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Aes rude, signatum e grave rinvenuto alla Bruna/Capitolo IV

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Luigi Adriano Milani

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Capitolo III Aes rude, signatum e grave rinvenuto alla Bruna
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CAPITOLO IV.

L’aes grave trientale — i primi denari romani — data del ripostiglio della Bruna — l’aes rude — l’aes grave umbro. — Specchio cronologico generale dell’aes signatum.


Il peso già tanto basso e indebolito del nostro quincusse col caduceo e tridente, e la spezzatura del quincusse coi rostri riferibile al 260 a. C.1, prenunciano l’imminente prima riduzione ufficiale del bronzo monetato sul piede di quattro once: periodo trientale.

Gli annalisti romani (v. le fonti in Mommsen-Blacas, II, p. 11, n. 2) parlano solamente delle ufficiali legali riduzioni sestantale ed onciale provocate dalla I e II guerra punica per i bisogni del tesoro (aerarium) e del debito pubblico (aes alienum); ma si può esser certi che innanzi la riduzione ufficiale sestantale, causata dalle gravi scosse economico-finanziarie dovute sostenere dai Romani nel corso della prima guerra punica, l’asse aveva subito varie riduzioni come taciti spedienti di tesoreria.

Fin che si trattò di una diminuzione graduale dell’asse a once 11, 10, 9, la cosa potè passare quasi [p. 101 modifica]in tacere ed inosservata; ma quando il tesoro si trovò obbligato a ridurre d’un tratto il peso dell’asse a quattro once, si dovette ricorrere ad una disposizione di legge o ad un plebiscito, e la cosa dovette annunciarsi ufficialmente, come in realtà fu fatto.

La riduzione ufficiale trientale è dimostrata anzitutto dal magnifico decussis del Kircheriano, Garrucci, tav. XXX — Babelon, I, p. 42-43, il quale pesa gr. 1091, cioè dieci assi trientali precisi, e porta il segno del valore X, oramai divenuto necessario, dacché il valore intrinseco del bronzo non stava più in rapporto col valore attribuitogli e si faceva corrispondere col denaro romano da 1/72 alla libbra, coniato nel 269-268 a. C. col medesimo segno di valore X2.

La detta ufficiale e legale riduzione dell’asse sul piede di 4 once è parimenti dimostrata: dai tripondi e dupondi urbani di peso trientale (Garrucci, tav. XXXI, 1, 2; Babelon, I, p. 41; Garrucci, tav. XXIX, 6), anch’essi fomiti dei segni di valore III, II; dalle nuove emissioni di aes grave trientale delle colonie romane del mezzogiorno (Luceria, Venusia, Teate); e dalle monete romano-campane di bronzo, coniate esse pure sul piede trientale.

Generalmente si fa coincidere la riduzione trientale con la prima emissione romana dell’argento, (denarii, quinarii, sestertii), la quale, a testimonianza di Plinio (XXXIII, 13, 44), sarebbe avvenuta nel [p. 102 modifica]269 a.C., ed a testimonianza di Livio (Ep. XV) e di altri, nel 268, quattro anni dopo la presa di Taranto e quattro avanti la prima guerra punica.

Siccome però Varrone afferma formalmente (vedi sopra p. 88) che avanti la prima guerra punica, cioè avanti il 264, l’asse pesava 288 scrupuli (=12 once)3, e da un lato i quincussi coi rostri in mare, quelli col tridente di 1ª e 2ª emissione, i quadranti correlativi col tridente e le once col rostro di Rimini, colonia del 268 a.C. (v. p. 86 e nota 63), e lo stesso aes grave laziale ed urbano di prima riduzione (11-10 once), coi loro peculiari tipi marini (tridenti, prore rostrate, trisceli; cfr. sopra), fanno chiara allusione alle prime operazioni navali dei Romani, sono indotto a riportare la riduzione trientale alcuni anni più tardi; probabilmente dopo l’alleanza contratta dai Romani con Ierone II (263 a.C.), dopo la prima grande vittoria navale di Milazzo (260 a.C.), e forse bene in coincidenza col rifornimento della flotta che precede la vittoria di Ecnomo (256 a.C.).

È nel momento culminante della guerra punica che i Romani si trovano obbligati a ricorrere a quel primo grosso spediente finanziario, e non già prima di cominciare la guerra e prima di passare in Sicilia (264 a.C.).

