Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo III/Libro I/Capo VI
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Capo VI.
Giurisprudenza.
I Goti lasciano in vigore la romana giurisprudenza.
I. L’invasione de’ Barbari, e il dominio che
essi occuparono dell’Italia, non fu ae’essa ca’ gione di quel totale sconvolgimento della romana giurisprudenza, che sembrava doverne
probabilmente avvenire. Parea verisimile che i
novelli conquistatori costringer volessero i vinti
a soggettarsi alle leggi dei lor vincitori. Ma nè
Odoacre, nè Teodorico, nè gli altri re ostrogoti che lor succederono, non fecero in essa
cambiamento di sorta alcuna. Essi ben conoscevano che a regnare tranquillamente su’ popoli soggiogati coll’armi conveniva recare ad
essi la minor molestia che si potesse, e lasciarli vivere, per quanto fosse possibile, secondo le antiche lor costumanze. Perciò non
solo essi ritennero l’esterior forma nell’amministrazione dell’impero, che sotto i romani
imperadori era stata in uso, ma permisero ancora a’ popoli lor soggetti di regolarsi secondo
le proprie loro leggi, e di avere i lor giudici
nazionali. I Goti nondimeno vollero ritenere
ei viveva allor quando Roma fu da Alarico espugnata.
Egli ha ancora prodotti più altri medici ecclesiastici
ne’ primi secoli della Chiesa, e più altri che poscia
dalla professione di medico salirono alla dignità di vescovo (l. cit. e p. 13). PRIMO 97
essi pure le leggi colle quali ne’ lor paesi eransi
regolati; e convenne perciò a Teodorico di
ordinare che i Goti fosser giudicati da’ Goti,
e da’ Romani i Romani; e che nelle cause in
cui aveasi a decidere tra’ Romani e’ Goti, si
scegliessero giudici di amendue le nazioni. E
perchè ciò non ostante sorgevano spesso difficoltà e contese, si pubblicò un Editto composto di 154 articoli, tratti per lo più dalle
leggi romane, che dovessero osservarsi ugualmente da’ Romani e da’ Goti in quelle contese
che fosser loro comuni. Esso è stato pubblicato dal Lindenbrogio (Cod. Legum antiq. ec.).
li. Quindi il Codice pubblicato già da Teodosio il Giovane ebbe ancora vigore sotto Teodorico; e benchè nelle Lettere di Cassiodoro
non se ne trovi espressa menzione, spesso nondimeno vi si dichiara il volere di Teodorico,
che le leggi romane ritengano l’antica loro autorità. Delectamur, dic’egli (l. 3 Var. ep. 43),
a nome del suo sovrano, jure romano vivere,
quos armis cupimus vindicare. Egli è perciò
verisimile che molti vi avesse in Roma anche
di questi tempi che nello studio delle leggi diligentemente si esercitassero; e molto più che,
come già abbiamo osservato, tra i professori a’
quali i re goti vollero che fosser pagati i dovuti stipendj, era espressamente nominato il
professor delle leggi. Nondimeno non ci è pervenuta notizia di alcun celebre giureconsulto
che a questi tempi fiorisse in Roma, ove solo,
come abbiam dimostrato, poteasi in tutto f Occidente tenere scuola di leggi. o perchè non
vi avesse veramente alcuno che in ciò salisse
Tiraboschi, Voi. III. 7 111.
Pubblicazione del Codice di Giustiniano.
<j8 LIBRO
a gran nome, o perchè di quelli che in questa scienza furono illustri, non ci sia rimasta
memoria per negligenza degli scrittori di questa
età , o per lo smarrimento avvenuto dell1 Opere
loro.
III. Frattanto mentre regnava Atalarico, 1 imperador Giustiniano riformò la romana giurisprudenza. e la pose in quel sistema medesimo
in cui ella è al presente. Non è questo un oggetto che appartenga al mio argomento, poichè
tutto fu opera di un imperador greco e de’
greci giureconsulti. Io perciò sarò pago di accennarlo brevemente, rimettendo chi voglia più
rii stintamente saperne, a’ molti storici che abbiamo della romana giurisprudenza, e singolarmente a’ due più volte citati, l’Eineccio (Hist.
Jur. l. 1 ,c. 6) e il Terrasson (Hist. de la Jurispr.
part. 3). L’anno dunque 528 ei diè l’incarico
a dieci de’ più dotti giureconsulti che fossero
nel suo impero , fra’ quali era il celebre Triboniano , che da tre Codici che per 1" innanzi si
eran formati, cioè dal Gregoriano, dall’ermogeniano e dal Teodosiano. raccogliessero e in
miglior forma ordinassero quelle leggi che sembrassero più Opportune, facendovi ancora que’
cambiamenti e quelle giunte che si credessero
necessarie, e ne formassero un nuovo Codice.
