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Orlando furioso (1928)/Canto 4

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Canto quarto

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Canto 3 Canto 5

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CANTO QUARTO

1
     Quantunque il simular sia le piú volte
ripreso, e dia di mala mente indici,
si truova pur in molte cose e molte
aver fatti evidenti benefici,
e danni e biasmi e morti aver giá tolte;
che non conversiam sempre con gli amici
in questa assai piú oscura che serena
vita mortal, tutta d’invidia piena.

2
     Se, dopo lunga prova, a gran fatica
trovar si può chi ti sia amico vero,
et a chi senza alcun sospetto dica
e discoperto mostri il tuo pensiero;
che de’ far di Ruggier la bella amica
con quel Brunel non puro e non sincero,
ma tutto simulato e tutto finto,
come la maga le l’avea dipinto?

3
     Simula anch’ella; e cosí far conviene
con esso lui di finzïoni padre;
e, come io dissi, spesso ella gli tiene
gli occhi alle man, ch’eran rapaci e ladre.
Ecco all’orecchie un gran rumor lor viene.
Disse la donna: — O glorïosa Madre,
o Re del ciel, che cosa sará questa? —
E dove era il rumor si trovò presta.

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4
     E vede l’oste e tutta la famiglia,
e chi a finestre e chi fuor ne la via,
tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,
come l’ecclisse o la cometa sia.
Vede la donna un’alta maraviglia,
che di leggier creduta non saria:
vede passar un gran destriero alato,
che porta in aria un cavaliero armato.

5
     Grandi eran l’ale e di color diverso,
e vi sedea nel mezzo un cavalliero,
di ferro armato luminoso e terso;
e vêr ponente avea dritto il sentiero.
Calossi, e fu tra le montagne immerso:
e, come dicea l’oste (e dicea il vero),
quel era un negromante, e facea spesso
quel varco, or piú da lungi, or piú da presso.

6
     Volando, talor s’alza ne le stelle,
e poi quasi talor la terra rade;
e ne porta con lui tutte le belle
donne che trova per quelle contrade:
talmente che le misere donzelle
ch’abbino o aver si credano beltade
(come affatto costui tutte le invole)
non escon fuor sí che le veggia il sole.

7
     — Egli sul Pireneo tiene un castello
(narrava l’oste) fatto per incanto,
tutto d’acciaio, e sí lucente e bello,
ch’altro al mondo non è mirabil tanto.
Giá molti cavallier sono iti a quello,
e nessun del ritorno si dá vanto:
sí ch’io penso, signore, e temo forte,
o che sian presi, o sian condotti a morte. —

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8
     La donna il tutto ascolta, e le ne giova,
credendo far, come fará per certo,
con l’annello mirabile tal prova,
che ne fia il mago e il suo castel deserto;
e dice a l’oste: — Or un de’ tuoi mi trova,
che piú di me sia del viaggio esperto;
ch’io non posso durar, tanto ho il cor vago
di far battaglia contra a questo mago. —

9
     — Non ti mancherá guida (le rispose
Brunello allora), e ne verrò teco io:
meco ho la strada in scritto, et altre cose
che ti faran piacere il venir mio. —
Volse dir de l’annel; ma non l’espose,
né chiari piú, per non pagarne il fio.
— Grato mi fia (disse ella) il venir tuo; —
volendo dir ch’indi l’annel fia suo.

10
     Quel ch’era utile a dir, disse; e quel tacque,
che nuocer le potea col Saracino.
Avea l’oste un destrier ch’a costei piacque,
ch’era buon da battaglia e da camino:
comperollo, e partissi come nacque
del bel giorno seguente il matutino.
Prese la via per una stretta valle,
con Brunello ora inanzi, ora alle spalle.

11
     Di monte in monte e d’uno in altro bosco
giunseno ove l’altezza di Pirene
può dimostrar, se non è l’aer fosco,
e Francia e Spagna e due diverse arene,
come Apennin scopre il mar schiavo e il tósco
dal giogo onde a Camaldoli si viene.
Quindi per aspro e faticoso calle
si discendea ne la profonda valle.

