Visioni sacre e morali/Visione VI
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VISIONE VI.
PER LA MORTE
DELLA SERENISSIMA
MARIANNA
ARCIDUCHESSA D’AUSTRIA
PRINCIPESSA DI LORENA.
Nella stagion, che il sol dal cocchio eterno
Alla fertil Esperia obbliquo splende,
3E lascia l’erbe e i fior in preda al verno,
Sorta era già coll’umid’ale orrende
La fredda Notte, ed i silenzj e i sogni
6Le intrecciavan al crin l’oscure bende;
Ed io, qual uom che immagin tetra agogni
Sveller dall’Alma, e in desvíar l’immago
9Più l’imprima in sè stesso, e si rampogni,
Meco dicea: Come il pensier mio vago
D’errar ove nè augelli erran, nè antenne,
12E in tanto vol stanco non mai, nè pago,
Come tarpò le tríonfali penne
Sì, che invan chiegga quell’antica forza,
15Che su le liquid’aure alto lo tenne?
Come una Donna, la cui vaga scorza,
Pria che cenere fosse unqua non vidi,
18A serbarla nel cor viva mi sforza?
Degna fu ben, che in lagrimosi gridi
Sonasser tutti di Marianna al nome
21Del Germanico mare i monti e i lidi;
Degna fu, mentre da sue frali some
La bell’Alma fuggía, che l’Istro e il Reno
24Strappassero il guerrier lauro alle chiome.
Ma benchè i mesti onor di morte appieno
Fosser dovuti a lei, qual parte avea
27Il mio con essa immaginar terreno?
Forse scritto è lassù, che ignota idea
Per secreto destin mia mente annodi,
30O del mio vaneggiar la mente è rea.
Mentr’io mille tentava altre arti e modi
Per rispinger l’immago, in cui s’immerse
33La ragion mia con sì tenaci nodi,
Spettacol grande agli occhi miei s’offerse,
Che i sensi in un momento e i desir tutti
36Dell’affannato ingegno a sè converse.
Colà, dove Aquilon serba i ridutti
Gelidi venti, che poi scioglie irato
39Contra le selve annose e i salsi flutti,
Dal polo fin dell’oríente al lato
Con luce di sanguigno ardor feconda
42Si tinse il taciturno aere stellato;
Tal che dell’Eridán presso alla sponda
Ne rosseggiáro al ripercosso lume
45Gli uomin, le navi, i tronchi, e l’erbe, e l’onda.
Mentre seguendo il nuovo suo costume
Ardea purpureo il ciel, gli apparve al lembo
48Un, che l’aure inondò, ceruleo fiume;
E dall’azzurro e dal vermiglio grembo
Rai ne sgorgáro or agitati, or cheti,
51E ondeggiamenti del focoso nembo,
E globi, che splendean come pianeti,
E lucide corone, ed archi, e liste,
54E argentee volte, e pescarecce reti.
Ben conobb’io nel meditar le viste
Fiamme dipinte, e con mirabil’ arti
57Raccolte da Natura, e fra lor miste,
Che i sottili nitrosi efflussi sparti
Dal gelo acuto per gli aerei campi
60Salír del zolfo ad irritar le parti
Dal sole attratte, quando avvien, che avvampi
Alto del Cane sotto l’ignea stella,
63E allor scoppiáro in color varj e in lampi.
Sparía, poi riaccendeasi ogni facella;
Ed era or l’ostro illanguidito, ed ora
66Fea di vivo fulgor mostra novella.
Quand’io mi volsi a rimirar, se ancora
Stesi avesse i bei raggi al lato manco
69Ne’ moti suoi la Boreale Aurora;
E volto appena, ecco mi vidi al fianco
Una Donna Real di strisce aspersa
72Incatenate a spine il manto bianco.
Poichè alla sua la fronte ebbi conversa,
Muto per maraviglia ad una ad una
75Scopría le forme dell’immagin tersa.
Fascia di luce avea, dove s’aduna
Il più folto del crin: bruno era il crine,
78Che la faccia lambía fra il roseo bruna:
Le nere ciglia con egual confine
Doppio fean sottll arco al cerchio nero
81De’ rai, che cinto ardea d’argentee brine.
