Compendio del trattato teorico e pratico sopra la coltivazione della vite/Parte III/I

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Parte III - Capitolo I

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Parte III Parte III - II
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CAPITOLO PRIMO.


Prodotti secondarj del vino


Acqua-vite




Tra le numerose sostanze da cui la fermentazione spiritosa può sviluppare una più o men grande quantità di acqua-vite, si deve distinguere sopra tutto, il vino, che l’importa di molto sopra ogni altra per la quantità di questo prodotto. L’acquavite è una sostanza bianca, calda infiammabile, di un estesissimo uso, tanto nell’economia domestica in forza delle sue proprietà toniche fortificanti, quanto nelle manifatture, e in molte arti, cui à dato origine. Sebbene tutt’i corpi, che contengono un principio zuccherino, possano dare dell’acqua-vite, operando la distruzione di questo principio colla fermentazione, noi non ci occuperemo qui, che di quella prodotta dal vino: faremo conoscere la costruzione di un luogo per abbruciare, i vasi impiegati nella distillazione, le sostanze che si possono sottomettere, i prodotti che si ricavano, i modi di giudicare l’acqua-vite, lo spirito di vino, gli strumenti consacrati a questo uso, e [p. 156 modifica]termineremo con qualche dettaglio sui lambicchi scozzesi, e sui vantaggi di adattarvi i fornelli costruiti dietro i principj del sig. Curaudau.


Lambicchi e luoghi adattati per abbruciare.


I lambicchi sono gran vasi destinati alla distillazione dell’acqua-vite. Sono di vetro, di pietra selciosa, e di rame; ma questi ultimi essendo i soli, che siano in uso nei luoghi destinati ad abbruciare, di questi soli noi ci occuperemo. Le tre parti che compongono un lambicco sono la caldaja, il capitello, e il serpentino.

La caldaja può essere più o meno grande; ma le sue proporzioni sono sempre a un dipresso di ventun pollice di altezza, e trenta di larghezza. Il piano che forma il suo fondo à una sponda di tre pollici, attaccata attorno alla caldaja con chiodi di rame, che si ribattono esattamente. Questo fondo è un poco inclinato dalla parte di un’apertura chiamata scaricatoio, fatta alla base della caldaja, e che col mezzo di un tubo serve a condurre la vinaccia fuori del luogo per abbruciare, e per nettare la caldaja; tre, quattro manichi solidamente attaccati alla caldaja servono a sostenerla sul muro. Sopra questi manichi si trovano sostenute le pareti inferiori della cucurbita, che termina il lambicco, e la cui parte superiore, ristretta in forma di collare, di un piede di diametro, presenta un segmento cortissimo di un cono troncato rovescio. In questo collare, composto ordinatamente di foglie più dense, s’incassa il capitello. L’apertura inferiore del capitello à un diametro, quasi [p. 157 modifica]eguale a quello del collare, mentre la sua parte superiore ne à diciassette pollici, e dodici, quattordici di altezza, compresa la concavità della calotta, ch’è di due pollici. In questa parte si trova il cannello, che à quarantotto linee di diametro, e si ristringe a quindici linee, sopra una lunghezza di ventisei pollici, con un pendio di otto pollici.

Il cannello è quasi per tutto di una cattiva costruzione, per la piccola apertura, che gli si dà nel capitello, e per la diminuzione progressiva, e insensibile, che dovrebbe avere per condurre i vapori, almeno sino al luogo che si unisce col serpentino.

Il serpentino è formato di tubi di rame saldati, disposti a spira, in modo di formare cinque cerchj uniformemente sopra un pendio di tre piedi e mezzo. Questo serpentino è attaccato col mezzo di anelli a tre sostegni, che servono a formarlo. Si mette in un gran mastello, che si riempie di acqua. Alla sua apertura superiore s’incassa l’estremità della cannula del capitello. Questa parte egualmente che il punto di riunione del capitello alla cucurbita devono essere lotati 1 esattamente, [p. 158 modifica]o con cenere bagnata, o con pasta, o coperti con liste di tela inzuppate di una spezie di luto, fatto con bianchi di uova, e calce viva polverizzata 2. La parte inferiore del serpentino si apre in un piccolo imbuto, la cui coda s’immerge in una conca, o vaso destinato a ricevere l’acqua-vite.

