Rinaldo di Montalbano/Atto V

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Atto V

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Atto IV Nota storica
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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Soldati preparano le sedie per il Consiglio di guerra. Al suono di trombe
vengono guardie, Consiglieri e Paladini.

Carlo, Orlando, Gano e Florante.

Carlo. Duci, offeso son io. Posso l’audace

A mio senno punir: ma no, si tratta
Della vita d’un Duce: io serbar voglio
La legge militar. Tutti a Consiglio,
Invitti Duci e Paladini illustri,
Feci voi ragunar. Verrà Rinaldo,
Seco il figlio verrà: le loro colpe

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Quivi udirete, e le difese loro.

Indi il vostro consiglio a me esporrete
Per giudicare i delinquenti.
(Tutti siedono, e si coprono: una guardia va a parlare all’orecchia
di Orlando.


Orlando.   Sire,
Supplice la consorte di Rinaldo
Brama entrar nel Consiglio, e chiede in dono
Di poter favellar.
Gano.   Signor, non lice
A femmina cotanto.
Orlando.   Ov’è la legge
Che glielo vieta?
Gano.   In militar Consiglio
Donne mai non entraro. Evvi decreto,
Che l’esclude per sempre.
Orlando.   Sì, l’esclude
Decreto militar dal grado illustre
Di consigliere; e dato che vi fosse
Femmina generosa, all’armi avvezza,
Non perciò del Consiglio ella sarebbe;
Ma non vieta la legge ai consiglieri
Femmina udir che priega. Avete, o Gano,
Mal inteso il decreto.
Gano.   Eh sì, v’intendo.
Non vi dispiace riveder Clarice
Anco in dì sì funesto. Il vostro cuore
Non sa dissimular. Venga Clarice,
Venga, se il Re lo vuole.
Orlando.   (Anima indegna!) (a parte
Sire, l’onor di mia cugina offeso,
Permettetemi ormai che con la spada
Difender possa.
Carlo.   Di private gare
Oggi tempo non è. Venga Clarice:

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Io le accordo l’accesso.

(Orlando accenna che Clarice entri
Gano.   (Orlando, Orlando,
Sopravviverai poco al tuo germano). (a parte

SCENA II.

Clarice e detti.

Clarice. Ecco, Signor, un’altra volta a’ piedi

Del clemente suo Re, mesta Clarice
A dimandar pietà. So che giustizia
Invano chiederei, non perchè giusto
Carlo non sia, ma perchè i rei ministri
Hanno saputo alla virtude e al vizio
Spoglie cangiar, cangiar aspetto. Alfine
Io vi priego, Signor, per un vassallo
A cui molto dovete, e a cui la Francia
Molto ancora dovrà, se rammentate
Siano le imprese sue. Siete tradito,
Lo confesso, mio Re; ma il traditore,
No, Rinaldo non è, non è Ruggiero,
Che v’insidia, Signor: volgete il guardo,
Gano mirate, e il suo german Fiorante:
Essi sono i fellon, i traditori.
Sono questi, lo giuro; esaminate
Con meno sdegno e più cautela il fatto,
Scoprirete l’arcano. Io donna sono,
E son moglie e son madre; il so, non merto
Fede da voi; ma dubitate almeno
Della mia fedeltà: non condannate
Di mendace il mio labbro: esser potrebbe,
Che parlassero i Dei colla mia voce:
Nè la prima sarei donna felice
Che ai monarchi salvata abbia la vita.