Ella, che l’una man con modo altero
Tenea là dove il fianco il busto folce,
84L’altra innalzò con incurvar leggiero
Verso le labbra, che il bel riso molce,
E abbassò gli occhi in sì leggiadra guisa,
87Che in Donna mai non vidi atto più dolce;
E a dir sì prese: Io benchè in loco assisa,
Ove giunger non può quest’aere impuro,
90E per tanto da te spazio divisa,
Pur lessi aperto in Dio, cui nulla è oscuro,
L’ostinato pensier, che sì t’avvinse,
93Che inutil provi anche il domarlo, e duro.
Ben raro in amator tal si dipinse
Stabil idea d’una beltà mortale,
96Qual la mia d’amor nuda a te si strinse.
Ma del Ciel grazia è il tuo pensier, che l’ale
A me volse; e ch’io scenda a parlar teco
99È grazia nuova ai maggior doni eguale;
Perchi’io, che porto la mia gloria meco,
A te la stella di salute additi
102Nel mar che varchi, aspro di scoglj, e cieco;
E perchè tu, quand’ella a sè t’inviti,
Tutte rivolga a lei le accese voglie,
105Ed il mio cor nel ríamarla imiti.
Ch’ella le spine, che in sè impresse accoglie
Il mio manto, e a me fér vivendo guerra,
108Cangiommi in segni di tríonfo e in spoglie.
Or tu mi segui, e il gran momento afferra
Per veder quella, che non mai s’appanna,
111Sacra Aurora, che il cielo orna e la terra.
Seguimi; vano sogno or non t’inganna,
Od ombra, che dall’aer condenso nacque:
114Spoglia il muto stupore: Io son Marianna;
Io son colei, che ferma in cor ti giacque
Ad onta tua per avviarlo altrove.
117Mirami; e sfavillò più chiara, e tacque.
Per le parole sparve elette e nuove
La maraviglia, e un santo in me s’infuse
120Ardir, che l’Alme pie conforta e move;
Ond’io le labbra, che il timor già chiuse,
Facili aprendo: Alma real, risposi,
123Chi tanta nel mio sen grazia diffuse,
Che te inviti dall’alto, ove riposi
Fra lo splendor di tua letizia e pace,
126A ritentar le vie de’ chiostri ombrosi?
Ben fu voler divin, cui sceglier piace
Moti più ignoti all’Uom, ch’io in me volgessi
129Quel pensier tanto in sua fermezza audace,
E che in mente di Dio tu lo vedessi,
Perchè l’idea della tua morte amara
132Col tuo bel volto a rischiarar scendessi;
Ed empiendomi il cor di luce rara
Lo rendessi in amar servo di lei,
135Che fu la grande Ancella a Dio più cara.
Ma perchè in me tu spegna i dubbj miei
Sorti in mirar, che su le nubi e il tuono
138Le spine porti, onde fregiata sei,
Dimmi, e il mio dir merti da te perdono,
Quai t’afflissero spine? E forse queste
141Pungon quaggiù l’Alme serbate al trono?
Fra l’aspre, ella soggiunse, onde funeste
Del crudo mare, o grave siasi, o lieve,
144Soffre ogni prora i venti e le tempeste.
Ma che più indugi? Omai t’appiglia al breve
Sentier, che nel condurti al santo obbietto
147Beati gli occhi appien render ti deve.
Io mossi allor sovra il cammino eletto
Dalla mia Guida, e ad onta mia mi sorse
150D’incerta fede una sol’ombra in petto;
Chè il piè calcar noto cammin s’accorse,
E mi parea, che la felice meta
153Per quella via por si potesse in forse,
Quand’ella ripigliò: Di me più lieta
Un tempo giammai Donna altra non visse
156Sotto la sfera del più bel pianeta;
Chè quanti il Ciel divisi altrui prescrisse
Agi, e titoli augusti, e sommi onori,
159Parve, che in me con largitate unisse;
E perchè del piacer puro tra i fiori
Nulla, onde render pago il cor, mancasse,
162V’aggiunse il fior de’ maritali amori:
Ma il vario ordin, che sempre in giro trasse
Le umane cose or fauste, or infelici,
165Fe’ che il primo destin mi si cangiasse.