La guerra contro i Cartaginesi prendeva inaspettatamente proporzioni gigantesche, ed i bisogni straordinari dell’erario, per creare la marineria di cui i Romani mancavano, si facevano di più in più [p. 103 modifica]urgenti (cfr. Mommsen, Röm. Gesch., 6 ed., I, p. 519). Fu allora, io credo, che si addivenne a questa prima riduzione ufficiale, da Roma comandata ed estesa alle città soggette di Todi, Tarquinia, Capua, Luceria, Venusia, Teate, Ascoli4. Si noti che l’emissione di aes grave di Fermo, dai Romani autorizzata in quella loro colonia del 264 a. C., è ancora di peso librale leggermente ridotto (cfr. i pesi dei pochi pezzi conosciuti col nome di questa città FIR Garrucci, tav. LX); abbiasi presenta quale immensa copia di oro, argento e bronzo abbia fruttato ai Romani la vittoria di Milazzo (iscr. Duilia, C. I. L., I, 195); e si rammenti l’osservazione fatta di sopra circa l’aes grave urbano con la prora di nave armata del rostrum-tridens, che pure corrisponde alla riduzione graduale della libbra dalle 10 oncie in giù. Si badi inoltre che la riduzione trientale rappresentava una semplificazione, e fors’anco una unificazione monetaria, imperocché l’Etruria già da vario tempo aveva ridotto il suo aes grave e la propria libbra al peso della mina sicula (v. sopra p. 73), e l’asse trientale veniva quindi a corrispondere alla metà precisa della libbra etrusca e della mina sicula di otto once (gr. 218).

Finalmente, si noti che il tipo del primo denaro romano da 1/72 alla libbra (gr. 4,54), che la concorde testimonianza degli antichi scrittori riporta agli anni [p. 104 modifica]268-268, è quello dei Dioscuri; e che anche questo tipo si connette, in modo per me evidente, con la soggezione dei Locresi e dei Regini, avvenuta qualche anno prima (272-271 a. C.).

I Dioscuri, espressi sul primo denaro romano propriamente detto, non mancano di avere la loro significazione religiosa e politica, in accordo persino con i due astri, propri loro simboli, de’ quincussi coi polli augurali (v. sopra p. 82). Vedansi gli astri introdotti nel bronzo coniato di Capua a iscrizione osca, anche quando i tipi monetari non hanno coi Dioscuri nessun vicino rapporto, Garrucci, tavola LXXXVI, 33, 34; LXXXVII, 1, 2, 3, 19.

Fu certamente l’acquisto delle due ultime città dei Brezzi (ΒΡΕΤΤΙΩΝ), la prima dedizione dei Locresi (ΛΟΚΡΩΝ), avvenuta nel 2775, ed in ispecie l’assoggettamento definitivo di Locri e di Regio (271 a. C.), che indussero i Romani a rinnovare il culto dei Dioscuri, identificandoli ai Cabiri (Dei magni) ed ai Penates6.

I Dioscuri che salvarono prodigiosamente i Locresi a Sagra nel sec. VI a. C, e che nel medesimo modo leggendario (loro epiphania) avevano salvato i Romani sul lago Regillo (496 a. C, cfr. Ludwig Preller-Jordan, II, p. 301), si erano mostrati migliori patroni e salvatori dei Romani che dei Brezzi, Locresi e Regini. Si confrontino le monete coi Dioscuri [p. 105 modifica]inscritte: ΒΡΕΤΤΩΝ, Garrucci, CXXIV, 12 = Head, H. N., p. 77; ΛΟΚΡΩΝ, Garrucci, CXIII, 13; ΡΗΓΙΝΩΝ, Garr., CXV, 10, 11; non che le monete anepigrafi di Squillace (Scylacium), Garrucci, tav. CXIII, 25-27.

I Dioscuri, fidi patroni e custodi della cavalleria romana (Equites) ma patroni nel tempo stesso di Locri, di Regio, e della vicina Tindari in Sicilia, dove avevano il loro principale tempio e culto (vedi le monete dei Tindaridi ΤΙΝΔΑΡΙΤΑΝ, Head, p. 166 e seg.), avevano preso decisamente la parte dei Romani, facendo loro guadagnare le città ch’essi proteggevano ed aprendo loro la via della Sicilia. — Agli occhi dei Romani, i Dioscuri furono i veri loro salvatori (Σωτῆρες) quando, passati in Sicilia, per la prima volta si trovarono a combattere in mare, e vinsero, fra Milazzo e Tindari, la prima battaglia navale (260 a. C.). L’occupazione romana di Tindari cade tre anni dopo (257 a. C.).