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Ascoltatemi, o Sire: io non domando

La vita in don del figlio e del consorte;
Tempo sol vi domando, e questo tempo
Forse a voi gioverà più che a me stessa.
Grazie a vostra bontà parlai, Signore;
Voi m’udiste, m’udirò i miei nemici:
Essi tremano forse. Ah! voi cogliete
Dal sincero mio dir quel frutto, o Sire,
Che alla vostra salvezza è necessario.
Tempo, tempo, Signor: deh, non scagliate
Fulmini all’innocenza; io ve ne priego,
Che il Ciel lo scoprirà. Se fosse reo
Di sì enormi delitti il mio consorte,
Nemica io gli sarei; ma s’è innocente,
Ma se a torto è punito, invitto Sire,
Destatevi a pietà. Ve la dimanda
Una moglie infelice, una di Francia
Onesta dama, una che offrir non puote
Che sangue e pianto, e ch’è di sparger pronta
Per due vite sì care e pianto e sangue.
Carlo. Voi parlaste, Clarice: io non m’opposi:
Giusto è il vostro dolor; ma vi avanzaste
Oltre il dover. Sì, condonare al sesso
Qualche cosa si può: venga Rinaldo.
Gano. Con licenza del Re, voi mal parlaste,
Signora, per mia fè. Gano e Fiorante
Che vi fecero mai? Perchè oltraggiarli
Cotanto nell’onor? Misera dama!
Vi fa cieca l’amor: non comprendete
Di Rinaldo infedel l’onte e gli oltraggi
Fatti al talamo vostro; egli Armelinda
Sostituisce ai raffreddati amplessi
D’una credula moglie.
Clarice.   Empio! tacete.
Non è vero: mentite, il mio Rinaldo

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Di ciò non è capace. È nota al mondo

La sua virtù.
Florante.   Rara virtù per certo!
Fedeltà ne’ congiunti è strana cosa.

SCENA III.

Rinaldo, Ruggiero e detti.

Ruggiero. (Oh quanto meglio era fuggir!) (piano a Rinaldo

Rinaldo. (T’inganni.
Viltà è peggio di morte). (piano
Carlo.   Olà: le colpe
Sian de’ rei pubblicate.
Ruggiero.   (Niuno ardisce
Parlar in faccia nostra). (piano fra loro
Rinaldo.   (Eh vi saranno
Degli audaci pur troppo).
Gano.   Ognuno tace?
Trema ognun di Rinaldo al torvo aspetto?
Io dunque parlerò. Monarca eccelso,
Invitti Duci, Paladini illustri,
Stupirete in udir Rinaldo e il figlio
Rei d’enormi delitti, e pur son essi
Precipitati nell’abisso infame
Di turpe fellonia.
Ruggiero.   (Perfido...)
Rinaldo.   (Taci).
Ruggiero. (Non lo posso soffrir).
Rinaldo.   (Soffrirlo è forza).
Gano. Noto è a ciascun, che l’Africano audace
Che la Spagna innondò, di Francia ancora
Minacciava i confini. A debellarlo
Più duci andaro in vari tempi, e tutti
Han di lui trionfato. Ora il re Moro

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A scuotersi tornò: poco costava

Il rintuzzarlo nuovamente. Elesse
Per sì facile impresa il Re pietoso
Duce Rinaldo, e l’inviò al cimento.
Egli v’andò; ma con vergogna nostra
Non sconfisse il nemico. Altro non fece,
Che lentamente i Pirenei calando,
Dargli tempo a raccorsi in miglior sito.
Indi sacrificata inutilmente
De’ Francesi guerrier la miglior parte,
Chiese pace vilmente. E questo è il meno.
Vide Armelinda, figlia del re Moro,
E di lei s’invaghì; la chiese al padre,
Ma niegandola in sposa a chi distante
Era troppo dal trono, egli promise
Vuotar quello di Francia, e colla morte
Del proprio Re facilitarsi il modo
Ai reali imenei. Si diero entrambi
Fede col giuramento, e seco in Francia
Conducendo Armelinda il buon Rinaldo,
Lo stimolo condusse al grave eccesso.
Altri patti fe’ poi col re nemico,
E di Francia gran parte a lui promise.
Tanto a noi penetrò, tanto si seppe
Da chi, forzato a infedeltà, fu poscia
Dell’errore pentito, ed ogni arcano
Pubblicò di Rinaldo. Al gran Consiglio
Esporre non si ponno i testimoni
Di tanta enormità, perchè giurata
Segretezza fu ad essi. Or basti a voi
Che Gano il dica, e che lo giuri. E poi
Se intera fede a me negasse alcuno,
Armelinda il dirà: pronta è la donna,
Che mal consente all’imeneo forzato,
Pronta è tutto a svelar: le trame orrende,

