbe a soffrire il maggiore d’ogni oltraggio, restituì la bella persona alla eterna sorgente.

In un sogno m’apparve Ko-ciung, lo sposo di quella misera, e fece sì che io giungessi a scoprire un involto d’argento, il quale, confrontato con poche linee di caratteri, è bastato a fornire una indubitabile prova.

Ora, considerando che Lao-Kiun, il divino fondatore della religione del Tao, non tollerò la scostumatezza di Siu-kia; come si potrebbe parimenti, secondo le regie leggi, sopportare il violento adulterio di Yen il taosse?

È nella legge, che siffatti colpevoli paghino con la vita il fio dei propri delitti: a lui dunque sarà impossibile sottrarsi alla pena del capo che lo aspetta.

Avendo questo processo posto in evidenza che Ko-sin è puro d’ogni colpa, egli potrà ritornare alle prime abitudini della famiglia.

Kuang-kuo, avendo sconsigliatamente mossa una falsa accusa, si è fatto reo di capitale delitto.»









Note

  1. [p. 45 modifica]Sieu-zai, letteralmente l’ingegno che fiorisce, è il primo grado onorifico che i Cinesi ricevono nella carriera letteraria. Gli Europei l’hanno parificato al titolo di baccelliere.
  2. [p. 45 modifica]Hia-ti, discendere da un grado letterario, locuzione simile a pu-ti, non riescire ad ottenere il più alto grado: Ti significa la serie dei quattro gradi letterari, che sono Sieu-zai, Kiu-gen, Zin-se e Han-lin.
  3. [p. 45 modifica]Qui l’originale porta un’errore di stampa. Invece del carattere Yang che vi dovrebbe essere, l’incisore cinese trascurando una linea, ne ha fatto il carattere Kuai; il quale, benchè si rassomigli moltissimo al primo, è però di significazione diametralmente opposta, e farebbe dire a Ko-sin il contrario di quello che dal contesto si rileva.
  4. [p. 45 modifica]Traduciamo con questa frase generica la locuzione dell’originale che da nessun dizionario vien dichiarata.
  5. [p. 45 modifica]Si sarà notato che i nomi proprii, che si sono incontrati in questa e nell’altra novella, come tutti i nomi proprii cinesi, quando sono scritti per intiero, sono composti di tre monosillabi. Il primo, che i Cinesi chiamano sing, è un nome comune a tutti gl’individui d’uno stesso casato (gens): i due altri monosillabi riuniti formano il ming, o distintivo particolare ad ogni individuo d’una stessa famiglia, e corrispondono al nome di battesimo, o al prænomen e cognomen dei Romani. Ora la famiglia della vedova si chiama Ziang, e i religiosi che presero parte ai funerali, portando il medesimo sing o nome (nomen), appartenevano pure alla famiglia di lei. Un solo Taosse, avendo per sing o nome di casato Yen, era estraneo.
  6. [p. 45 modifica]I discepoli della setta del Tao, che fecero della filosofia di Lao-ze una religione piena di superstizioni e di ridicole pratiche, introdussero nelle loro dottrine lo studio dell’alchimia e della magia: e queste arti, unitamente alla medicina, son professate da ogni taosse.
  7. [p. 45 modifica]L’originale nomina una certa bestia hu creduta ossessa continuamente. Curiose e notabili sono le tendenze attribuite dai Cinesi agli animali nominati nel seguito di questa novella.
  8. [p. 45 modifica]Cioè discorsi e trattative che non potranno avere effetto; anzi, che non potranno aver luogo.
  9. [p. 45 modifica]Sia della massima esemplarità la pena da infliggersi al colpevole.
  10. [p. 46 modifica]Tu-pi-ziang la punta dello smussato pennello. Questa locuzione implica il senso di incapacità, per mancanza di abilità, ingegno o studio, di svolgere pienamente un soggetto, o di scrivere con vivezza ed eleganza. Così, come noi diciamo è una cattiva penna, per è uno scrittore da poco, il cinese dirà è un pennello smussato. È noto il pennello essere lo strumento col quale i cinesi scrivono.
  11. [p. 46 modifica]Ritornò: con che si vuol dire in senso buddistico, che questa non era la prima esistenza di Ko-sin.
  12. [p. 46 modifica]Dal tenore della precedente accusa sarà stato facile accorgersi che lo scrittore intromette al racconto queste suppliche, accuse e sentenze per isfoggiar d’eloquenza, o piuttosto, di rettorica; e non di rado, anche per fare il bello spirito. Ma non sarà ugualmente facile che il lettore si formi un’idea della difficoltà che presenta la traduzione di questi squarci. Oltre al formicolarvi le locuzioni proverbiali e poetiche, raramente dichiarate dai dizionari che qua è possibile avere a mano, la stampa del testo, per di più, suol essere in questi brani più trascurata che altrove, massime quanto alla interpunzione. E questo avviene perchè, essendo quelle frasi sempre le stesse e di un valore altrettanto noto ai letterati di là quanto ignoto a noi, scrittori e stampatori credono superfluo l’usare d’accuratezza ortografica nel riprodurle.
  13. [p. 46 modifica]A bello studio abbiamo conservato i leziosi bisticci e le pedantesche antitesi dell’originale.
  14. [p. 46 modifica]Ci, il fagiano dorato: si vuole intendere metaforicamente i magistrati virtuosi e onorevoli, come si può rilevare anche dalla locuzione seguente riprodotta dal Morrison nel suo dizionario: Sang-hia-yeu-siun-ci-ci-i, the strange phenomenon of the gold pheasant unalarmed beneath the mulberry, — a state of peace by the virtue of the presiding magistrate. (Morr. Dict., par. II, p. 691).
  15. [p. 46 modifica]Col pesce si vuol intendere l’innocente còlto dalla calunnia; con l’oca selvaggia il colpevole involatosi alla giustizia dei magistrati. Quest’ultima si trova spesso nei racconti cinesi a far le parti di cattivo soggetto; si confronti a tal proposito il 14° capitolo del romanzo Yu-kiao-li, tradotto da Stanislao Julien.