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Poesie (Parini)/IV. Cicalate in versi/II. I ciarlatani

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II. I ciarlatani

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II

I CIARLATANI

In non so qual cittá dell’ Indie, un tempo
viveva un pover’uomo
che avea la moglie bella. Il pover’uomo
dalla natura, che non suol mancare,
5aveva avuto un dono
per poter vivacchiare.
Il dono era assai raro
ed alla societá utile assai;
ma non bastava a levarlo di guai;
10conciosiaché anco allora
si pagava il diletto
piú che l’utile, come si fa ora.
Costui era dotato
d’una forza si grande
15che portava ogni peso
comunque sterminato; e tal che niuno
gli potea stare a lato.
Un giorno il pover’uomo
con tutte le sue braccia e il suo portare,
20non avendo lavori
si trova senza pane da mangiare;
ed ecco i piagnistei
de’ figliuoli affamati;
ecco gli urli e le strida
25de la moglie che grida,
e strappasi i capegli dalla testa,
e s’infuria e tempesta.

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Come potere, lasso!
patir tanto fracasso? Alfin rinvenne
30dal suo sbalordimento;
e calmate un po’ l’ire
della moglie indiscreta,
cosí le prese a dire:
— Mio cuore, tu sai bene
35se mai ho tralasciato
di lavorar, quando m’è capitato.
Or vedi il mio destino.
Che vuoi? ch’io vada a fare l’assassino?
e ch’io mi renda ingrato;
40e ch’io mi serva contro a’ miei fratelli
del don che Dio m’ha dato? —
Allor la moglie bella
placasi alquanto e cosí gli favella:
— Tu sai che l’Indie tutte e l’Oriente
45parlan della tua forza sorprendente:
ognun desia mirarti,
conoscerti, provarti.
Uscir convien di cuna
chi vuol trovar fortuna.
50Va’, gira un po’ il paese
per un quindici giorni o per un mese.
Monterai sur un palco
nelle pubbliche piazze, e griderai:
Signori, c’è una pietra
55o qualche orribil masso
che v’impedisca il passo
in casa o nella via?
Io lo porterò via.
Avete un elefante?
60Su questa schiena mia
io porterollo un buon miglio distante.
Avete un mandarino,
che sia stato dieci anni a un buon governo

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o un guardiano, o un priore
65di bonzi o di bramini,
che possano a gran stento
regger otto facchini?
Io solo il porterò nel suo convento.
A questa meraviglia
70inarcheran le ciglia:
ognun vorrá veder quanto far sai:
e cosí buscherai
qual cosa per salvar la tua famiglia. —
Piace questo consiglio al buon marito:
75piglia tosto il partito
d’andarsene; si mette in sulle spalle
pochi suoi cenci; ed alla moglie dice:
— Vivi adunque felice,
cara consorte; vendi quelle poche
80masserizie che abbiamo; e del ricavo
vivi co’figli che tu hai d’intorno,
fin ch’io faccia ritorno;
tien conto, se tu puoi, dell’onor mio. —
Baciala in fronte; e se ne va con Dio.
85Lasciamo ire il marito;
e badiamo alla moglie. Era di lei
innamorato un de’ piú bassi dèi:
un de’ manco perfetti;
come sarebbe a dir silfi e folletti.
90Ora costui s’avvide
ben tosto che lo sposo è andato via;
e pien di santa caritade il petto,
pensò a dar compagnia
alla moglie che gela sola in letto.
95Che fe’ dunque il folletto? Ecco ei si veste
un corpo che appuntino
dal piè fino alle ciglia,
come una goccia all’altra, s’assomiglia
a quello del marito pellegrino:

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100e dopo due o tre giorni
alla casa di lui drizza il cammino;
picchia; gli s’apre: ecco la moglie; ei corre
per abbracciarla; ed ecco
che la moglie ingannata,
105credendolo il marito, a lui s’avventa
come una gatta, e lo graffia e lo addenta,
e dice:—Ahi manigoldo!
Dunque si presto a casa
tu torni senza un soldo?
110E un secolo ti pare
lo star tre di lontan dal focolare?
E non sai, animale,
sol per un mese lasciare il grembiale? —
Il povero folletto
115a tanta ira e dispetto
fu per ispiritar dalla paura.
Ei non credea si brutto
il diavolo siccome si dipinge:
ma dissimula e finge;
120alfin fattosi cuore,
cava fuori una borsa piena d’oro,
e con un bel sorriso
falla sonare alla moglier sul viso.
Oh gran virtú di quel raro metallo!
125La moglie, del suo fallo
pentita, piú non grida;
ma il bacia e lo accarezza e dentro il guida,
fra sé dicendo: — Io posso esser contenta:
alfine ho guadagnato
130de’ danari in buon dato;
e ancor soprammercato
un ventisette giorni di marito. —
Ad una bella e lieta moglie unito
pensate se il folletto
135ora la sguazza e nuota nel diletto,

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con quel viso amoroso
tutti facendo gli ufizi di sposo.
Ma, come voi sapete,
poco duran le nozze de’ birboni.
140Ecco che in capo a un mese il vero sposo
sen viene a disturbar le lor funzioni.
È forza che lo spirto
facoltá non avesse
di far rompere il collo alle persone,
145o di farle smarrire, od affogare
in un fiume o nel mare.
Mai non fu vista la piú bella scena
di quella che segui quando i duo sposi
si trovarono a fronte,
150l’uno verace e l’altro mentitore.
Non fu tanto rumore,
non fu si gran tenzone
fra li due Sosii nell’Anfitrione.
V’ebbe di calci e di pugna un gran suono.
155L’un diceva: — Son io —; e l’altro: — io sono. —
Tutte le donne di quel vicinato
traevansi e gridavano: — Oh vedete
la bella grazia che il gran Lama ha dato
alla nostra comare,
160che il suo marito gliel’ha raddoppiato! —
La comare, che donna
era amica di pace,
propose un disimpegno
onesto, se volete:
165—Olá,—lor disse, — per finir le liti
farò ancor questo sforzo;
terròvvi tuttaddue per mariti. —
Ma niun di lor non vuole aver compagno:
onde, perché alla fine
170non ne venisse qualche maggior male,
la cosa fu portata al tribunale.