La caldaja, il capitello, e il serpentino, che formano questo apparecchio, sono composti di una sostanza, che si altera tanto facilmente coll’azione continua dei corpi, coi quali si trova a contatto, che leggera stagnatura, che ricopre qualcuno di questi pezzi, è presto distrutta, e rimpiazzata da strati più, o meno spessi di veleno terribile, attraverso cui corre lentamente, qual filo di acqua vite, che s’impregna sempre di una grandissima quantità. Lo stagno, e il piombo, impiegati isolatamente, [p. 159 modifica]non possono servire in questo caso, perchè sono loro stessi egualmente pericolosi per la mutazione di stato alla quale possono facilmente giungere. Il solo zinco, combinato collo stagno, preserva dall’azione de’ corpi estranei, e forma con esso lui una stagnatura solida, e durevolissima. Ecco la maniera di prepararla, e di servirsene: si netta subito il vaso, che si vuole stagnare; non sarebbe inutile fregar bene la superficie con pietra di selce.

La prima stagnatura (colla sola intenzione di rivestire il rame di uno strato uniforme) si dà collo stagno puro, e col sale ammoniaco.

La seconda con una lega di due parti stagno, e tre di zinco, applicata sulla prima mediante il sale ammoniaco. Ricoperto il primo strato interamente, si netta colla creta e l’acqua, e si eguaglia in seguito sull’incudine col martello.

Il governo ristabilirà presto, senza dubbio, quegli attivi ispettori, ed istrutti, che vegliavano con tant’attenzione, acciò i prodotti delle fabbriche, delle manifatture, fossero conformi agli ordini, e non presentassero nella loro composizione niente da compromettere, od alterare la salute dei cittadini. Speriamo, che quell’uomo celebre, che non à mai penetrato nei laboratorj senza farvi conoscere una verità utile, senza avere strappato all’infelice pratica (routine) qualcuno dei troppo numerosi suoi partigiani, non obblierà un oggetto così essenziale, tra i bei progetti che medita, per rendere alle nostre arti lo splendore, e la preponderanza, che devono avere sotto il bel secolo di Bonaparte. [p. 160 modifica]Un miglioramento importante, introdotto nella distillazione dei vini è quello del carbone di terra, del quale si servì per il primo il signor Ricard, negoziante di sete 3. Se il suo fornello non presenta colla sua costruzione una grande economia pel combustibile, siamo ben persuasi, che il sig. Ricard, egualmente che tutti i manifattori si affretteranno ad adottare i principj di Rumford, i quali sono già propagati in Francia con una tale rapidità, che si riscontrano ormai in tutte le grandi [p. 161 modifica]città, di quei filantropici stabilimenti, che attestano i più felici successi. La società di emulazione di Paris propose nel 1777 un premio per la miglior costruzione de’ lambicchi. Fu accordato il primo al signor Beaumé dell’accademia delle scienze, e il secondo al signor Moline, primo sagrestano della Comenderia di S. Antonio, Ordine di Malta a Paris.

Il lambicco che propone il sig. Baumé è una gran tina stagnata, lunga dodici piedi, larga quattro, e due piedi e mezzo alta. Siccome è meno profouda da una parte che dall’altra, à un pendio sufficiente per lasciar scorrere il liquido per il passaggio che si trova al fondo. Se sopra questa caldaja si dispongono tre capitelli di differente forma, si avranno i tre lambicchi del sig. Baumé.

Il primo coperchio della caldaja presenta alla sua superficie ricurva dieci fori, di quindici, sedici pollici di diametro. Sono sormontati da buoni collari di rame, in ciascheduno de’ quali si adatta un piccolo capitello di lambicco, dell’altezza di quindici pollici.