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I crudi patti e rei disegni, e quanto

Rinaldo meditò, tutto conferma
La principessa: ma qual maggior prova
Della sua fellonia? Di Carlo in nome
Io gli chiedo la spada, ed ei la niega:
D’ordin1 del Re salgo il Castello; ed egli
S’oppone audace, e al temerario figlio
Contrastarmi comanda. Alfin, qual prova
Può volersi maggior? La scorsa notte
Padre e figlio crudeli, armati il braccio,
Non fur trovati al padiglion reale
In atto di scagliar l’orrendo colpo?
Io lo vidi pur troppo, e voi, Signore,
Lo vedeste pur anco. Eccovi, o Duci,
Di Rinaldo le colpe: a voi s’aspetta
L’offesa maestà, le leggi offese,
Della patria l’onor, la comun pace
Risarcir, vendicar. Di morte è degno
Chi cotanto peccò: dal voto vostro
Esempio prenderanno i delinquenti.
Così vuol la ragion, così la legge.
Tal sia il voto comun: Rinaldo mora.
Ruggiero. (Questo è troppo soffrir!)
Rinaldo.   (Ma taci). (sempre fra loro
Ruggiero.   (Io muoio
Dal desio di parlar).
Carlo.   V’è chi al già detto
Aggiunger voglia?
Florante.   Sire, io dirò solo,
Che d’un tronco infedel son perigliosi
Anco i perfidi rami, e che se muore
Condannato Rinaldo, ha da morire
Il figlio ancora.
Ruggiero.   Ah scellerato! (s’avanza con impeto

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Rinaldo.   Ferma. (lo trattiene

Ruggiero. Si trattenga chi può.
Rinaldo.   Chetati, dico.
Perdonate all’età.
Florante.   Se tanto è ardito
In sì tenera età, pensate voi,
Nella matura qual saria l’audace!
Carlo. Si difenda Rinaldo.
Rinaldo.   Eterni Dei!
Grazie a vostra bontà, giunto è il momento
Sospirato cotanto, in cui poss’io
Favellare una volta. Invitto Sire,
Deh, per pietà lasciate almen ch’io possa
Tutto dire a mio senno; e non vi sia
Chi interrompermi ardisca. Invitti Duci,
Illustri Paladini, ah! qui si tratta
Della vita non men che dell’onore
D’un cavalier; uditemi pietosi,
Giusti poi2 giudicate; e voi, mio figlio,
Attento udite i detti miei: superbia
Non v’acciechi però, se i merti vostri
M’udirete ridir: tutti son doni
Della pietà de’ Numi, ed è de’ Numi
Questa nostra sventura il maggior dono,
Per cui più chiaro e più felice alfine
Di Rinaldo l’onor sorger vedrassi.
Sì, lo spero. M’udite. Era, si dice,
Facile impresa rintuzzare i Mori;
E perchè tale, io fui l’eletto. Dunque
Sol di facili imprese ho il cuor capace?
Io dunque ho sino ad ora indegnamente
Di duce e capitan nome usurpato.
Io sono un uomo vil. Gano per tale
Mi dipinse al Consiglio. Ah! se v’è alcuno

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Che ancor non mi conosca, è di ragione