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12
     Vi sorge in mezzo un sasso che la cima
d’un bel muro d’acciar tutta si fascia;
e quella tanto inverso il ciel sublima,
che quanto ha intorno, inferior si lascia.
Non faccia, chi non vola, andarvi stima;
che spesa indarno vi saria ogni ambascia.
Brunel disse: — Ecco dove prigionieri
il mago tien le donne e i cavallieri. —

13
     Da quattro canti era tagliato, e tale
che parea dritto a fil de la sinopia.
Da nessun lato né sentier né scale
v’eran, che di salir facesser copia:
e ben appar che d’animal ch’abbia ale
sia quella stanza nido e tana propia.
Quivi la donna esser conosce l’ora
di tor l’annello e far che Brunel mora.

14
     Ma le par atto vile a insanguinarsi
d’un uom senza arme e di sí ignobil sorte;
che ben potrá posseditrice farsi
del ricco annello, e lui non porre a morte.
Brunel non avea mente a riguardarsi;
sí ch’ella il prese, e lo legò ben forte
ad uno abete ch’alta avea la cima:
ma di dito l’annel gli trasse prima.

15
     Né per lacrime, gemiti o lamenti
che facesse Brunel, lo volse sciorre.
Smontò de la montagna a passi lenti,
tanto che fu nel pian sotto la torre.
E perché alla battaglia s’appresenti
il negromante, al corno suo ricorre:
e dopo il suon, con minacciose grida
lo chiama al campo, et alla pugna ’l sfida.

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16
     Non stette molto a uscir fuor de la porta
l’incantator, ch’udí ’l suono e la voce.
L’alato corridor per l’aria il porta
contra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta,
che vede che colui poco le nuoce:
non porta lancia né spada né mazza,
ch’a forar l’abbia o romper la corazza.

17
     Da la sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto di seta vermiglia;
ne la man destra un libro, onde facea
nascer, leggendo, l’alta maraviglia:
che la lancia talor correr parea,
e fatto avea a piú d’un batter le ciglia;
talor parea ferir con mazza o stocco,
e lontano era, e non avea alcun tocco.

18
     Non è finto il destrier, ma naturale,
ch’una giumenta generò d’un grifo:
simile al padre avea la piuma e l’ale,
li piedi anterïori, il capo e il grifo;
in tutte l’altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di lá dagli aghiacciati mari.

19
     Quivi per forza lo tirò d’incanto;
e poi che l’ebbe, ad altro non attese,
e con studio e fatica operò tanto,
ch’a sella e briglia il cavalcò in un mese:
cosí ch’in terra e in aria e in ogni canto
lo facea volteggiar senza contese.
Non finzïon d’incanto, come il resto,
ma vero e natural si vedea questo.

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20
     Del mago ogn’altra cosa era figmento,
che comparir facea pel rosso il giallo;
ma con la donna non fu di momento,
che per l’annel non può vedere in fallo.
Piú colpi tuttavia diserra al vento,
e quinci e quindi spinge il suo cavallo;
e si dibatte e si travaglia tutta,
come era, inanzi che venisse, instrutta.

21
     E poi che esercitata si fu alquanto
sopra il destrier, smontar volse anco a piede,
per poter meglio al fin venir di quanto
la cauta maga instruzïon le diede.
Il mago vien per far l’estremo incanto;
che del fatto ripar né sa né crede:
scuopre lo scudo, e certo si prosume
farla cader con l’incantato lume.

22
     Potea cosí scoprirlo al primo tratto,
senza tenere i cavallieri a bada;
ma gli piacea veder qualche bel tratto
di correr l’asta o di girar la spada:
come si vede ch’all’astuto gatto
scherzar col topo alcuna volta aggrada;
e poi che quel piacer gli viene a noia,
dargli di morso, e al fin voler che muoia.

23
     Dico che ’l mago al gatto, e gli altri al topo
s’assimigliâr ne le battaglie dianzi;
ma non s’assimigliâr giá cosí, dopo
che con l’annel si fe’ la donna inanzi.
Attenta e fissa stava a quel ch’era uopo,
acciò che nulla seco il mago avanzi;
e come vide che lo scudo aperse,
chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.

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24
     Non che il fulgor del lucido metallo,
come soleva agli altri, a lei nocesse;
ma cosí fece acciò che dal cavallo
contra sé il vano incantator scendesse:
né parte andò del suo disegno in fallo;
che tosto ch’ella il capo in terra messe,
accelerando il volator le penne,
con larghe ruote in terra a por si venne.