Il secondo coperchio non contiene più di tre aperture, ma che sono più grandi, sormontate da tre capitelli a due cannelli.

Sopra il cannello del terzo coperchio il sig. Baumé dispone quattro aperture per quattro altri cannelli, e sappiamo che il meno difettoso di tutti, eseguito a Paris dietro il di lui disegno, non à potuto soddisfare alle sue intenzioni.

La costruzione de’ lambicchi del sig. Baumé appoggia a questo principio, che il corso del vapore è in ragione della superficie che presentano le [p. 162 modifica]aperture. Questi diversi lambicchi, sebbene assai ingegnosi, sono di una costruzione tanto difficile, che il sig. Baumé confessa aver avuto egli stesso molta pena a farli eseguire a Paris. Quanto ai suoi fornelli, si possono riscaldare egualmente e colla legna e col carbone di terra.

Il fornello di Moline contiene quattro lambicchi, i cui capitelli sono forniti di refrigeranti. I suoi lati sono assai elevati perchè l’acqua possa sormontarli tre, quattro pollici. Il cannello del capitello è circondato da un doppio cilindro che si apre da una parte nel refrigerante, e dall’altra estremità facilita il corso dell’acqua nel mastello del serpentino. Il sig. Moline accresce con ragione la grandezza dei suoi mastelli, acciò la grande quantità di acqua che contengono sia riscaldata meno presto, e mette anche la sua conca in un mastello riempito, per condensare più presto le parti spiritose. Questo vaso è guernito di due tubi, uno de’ quali comincia col serpentino, e discende coll’altra parte al fondo della conca. Il secondo destinato all’aria contiene una regola graduata, situata sopra un sughero, che il liquore fa ascendere in modo d’indicare colla sua elevazione il numero delle pinte contenute.

Il suo fornello è assai semplice, e si fa in un momento ed ingegnosamente di un fornello da legna uno per il carbone di terra.

La corrente di acqua fredda che affoga continuamente la testa del capitello per meschiarsi in seguito all’acqua del serpentino è stata soppressa, perchè i migliori distillatori ànno rimarcato che rallenta l’operazione, ed alcune volte l’arresta per molti minuti. [p. 163 modifica]

Il lambicco destinato a stillare spirito di vino è d’invenzione di Baumé.

L’acqua destinata a rinfrescare il capitello serpentino è continuamente rinnovata con un mezzo assai ingegnoso, che consiste a far discendere per un tubo l’acqua fredda fino al basso del mastello, mentre la calda sorte per un tubo situato alla metà della botte. Questo tubo starebbe molto meglio nella parte superiore, perchè il corso fosse eguale dall’una parte e dall’altra. In questo modo i vapori condensati successivamente arriverebbero freddi alla parte inferiore del serpentino.

Per non istillare a fuoco nudo le fecce, la cui acqua-vite à sempre un gusto di empireumatico, sopra tutto com’è novella, il sig. Baumé propone mettere la feccia in un cesto di vinchi che sospende in mezzo della caldaja ripiena di acqua. Ma poichè questo processo non è ancora senza inconvenienti, noi consigliamo di aggiungere alla feccia una porzione di acqua, di farla fermentare, e di spremere col torchio tutto il liquido per sommetterlo alla distillazione.

La feccia nella distillazione può attaccarsi alle pareti della caldaja. Il sig. Devanne maestro nella farmacia di Besançon propone per rimediarvi un mezzo, che la società di agricoltura di Limoges à pubblicato nelle sue memorie: ma questo processo è assai costoso, assai complicato perchè non gli si preferisca quello dei fabbricatori di aceti. Consiste nel riscaldare lentamente le fecce in una stufa, ed estrarre in capo a qualche giorno tutta la parte chiara. Il resto è rinchiuso ancora caldo in sacchi che si mettono sotto il torchio tra due placche di [p. 164 modifica]ferro fortemente riscaldate. S’impedisce alla feccia di sormontare, gettando prima della distillazione qualche goccia di olio nel lambicco, ed avendo cura di stillare lentamente.