I Dioscuri, detti dai Romani Castores o Polluces, identificati al grande e vecchio Cabiro del tempio di Giove Capitolino (Volcanus = Hephaistos di Lemno, V. nota n. 20), identificati ai Cabiri di Samotracia ed ai Penati recati da Enea, quali dei, per eccellenza, del mare e della navigazione, diventarono i naturali rappresentanti del nuovo orizzonte politico romano; e si capisce perfettamente, come, dopo l’acquisto dell’estrema punta d’Italia e la pacificazione e unificazione generale dei vari popoli italici (269-68 a. C.), essi dovessero a buon diritto sostituire il Giove Fulguratore Capitolino, che i Romani avevano espresso sui vecchi quadrigati campaniani, finché esso li aveva guidati alla conquista ed alla unificazione dell’Italia.

Il Giano bifronte del bronzo capuano e dei quadrigati, imposto come simbolo dell’unità e confederazione italica perfino ai Regini assoggettati ed unificati (Garrucci, [p. 106 modifica]tav. CXV, 12, 13)7, nella emissione del primo denaro romano viene esso pure sostituito, assai a proposito e a disegno, dalla testa di Roma; e la galea di questa dea, la quale impersona l’eterna Città e l’invincibile Palladio romano, subisce proprio le modificazioni araldiche che subiscono nel medioevo gli stemmi delle città e dei principi in conseguenza dei mutamenti e rivolgimenti politici. — Non è più la originale galea corinzio-attica Capitolina8, non più la galea frigia o mitrata di Enea, non più la galea τριλοφία dei Tarantini; ma un misto di tutto questo. Nella base è corinzia (dea Roma = Athena-Parthenos e Promachos), di sopra leggermente crestata (collo del grifo), sul culmine finisce con la testa di grifo della galea frigia, posteriormente termina in una voluta ricordante la mitra; ed apparisce in una nuova maniera τριλοφία, essendovisi aggiunte lateralmente le ali di Bellerofonte, di Mercurio, della Pace (Pax=Eirene-Iris), della Vittoria (Nike)9, ali tipologicamente desunte dalla Pallade attica di Turio (Garrucci, tav. CVI, 18) e [p. 107 modifica]di Velia (Garrucci, tav. CXIX, 14), le quali danno qui chiaro indizio, che Roma, impersonando tutte quelle divinità, ormai sorvola commesse sul mare, presaga dei nuovi suoi destini ed aspirante al dominio oltremarino10.

L’osservazione, metrologicamente importante, fatta da Samwer e Bahrfeldt (op. cit. p. 66) circa i simboli monetari che si cominciano ad incontrare sui denari coi Dioscuri (cfr. Babelon, I, p. 38 e 47), non riguarda la prima emissione di questi denari fatta con leggenda incusa nel 269-268 a. C, anteriormente alla prima guerra punica; bensì una seconda emissione, quella appunto coi simboli e con la leggenda in rilievo, che sta in rapporto diretto con la ulteriore riduzione dell’asse sul piede sestantale11.

Epperò il giusto rilievo economico-metrologico fatto in base a questa osservazione dal Soutzo (Intr. a l’étude des Monn., I, p. 21 e seg., II, p. 14 e seg.), concerne la riduzione sestantale, non quella trientale, che, per le molteplici ragioni addotte, dobbiamo assolutamente ritenere posteriore alla battaglia di Milazzo (260 a. C.) e provocata dalla urgente necessità di riparare [p. 108 modifica]ed accrescere la flotta, per tener piede in Sardegna (259 a. C.) e testa ai Cartaginesi (258-256 a. C.).

All’atto della emissione dei primi denari romani il rapporto fra il bronzo e l’argento era quindi effettivamente più del doppio di quello fissato all’atto dell’emissione del bronzo sestantale, e senza di ciò nemmeno si spiegherebbe il beneficio che, con questo spediente di tesoreria, i Romani, a detta di tutti gli annalisti, si proposero di ottenere, ed ottennero per il pagamento del debito pubblico.

Siccome poi il rapporto internazionale fra l’argento e il bronzo era effettivamente quello stabilito con la riduzione sestantale (1 a 120), essi poterono, impunemente e senza discredito, passare dalla riduzione trientale a quella sestantale, invero anormale per l’Italia, ma normalissima per il mondo orientale12.

Cascano in tal modo certi castelli fabbricati sul preteso rincaro del bronzo13, e si dà, come mi pare, il vero valore economico-finanziario agli espedienti [p. 109 modifica]escogitati dai Romani durante le guerre puniche, quando per la prima volta si trovarono in diretto rapporto con l’Oriente e non credettero ancora opportuno di trasformare la moneta di bronzo in un numerario di convenzione, come già era in Sicilia fin dal sec. V, e di cambiare definitivamente con l’argento, sull’esempio delle nazioni orientali, il loro piede monetario14.