25
     Lascia all’arcion lo scudo, che giá posto
avea ne la coperta, e a piè discende
verso la donna che, come reposto
lupo alla macchia il capriolo, attende.
Senza piú indugio ella si leva tosto
che l’ha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato quel misero in terra
il libro che facea tutta la guerra:

26
     e con una catena ne correa,
che solea portar cinta a simil uso;
perché non men legar colei credea,
che per adietro altri legare era uso.
La donna in terra posto giá l’avea:
se quel non si difese, io ben l’escuso;
che troppo era la cosa differente
tra un debol vecchio e lei tanto possente.

27
     Disegnando levargli ella la testa,
alza la man vittoriosa in fretta;
ma poi che ’l viso mira, il colpo arresta,
quasi sdegnando sí bassa vendetta:
un venerabil vecchio in faccia mesta
vede esser quel ch’ella ha giunto alla stretta,
che mostra al viso crespo e al pelo bianco
etá di settanta anni o poco manco.

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28
     — Tommi la vita, giovene, per Dio,—
dicea il vecchio pien d’ira e di dispetto;
ma quella a torla avea sí il cor restio,
come quel di lasciarla avria diletto.
La donna di sapere ebbe disio
chi fosse il negromante, et a che effetto
edificasse in quel luogo selvaggio
la ròcca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.

29
     — Né per maligna intenzione, ahi lasso!
(disse piangendo il vecchio incantatore)
feci la bella ròcca in cima al sasso,
né per aviditá son rubatore;
ma per ritrar sol dall’estremo passo
un cavallier gentil, mi mosse amore,
che, come il ciel mi mostra, in tempo breve
morir cristiano a tradimento deve.

30
     Non vede il sol tra questo e il polo austrino
un giovene sí bello e sí prestante:
Ruggiero ha nome, il qual da piccolino
da me nutrito fu, ch’io sono Atlante.
Disio d’onore e suo fiero destino
l’han tratto in Francia dietro al re Agramante;
et io, che l’amai sempre piú che figlio,
lo cerco trar di Francia e di periglio.

31
     La bella ròcca solo edificai
per tenervi Ruggier sicuramente,
che preso fu da me, come sperai
che fossi oggi tu preso similmente;
e donne e cavallier, che tu vedrai,
poi ci ho ridotti, et altra nobil gente,
acciò che quando a voglia sua non esca,
avendo compagnia, men gli rincresca.

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32
     Pur ch’uscir di lá su non si domande,
d’ogn’altro gaudio lor cura mi tocca;
che quanto averne da tutte le bande
si può del mondo, è tutto in quella ròcca:
suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,
quanto può cor pensar, può chieder bocca.
Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;
ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.

33
     Deh, se non hai del viso il cor men bello,
non impedir il mio consiglio onesto!
Piglia lo scudo (ch’io tel dono) e quello
destrier che va per l’aria cosí presto;
e non t’impacciar oltra nel castello,
o tranne uno o duo amici, e lascia il resto;
o tranne tutti gli altri, e piú non chero,
se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.

34
     E se disposto sei volermel tôrre,
deh, prima almen che tu’l rimeni in Francia,
piacciati questa afflitta anima sciorre
de la sua scorza, ormai putrida e rancia! —
Rispose la donzella: — Lui vo’ porre
in libertá: tu, se sai, gracchia e ciancia;
né mi offerir di dar lo scudo in dono,
o quel destrier, che miei, non piú tuoi sono:

35
     né s’anco stesse a te di tòrre e darli,
mi parrebbe che ’l cambio convenisse.
Tu di’ che Ruggier tieni per vietarli
il male influsso di sue stelle fisse.
O che non puoi saperlo, o non schivarli,
sappiendol, ciò che ’l ciel di lui prescrisse:
ma se ’l mal tuo, c’hai sí vicin, non vedi,
peggio l’altrui c’ha da venir prevedi.

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36
     Non pregar ch’io t’uccida, ch’i tuoi preghi
sariano indarno; e se pur vuoi la morte,
ancor che tutto il mondo dar la nieghi,
da sé la può aver sempre animo forte.
Ma pria che l’alma da la carne sleghi,
a tutti i tuoi prigioni apri le porte. —
Cosí dice la donna, e tuttavia
il mago preso incontra al sasso invia.