Era io congiunta co’ più santi auspici
Al magnanimo Carlo; e di lui paga
168Godea vivendo in lui l’ore felici.
Fra noi concorde era il voler, che appaga
Dell’Alme pie l’innamorato stuolo;
171Chè pari in noi fu l’amorosa piaga,
Che d’ire scevra e di geloso duolo,
Perchè aperta per man di Caritade,
174Fea di due spirti e di due cori un solo:
Quando dalle vicine a noi contrade
Apparver folte ad ingombrar Lamagna
177Civili insieme e peregrine spade,
Che, qual d’alto pendío della montagna
Precipitato fiume all’ima valle,
180Empiéro i colli, i boschi e la campagna.
Quel, che vietò chiuder a tempo il calle,
Subito assalto accese i cor più degni
183A non voltar le inonorate spalle;
E il mio Consorte co’ guerrieri sdegni
Infiammò sì, che a vendicar discese
186Della Germana mia gli oppressi Regni.
Ma mentre armato in campo egli difese
La ragion prisca dell’Austriaco Sangue,
189Me ad onta sua, che d’Austria nacqui, offese,
Perchè, qual egro che combatte, e langue
Fra il viver duro e l’aspettata morte,
192Lungi dal suo giacque il mio cor esangue.
AUor provai quanto d’ogni aspra sorte,
O di misero stato, o di martíri
195Fosse ne’ petti umani amor più forte.
Chiedean all’Alma i caldi miei desiri
L’esca soave dell’amato volto;
198E l’Alma rispondea sol co’ sospiri.
Nè a rattemprar valean poco, nè molto
Le danze liete, ed i conviti e i giochi,
201Nell’affannosa mente il duol raccolto.
Già pel lungo soffrir gli spirti fiochi
Scorrean de’ nervi le compresse vie
204Rigurgitando a non usati lochi;
Già le sceme del cor forze natíe
D’ingrato mi vestían peso e torpore,
207E nel torpor crescean le pene mie;
Quando la Madre del divino Amore
Spirommi a offrirle in don, come se fosse
210Vittima volontaria, il mio dolore:
E le sue piume appena il pensier mosse
Ricche del mesto don, che nuova lena
213La mia virtù sopita entro me scosse.
Nulla scemò d’amaro alla mia pena;
Ma qual ferro affinato in su l’incude,
216D’ogni vil la spogliò parte terrena.
Queste le spine fúr pungenti e crude
Fitte in me sul confin del viver lasso,
219Che Amor pria m’intrecciò, poscia Virtude.
Fra queste giunta al periglioso passo
Dal sen disciolsi un’infelice Prole
222Spenta ne’ sensi, e indifferente a un sasso.
Cinta da queste al tramontar del sole
Ultimo ai giorni miei fredda qual gelo,
225Muta pel labbro chiuso alle parole,
E ingombra i lumi da un funesto velo
Donai quant’ebbi di più caro in vita
228A Lei, che mi volgea gli occhi dal cielo;
E mentre a Lei, che mi porgeva aíta,
Per lasciar la Germana io mi conversi,
231E la tenera insiem Madre smarrita.
Del pianto estremo le mie gote aspersi,
Ma lo Sposo in offrir stetti sospesa,
234Poi diedi un gran sospiro, e alfin l’offersi.
Ah! vedi: Ecco la via dai raggi accesa
Della Donna immortale, e gli splendenti
237Archi e trofei della divina impresa.
Vedi: e appena compiè gli ultimi accenti,
Che nuove e ignote all’Uom terre vid’io,
240Come in un mar d’immensa luce ardenti.
Era luce il sentier, poichè sparío
Il primo che calcai; luce eran gli archi,
243Sotto cui l’ampia strada a me s’aprío:
Nè i pilieri s’ergean di luce parchi,
Che in doppia fila un vago ordin conduce
246Di tinte in vivo lume immagin carchi;
Così, se lice il paragon, riduce
L’arte le tele a trasparir dipinte,
249Che il color d’esse appar colore e luce.