Non si devono impiegare nella distillazione delle fecce che i più cattivi lambicchi, mentre l’odore che conservano è tale, che non si può più servirsene in seguito per istillare dei buoni vini.

Dobbiamo sorprenderci delle perfezioni rapide introdotte in Scozia, pella maniera di stillare i vini, e le acque-vite, quando soprattutto la paragoniamo al poco avanzamento di questa parte in Francia. Quel popolo, la cui industria gl’Inglesi avevano voluto comprimere, assoggettandolo a una fortissima imposta, basata sul maximum del prodotto dei suoi lambicchi, giunse ad affrancarsene, trovando il modo di votarli nel corso di ventiquattro ore; ma siccome questa imposta aumentava sempre in ragione dei suoi progressi, crebbero talmente i loro sforzi colle difficoltà, che le si opponevano, che arrivarono a sorprendere gl’Inglesi stessi, votando successivamente venti volte, sessantadue volte ed infine quattrocento ottanta volte in ventiquattro ore. Indicheremo questa nuova costruzione coi cambiamenti proposti dal sig. Curaudau, sia per la forma del fornello, che per quella del lambicco.

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DESCRIZIONE


Del fornello e del lambicco per la distillazione dei vini e liquori spiritosi che non si intorbidano nella ebollizione. (Tav. II fig. i.)


A Porta del focolajo: larga quattordici pollici, ed alta altrettanto. B apertura della volta del focolajo: larga un piede, e lunga due. Il che dà a questa apertura la forma di una sferoide, il più grande asse della quale si dirige verso la volta del focolajo. Il focolajo à due piedi di larghezza, e tre e mezzo di profondità: dall’angolo b all’apertura B vi sono venti pollici di altezza.

Il ristringimento, che si osserva all’apertura B è destinato ad accrescere l’energia dei raggi calorifici: una maggiore apertura ne minorerebbe l’azione, anche accrescendo la massa del combustibile.

Partendo dall’apertura B, le due linee cc vanno sempre avvicinandosi al fondo della caldaja, in maniera che ogni angolo non sia distante che un pollice e mezzo; questi due angoli sono a cinque piedi l’uno dall’altro.

D E’ una lastra di ferro, che attraversa la larghezza del fornello: à otto pollici di larghezza: la sua parte superiore tocca il fondo della caldaja, e la sua parte inferiore à tre pollici dal fondo del fornello.

E E’ egualmente una lastra di ferro, ma questa è lontana due pollici dal fondo della caldaja, e la parte inferiore tocca il fondo del fornello. Questa disposizione alternativa sforza successivamente la [p. 166 modifica]corrente di aria calda a salire, e discendere. Il che gli dà il tempo, prima di arrivare al camino, di deporre sulle pareti della caldaja tutto il calore, che ritiene.

Così a destra e sinistra dell’apertura B vi sono delle lastre di ferro disposte come abbiamo indicato: abbiamo anche prolungato questa divisione in modo di applicarla ai bacini posti ad ogni estremità del fornello. Il che assicura, che tutto il calore prodotto nel focolajo, non può fuggire che dopo avere perduta tutta la sua energia. Così quelli che saranno gelosi a non perdere niente, potranno far praticare ad ogni estremità del fornello due bacini H. Serviranno ad empire il lambicco del liquore già caldo, ogni volta che si rinnoverà. Ognuno di questi bacini à quattro piedi di lunghezza, e tre di larghezza.

F Caldaja di rame, lunga dieci piedi, larga quattro, ed alta dieci pollici.

G Apertura del capitello. ’A un piede di diametro. Il condotto del capitello si prolunga sino al serpentino, alla maniera degli altri lambicchi: ma siccome nella nuova nostra costruzione, la superficie del capitello è eguale a quella del nostro lambicco, contribuirà in ragione di questa grande superficie a raffreddare il liquido evaporato, d’onde risulterà condensazione, e ritardo negli effetti della distillazione. Per rimediare a questo inconveniente abbiamo coperto il capitello di tutti i nostri lambicchi con una coperta di lana. E con questo inviluppo, che dev’essere grossissimo, si conserva nel capitello calore che basta per impedire, che il liquido evaporato non si condensi, e non ricada in seguito nella caldaja. [p. 167 modifica]K Capitello della stessa lunghezza, e larghezza, della caldaja. Si à dato alla superficie una maggiore elevazione al mezzo della caldaja, che alla estremità, il che aumenta il voto interno, e favorisce conseguentemente l’evaporazione del liquido in ebollizione.

