Vai al contenuto

Emma Walder/Parte seconda/V

Da Wikisource.
V

../IV ../VI IncludiIntestazione 29 marzo 2021 75% Da definire

Parte seconda - IV Parte seconda - VI
[p. 211 modifica]

V.


isoluta ad avere, a qualunque costo, un abboccamento con Paolo prima che egli si sposasse, Emma andò ad aspettarlo dalla Teresa, verso le due, ora in cui egli ritornava all’ufficio dopo la colazione.

Lo avrebbe fermato al passaggio e forzato ad ascoltarla.

Era uno di quei giorni malinconici della seconda metà d’Ottobre, allorché, dopo un lungo seguito di giornate luminose, sembra che il sole ci abbandoni per sempre.

L’anima di Emma era tetra come quel cielo.

Nessuna speranza. Nessun conforto. L’ultima [p. 212 modifica]illusione svanita. Nulla, più nulla, altro che il suo amore spregiato, la sua vita spezzata.

E tuttavia, prima di prendere la risoluzione più disperata, prima di «finirla» — come diceva nel suo dolore — voleva tentare un ultima prova: parlare a quell’uomo, dirgli come lo amava e ciò che soffriva. Poi sarebbe morta, se egli rimaneva insensibile al suo dolore: morta, il giorno delle nozze, mentre egli andava all’altare.

Quella sarebbe stata la sua vendetta e nel medesimo tempo il suo sagrificio: il regalo di nozze.

Quanti pensieri duratitela strada! Quanti ricordi! Come diverso era lo stato dell’anima sua il giorno in cui faceva quello stesso cammino, circa un mese e mezzo prima, in quella splendida giornata di Settembre! Ah! non l’avesse mai fatto! Il germe fatale della passione era in lei prima di allora, sì; ma avrebbe potuto ancora salvarsi, solo che avesse avuto la coscienza del male e la forza di resistere all’attrazione del pericolo.

Se avesse obbedito all’impulso di fuggire — salutare avviso dell’istinto — sarebbe bastato.

Giungendo in piazza Castello, si sentì rabbrividire. Era la prima volta che osava ritornarvi.

Sotto al cielo scuro e basso, di una straordinaria solidità ottica, come si vede tante volte in autunno, il vecchio castello appariva sottile, senza corpo, falso come una decorazione di teatro, con le sue mura scrostate, le torri inutili, il ponte immobile e i fossati asciutti. [p. 213 modifica]

— Maledetto! — mormorò Emma involontariamente presa da superstiziosa paura — Maledetto!

Là, i suoi l’avevano lasciata bambina. Là aveva incontrato Paolo la prima volta; là era avvenuto il tradimento; là ritornava a morire di angoscia.

— Oh, signorina! — esclamò la moglie del portiere venendole incontro. — È tanto che non la vedo. È stata malata?

— No, Teresa; grazie, sto bene.

— È pallida come un panno lavato: pare una madonnina di cera.

Emma ebbe un triste sorriso. Altro che pallida, doveva essere livida, da come si sentiva.

— Mi sono un pochino strapazzata durante la malattia di Annetta, ma ora mi rimetterò. Anzi ho bisogno di dire una parola al signor Brussieri da parte appunto di Annetta...

— Si sono ancora bisticciati, eh?. Che matrimonio! In giornata si vedono di quelle cose...

— Ci lascierai un momento soli — disse Emma interrompendo quei commenti.

— Va bene, va bene. Si figuri! Arriva proprio adesso. Io vado a raccogliere un poco di verdura.

Prese un canestro e uscì nell’orto.

Emma restò sola sotto il portico.

— Cosa gli dirò? — si chiedeva nel suo sgomento.

Le tremavano i ginocchi e il suo povero cuore batteva da spezzarsi. [p. 214 modifica]

Paolo arrivava secondo il suo solito, attilato e baldanzoso, il bastoncino in mano.

Emma pensava:

— Mio Dio! perchè incontrai quest’uomo sulla mia strada?... Perchè proprio lui, mentre vi sono al mondo uomini generosi e leali come Leopoldo Mandelli, come Andrea Celanzi...