Da un lato risplendean co’ rai distinte
In buja notte le Angeliche Squadre
252A porre il piede in vil capanna accinte,
Quando dal grembo della diva Madre
Nacque congiunto d’Uom al velo e all’Alma
255Il Figlio eguale in Deitade al Padre:
Dall’altro stanca la materna salma
Nel fuggir lungi dall’Ebrea pendice,
258Parca posar sotto l’Egizia palma;
E mentre il latte il divin Parto elíce
Dal casto sen, parea ver Lei coi rami
261L’auree frutta piegar l’arbor felice.
Quinci agli atti apparía madre, che brami
L’unico suo trovar perduto pegno,
264E invan per nome fra i sospir lo chiami;
Poi di gioja nel volto apra il bel segno
Quando nel Tempio fra i più Saggi il vide
267Chiara far mostra del divino ingegno:
Quindi pel Galileo stuol, che s’asside
Alle mense di fior festosi sparse,
270Offre Ella i voti, e ai voti il Figlio arride,
E dell’uve spremute entro le scarse
Urne la turba nuzíal rimira
273Nel soave liquor l’acque cangiarse.
Oimè! che immago è questa? Ahi! che s’aggira
Caliginoso intorno al sole ammanto,
276La terra e l’aria orrore e morte spira.
Egli alto in Croce, Ella alla Croce accanto;
Trafitti ambo, un da chiodi, una d’affanno;
279Gronda il Figlio di sangue, Ella di pianto.
Scorgonsi alfin gli Spirti pii, che vanno
Coll’invitte del Figlio anni e bandiere
282A portar Lei sovra il sidereo scanno;
E ov’Ella parte dell’aure leggiere
Il liquido sentier, per maraviglia
285Curvansi al piè tríonfator le sfere,
Le pinte opre, in cui l’arte al ver somiglia,
Sì m’avean per letizia il cor confuso,
288Ch’io non sapea da lor volger le ciglia;
Quando la Guida mia: Tempra il diffuso
Gaudio nell’Alma tua, disse, e lo serba
291Pel volto, ch’ogni gaudio ha in sè racchiuso.
Ecco la Valle, ove tra i fiori e l’erba
Scende al pregar della gran Donna il fonte,
294Ch’eterna a chi ne bee vita riserba.
Ch’ella di Dio su gli alti monti è il monte,
Ove il fiume divin mette sua foce
297Colma di grazie ai vostri affanni pronte.
Tacque appena, che un fumo alto e veloce
Uscì ondeggiando di sotterra, e giunse
300Questa a recar a noi dogliosa voce:
O tu, che all’alma Donna Amor congiunse,
Odi i sospir di noi, che già fra i tetri
303Dell’armi orror morte dal fral disgiunse.
Deh! porgi i voti a Lei, che schiuda, e spetri
L’ignea prigion, e nel beato centro
306Dal Figlio suo l’ale spiegar ne impetri.
La mesta prece, che avvolgeasi dentro
Al caldo fumo, in cor della mia Guida
309Parve passar pietosamente addentro;
Onde gridò: Speme non vana affida
I desir vostri, elette Anime amiche,
312Se fia, che a me d’Amor la Madre arrida.
Ma già dell’ampia Valle a noi le apriche
Piagge apparían, di vaghi fior coverte
315E di verdi erbe a impallidir nemiche.
Alle dolci acque da’ bei rivi offerte
Giacca prostrata innumerabil turba
318A braccia stese e colle labbra aperte;
E l’acque, il corso a cui mai non perturba
Limo od alga, scendean da un monte alpestre,
321Cui nebbia o nube il capo altier non turba,
Perchè ardea su la cima alta e silvestre
Sì chiaro un Sol, che par di raggi privo
324Quel che sorge a fugar l’ombra terrestre.
Talor sembrava inaridirsi un rivo,
Mentre un altro da lungi entro le sponde
327Gonfio crescea di limpid’acque e vivo.
Nè l’eterna, che in lor virtù s’infonde,
Valea soltanto ad ammorzar la sete,
330Ma purissimo il cor rendean quell’onde.
Qui fin del Globo dall’oscure mete
Vario accorrea popol di volti e lingue;
333E quel, che i campi dell’aurora miete,
E quel, cui dal color bianco distingue
Nell’arsa Etiopia l’annerita pelle;
336E quel, cui lunga notte il giorno estingue
Là dove regna il freddo Arturo, e svelle
Dalle piante il vigor coi moti pigri
339Delle sue tarde aquilonari stelle.