Ch’io conoscer mi faccia: l’onor nostro
Noi difender dobbiam quanto la vita:
Così vuole natura, e così impone
Legge sagra e civil. Dal terzo lustro
Io cominciai a maneggiar la spada
Per servir il mio Re: la prima volta
Che la faccia mirai degl’inimici,
Allora fu che di Pavia scacciammo
I Longobardi, ed io colle mie mani,
Che custodiano i franchi gigli, io stesso
Primo salii le mura, e il gran vessillo
Inalberai sulle nemiche torri.
Allora fu che in età verde ancora
Capitan fui creato, ed in mercede
Il fregio ebb’io di Paladin del regno.
Io guidai l’oste contro i Goti; io fui
Che dall’Italia i discacciai. Del Greco
L’orgoglio chi frenò? Chi fece Irene
In Oriente tremar? Di Gallia al trono
I Sassoni feroci e contumaci,
Ditemi, chi umiliò? Mercè de’ Numi,
Furo tutte mie imprese, e tante volte
Vinsi pel mio Signor, quante m’esposi
Al cimento per lui. Ma colla spada
Utile solo io non gli fui; col senno
Procurai di giovargli, ed è mio vanto
L’opra maggior, che assicurar poteo
Alla Francia la pace. “Io degl’invitti
“Venerabili d’Adria augusti padri
“Procurai l’amistà; la lor temuta
“Gloriosa potenza, all’armi nostre
“Felicemente unendo, agl’inimici
“Del popolo fedel recò spavento,
“E siami il ver di pubblicar concesso:

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“Tanti trionfi non avria la Francia

“Acquistati finor, senza l’illustre
“Compagnia degli Adriaci eccelsi eroi.
“Felice chi ha l’onor d’essergli amico!
“A parte può sperar d’esser anch’egli
“Del favor degli Dei, che quella reggia
“E produsse e difende, e illesa sempre
“Serberà da perigli e da sventure.
Duci, tale è Rinaldo: è tal colui
Che contro l’Africano or fu spedito
Dal vostro Re; della condotta mia
Tutti i guerrieri in testimonio io chiamo,
Che fur meco all’impresa; essi diranno
Qual via si tenne; ove attaccai la pugna;
Chi fuggì, chi pregò; chi della tregua
Fu primo a favellar. Di tutto io resi
Esatto conto al mio Signor: sarebbe
Inutile il ridirlo. Ov’è chi ardisce
D’infedeltà tacciarmi? Ov’è chi afferma
I neri patti, i stabiliti impegni
Col re Moro tenuti? Ad accusarmi
Gano solo non basta: i testimoni
S’hanno a produr, perchè d’un reo decida
Giustamente il Consiglio. Io d’Armelinda
Sono amante imputato? Ov’è Armelinda?
A che3 non viene a sostenerlo? Ah! tanto
Ella non ardirà. Come Rinaldo
Aspirare di Francia alla corona,
Se tante volte la corona in fronte
Stabilì al suo Signor? Mente chi ’l dice.
Rinaldo è cavalier; Rinaldo è fido.
Fummo trovati, è ver, col figlio mio
Presso la regal tenda, armati, in ora
Destinata al riposo: ma fu questa

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La più orrida trama, il più studiato

Disegno rio de’ miei nemici. Al varco
M’attesero gl’indegni. Un foglio, o Sire,
Alla vostra difesa hammi condotto;
L’altro condusse il figlio mio. Prendete.
(presenta a Carlo due fogli, e Carlo legge piano
Leggeteli, Signor. M’opposi, è vero,
A Gano esecutor dell’ordin vostro
Negandogli la spada, difendendo
L’onorato mio albergo: io non m’opposi
Però al mio Re: non conveniasi a un vile
La spada di Rinaldo; a un traditore
Non conveniasi la famiglia illustre
D’un Paladino. Invitto Sire, amici,
Ecco la mia difesa. Il so; più forte
L’accusa sembrerà; perchè più scaltro
Parlò l’accusator; ma questo solo
Prima di giudicar, saggi, pensate:
Chi non prova l’accusa, è un mentitore.
Gano. Ove parlano i fatti, invan si chiede
Prova maggior. Foste col ferro in mano
Alla tenda real, la scorsa notte...
Rinaldo. Ma per che far?
Gano.   Per trucidar, felloni,
Il nostro Re.
Rinaldo.   Mentite, anzi in difesa
Fummo entrambi del Re.
Gano. L’insidiatore
Dunque chi fu?
Rinaldo.   Due scellerati fogli
Io so che c’ingannar.
Gano.   Vi confondete:
Siete convinto.
Rinaldo.   Un testimon sospetto
Convincermi non può.