37
     Legato de la sua propria catena
andava Atlante, e la donzella appresso,
che cosí ancor se ne fidava a pena,
ben che in vista parea tutto rimesso.
Non molti passi dietro se lo mena,
ch’a piè del monte han ritrovato il fesso,
e li scaglioni onde si monta in giro,
fin ch’alla porta del castel saliro.

38
     Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni insculto.
Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L’incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite et inculto;
né muro appar né torre in alcun lato,
come se mai castel non vi sia stato.

39
     Sbrigossi dalla donna il mago alora,
come fa spesso il tordo da la ragna;
e con lui sparve il suo castello a un’ora,
e lasciò in libertá quella compagna.
Le donne e i cavallier si trovâr fuora
de le superbe stanze alla campagna:
e furon di lor molte a chi ne dolse;
che tal franchezza un gran piacer lor tolse.

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40
     Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante,
quivi è Prasildo, il nobil cavalliero
che con Rinaldo venne di Levante,
e seco Iroldo, il par d’amici vero.
Al fin trovò la bella Bradamante
quivi il desiderato suo Ruggiero,
che, poi che n’ebbe certa conoscenza,
le fe’ buona e gratissima accoglienza;

41
     come a colei che piú che gli occhi sui,
piú che ’l suo cor, piú che la propria vita
Ruggiero amò dal dí ch’essa per lui
si trasse l’elmo, onde ne fu ferita.
Lungo sarebbe a dir come, e da cui,
e quanto ne la selva aspra e romita
si cercâr poi la notte e il giorno chiaro;
né, se non qui, mai piú si ritrovaro.

42
     Or che quivi la vede, e sa ben ch’ella
è stata sola la sua redentrice,
di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella
sé fortunato et unico felice.
Scesero il monte, e dismontaro in quella
valle, ove fu la donna vincitrice,
e dove l’ippogrifo trovaro anco,
ch’avea lo scudo, ma coperto, al fianco.

43
     La donna va per prenderlo nel freno:
e quel l’aspetta fin che se gli accosta;
poi spiega l’ale per l’aer sereno,
e si ripon non lungi a mezza costa.
Ella lo segue: e quel né piú né meno
si leva in aria, e non troppo si scosta;
come fa la cornacchia in secca arena,
che dietro il cane or qua or lá si mena.

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44
     Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti
quei cavallier che scesi erano insieme,
chi di su, chi di giú, si son ridutti
dove che torni il volatore han speme.
Quel, poi che gli altri invano ebbe condutti
piú volte e sopra le cime supreme
e negli umidi fondi tra quei sassi,
presso a Ruggiero al fin ritenne i passi.

45
     E questa opera fu del vecchio Atlante,
di cui non cessa la pietosa voglia
di trar Ruggier del gran periglio instante:
di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.
Però gli manda or l’ippogrifo avante,
perché d’Europa con questa arte il toglia.
Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo;
ma quel s’arretra, e non vuol seguitarlo.

46
     Or di Frontin quel animoso smonta
(Frontino era nomato il suo destriero),
e sopra quel che va per l’aria monta,
e con li spron gli adizza il core altiero.
Quel corre alquanto, et indi i piedi ponta,
e sale inverso il ciel, via piú leggiero
che ’l girifalco, a cui lieva il capello
il mastro a tempo, e fa veder l’augello.

47
     La bella donna, che sí in alto vede
e con tanto periglio il suo Ruggiero,
resta attonita in modo, che non riede
per lungo spazio al sentimento vero.
Ciò che giá inteso avea di Ganimede
ch’al ciel fu assunto dal paterno impero,
dubita assai che non accada a quello,
non men gentil di Ganimede e bello.

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49
     Con gli occhi fissi al ciel lo segue quanto
basta il veder; ma poi che si dilegua
sí, che la vista non può correr tanto,
lascia che sempre l’animo lo segua.
Tuttavia con sospir, gemito e pianto
non ha, né vuol aver pace né triegua.
Poi che Ruggier di vista se le tolse,
al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:

49
     e si deliberò di non lasciarlo,
che fosse in preda a chi venisse prima;
ma di condurlo seco e di poi darlo
al suo signor, ch’anco veder pur stima.
Poggia l’augel, né può Ruggier frenarlo:
di sotto rimaner vede ogni cima
et abbassarsi in guisa, che non scorge
dove è piano il terren né dove sorge.