Qui adorno pur delle squojate tigri
Stuolo d’abitator fieri si tragge
342Dal grand’Eufrate e dall’Armeno Tigri.
Nè delle nuove Americane spiagge
Manca il rozzo cultor, oh colpa infame!
345Uso le belve ad imitar selvagge
Col sangue umano in satollar la fame;
Nudo, e coperto sol di penne i lombi
348Insiem tessute con arboreo stame.
Qui più d’ogni altro avvien che il suon rimbombi
Delle genti Europee confuso e misto
351Fra il suon de’ corvi impuri e de’ colombi,
Che sotto al sacrosanto arbor di Cristo
Occupan l’ampio suol, che in altra etate
354Fu già gran parte del Romano acquisto.
Io colla bella Guida avea varcate
Fra turba e turba le pianure elette
357I fonti a diramar della Pietate;
E ascese avea le dirupate e strette
Vie del selvoso inaccessibil colle,
360Che l’erta fronte oltra le nubi mette;
Nè al piè d’inciampo eran o sterpi, o zolle,
O sassi, o spine, chè l’amica scorta
363Rendea l’aspro sentier facile e molle.
Quando un’alta armonía, che riconforta
Ogni spirto vital che stanco assonna,
366Tal s’udío su la strada al monte attorta:
Ave, o del giorno eterno immortal Donna,
Che avesti il cor d’immensa grazia adorno
369Fra quante unqua vestír terrestre gonna.
E al bel canto rispose a noi dintorno
Con mille voci un invisibil Coro:
372Ave, o gran Donna dell’eterno giorno.
L’Angelico pel monte inno canoro
Sul pian ci colse d’innalzata costa,
375Che la vetta scopría fra i raggi d’oro,
Tal, che all’alto mirando, ove riposta
Credei del Sol la lampa, il Sol non scorsi,
378Ma una Donna nel Sol quasi nascosta.
Poichè Donna celeste esser m’accorsi
Di stelle cinta la crinita testa,
381Col guardo a vagheggiarla avido corsi.
Ella avea lunga ed aggirevol vesta,
Che scendendole in giù fra il seno e i fianchi,
384D’auree fila del Sole era contesta:
Premea con un de’ piè, qual neve bianchi,
La risplendente luna e il Serpe antico,
387Che in morder l’Uom par che non mai si stanchi.
Divino il volto e di pietade amico,
Divini gli occhi, ed il virgineo riso
390Divinamente in lampeggiar pudico.
Le splendea tutto in fronte il Paradiso,
Sì che Marianna al paragon più chiaro
393Era presso un fior vivo un fior reciso.
Il santo volto in sua beltà sì raro
Di tanta caritade il cor m’empieo,
396Che l’ossa e le midolle arserne al paro;
E tal crebbe l’ardor, cui non poteo
Regger la salma, che, bench’ella fusse
399Terrena, egual ne’ moti a lui si feo,
E questo agile al vol sì la ridusse,
Che la portò fin dove il monte arriva,
402Mentr’egli al cenno suo si ricondusse.
Giunto al sommo ch’io fui, credei che priva
L’Alma del velo fral gioir dovesse
405Beata ognor presso l’amabil Diva;
Quand’ella con un sol guardo, che impresse
Negli occhi miei, la trista serie e lunga
408Di sua pietade e de’ miei falli espresse.
Quel guardo mi spiegò, com’ella aggiunga
Al più tenero amor materna cura,
411E quanto per l’Uom reo pensier la punga.
Lessi in quel guardo gli anni miei fra dura
Pena trascorsi qual scoccato dardo
414Per volto fral, che in breve età si oscura;
E i suoi fervidi inviti, ed il mio tardo
Ritorno, e il finto pentimento: oh quante,
417Quante cose mi disse il dolce sguardo!
Mentr’io pendea come confuso amante
Fra vergogna e stupore, e gaudio e speme
420Dal parlar vivo delle luci sante,
La Guida mia, che in quelle rupi estreme
Il mio precorso avea volo sì strano,
423Giunse alla sua la vergin destra insieme,
E in atto umíl d’intercessor non vano
Un Angel le additò d’acuta spada
426Armato presso a lei la sacra mano,
E disse: Se i miei voti udir t’aggrada,
Donna del Ciel, che non respinti mai
429Fúro da te nella mortal contrada;
S’io t’ubbidii, se innanzi ai divi rai,
Chè tal fu legge tua, trassi costui,
432Che a un tuo sol guardo arse in amor d’assai,
Dammi, che uno stuol d’Alme, intorno a cui
Stridon le purgatrici aspre faville,
435Esca dal cerchio di que’ regni bui.