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Gano.   Dunque Armelinda

Venga l’opra a compir.
Rinaldo.   Sì, venga; io spero
Che smentir vi farà.
Gano.   Mal vi fidate,
Se nel suo amor sperate tanto.
Rinaldo.   Io spero
Sol nella mia innocenza.
Florante. Ecco Armelinda.

SCENA VI.

Armelinda e detti.

Carlo. Principessa, venite: a voi s’aspetta

La causa terminar. Vedete il reo,
Voi sapete l’arcano: or voi l’audace
Convincete, smentite. Altro non resta
Che avvilire il superbo.
Florante.   (Ora è perduto
Certamente Rinaldo). (a parte
Ruggiero.   (Ah! che faceste?
D’una donna fidarvi?) (piano a Rinaldo
Rinaldo.   (Io so qual donna,
Figlio, è costei: non paventar). (piano a Ruggiero
Armelinda.   Signore,
Io tutto svelerò: saprete ormai
Il reo chi sia; chi vi tradisce. È vero,
Colui che vi vuol morto, aspira ancora
Alle mie nozze, e sia ambizione o amore,
Sua consorte mi vuol. Promesse indegne,
Sacrileghi attentati, enormi patti
Udirete, gran Re.
Rinaldo.   (Cieli! che sento!) (a parte
Ruggiero. (Gran donna in ver!) (a parte

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Armelinda.   Il perfido, il ribaldo,

Giusto è alfine che pera. Eccovi, o Sire,
Eccovi un testimon d’ogn’altra prova,
Senza dubbio, maggior. Prendete un foglio:
Qui sta chiuso l’arcano. (dà a Carlo un foglio
Rinaldo.   (Io non comprendo
Dove giunga il suo dir). (a parte
Carlo.   Gano, leggete.
(dà a Gano il foglio avuto da Armelinda
Gano. “Ad Armelinda, Principessa illustre (legge
“L’amor, la fedeltà giura Fior...”. (Numi!
Che leggo mai?) (a parte) Eh, d’altro tratta il foglio,
Lacerare si può. (vuol lacerarlo
Carlo.   No, no, fermate:
Datelo alla mia man.
Gano.   Ma questo, o Sire...
Carlo. Non più: date quel foglio.
Gano.   Eccolo. (Oh stelle!) (a parte
(Che faceste voi mai?) (piano a Fiorante
Florante.   (Che fu? Che avvenne?) (piano a Gano
Gano. (Lo saprete ben tosto). (piano a Fiorante
(Carlo guarda il foglio, poi lo dà ad Orlando
Carlo. Orlando legga.
Orlando. “Ad Armelinda, Principessa illustre, (legge
“L’amor, la fedeltà giura Fiorante,
“Di Maganza signor. Giura guidarla
“Di Francia al trono, allor ch’estinto Carlo
“Caduto sia, nel proprio sangue immerso”.
Florante. (Oh donna infida! Ah son perduto!) (a parte
Carlo.   Oh Numi!
Che intesi mai? Dunque Fiorante è l’empio,
Che m’insidia la vita?
Ruggiero.   Io ve lo dissi,
Ch’egli era un traditor. (a Carlo