Io opino pertanto che la riduzione sestantale debba riportarsi molto più in giù di quello che comunemente si ritiene, e mi pare che possa stare benissimo in rapporto col grave disastro del 255, quando i Romani perdettero interamente la flotta e dovettero provvedere con grandissima urgenza a rinnovarla da capo a fondo e ad armarla più forte di prima (254 a. C). — Quanto all’emissione dei bigati coi tipi della Vittoria e di Diana in biga, essa è ancora posteriore, e, secondo me, si riferisce alla annessione definitiva della Sicilia ed alla sistemazione dell’isola a provincia romana (241 a. C.)15. [p. 110 modifica]

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Ritornando al nostro ripostiglio, da quanto abbiamo dichiarato ed esposto risulta che il quincusse n. 1, tav. X-XI, emesso poco prima della riduzione trientale e dopo il fatto di Milazzo (260-258 a. C.), è il pezzo più recente del tesoretto della Bruna. Invece il pezzo evidentemente più antico è lo spezzato di aes rude, n. 1, tav. I.

La concomitanza dell’aes signatum quadrilatero con l’aes rude era stata già constatata in seguito al ritrovamento di Vulci; però, mentre nel ripostiglio di Vulci16 l’aes rude era rappresentato da una massa di spezzati di peso generalmente inferiore all’asse, nel nostro tesoretto l’aes rude è rappresentato da uno spezzato, che per peso (gr. 1367,5) corrisponde al quincusse intatto n. 6 col toro respiciente, ed è, quindi, esso medesimo un quincusse fuso sul piede dell’asse romano di 10 once17.

Gli ultimi assi del ripostiglio, nn. 16-17, da noi assegnati a Capua, e lo stesso spezzato di aes signatum romano n. 9 col rostro, stanno in rapporto ponderale quasi esatto con il quincusse col toro e con lo spezzato di aes rude.

L’uso dell’aes rude, continuatosi anche nel periodo dell’aes grave più o meno ridotto, non poteva sorprenderci, sapendosi da Livio (I, 26), che i soldati di Annibale ne avevano consacrata una grande quantità [p. 111 modifica]alla dea Feronia nel recinto del suo tempio ai piedi del Soratte (aeris rudera acervi)18.

Considerando la frequenza con cui si suole rinvenire l’aes rude nelle tombe etrusche ed umbre del sec. III a. C., io reputo che l’uso dell’aes rude permanesse accanto all’aes grave più estesamente in Etruria ed Umbria, che non nel Lazio.

La tecnica del nostro spezzato n. 1 corrisponde perfettamente con quella del citato spezzato del Museo di Firenze, avente il notevole peso di gr. 3350 (cfr. sopra p. 33). Mentre poi il detto aes rude di Firenze, che, come spezzato mediano d’un quadrilatero, dà a vedere di essere un terzo circa dell’intero, farebbe supporre per l’intera verga un peso di circa 20 mine italiche primitive19, il nostro spezzato, triplicato nel suo peso (gr. 4101), corrisponderebbe per contro a 20 libbre etrusche leggere, pari a 10 mine attiche campaniane, a 20 sicule20, e 12 libbre romane ardite21.

La forma di verga o pane cuneiforme, la tecnica ed il peso, associano il nostro spezzato di aes rude al primitivo aes signatum etrusco ed umbro, avente l’impronta del ramo secco o della spina di pesce.

Cronologicamente si può essere sicuri che prima abbiamo l’aes rude fuso in istaffe o matrici aperte scodellate (ripostiglio di Cere, Garrucci, tav. II-V)22; poi, quello quadrilatero fuso in istaffe socchiuse o mal combaciate. [p. 112 modifica]Quest’ultimo, dapprima è senza segni (pezzi di Firenze, v. sopra p. 33, ed il nostro), poi presenta segni officinali assai semplici, nominatamente:

A. bastone o nervatura mediana: Garrucci, tavola VILI, 2, pr. Marzabotto;
B. ramo secco: Garrucci, tav. IX, 1, pr. Fabbro, presso Orvieto; tav. IX, 2-3, pr. Cere; tavola LXVIEE, 2, pr. Ardea; tav. X, 3, pr. Fiesole;
C. spina dorsale o vertebra di pesce: Garrucci, tav. X, 2, pr. Fabbro; X, 1, Mus. Brit.; tavola XI, 1, pr. Vulci.

Siccome la rara nervatura mediana A ed il più ovvio ramo secco B s’incontrano sui pezzi più rozzi, grossi, forti e pesanti, vien fatto di congetturare che codesti segni più semplici sieno anche i più antichi, e precedano quelli della spina di pesce, C. Il più volte citato ripostiglio di Cere, dove insieme ad una gran massa di aes rude affatto primitivo si rinvennero gli spezzati col ramo secco, (Garrucci, tav. IX, 2-3) convalida di per sé abbastanza la congettura.