Esse, quando la vita ai corpi unille,
D’Austria nel sostener le dubbie sorti
438Sparser del sangue lor l’ultime stille:
Per esse chieggo pace. Or fra le forti
Prove, onde tu l’alta Giustizia pieghi,
441Fa, che la spada a te l’Angelo porti,
Cui non avvien, che grazia unqua si neghi,
Dacchè il sen ti piagò. Tu questa scegli,
444Perchè congiunta a’ tuoi materni preghi
Pietà nel core onnipotente svegli:
Ben questo ferro, qualor tu lo mostri
447Al divin Figlio, è onnipotente anch’egli.
Poichè Marianna in que’ montani chiostri
Fe’ risonar le sue pietose note,
450Stette, qual Donna, che a Maggior si prostri;
E al supplichevol atto, e alle devote
Preci la Diva in umiltade illustre
453Parve innostrar le virginali gote;
Poi, com’alba che il giorno indori e lustre,
Splendè più chiara, ed abbracciò l’Amica
456Ne’ voti suoi sì dolcemente industre;
E all’Angel chiesta quella spada antica,
Ch’ella bagnò de’ sovrumani pianti
459Nel dì, che vinse Amor Morte nemica,
Colle candide man pura spiranti
Luce e soave ambrosia e grazie rare
462L’offerse alto levata al Figlio avanti.
Silenzio all’aria, al suolo, all’acque amare,
Ed alle sfere; e in un girar di ciglio
465Tacque la terra, il cielo, il vento e il mare;
Ed ella incominciò: Per quella, o Figlio,
Pietà, che in me infondesti, e ch’io disserro
468Dal cor, che dalla tua prende consiglio;
Per questo, ch’io supplice Madre afferro,
E l’Alma già m’empiè d’immensa doglia,
471Sacro alla morte tua lugubre ferro,
Prescrivi al tuo Voler, che sleghi e scioglia
L’Anime, cui l’affinatrice fiamma
474Vieta il varcar quell’infocata soglia.
Poichè sai quali io chieggio, e qual m’infiamma
Per esse amor, delle dovute pene
477Deh! non chiedere lor l’ultima dramma:
Rompi, chè tu lo puoi, l’ignee catene
Col tuo, per esse già sparso una volta,
480Divino Sangue, dall’aperte vene.
Tu, che hai giustizia e pace in te raccolta,
Nè pietà somma il rigor sommo aggrava,
483Tu Figlio e Dio, me Ancella e Madre ascolta,
S’io diei quel Sangue a te, che purga e lava
L’umano error; se mentre tu il versasti,
486Io compii quel, che al tuo patir mancava.
Fin pose appena ai dolci accenti e casti,
Che le dettò Umiltà, cui ella appoggia
489Il primo onor de’ suoi materni fasti,
Che tremò l’alta rupe, e in nuova foggia
Diè il cielo, che s’ aperse, al monte assalto
492D’acuti rai con luminosa pioggia;
E fra il tremoto, e il folgorar dell’alto
Lume una Schiera uscío di lauri onusta,
495Nè saprei dir, se di sotterra o d’alto;
Schiera, che ognor serbò la Fè vetusta
Al santo fren del Successor di Pietro,
498E all’alme leggi di Teresa augusta;
Schiera, che, sciolto il vel, non fu da metro
Sacerdotal co’ voti pii compianta,
501Nè di nenie onorata e di feretro;
Ch’altri nel suol, che d’auree spiche ammanta
Del Norico arator l’aspra cotenna,
504Lasciár la spoglia trucidata e infranta:
Altri fra il Reno, e il mar Batavo, e Ardenna:
Altri su le feconde Itale rive
507Dell’errante fra i salci umíl Scoltenna;
Ed altri, ove fra viti e pingui olive
Ne’ Veliterni colli i Volsci audaci
510Ebber le prische lor sedi native.