Egli era là, a due passi, e la guardava con quei suoi larghi occhi sempre uguali nella loro falsa espressione di languore.

— Buon giorno, signorina — disse togliendosi il cappello, con quel misto di banalità e di disinvoltura che segnava il grado umile del suo valore morale, mentre era in fondo il maggiore coefficente dei suoi trionfi.

Restò alcuni secondi col cappello in mano, in una posa perfettamente corretta, come aspettando che ella dicesse qualche cosa.

Ella non fiatò. E il piccolo viso dimagrato, appariva tanto pallido e sconvolto, che destò in lui un barlume di compassione.

Le si accostò, ed essendosi ben convinto che nessuno li ascoltava, le domandò a bassa voce:

— Hai qualche cosa a dirmi?

Ella accennò di sì, e lo pregò di passare nella stanza del portiere.

— Siamo soli?

— Sì... [p. - modifica] [p. 215 modifica]

— Ebbene dunque, cosa c’è? Cos’hai?... Non sei contenta?... Non mi vedi tutti i giorni?... Sicuro che devo occuparmi di quell’altra... per ora. Sapevi bene che la dovevo sposare! Con l’impegno preso, anche dalla mia famiglia, non potevo mancare. Se per caso moriva, e tu stessa temevi che morisse, mi sarei creati troppi rimorsi e troppi nemici, diciamo...

Emma ascoltava sbalordita.

Ah! le duecentomila lire, e la laurea di avvocato che voleva prendere, se otteneva un trasferimento a Pavia come desiderava: la carriera, i denari! Ella aveva dimenticato quelle cose tanto importanti, povera sciocca, povera ingenua che era. Ma ascoltandolo, ricordava tutto, e la feroce verità appariva chiara, limpida al suo spirito desolato.

Scoppiò in un pianto dirotto.

Paolo indietreggiò, seccatissimo, come tutti gli uomini quando non amano.

— Tu piangi troppo, Emma. Sei troppo sentimentale. Me ne sono accorto l’ultima volta. È una vera noia quando le donne piangono. E io che ti credevo una birichina, furba e svelta, nata per godere? Figurati che delusione è stata la mia. Per fortuna, Annetta ha perso il brutto vizio, altrimenti con la miglior volontà, non sarei capace di sposarla.

Facendo uno sforzo supremo per quel senso di dignità che accompagna il vero dolore, Emma frenò le sue lagrime e cercò di ricomporsi. [p. 216 modifica]

— Annetta non piange perchè non ti ama più come prima.

— Ah, sì? tu credi questo?... E allora perchè mi sposa, una signorina come lei, che potrebbe pretendere ben altro partito?... La gelosia ti accieca, povera Emma.

— No, Paolo. Annetta ti vuol bene, sì; ma l’amor mio è assai più forte. Io farò una pazzia irreparabile, che peserà su tutta la tua vita.

— Ci siamo. Le donne sentimentali, prima piangono, poi minacciano. Dimmi un po’ com’è nato questo grande amore.

— Io non so, Paolo!

— Guarda. Ti ho amata fin dal primo giorno che ti ho vista, ed era il terzo dal mio arrivo qui. Ho cominciato a corteggiarti, e tu dura, come se parlassi al muro. Allora, per vedere se il dispetto ti vinceva, ho cominciato a corteggiare l’Annetta. E lei c’è cascata subito, poverina, e mi ha subito dimostrata la sua simpatia, senza superbia. Tu, invece, niente.

— Perchè ti amavo, Paolo, senza sapere, e non volevo amarti.

— Storie. Quando si ama, non si finge così. E quando ti mostravo la mia simpatia, il mio amore, in casa Mandelli, quella mattina.... ti ricordi? mi hai chiuso l’uscio in faccia. Perchè mi respingevi a quella maniera?

— Perchè mi offendevi.... perchè eri il fidanzato di mia sorella. Ma ti amavo... ti amavo tanto! [p. 217 modifica]

— Non posso crederti. Lo stesso giorno che sei venuta qui, la tua intenzione era di pregarmi a ritornare da Annetta. Se non ti facevo entrare nell’ufficio assicurandoti che non eravamo soli, se non avessi chiuso l’uscio, e se non fossi tanto più forte di te, questo tuo famoso amore non si sarebbe fatto vivo mai più. La verità, vuoi che te la dica io la verità?... Hai avuto un momento di debolezza — siamo tutti di carne, che storie! — e ora, un po’ per il solito orgoglio delle donne, un po’ per la fisima dell’onore, ne cavi fuori una passione. Questo è.