Nell’aes signatum con la spina di pesce, il quale tien dietro immediatamente a quello col ramo secco (cfr. il trovamento di Fabbro), continua la medesima rozza tecnica a staffe mal combacianti; ma il peso dei pani interi subisce una forte riduzione, e segue generalmente il piede dell’asse romano pieno e ridotto. Quando si adotta la vertebra di pesce espressa più o meno esattamente (non mai ramo di Chameros o di altra pianta, come ritenne Garrucci), cominciano già ad apparire anche altri simboli, ed in ispecie quello correlativo del delfino guizzante (Garrucci, tav. XII, 1, pr. Pesaro; 2, pr. Aricia; 3, Mus. Brit.), il quale troviamo, isolatamente, nel notevole spezzato dello Stettiner (Garrucci, tav. LXVIII, 4), rinvenuto a Roma nel [p. 113 modifica]Tevere, che è poco più della metà dell’intero e pesa gr. 1460 (decussis di riduzione ?).

Todi, nelle prime emissioni del suo aes signatum quadrilatero, imita questa tecnica e adotta la spina di pesce, forse specifica dell’Umbria, dando fuori i suoi quadrilateri con la clava o col toro (v. sopra p. 97). L’emissione dei quadrilateri di Todi, corrispondenti nel peso ai quincussi librali romani, io non dubito che stia in rapporto con la contratta amicizia con Roma (cfr. l’oncia coniata con la scrofa, citata a p. 80, e la nota 102) e credo che sia di poco posteriore al nascondimento del nostro ripostiglio. Poco innanzi, Todi, seguendo l’esempio della consorella Gubbio, e pure d’accordo con Roma, aveva emesso i primi pezzi di aes grave fusi sul piede della libbra etrusca, trovandosi in più stretto legame di commercio con l’Etruria, cui era appartenuta, che con Roma23.

Nel 241 a. C. i Romani colonizzarono Spoleto, e poco prima o poco dopo essi avevano cosi bene vincolata, assimilata e romanizzata l’Umbria da rendere possibile e naturale l’iscrizione umbro-latina scoperta dal Sordini a S. Quirico, cinque miglia lungi dalla Bruna24. Questa importante iscrizione si riferisce ad un luco sacro a Giove che stava nei dintorni; chi avesse violato il quale, tagliando scientemente degli alberi, avrebbe dovuto pagare per multa un bove e trecento assi (sei quis. scies violasti. dolo. malo Jovei. bovid. piaclum datod. et a. (asses) [p. 114 modifica]ccc moltai, suntod). Considerata la sproporzione fra il bove e l’ammenda in assi, io credo che si tratti di assi ormai ridotti sul piede trientale (256 a. C.), o sestantale (254 a. C.); e credo che alcuni anni prima della romanizzazione completa di Todi, cui si riporta l’aes grave trientale tudertino, e quasi contemporaneamente alla emissione del primo suo aes grave o dei suoi quincussi, verso il 259-257 a. C.25 un soldato che fece le campagne della Campania o del Sannio, ritornando al proprio paese, abbia lasciato sulla strada che conduceva a Todi, a Spoleto, al Clitunno, quel modesto peculio divenuto per noi un vero inesauribile tesoro.

Firenze, 15 marzo 1891.





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INDICE CRONOLOGICO GENERALE


DELL’AES SIGNATATUM QUADRILATERO26


TIPI EMISSIONI PESO
grammi
DATA
anni a. C.
Riferimenti
pagine

Tripode )( àncora26 A tetramma 1830,5 453 ? 33, 75
" " B " o quincusse 1677,2 433 34, 76
" " C quincusse 1544,2 399 "
" " D " 1495,2 396-392 "
Gladio )( fodero A tetramma 1898,14 390, 367 36, 77, 116
" " B quincusse 1593,69 345, 283 "
D. e )( Scudo gallico A " 1622 345 78, 79
" " " B " 1580 283 "
Aquila fulg. )( gladio27 quincusse? ? 324-320? 72, 77
Aquila fulg. )( Pegaso27 A quinc. o tetramma 1601,99 324-309 67-71, 77
Aquila fulg. )( Pegaso B " " 1391 298-290 35, 67-67
  " " 1391 " "
Aquila fulg. )( tripode " " ? 277 76
Elefante )( scrofa " " 1691,6 275 80-81
Caduceo )( tridente A " " 1686,3 274-264 94-96
    1678 " "
    1628 " "
? D. e )( toro respiciente A " " 1790,15 " "
Polli augurali )( tridente ? ? 272-262 86, 87
Folgore )( tridente ? ? " 95, 96
D. e )( toro respiciente B " " 1385,9 " 36, 90-93
  [quincusse todino] 1436 " 97, 113
Polli augurali )( rostri quincusse 1525,25 260 37, 82-90
    1491,70 " "
Caduceo )( tridente B quincusse 1143 260-59 36, 95-96
[ramo d'olivo] [quadrusse Tarquiniese o Ceretano] 900.800? " 96
[due lunule ed astro] "       " " " "
[segni >IIII<] "       " " " "
[due lunule] "       " 558 258-256 "
[toro respiciente] [quadrusse todino] 670 " "
D. e )( toro prospiciente quadrusse trientale 347 " 97-100-9