MM Animella a chiave, che si apre e chiude a piacere, per arrestare la corrente dell’aria, come si giudichi conveniente.

OO Camini.

LL Fondo di mattoni.


DESCRIZIONE


Del fornello e del lambicco per la distillazione dei sedimenti. (fig. 2.)


Il lambicco e il fornello sono assolutamente costruiti dietro gli stessi principj di quelli per la distillazione del vino: abbiamo soltanto cambiata la forma della caldaja nel luogo dove il calore esercita la più forte azione, e nel frattempo della operazione facciamo circolare una catena affine d’impedire, che le materie, che si depongono, non possano abbruciarsi.

A. Questa parte della caldaja perpendicolare al focolajo è bucata. La sua elevazione sopra il fondo è di sei pollici, e il suo diametro di tre piedi.

B Pezzo di ferro disposto secondo la curva della caldaja: porta una catena, che serve a fregare il fondo della caldaja. Ella è combinata con uno stelo verticale D, il quale mediante una forte matrice le dà movimento continuo di rotazione. Questo stelo attraversa l’apertura C ricoperta da un turacciolo, che impedisce al vapore di scappare. [p. 168 modifica]Questa maniera di far circolare una grattugia al fondo di un lambicco è una invenzione assai ingegnosa, che gli Scozzesi per i primi ànno posto in uso.


DESCRIZIONE


Dell’apparecchio pella distillazione delle acque-vite
di feccia. (fig. 5.)


Questo apparecchio diversifica essenzialmente dai due precedenti. I nostri apparecchi per la distillazione delle acque-vite di vino, e di tutti i liquidi spiritosi sono in superficie: questo è in profondità.

A Porta del focolajo: larga dieci pollici, ed alta nove.

B Questa parte di focolajo è disposta nello stesso modo di quella dei fornelli già descritti; perchè possiamo cambiare la forma della caldaja, senza variare i modi di riscaldarla.

C Rappresenta il fondo della caldaja, ricurva per di dentro, in cambio che per di fuori.

D Caldaja profonda sette pollici, e del diametro di tre piedi: all’apertura di questa caldaja vi è una gola per ricevere la tina.

E Tina, alta tre piedi, e dello stesso diametro della caldaja.

Nell’interno della tina vi sono dei nodi di nove in nove pollici per ricevere una gratta di legno. Ognuna è attraversata da più condotti di calore. K L O ne rappresentano tre. In una tina di questo diametro ne vogliono nove; uno in mezzo ed otto all’intorno. Sono essi destinati a portare i vapori di acqua bollente alternativamente da luogo in luogo, i quali sono cambiati dalla parte spiritosa contenuta nella feccia. [p. 169 modifica]MN Capitello dell’apparecchio: termina nel modo degli altri, che sono in uso.

aa, Indica il luogo del fornello, dove bisogna dare uscita all’aria, che à attraversato il focolajo del fornello.

b, Apertura per il cammino, fatta nel muro esterno del fornello.

c, Animella destinata a trattenere la corrente dell’aria, allorchè il fornello riscalda troppo.

d, Cammino del fornello; il suo diametro dev’essere il terzo dell’apertura della porta del focolajo.

Dopo aver fatto conoscere ciò che possediamo di più perfetto sui lambicchi, non crediamo inutile indicare i difetti di quelli, che sono generalmente in uso, e i felici cambiamenti, che sarebbe facile introdurvi.