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Gano.   Ah! che mentito

Questo foglio sarà.
Carlo.   No, no, conosco
I caratteri suoi: scrisse Fiorante;
Fiorante è il traditor.
Gano.   Germano indegno,
Scellerato, fellon! cotanto ardisti,
Cotanto t’acciecò vana ambizione?
Tu contro il nostro Re? Tu temerario
Aspirar al suo trono? Ah! mi vergogno
Di quel sangue che chiudo entro le vene,
S’egli è parte del tuo: ma non s’oscura
Di Gano la virtù per un indegno
Contumace german. Signor, perisca
Questo perfido tralcio: io il suo destino
Son primo ad affrettar: non lo conosco,
L’abbonisco e detesto; il voto mio
E che muoia costui. (L’incauto pera,
Per salvar la mia vita e l’onor mio). (a parte
Florante. (Finge Gano sagace, o mi sagrifica?) (a parte
Rinaldo. (Oh! come il ciel serba alla sua potenza
L’opre grandi geloso!) (a parte
Carlo.   Oh! fido Gano!
Oh! eccesso di virtù! Contro il suo sangue
Infierisce il suo zelo! Ah! sì, sia tratto
Al supplizio Fiorante: io lo condanno
Di propria autorità. Meno non merta
Un’anima sì indegna.
Gano.   Sì, va pure,
Scellerato, a morir.
Florante.   Come? Il germano
M’abbandona così?
Gano.   Non ti conosco.
Florante. Or mi conoscerai. Signor, è vero,
Traditore son io, son io fellone;

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Ma non son però solo: ecco la nota

Dei congiurati: ecco di tutti il primo,
Quest’eroico german che mi condanna.
(dà a Carlo una carta
(Già ch’io deggio morir, Gano non viva), (a parte
Gano. (Ah! mi rapì la fatal carta!) (a parte
Carlo.   Indegni
Maganzesi ribaldi! Ecco svelato
Finalmente l’arcano.
Ruggiero.   (Io vedrò pure
Quest’indegni perir).
Rinaldo.   (Non rallegrarti
Della sventura altrui).
Carlo.   Come, felloni,
Divideste il furor de’ vostri cuori
Contro Carlo e Rinaldo?
Orlando.   Era Rinaldo
L’ostacolo maggior de’ rei disegni.
Vivo lui non poteano lusingarsi
Di togliervi, signor, la vita e ’l regno.
Carlo. Deh, Rinaldo, venite al seno mio.
La difesa maggior di me, del trono,
Dunque voi siete. Oh! come a torto offesa
Fu l’innocenza vostra!
Rinaldo.   È risarcita
Molto, mio Re, se la degnate voi
Della regia bontà.
Carlo.   Duci, Rinaldo
E l’eroe della Francia: a lui dovuto
È il primo onor. A lui dell’armi tutte
Il governo consegno: ei del Consiglio
Presidente destino; ei sarà il primo
Fra i Paladini; e fra Rinaldo e Carlo
Così poca distanza oggi frappongo,
Che dubbia resti ai sudditi fedeli

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Chi di noi di premiar l’arbitrio serbi,

Chi di noi del punir serbi il potere.
Io però mi riserbo il sommo impero
Sulle teste degli empi Maganzesi;
Io li condanno a morte; in ciò Rinaldo
Parte non abbia, la pietà pavento
D’un eroe senza pari.
Rinaldo.   Ah! mio Signore,
Non periscan per me...
Carlo.   Se non per voi,
Per me deggion morire. Siano condotti
Sopra colle eminente, ed alla vista
Dell’esercito tutto i traditori
Siano decapitati.
Florante.   Ah! lo previdi,
Ch’esser questo dovea4 il nostro fine.
Ruggiero. Ve lo predissi anch’io, ma nol credeste.
Gano. Germano incauto! Ah! fosti tu, che tutta
La macchina distrusse5. Io vado a morte,
Ma vi vado però col vanto illustre
D’aver tentato una sublime impresa.
È nostro il meditar: è della sorte
L’esito delle cose. Un giorno solo,
Che tardava il destino ad insultarmi,
Carlo non era re; peria Rinaldo,
Gano in trono saliva; e tu, superbo,
Tu, che aspiravi al grande onor del trono,
Mio vassallo saresti; e forse, forse,
Avrebbe il capo tuo troppo fastoso
Le vittime accresciute a mia grandezza.
(parte, condotto da guardie
Florante. Ecco ciò che distrusse un’opra indegna
Piena d’infedeltà, piena d’orrore.
Scellerato german: tu m’inducesti