Note

  1. Io ritengo che le spezzature dell’aes signatam sieno generalmente motivate da una riduzione legale del piede monetario. Così perfino si dimezzarono in gran massa gli assi onciali, allorché per la legge del 43 a. C. si ridussero sul piede semionciale. In questo modo anche mi spiego il ripostiglio di Vulci, dove si rinvenne l’aes signatum ridotto in tanti piccoli frammenti, perchè accompagnato dall’aes grave trientale con la clava (v. Garrucci, p. 13), e quindi posteriore, secondo me, al 266 a. C. Cfr. p. 102, 107 e 109.
  2. Vedasi anche il decussis di Torino inscritto ROMA, con la Vittoria in biga di gr. 1037, dato dall’Arigoni, III, tav. 23-24, e dal D’Ailly, I, tav. XXII, messo in dubbio da questi; ma, secondo me, archeologicamente giustificabile (cfr. nota 120), quindi per lo meno desunto da un antico originale autentico. Un decusse inedito, simile a quello del Museo Kircheriano, ma di riduzione quadrantale come il noto esemplare Olivieri (Mommsen-Blacas, III, p. 860), è posseduto dai signori Gnocchi e sarà pubblicato nella presente Rivista.
  3. Resta difficile di determinare il peso preciso dello scrupolo o quello della libbra romana originale, di cui esso era 1/288. Hultsch, Metr. Untersuch., ragguaglia la libbra a gr. 327,456 e dà quindi allo scrupolo gr. 1,137. Garrucci (p. 8) ragguagliava a preferenza la libbra romana a gr. 324 (peso della mina asiatica leggera), e faceva lo scrupolo di gr. 1,12.
  4. Anche Gubbio emise allora il tripondio trientale (Garrucci, tav. LVI, 14; cfr. 428), e l’Etruria deve avere anch’essa imitato Roma, riducendo le proprie serie sai peso trientale. — A Tarquinia appartiene l’aes quadrilatero trientale (Garrucci, tav. XXVI) e a qualche altra città etrusca romanizzata (Cere?) deve spettare la serie di aes grave ovale con la clava (Garrucci, tav. XXVII), trovata, a detta del Garrucci, p. 13, nel ripostiglio di Vuloi insieme con l’aes signatum, e fusa ancor essa sul piede trientale. Dell’aes grave etrusco dirò più estesamente iii altra occasione.
  5. La prima dedizione dei Locresi è celebrata dal noto statere, Garrucci, tav. CXII, 31-32 (cfr. Head, p. 88), il quale nel diritto esibisce la testa di Giove laur. (Giove Capitolino), e nel rovescio la Fede dei Locresi (iscr. ΙΣΤΙΣ ΛΟΚΡΩΝ) che incorona Roma (iscr. ΡΩΜΑ), seduta sopra lo scado gallico. Intorno a questo tipo cfr. sopra note 83 e 72.
  6. Intorno ai Penati v. il più recente scritto di Wissowa, nell’Hermes, 1887: Ueberlieferung über die röm. Penaten.
  7. Cfr. sopra, p. 58 nota 26. Vedansi anche gli assi coi Bifronti di tipo urbano delle officine di Rimini (?) e di Luceria (nota 88). Più tardi, quando anche i Siculi sono unificati coi Romani (241 a C.), la testa di Giano bifronte s’impone come simbolo dell’unificazione politica anche a Palermo (v. le monete di Panormus con l’iscrizione greco-latina ΠOR = PORTUS).
  8. V. sopra, nota 33, 72 e p. 64-65. Chiamo corinzio-attica, e non semplicemente corinzia, la primitiva forma della galea di Minerva- Roma a cagione della cresta, e perchè il prototipo di questa galea credo essere stato quello dell’Athena Promachos di Atene, se non quello della statua di Athena rappresentata nel frontone occidentale del Partenone. Cfr. le monete ateniesi in Beulé, Monn, d’Ath., p. 154, 391, ecc., ed Imhoof-Gardner, Num. Comm. on Pausanias nella Num. Chron., 1877, tav. Z, A-A, dove non sono però riprodotte le rispettive teste di Athena del diritto, qualche volta non meno interessanti del tipo del rovescio, cui si riferiscono.
  9. Intorno alla Pace alata, ossia Eirene, identificantesi con Nike e con Iris v. il citato mio scritto. Dionysos, Eirene e Pluto, nel Bull. dell’Ist., 1890, p. 95 e seg.