Ella scoteva tristamente il capo.

— T’inganni, Paolo. Debole sono stata, perchè ti amavo. Se non ti avessi amato, avresti potuto soffocarmi, non vincermi. Tu non conosci Emma Walder.

Vi era tanta convinzione in queste parole e tanto dolore, che il Brussieri ne fu impressionato.

La guardò con una vaga espressione di pietà, ben soddisfatto in fondo d’essere amato fino a quel punto dalla fiera fanciulla.

— Voglio ammettere che non t’inganni — riprese con accento più tenero. — La tua versione può essere giusta ed io l’accetto. Ma questo che cosa cambia?

— Se tu mi ami, cambia tutto.

— Se io ti amo?... Perchè non ti amerei?

— Allora lascia Annetta e sposa me... come mi avevi promesso. [p. 218 modifica]

— Sei pazza!... Son già fatte le pubblicazioni.

— Che valgono mai le pubblicazioni in confronto a quanto ho fatto io per te? Io sono già tua moglie davanti a Dio!

Il Brussieri era stanco. Questa insistenza lo riconduceva alla sua naturale brutalità.

— Sei pazza! — ripetè. — Non è l’amore, ma un marito che tu vuoi. Siete tutte così!

E alzò una spalla cinicamente.

— Andiamo, andiamo, fatti coraggio. Non sei la prima, nè l’ultima. D’altronde, se mi fosse lecito prendere due mogli, ti accontenterei subito. Così, non si può. Ma tu resti in casa con me, e se mi vorrai sempre bene...

— Basta, Paolo!... basta!... È troppo. Scostati, non mi toccare!

Esasperata, cieca di dolore e di collera, ella si sciolse con violenza da un tentativo di abbraccio: lo respinse, e uscì senza guardarlo.

Appena fuori si mise a correre, e di corsa traversò la piazza, come se una bestia feroce l’avesse incalzata.

Sulla strada, una improvvisa stanchezza, un senso di vertigine, la fece sostare.

Ma non voleva rimaner lì, sotto lo sguardo di quell’uomo. Balbettava parole incoerenti. Traballava. Aveva paura di cadere.

Potè finalmente rimettersi a camminare, adagio, [p. 219 modifica] adagio, sentendo dei dolori in tutte le ossa a ogni passo che faceva.

Morire. Finirla.

Non pensava, non voleva, non deliberava il suicidio: sentiva la morte venire a lei.

Sentiva il nulla, la distruzione: il fascino inesprimibile della fossa che inghiotte.

E andava innanzi così senza sapere.

In fondo, laggiù, a sinistra, luccicava il Lambro come un nastro di acciaio.

Morire, morire!

A un tratto ella si sentì afferrare alle spalle, e una voce ben nota la chiamò per nome.

Sussultò, poi alzò gli occhi arsi, smarriti, in viso al suo buon padre che era là, accanto a lei.

— O babbo!...

Egli sentì che ella agonizzava.

— Ah! cattiva! Non mi sono ingannato. Mi hanno detto che eri uscita, e subito mi sono messo a cercarti col terrore di non arrivare in tempo.

— Che cosa intendi?

— Guardami, se hai coraggio.

Ella non potè sostenere il suo sguardo.

— Tu volevi morire... e io lo sapevo, capisci? Cosa sarebbe avvenuto di me se non arrivavo a trattenerti?

— Povero babbo!.... Perdonami... Sono tanto infelice.

— Cosa ti hanno fatto?... [p. 220 modifica]

— Nulla. L’infelicità viene da sè, qualche volta.

— Qualche volta, sì. Di solito, però, è opera degli uomini.

Ella non rispose.

— Appoggiati al mio braccio. Andiamo avanti; facciamo la passeggiata che volevi fare da sola: facciamola insieme. Ti ricordi quando eri piccina, come ti piaceva fare le passeggiate con me? Ti ricordi?