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Trattasi di scoprire
quale dei duo mariti il vero sia.
Il giudice s’informa;
175sente di mano in mano
ambe le parti; e con indifferenza
parla e pronuncia alfin questa sentenza;
— Quel ch’è vero marito di costei,
saprá levar de’ pesi
180tal che niun altro di questi paesi.
Or ben, vedete voi
quella colonna antica
che giace fra l’ortica
colá in quel canto della piazza? Bene,
185provate tuttaddue
l’un dopo l’altro a smoverla di sito:
e colui che la smove
sia ’l verace marito. —
il popol tutto quanto
190era accorso al giudizio; e stava attento
a vedere il cimento.
Ecco giá l’un si mette
attorno a quel gran sasso;
si sbraccia, suda, si sforza, s’affanna;
195urta, sospinge, e di foco e di gelo
si fa in un tempo, e non la move un pelo.
Giá il popolar giudizio
che vien sempre immaturo,
con confuso clamore
200grida che questo primo è l’impostore.
Tace il giudice savio: e il primo ancora
torna alla prova; e raddoppia il vigore;
e tanto fa e travaglia, che alla fine
smove l’enorme sasso
205quasi un palmo lontan dal suo confine.
Il popolo di novo
schiamazza e grida che non è possibile

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un altro si gagliardo;
e condanna il secondo di bugiardo,
210giá prima di vederlo.
Tace il giudice; bada ai fatti suoi;
e rivolto a quell’altro, dice:—A voi! —
E l’altro, tutto gaio,
come se andasse a bere un paio d’uova,
215s’accosta al sasso; e si mette alla prova.
Ed ecco, oh meraviglia!
con gran stupor di tutta la canaglia,
leggiadramente con due dita sole
alza quel bocconcin di lapislazzulo,
220come se fosse appunto
verbigrazia una piuma od una paglia:
e il popol, persuaso
che quel primo sia stato lo impostore,
fa un sordo mormorio;
225e si riman con un palmo di naso.
Tace il giudice ancora;
e seco si consiglia;
e lascia un po’ cessar la meraviglia.
Non osa piú zittire
230la plebe scimunita;
e del giudice aspetta la sentenza.
Ei finalmente cosí prese a dire:
— Cedere all’apparenza
si tosto non conviene. Tuttaddue
235moveste la colonna, onde il giudizio
sarebbe incerto ancora.
Ma forze naturali
non arrivano a quel che tu hai fatto:
sei creda il popol matto.
240lo sentenzio che ’l primo è il vero sposo.
La tua è un’illusione.
E tu se’ certo un diavolo o un stregone. —
Ciò disse appena, e il genio menzognero
scomparve in un baleno,

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245giustificando appieno
del giudice sottil la decisione.
O voi, che m’ascoltate,
fate come v’apprese
per la mia bocca il savio
250giudice mogolese:
state attenti alle cose
troppo maravigliose.
Non vi lasciate stordire al rimbombo:
e nel prestarvi fede
255andate cauti e col piede del piombo.
Un filosofo viene
tutto modesto, e dice:
— Bisogna a poco a poco,
pian pian, di loco in loco
260levar gli errori dal mondo morale:
dunque ciascuno emendi
prima sé stesso, e poi de gli altri il male.
Ecco un altro che grida:
— Tutto il mondo è corrotto;
265bisogna metter sotto
quello che sta di sopra, e rovesciare
le leggi, il governare;
non è che il mio sistema
che il possa render sano. —
270Credete al primo; l’altro è un ciarlatano.
Viene un frate dabbene,
e vi dice: — Bisogna viver bene;
se volete salvarvi.
Alla morte ogni giorno
275tenete il pensier fiso;
e voi non morirete all’improvviso. —
L’altro vi raccomanda
un breve, un bullettino
o qualch’altra bazzecola:
280—Tenetelo ben caro:
se il porterete a lato

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<poem> non morrete dannato; anzi nel vostro letto morrete da cristiano. — 285Credete al primo; questi è un ciarlatano. Ecco un medico ancora. — Bisogna medicar col tal sistema: senza di quello non v’è piú salute.— Viene un altro e soggiugne: 290— Le persone avvedute hanno fatto di molte osservazioni, il tempo le ha provate; forse con questa tornerete sano. — Badate all’altro; il primo è un ciarlatano. 295Viene un poeta; e come un disperato forte vi grida: — Ecco l’ascreo furore tutto m’invade: in questa mente oh quanti mi bollono pensieri! Per gli aerei sentieri, 300cigno mortai, men volo pien di celesti doni l’alte imprese a cantar de’ mirmidóni. — Viene un altro e vi dice tutto cheto e soave: 305«Canto l’armi pietose e ’l capitano». Badate a questo; l’altro è un ciarlatano. Ecco un amante esclama: — Donna, se voi non mi volete amare, non è possibil ch’io possa campare. 310Se voi non rispondete a tanto affetto, doman mi troverete morto a letto. — Oimè! saria gran male. La cosa è troppo soprannaturale. Sentiam quest’altro. Non dice parola; 315sol vi guarda e sospira; timido si ritira; e non s’arrischia a baciarvi una mano. Credete a questo; l’altro è un ciarlatano.