  10. Per le anteriori spiegazioni dei tipi monetari di Roma vedasi Babelon, I, p. 19, dove si citano tutte le principali fonti. Per la tipologia il più importante scritto è quello speciale di Klügmann: L’effigie di Roma nei tipi monetari più antichi, Roma, 1879. I vari, cambiamenti che subisce la galea di Minerva-Roma mi fanno nascere l’idea che, o nella statua del frontone settentrionale Capitolino, o in quella della cella (Minerva-Roma), la galea fosse di metallo e mobile, secondo la tecnica antichissima (es. tempio di Egina). Cosi l’ elmo dell’immagine prototipa di Roma-Minerva diventava facilmente suscettibile delle sopraddette modificazioni araldiche; e dalle varie forme o tipi dell’elmo, nelle varie festività romane di Stato, potevasi a prima vista rilevare sotto qual particolare concetto religioso e politico Minerva-Roma veniva celebrata e solennizzata.
  11. Intorno a queste due varietà di denari cfr. Bahrfeldt, Zeitschr. für Num., 1878, p. 30 e segg.
  12. V. Lenormant, Histoire de la Monnaie, I, p. 156; Soutzo, op. cit, I, p. 21 e seg.
  13. Mi riferisco particolarmente ad uno scritto del Falchi pubblicato nell’Annuaire de Numismatique, 1884: Vetulonia et ses monnaies, — Considerations sur la reduction de l’as. Anche non ha valore scientifico ciò che il pur benemerito scopritore della necropoli vetuloniese dice ed osserva sulla monetazione di Vetulonia. Il bronzo a tipo incuso di Populonia (Garrucci, tav. LXXV) è certamente anteriore a quello di Vetulonia; quanto all’argento, io neppur credo che Vetulonia n’abbia avuto di proprio; in ogni caso poi esso è assai posteriore all’argento populoniese di sistema euboico-siracusano (Head, H. N. p. 11; Garrucci, tav. LXXI, 15 e seg.). Il tipo più o meno arcaico del Gorgonio dipende non dal tempo, ma dal modello (calcidico) avuto dinanzi dall’artista. Vetulonia storicamente precede senza dubbio Populonia; ma, come è dimostrato dagli scavi finora eseguiti, essa già nel sec. IV non ha più veruna importanza politica. Ai Vetuloniesi nel sec. V a. C. subentrano, come pare, i Populoniesi, padroni quasi assoluti del mare e delle ricche miniere d’Elba e maremmane (cfr. sopra p. 66, nota 50).
  14. Al cambiamento del piede monetario si arriva soltanto con la riduzione ulteriore dell’asse sul piede onciale (211 a. C.): v. Mommsen-Blacas, n, p. 22, 75; Soutzo, op. cit., II, p. 85.
  15. I tipi della Vittoria in biga e di Diana in biga (Diana Victrix) sono certamente desunti con doppio scopo politico e pratico dalle monete della Sicilia in genere, cui sono propri. Prima si imita la Vittoria in biga delle litro dell’alleato Ierone II (es. Head, Anc. coins, tav. 47, 88; cfr. anche i didrammi e i tetradrammi con la Vittoria in quadriga (Head, o. c., tav. 47, nn. 39, 37); indi, di mano in mano che i Romani estendono ed assicurano il dominio sulla Sicilia, si ritrae anche Diana in biga, essendo questa la divinità specifica della Sicilia. Cfr. sopra nota 88, e si vedano gli arcaici tetradrammi siracusani con Artemis ed Apollo in biga (es. Gardner, The types, tav. II, 36, VI, 24), gli stateri d’elettro con Apollo ed Artemis ΣΩΤΕΙΡΑ (Head, H. N., p. 156), ed il celebre quaternio d’oro di Augusto, Babelon I, p. 87, n. 177, inscritto SICIL, testé archeologicamente illustrato dallo Studniczka, Bull. Ist., 1889, p. 277, tav. X. Di qui si spiega anche il decussis trientale, con la Vittoria in biga, di cui dico a nota 107.
  16. V. sopra p. 41, nota 7; cfr. Mommsen-Blacas, I, p. 175 seg.
  17. Nel ripostiglio di Cere (Garrucci, Civiltà Cattolica, 1880, p. 716 e segg.) si è pare trovato l’aes rude insieme con l’aes signatum; ma ivi l’aes signatum è di tipo etrusco od ombro antichissimo.
  18. V. Garrucci, Dissertazioni Archeologiche, I, p. 154.