50
     Poi che sí ad alto vien, ch’un picciol punto
lo può stimar chi da la terra il mira,
prende la via verso ove cade a punto
il sol, quando col Granchio si raggira:
e per l’aria ne va come legno unto
a cui nel mar propizio vento spira.
Lasciánlo andar, che fará buon camino,
e torniamo a Rinaldo paladino.

51
     Rinaldo l’altro e l’altro giorno scorse,
spinto dal vento, un gran spazio di mare,
quando a ponente e quando contra l’Orse,
che notte e dí non cessa mai soffiare.
Sopra la Scozia ultimamente sorse,
dove la selva Calidonia appare,
che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri
s’ode sonar di bellicosi ferri.

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52
     Vanno per quella i cavallieri erranti,
incliti in arme, di tutta Bretagna,
e de’ prossimi luoghi e de’ distanti,
di Francia, di Norvegia e de Lamagna.
Chi non ha gran valor, non vada inanti;
che dove cerca onor, morte guadagna.
Gran cose in essa giá fece Tristano,
Lancilotto, Galasso, Artú e Galvano,

53
     et altri cavallieri e de la nuova
e de la vecchia Tavola famosi:
restano ancor di piú d’una lor pruova
li monumenti e li trofei pomposi.
L’arme Rinaldo e il suo Baiardo truova,
e tosto si fa por nei liti ombrosi,
et al nochier comanda che si spicche
e lo vada aspettar a Beroicche.

54
     Senza scudiero e senza compagnia
va il cavallier per quella selva immensa,
facendo or una et or un’altra via,
dove piú aver strane aventure pensa.
Capitò il primo giorno a una badia,
che buona parte del suo aver dispensa
in onorar nel suo cenobio adorno
le donne e i cavallier che vanno attorno.

55
     Bella accoglienza i monachi e l’abbate
fêro a Rinaldo, il qual domandò loro
(non prima giá che con vivande grate
avesse avuto il ventre amplo ristoro)
come dai cavallier sien ritrovate
spesso aventure per quel tenitoro,
dove si possa in qualche fatto eggregio
l’uom dimostrar, se merta biasmo o pregio.

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56
     Risposongli ch’errando in quelli boschi,
trovar potria strane aventure e molte:
ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi;
che non se n’ha notizia le piú volte.
— Cerca (diceano) andar dove conoschi
che l’opre tue non restino sepolte,
acciò dietro al periglio e alla fatica
segua la fama, e il debito ne dica.

57
     E se del tuo valor cerchi far prova,
t’è preparata la piú degna impresa
che ne l’antiqua etade o ne la nova
giamai da cavallier sia stata presa.
La figlia del re nostro or se ritrova
bisognosa d’aiuto e di difesa
contra un baron che Lurcanio si chiama,
che tor le cerca e la vita e la fama.

58
     Questo Lurcanio al padre l’ha accusata
(forse per odio piú che per ragione)
averla a mezza notte ritrovata
trarr’un suo amante a sé sopra un verrone.
Per le leggi del regno condannata
al fuoco fia, se non truova campione
che fra un mese, oggimai presso a finire,
l’iniquo accusator faccia mentire.

59
     L’aspra legge di Scozia, empia e severa,
vuol ch’ogni donna, e di ciascuna sorte,
ch’ad uom si giunga, e non gli sia mogliera,
s’accusata ne viene, abbia la morte.
Né riparar si può ch’ella non pèra,
quando per lei non venga un guerrier forte
che tolga la difesa, e che sostegna
che sia innocente e di morire indegna.

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60
     Il re, dolente per Ginevra bella
(che cosí nominata è la sua figlia),
ha publicato per cittá e castella,
che s’alcun la diffesa di lei piglia,
e che l’estingua la calunnia fella
(pur che sia nato di nobil famiglia),
l’avrá per moglie, et uno stato, quale
fia convenevol dote a donna tale.