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All’orribile eccesso; e poi tradisti

La natura così, così la fede!
Vado a morir: indegno son di vita,
Lo confesso pur troppo: oh Dei! Perisse
Ancor con me la ria memoria indegna
Della mia infedeltà. Ma no, d’esempio
Al mondo servirà la rimembranza
De’ miei neri delitti e di mia morte.
(parte, condotto da guardie
Ruggiero. Padre, quanto m’incresce che costui
Vada a morir.
Rinaldo.   Perchè?
Ruggiero.  Perchè vorrei
Poterlo di mia man stendere al suolo.
Rinaldo. Frena gl’impeti rei della vendetta.

SCENA ULTIMA

Clarice e detti.

Carlo. Rinaldo è il più fedele6

Cavalier della Francia, e da Ruggiero
Molto si può sperar, quando dal padre
Apprenda a moderar gl’impeti fieri.
Armelinda. Signor, di me che fia?
Carlo.   Voi tornerete
Ben tosto al genitor: approvo quanto
Rinaldo stabilì: da me saranno
Della pace comun soscritti i patti;
Ma, Principessa, perchè mai diversa
Mi parlaste voi ieri, e di Rinaldo
Perchè nemica vi mostraste?
Armelinda.   Io, Sire,
Rinaldo amai, e l’amo ancor, d’amore
Tale però che non offese mai
L’onor suo, l’onor mio; sperai salvarlo

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Dagl’inimici suoi, però mi finsi

Nemica sua, delusi i scellerati,
E quel foglio di man gli svelsi ad arte.
Rinaldo. Quando vi deggio!7
Armelinda.   Partirò, Rinaldo,
Per non cimentar troppo coll’affetto
La virtù che m’assiste.
Rinaldo.   È vero. Intesi
Che non si vince amor, se non fuggendo.
Carlo. il congresso si sciolga. Andiam, Rinaldo,
Che dal mio amor prove maggiori avrete.
Rinaldo. Ah! qual prova maggior dell’amor vostro,
Sire, sperar potrei? Molto donaste,
Più di quel che convenga ad un vassallo.
Basta, basta, mio Re: la mia innocenza,
L’onor mio, la mia gloria è quel tesoro
Che tanto io stimo, e che di vita assai
Più m’alletta e mi cale. Eccoci, o figlio,
Eccoci già coll’onor nostro in fronte
Splendido più che mai: deh, non cessiamo
Di coltivarlo. Hai tu veduto, o figlio,
Come facil smarrisce? Esser non basta
Innocenti col mondo; esserlo ancora
Dobbiamo con il Ciel: punisce il Cielo
Per impensate vie: punisce appunto
Col disastro maggior, non preveduto,
Quando irato è con noi. Deh, perdonate,
Se col figlio, Signor, troppo mi perdo:
Sono i figli dell’uom la maggior cura.
Se giunge un padre ad allevar sua prole
Amica di virtù, nemica al vizio,
Fortunato sen vive, e lieto muore.


Fine del Quinto ed ultimo Atto.

  1. Nelle vecchie edizioni è stampato: D’ordine.
  2. Nell’ed. Zatta: voi.
  3. Così nella edizione di Torino. L’ed. Zatta: Ah! che.
  4. Forse è da leggersi doveva.
  5. Così nel testo.
  6. Abbiamo qui un settenario, In qualche edizione dell’Ottocento fu aggiunto e valoroso.
  7. Nelle edizioni del Settecento si legge: Quanto vi deggio, Principessa!