Bisogna ogni anno visitare con una cura estrema tutte le parti del suo apparecchio, non contentarsi di otturare leggermente con argilla, od altro mastice, i numerosi buchi dai quali qualche volta è crivellato, ma bisogna farli chiudere solidamente. Queste aperture, che sono assai frequenti, non si farebbero, o assai di raro, se si stagnassero tutti i pezzi colla stagnatura di stagno, e zinco, che abbiamo proposta.

Se per l’acqua del mastello non si adoperano i modi di raffreddare, che abbiamo indicati, non si saprebbe far troppo grande il refrigerante; un buon mezzo di rendere utile quest’acqua calda, che scola dal mastello sarebbe quello d’introdurla nei caratelli destinati a ricevere l’acqua-vite. Quest’acqua calda continuamente rinnovata, leverebbe [p. 170 modifica]interamente tutta la parte colorante del legno, e il principio astringente che contiene.

Potrebbesi servire con vantaggio della conca del sig. Moline, facendo discendere sino al fondo il tubo destinato all’apertura dell’acquavite, che dovrebbe scorrere da più buchi piccoli. La seconda apertura, destinata a lasciar fuggire l’aria, dovrebbe essere guernita di una leggera animella, che chiudesse benissimo, subito che l’aria avesse cessato di agire su lei. Si potrebbe giudicare la quantità di pinte di liquido contenuto nella conca, col mezzo di un regolatore di vetro adattato alla parte esterna della conca. La prova, o provetta è un piccolo vaso di cristallo, lungo 3, 4 pollici, del diametro di 6, 8 linee. Si riempie a metà di acquavite, e dopo averlo chiuso col pollice, e battuto sulla coscia, i mercanti giudicano del suo titolo dalla durata delle bolle. Questo modo è tanto inesatto, che non può servire che per uomini esercitati, che il più spesso la giudicano benissimo, e soltanto dietro il sapore e il suo salire.


Note

  1. L’arte di lotare è una delle cose essenziali per il buon esito nello stillare. I chimici tutti si sono accuratamente occupati di questo argomento, dacchè i tentativi di Lavoisier col mercurio, per farne a meno sono riusciti inutili. Il nostro bravo sig. Brugnatelli, prof. chimico di Pavia, à trattato questo articolo con molta esattezza. (Elementi di chimica T. I. p. 142. — Farmacopea ad uso degli speziali, e medici moderni d’Italia, p. 7. Ed. di Venezia.) Delle tre specie di luti, ch’egli commenda, il luto grasso sembrerebbe il più adattato al caso nostro. Ecco la di lui ricetta. — «Si prenda dell’ argilla pura, e ben secca, finamente polverizzata, e passata dallo staccio di seta. Si bagna a poco a poco entro un mortajo coll’ olio di lino, reso essiccativo col farlo bollire unitamente al litagirio.» — Il trad.
  2. Questo è il luto forte, che non soddisfa sì bene come il grasso, stillando alcool, ma col quale poi si otturano benissimo le fessure del grasso, che non sono altrimenti rimediabili con facilità. — Il trad.
  3. L’Italia non è ricca di carbone di terra come la Francia, l’Inghilterra, la Scozia ec. Siamo debitori al fu ab. Fortis, genio troppo presto rapito alle lettere, ed agli amici, della scoperta in Arzignano di una miniera di carbone di terra in quelle deliziose colline, Ma noi abbiamo in cambio qualche luogo, che somministra eccellente torba, la quale si sostituisce utilmente ad ogni altro combustibile. Il sig. Asquini à il merito di far ardere le sue fornaci figulinee di Fagagna, colla torba, che raccoglie presso quel vecchio castello. Il cav. Mocenigo, ora prefetto del dipartimento dell’Agagna, pel suo Alvisopoli, à studiato procurarsene nei suoi terreni: ma il tentativo è troppo precoce in questo paese. In Olanda la torba con qualche preparazione, che noi troviamo superflua, è il combustibile più usato; e non dubito che sarà più diffuso nel nostro dipartimento, come urgerà maggiormente il bisogno, che sgraziatamente si aumenta ogni giorno, — Il trad.