Mentre nel centro dell’eterne paci
Quell’Anime imprimean felici e paghe
513Su la celeste man gli avidi baci,
E del guerriero lor nome ancor vaghe,
Nel render a Marianna e grazie e lode,
516Fean mostra a lei delle splendenti piaghe,
Io mi volsi al vicino Angel custode
Del sacro ferro, e dissi: Alto argomento
519Vuol, che la lingua a interrogarti io snode.
Deh! spiega tu, che ognor ti pasci, intento
Della gran Donna al ragionar sublime,
522Spiega al mio vil ne’ moti ingegno e lento,
Perchè aver adempiuto ella s’estime
Quel, che al Figlio mancò: Non fur compiute
525L’ultim’opre d’un Dio, come le prime?
E l’Angelo rispose: In sua virtute
Largo assai era un sol di Dio sospiro,
528Per recar piena all’Uom grazia e salute;
Ma d’uopo fu nel compier quei, che uscíro
Altri decreti dalla Mente eterna,
531Che l’Uom-Dio sostenesse il gran martíro
Per dare altrui d’immenso amor esterna
Prova, vestendo il fallo umano e l’onta,
534E la Giustizia coronar paterna.
Quindi egli con Amor, che tutti affronta
Vittoríoso i strazj ancor più crudi,
537Sul duro altar s’offrío vittima pronta:
Mentr’ei languía fra gli odj e gli empj studi
Dell’Ebreo stuolo, il Genitor Supremo
540Gli volgea gli occhi di pietade ignudi;
E intento sol, che nulla o tolto o scemo
Fosse al rigor, attendea fermo e grave
543Il palpitar della sant’Ostia estremo;
Chè il pianto ei non dovea scioglier soave
Fra l’ira; e nol potea, perchè in sè stessa
546Divinità seme di duol non ave.
Piangea Natura intanto afflitta e oppressa
L’Autor suo, che a morir era condutto
549Dall’altrui colpa contro a Dio commessa:
Piangeano gli Astri, il Sol, la Terra, e tutto
L’esercito degli Angeli, e la schiera
552Dell’Alme pie. Ma che valea quel lutto?
Forse o Spirto nel cielo, o stella, o sfera,
Od Uom in terra, o belva, o augel che voli
555A compianger un Dio bastevol era?
Mancavan dunque a chi può tutto i soli
Pianti degni di lui; nè mai pupilla
558Potea eguagliar gl’inimitabil duoli.
Allora il divo Amor, che in sua tranquilla
Gloria impassibil regna, in fra l’eccelse
561Opre pensò la mesta opra, e compilla.
Ch’ei l’alma Donna a tanto affanno scelse,
E con maravigliosa arte i materni
564Umani affetti pria dal cor le svelse:
Poi versò tutti in lei que’, che ai Paterni
Moti del cor divino eran dovuti,
567Se lagrimar potesser gli occhi eterni.
Com’egli oprò coi sovrumani ajuti,
Che al nascer dell’Uom-Dio gli ufficj pieni
570Di Genitor fosser da lei compiuti;
Così, quando al gran Figlio i rai sereni
Morte oscurò, volle pur egli, e il fece
573Con modi ignoti a’ tuoi pensier terreni,
Che sovra quanto a mortal Donna lece
Ella adempisse col dolore immenso
576Di Madre insiem del Genitor la vece.
Giudica or tu, se puoi, qual turbin denso
Di pene eguale al tempestar marino
579Con acerbo l’assalse impeto intenso.
Sappi, che a morte fu quel cor vicino,
Cui spada sì crudel le fibre infranse;
582Che fu sommo il dolor, perchè divino.
E tu, se pietà vera il duro franse
Vincol de’ falli tuoi, bacia devoto
585La spada, e adora in lei quella che pianse.
Poichè l’Angelo appien pago il mio voto
Rese, l’ordin svelando atroce e scabro
588Di sì gran lutto agli occhi umani ignoto,
Appressò al labro mio la spada, e il labro
Ne toccò appena il fil tagliente e crudo,
591Temprato a doglia dall’eterno Fabro,
Chè nè il loco, o la Diva a me fe’ scudo
Contro all’immenso affanno, e caddi, e svenni,
594Qual cade a terra un Uom di vita nudo.