Poscia al medesimo Triboniano e ad altri diciassette giureconsulti egli commise che raccogliessero insieme le decisioni e le sentenze de’
giureconsulti antichi più illustri, che furon divise in cinquanta libri, e ciascun di essi in più
titoli secondo le diverse materie, ed ebbero il
nome di Digesti ossia di Pandette. Per ultimo PRIMO QCf
dallo stesso Triboniano e da Teofilo e da Doroteo ei fè comporre i quattro libri d’istituzioni ossia di elementi della scienza del diritto;
e in questa maniera compito il corpo intero
della romana giurisprudenza, ne fece l’anno 533
la solenne pubblicazione, comandando ch’esso
solo servisse di certa regola in avvenire, e che
da’ pubblici professori si dichiarasse non solo
in Costantinopoli e in Berito, ma in Roma ancora. Ma questo primo Codice di Giustiniano
non ebbe lunga durata. Avea egli già pubblicate
verso il medesimo tempo cinquanta decisioni
su molte contese che tra’ discordanti giureconsulti soleano sorgere, e avea innoltre dopo la
pubblicazione del Codice promulgate, secondo
il bisogno, altre leggi. Or le une e le altre andavano in certo modo disperse e disgiunte dal
corpo della giurisprudenza. Perciò per mezzo
di Triboniano e di altri quattro giureconsulti
ei rivide, ed emendò, ed accrebbe in più luoghi il suo Codice, aggiugnendovi così le Decisioni come le nuove Costituzioni; e soppresso
l’antico Codice, pubblicò il nuovo l’anno 53 \,
che perciò fu chiamato Codex repetitae praelectionis, ed è quel medesimo che noi abbiamo
al presente. A questo furon poi aggiunte le
nuove Costituzioni che negli anni seguenti da
Giustiniano furono pubblicate, e che sembrano
essere quelle appunto che abbiamo nel corpo
della giurisprudenza sotto il titolo di Novelle
Costituzioni divise in nove Collazioni; ed altre
aggiunte ancora vi si fecero ne’ tempi avvenire,
delle quali non è qui luogo di ragionare. Così
tutto) il corpo della romana giurisprudenza fu IVDiversità
di pareri in*
torno ad esso.
V.
Quando fossi rirevuloin
Italia.
ino LIBRO
diviso in tre parli, olire le Istituzioni che no
sono come il proemio, cioè nei Digesti, nel
Codice, e nelle Nuove Costituzioni, dette più
brevemente Novelle.
IV. Di questo corpo di leggi si fanno da alJ
cimi giureconsulti i più grandi elogi, da altri
se ne parla col maggior dispregio del mondo.
Io che non sono giureconsulto, debbo io entrar di mezzo tra sì grandi uomini, e decidere
francamente a chi si debba dare e a chi negar
fede? Ancorchè io fossi ardito di farlo, altro
certamente non otterrei che d’incorrer lo sdegno e il biasimo di coloro a’ quali mi mostrassi
contrario. Ognun dunque ne senta come meglio
gli piace, che io non verrò perciò a contendere con alcuno. Solo per chi sia desideroso
di pur sapere ciò che su questo argomento si
dica dall’una e dall’altra parte, accennerò (qui
una bella dissertazione dell’Eineccio da lui intitolata: Defensio compilationis juris romani
(vol. 3 Op. ed. Gen. 1748, p. 126), nella quale
ei riferisce ed esamina a lungo, e poscia rigetta e combatte le accuse che da molti si
danno al corpo della romana giurisprudenza;
a cui un’altra egli ne ha aggiunta De secta
Triboniano mastigum in difesa del celebre Triboniano autor principale della stessa compilazione. Ognuno potrà ivi conoscere se le accuse
o le difese sian meglio fondate , e seguir quel
parere che gli sembri meglio provato.