  19. La mina italica di 18 oncie è menzionata da vari antichi metrologi: V. Hultsch, Metr. Script. reliquiae, I, p. 108, 228, 25; 240, 12.
  20. Cfr. sopra p. 73.
  21. Garrucci, tav. I, 1, p. 3, calcolava un peso di 12 libbre romane per il più gran pezzo di aes rude rinvenuto ad Aricia.
  22. Vari pezzi consimili esistono nel Museo di Firenze. Cfr. anche l’aes rude di Cesena, Garrucci, tav. LXVIII, 1. Per altre provenienze, V. Garrucci, tav. VI.
  23. Garrucci, tav. LV. Che Todi nella prima metà del sec. III stesse in istretti rapporti commerciali con l’Etruria è dimostrato dalla insigne tomba cosiddetta della sacerdotessa, ora nel Museo di Villa Giulia in Roma (Notizie degli scavi 1886 p. 867).
  24. V. Bormann, Miscellanea Capitolina, 1879, p. 1 e segg.; Jordan, Quaestiones Umbricae, Regimontii 1882, p. 16 e segg.; Garrucci, Sylloge, add. 2881.
  25. Questa data mi sembra precisata dalla ciroostanza che il quincusse coi polli augurali, riferibile al 260 a. C., si trova nei nostro ripostiglio già spezzato (v. sopra, nota 106), e che il qaincasse col tridente è di peso qaasi trientale (256 a. C.).
  26. 26,0 26,1 Relativamente ai quadrilateri più antichi col tripode ed àncora, faccio osservare che ove si dovesse ritenere quello A (tav. II-III) posteriore ai Decemviri ed al 453, dovrebbonsi naturalmente spostare le rispettive date delle ulteriori emissioni di questo tipo espiatorio. Cioè, la emissione B, anziché alla pestilenza del 433, dovrebbe assegnarsi alla pestilenza del 399, o del 392 (Liv., VII, 2); l’emissione C alla pestilenza del 392, o del 363 (Liv., V, 81); l’emissione D a quella del 363, o del 348 (Liv., VII, 27). Quest’ultime date parrebbero quasi star meglio in corrispondenza coi pesi. Tutto questo spiegherò meglio prossimamente, pubblicando a parte il quadrilatero del nostro ripostiglio n. 8; ed allora farò pure notare la relazione dei tripodi con gli oracoli Sibillini, dimostrata dai denari di L. Manlio Torquato (Babelon, I, p. 180), esibenti nel diritto la testa della Sibilla Cumana SIBYLLA, e nel rovescio il tripode apollineo, i quali ho dimenticato di citare parlando della rappresentazione della Sibilla nell’aes grave (v. p. 67 e segg.). Dirò allora anche dei denari di T. Carisio (Babelon, I, 316) e di quelli di L. Valerio Aciscolo (Babelon, n, p. 618), pure esibenti la testa della Sibilla Cumana e Valeria Luperca identificata alla Sibilla, a Partenope ed alla Aretusa Siracusana (v. note 36, 38). Intanto per i rapporti fra gli oracoli Sibillini e le pestilenze vedasi il recentissimo lavoro del Diels, Sibyllinische Blätter, Berlino, 1890, p. 77 e segg.
  27. 27,0 27,1 A pag. 77, parlando dei quadrilateri con l’aquila fulguratrice R/. gladio, visti da Mionnet, non pensai di mettere, più particolarmente, in rapporto questa emissione con le guerre sannitiche e con la vendetta, presa da Lucio Fapirio Cursore e da Publilio Philo, del fatto di Caudio (320 a. C.). L’aquila fulguratrice, simbolo dell’autorità dittatoriale di L. Papirio Cursore, lega col Pegaso, simbolo della cavalleria, dei quadrilateri di cui dissi a p. 67 - 71, i quali essendo di due emissioni, possono riferirsi: A alla seconda guerra sannitica (824-809 a. C.); B alla terza (298-290 a. C.). Il Pegaso dell’emissione A diventerebbe cosi, l’insegna parlante di Q. Fabio Rulliano; collega del Dittatore L. Papirio Cursore e vincitore con lui dei Sanniti nella qualità di Magister equitum. Riportando, poi i quadrilateri coll’aquila B. gladio alla vendicazione di Caudio (320 a. C.), resterebbe quasi meno dubbio il riferimento alle guerre Galliche per i quadrilateri col gladio R/. fodero, pure di due emissioni: A 390, 367 a. C.; B 345, 283 a. C.