Ben fu dono del Ciel, ch’io non divenni
Cadaver freddo, e fra cotanta asprezza
597A pascer le vitali aure io rivenni.
Ma d’allor nacque in me una fonte avvezza
Perpetuo ad isgorgare umor pietoso
600«Dal cor pien d’amarissima dolcezza.
Mentre i miei primi uscían dal sen doglioso
Segni di lutto, un’Alma il canto sciolse
603Fra quelle or ora ascese al gran riposo,
E gridò: Gloria a Lui, che in gaudio volse
Le nostre pene, e col suo Sangue sacro
606Que’, che il fallo annodò, ceppi ne tolse.
E tu, che al suo morir festi lavacro
Di lagrime divine i lumi tuoi,
609Odi i caldi, che a te voti consacro:
Per queste piaghe, che già impresse in noi
L’onor guerriero di Teresa invitta,
612Volgi a lei gli occhi, onde cotanto puoi.
Un sol sospir, che a Dio la tua sì afflitta
Alma rammenti allor ch’ei giacque estinto,
615Nulla alle grazie avrà meta prescritta:
Vegga per te l’Austriaca Donna spinto
Di guerra ogni più fier nembo temuto
618Fuor de’ suoi Regni o dissipato, o vinto:
Per te il bellico Ren placido e muto,
Benchè uso a correr sangue, al regio piede
621Dell’aurigere arene offra il tributo;
E dell’Impero fin all’alta sede
Tragga il Danubio su l’ondoso dorso
624Le barbariche insiem spoglie e le prede.
Regga ella i cuori coll’alterno morso
Di Giustizia e Pietade, e compia tardi
627Dell’età lunga e de’ trionfi il corso.
Tacque lo Spirto; e in men che l’occhio guardi
Sorse un vapor di nube in guisa, e ascose
630Dell’alpestre sentier parte a’ miei sguardi;
E allor la Diva al pio pregar rispose:
Io sarò forte a lei scudo e difesa
633Coll’armi, che mio Figlio in man mi pose,
Tal che n’andrà vinta ogni ostíle offesa:
E a Marianna i senili anni già tolti,
636Raddoppiati, e felici avrà Teresa.
Stese intanto il vapor l’ale, e con folti
Nuvoli tutta ombrar la vetta parve
639Sì, che agli obbietti fra la nebbia involti
La vision s’unío, mischiossi, e sparve.
ANNOTAZIONI
ALLA SESTA VISIONE.
P. 115. | Ella avea lunga ed aggirevol vesta, ec. |
Così vien descritta da San Giovarmi la Santissima Vergine nell’Apocalisse XII: Mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite ejus corona stellarum duodecim.
P. 119. | Perchè aver adempiuto ella si estime |
Quel, che al Figlio mancò: ec. |
Anche l’Apostolo dice: Adimpleo ea, quae desunt passionum Christi in carne mea. E ciò è detto da San Paolo, non perchè nulla mancasse alla Passione di Cristo, per essere in se stessa pienamente efficace in pro dell’uomo, ma voleva egli col suo esempio istruire i Fedeli, ed esortarli a rendere in se stessi efficace la Passione del Salvatore, applicandosene i salutevoli effetti per mezzo d’opere virtuose e sante. Ora il nostro Autore ingegnosamente si vale di questo testo dell’Apostolo in un altro senso, cioè a spiegare l’intensione del dolor di Maria a’ pie della Croce, supponendo, che l’eterno Padre, siccome incapace per la divina sua natura di rattristarsi e piangere per la morte del suo Unigenito, sostituisse in sua vece la divina Madre a compiere questo doloroso ufficio, ricolmando il cuore di lei di tale e tanto affanno, onde avrebbe dovuto naturalmente soccombere alla piena del dolore, se non fosse stata supernalmente sostenuta. E in questo senso Ella compiè ciò che mancava alla Passione del suo Figlio: vuol dire con un dolore corrispondente al merito del Crocefisso Redentore.
P. 119. | ....vestendo il fallo umano e l’onta, ec. |
Cioè addossandosi i peccati degli uomini; poichè ben si sa, che Gesù Cristo era per natura e per grazia impeccabile.