V. Ma questa , qualunque ella siasi, compilazione di leggi fu ella in Italia abbracciata mentre vi regnavano i Goti? Pare che Giustiniano
il volesse, e in alcune leggi del suo Codice ei PRIMO 1 O I
fA menzione ancora dell’antica Roma (l. 1,
tit. 17» b 1 *> tli- l^)i ma stesso dovea intendere che non gli era agevole l’ottenerlo,
mentre Roma e l’Italia ubbidivano ad altri sovrani. Io osservo in fatti che gli editti da lui
premessi al suo Codice, con cui comanda che
ad esse in avvenir si conformino tutti i popoli
a lui soggetti, sono indirizzati o al senato di
Costantinopoli, o al prefetto del pretorio nella
stessa città, niuno al senato, o ad altro magistrato di Roma. Quindi finchè i Goti o regnarono tranquillamente in Italia, o vi sostenner
la guerra contro de’ Greci, la quale ebbe principio poco dopo la pubblicazione del Codice
di Giustiniano, io penso che quello di Teodosio continuasse a servir di norma e di regola
ne’ giudizj. Ma dappoichè, distrutto il regno
de’ Goti, l’Italia ricadde in potere di Giustiniano , questi ordinò che le sue leggi vi fossero
ricevute e pubblicate. Abbiamo ancora l’Editto
da lui promulgato a tal fine l’anno 554 che fu
il seguente alla morte di Teia ultimo re de’
Goti. Editto da lui intitolato Sanzion Prammatica, e che vedesi aggiunto al Codice fra gli
altri editti di Giustiniano e de’ suoi successori.
In esso dopo aver confermati (c. 1) i privilegi
tutti che da Atalarico, da Amalasunta e da Teodorico erano stati conceduti a’ Romani, ma annullati quelli (c. 2) che ottenuti si erano da
Totila a cui dà il nome di tiranno, e dopo
aver dati più altri provvedimenti, comanda che
in avvenire le sue leggi abbian forza e vigore
in tutta l’Italia. Jura insuper vel leges Codicibus nostris insertas, quas jam sub cdictali 102 LIBRO
programmate in Italiani diuhun misimus, oblinere sancì mas, sed et eas, quas postea promulgaci mus, constitutiones jubemus sub edictali propositione vulgari ex eo tempore quo snb edit tali.
programmate juerint, ctiam per partes Italiaem
obtinere, ut, una Deo volente facta republicam
legum e ti am nostrarum prolatetur auctoritas
(c. II). Era al lor Giustiniano signore di quasi
tutta l’Italia, poichè sol poche piazze rimaneano in man de’ Goti. E non è da dubitare che
Narsete, il quale per lui governatala, non la-«
cesse eseguirne i comandi. Fu adunque allorjj
ricevuto in Italia il Codice di Giustiniano, e
vedremo poscia che sotto i re longobardi an- \
cora fu lecito agl’italiani l’usarne.
VI. Le arrecate parole di Giustiniano, con
cui afferma di aver mandato in Italia un corpo
delle sue leggi, han fatto credere a molti che
il rinomatissimo codice delle Pandette pisane,
ossia fiorentine, che or conservasi in Firenze (11),
sia quel desso appunto che fu inviato in Italia
da Giustiniano, e ch’esso sia scritto per mano
del medesimo Triboniano. Il primo autore di
tal opinione fu Angelo Poliziano, il quale innanzi ad ogni altro esaminò attentamente quel
codice, e ne fece le collazioni delle quali a suo
luogo ragioneremo. Il sentimento del Poliziano
fu poscia seguito e difeso da molti altri scrittori,
i cui nomi si arrecano da Arrigo Brenemanno
(<7) Il celebre codice delle Pandette pisane conserva*
vasi lina volta nella real guardaroba in Firenze , da cui
poscia per ordine del regnante Gran Duca è stato trasportato nella Laurenziana. PRIMO 103
(Jllst. ParuL JlorenL l. i, c. 2; l. 4, c. 1), e
dopo lui da Federico Ottone Menckenio (Vita
Ang. Polit. p. 304, ec.) e dal ch. canonico Bandini (Rag. sopra la collaz. delle Pand. p. 7, ec.).
Ma questi tre medesimi autori, e altri da essi
allegati, han confutata l’opinione del Poliziano,
e han dimostrato che benchè il mentovato codice non debba credersi posteriore di molto
a’ tempi di Giustiniano, e sembri scritto tra il
vi e il vii secolo, non si può nondimeno in
alcun modo affermare che abbia quel pregio
troppo maggiore che il Poliziano gli ha attribuito. Or questo nuovo corpo di giurisprudenza
romana avrebbe dovuto risvegliare in molti impeto ed ardore non ordinario nel coltivarla.
E forse vi furon molti a que’ tempi che in
questa sorte di studj ottenner lode. Ma non ce
n’è giunta, ch’io sappia, notizia alcuna. Forse
ancora vi furon più altri, oltre a quei che abbiam
nominati, che in qualche genere di letteratura
furon famosi in Italia a questa medesima età.
Ma le vicende da’ tempi che a questi vennero
dopo, ce ne han fatto perdere ogni memoria;
e qui perciò siam costretti a porre fine a questa epoca, in ciò che appartiene agli studj; poichè di ciò che spetta alle scuole e alle biblioteche , abbiam già ne’ precedenti capi raccolto
tutto ciò che dagli storici di questa età ci c
stato tramandalo.