61
     Ma se fra un mese alcun per lei non viene,
o venendo non vince, sará uccisa.
Simile impresa meglio ti conviene,
ch’andar pei boschi errando a questa guisa:
oltre ch’onor e fama te n’aviene
ch’in eterno da te non fia divisa,
guadagni il fior di quante belle donne
da l’Indo sono all’Atlantee colonne;

62
     e una ricchezza appresso, et uno stato
che sempre far ti può viver contento;
e la grazia del re, se suscitato
per te gli fia il suo onor, che è quasi spento.
Poi per cavalleria tu se’ ubligato
a vendicar di tanto tradimento
costei, che per commune opinïone,
di vera pudicizia è un paragone. —

63
     Pensò Rinaldo alquanto, e poi rispose:
— Una donzella dunque de’ morire
perché lasciò sfogar ne l’amorose
sue braccia al suo amator tanto desire?
Sia maladetto chi tal legge pose,
e maladetto chi la può patire!
Debitamente muore una crudele,
non chi dá vita al suo amator fedele.

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64
     Sia vero o falso che Ginevra tolto
s’abbia il suo amante, io non riguardo a questo:
d’averlo fatto la loderei molto,
quando non fosse stato manifesto.
Ho in sua diffesa ogni pensier rivolto:
datemi pur un chi mi guidi presto,
e dove sia l’accusator mi mene;
ch’io spero in Dio Ginevra trar di pene.

65
     Non vo’ giá dir ch’ella non l’abbia fatto;
che nol sappiendo, il falso dir potrei:
dirò ben che non de’ per simil atto
punizïon cadere alcuna in lei;
e dirò che fu ingiusto o che fu matto
chi fece prima li statuti rei;
e come iniqui rivocar si denno,
e nuova legge far con miglior senno.

66
     S’un medesimo ardor, s’un disir pare
inchina e sforza l’uno e l’altro sesso
a quel suave fin d’amor, che pare
all’ignorante vulgo un grave eccesso;
perché si de’ punir donna o biasmare,
che con uno o piú d’uno abbia commesso
quel che l’uom fa con quante n’ha appetito,
e lodato ne va, non che impunito?

67
     Son fatti in questa legge disuguale
veramente alle donne espressi torti;
e spero in Dio mostrar che gli è gran male
che tanto lungamente si comporti. —
Rinaldo ebbe il consenso universale,
che fur gli antiqui ingiusti e mali accorti,
che consentiro a cosí iniqua legge,
e mal fa il re, che può, né la corregge.

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68
     Poi che la luce candida e vermiglia
de l’altro giorno aperse l’emispero,
Rinaldo l’arme e il suo Baiardo piglia,
e di quella badia tolle un scudiero,
che con lui viene a molte leghe e miglia,
sempre nel bosco orribilmente fiero,
verso la terra ove la lite nuova
de la donzella de’ venir in pruova.

69
     Avean, cercando abbrevïar camino,
lasciato pel sentier la maggior via;
quando un gran pianto udîr sonar vicino,
che la foresta d’ogn’intorno empía.
Baiardo spinse l’un, l’altro il ronzino
verso una valle onde quel grido uscía:
e fra dui mascalzoni una donzella
vider, che di lontan parea assai bella;

70
     ma lacrimosa e addolorata quanto
donna o donzella o mai persona fosse.
Le sono dui col ferro nudo a canto,
per farle far l’erbe di sangue rosse.
Ella con preghi differendo alquanto
giva il morir, sin che pietá si mosse.
Venne Rinaldo; e come se n’accorse,
con alti gridi e gran minaccie accorse.

71
     Voltaro i malandrin tosto le spalle,
che ’l soccorso lontan vider venire,
e se appiattâr ne la profonda valle.
Il paladin non li curò seguire:
venne a la donna, e qual gran colpa dálle
tanta punizïon, cerca d’udire;
e per tempo avanzar, fa allo scudiero
levarla in groppa, e torna al suo sentiero.

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72
     E cavalcando poi meglio la guata
molto esser bella e di maniere accorte,
ancor che fosse tutta spaventata
per la paura ch’ebbe de la morte.
Poi ch’ella fu di nuovo domandata
chi l’avea tratta a sí infelice sorte,
incominciò con umil voce a dire
quel ch’io vo’ all’altro canto differire.