Emma gli strinse dolcemente il braccio.

— O babbo mio! Non ho che te al mondo. Tu solo mi ami, tu solo. Perdonami, perdona alla tua Emma.

Leopoldo la guardò con tenerezza.

— Ti ho già perdonato. Ma tu mi dirai...

— No. Questo no. Non tormentarmi. Ti prego. Se cominci anche tu, è finita...

— Taci! Non ti tormenterò. Non mi vuoi bene però....

— Oh! sì, ti voglio bene... ma non posso..... Se ti dovessi raccontare sarebbe peggio: non potrei più vivere.

Il Mandelli chinò la fronte, per non guardarla. Sentiva che il lampo delle sue pupille l’avrebbe spaventata.

Camminavano in silenzio sotto il cielo grigio, opprimente, incontro alla brezza umida e fredda che spirava dalla parte del fiume. Le foglie secche volavano via turbinando, sospinte, battute dal vento. [p. 221 modifica]tre, a migliaia, screziate, di giallo e di rosso, di verde morto e di bruno sporco, tremolavano ancora sui rami per metà denudati; e quel tremolìo pareva un fremito di vita, un ultimo desiderio di godimento.

— Ancora! Ancora! — sembravano dire le misere; — Un po’ di sole, un po’ di rugiada!

Ma ogni colpo di vento ne portava via una, dieci, cento, non del tutto consunte, nella cui delicata compagine scorreva ancora il succo vivificatore, staccandole a forza dalla dolce vita, sferzandole beffardamente per lo spazio infinito; mentre tante e tante altre, già secche, accartocciate, simili a larve d’insetti, resistevano ad ogni scossa, tenacemente attaccate al ferrigno stelo.

Leopoldo respirava a pieni polmoni l’aria frizzante. Una strana sensazione di benessere si allargava nelle sue fibre e impadronendosi del suo cervello fugava le tetre preoccupazioni della realtà.

Si sentiva ringiovanito, pieno di ardire e di confidenza nel destino, di quella confidenza in lui sempre restìa, e senza cui non è possibile raggiungere una meta desiderata.

Perchè aveva perduta sì gran parte della vita, senza gioie, senza espansione, sempre chiuso in sè, con l’amarezza sul labbro e il disprezzo in cuore, presso a una donna calcolatrice, volgare, indegna di lui?.... Chi gli aveva detto che la vita non aveva alcuna gioia meritevole di essere conquistata con tutti gli sforzi possibili? Alcuna ebbrezza per cui fosse bello morire? [p. 222 modifica]

Egli stesso, nell’angoscia di un primo disinganno, con lo spirito preparato all’annichilimento da una educazione deprimente, egli stesso si era avvelenato, reso inetto, giudicando ogni premio troppo inferiore alla pena di conquistarlo.

Orgogliosa follia!

Ma in quel momento egli sognava un premio per il quale avrebbe dato tutto il suo sangue, felice di morire. E si sentiva giovine e forte, il cuore pieno di baldanza e di fede.

A vederlo non mostrava più di trent’anni.

Se egli avesse parlato d’amore a quella fanciulla, raccolta bambina, educata come una figlia, e s’ella lo avesse amato, la felicità avrebbe arriso ancora alla loro vita.

Nel silenzio solenne della campagna, nella severa solitudine autunnale, camminando così, con quella adorabile creatura stretta al suo braccio, egli sognava a occhi aperti un idillio nuovo, una vita intensa e rapida nella continua ebbrezza del cuore innamorato. Che gioia, che estasi, vagare sempre così, stretti l’uno all’altra, in una landa spopolata, non visti da occhio mortale, non mai turbati da preoccupazioni estranee all’amore, fino all’ultimo anelito: un’ora: un’eternità!

Erano giunti in un vasto prato, dall’erba folta, corta e vellutata. Tutto intorno sorgevano doppi filari di alberi alti e sottili, non del tutto sfrondati. E al di là altri prati e campi, sopra un suolo [p. 223 modifica] leggermente ondulato, e nel mezzo, fiancheggiata da altri alberi, la striscia argentea del piccolo fiume. Da lontano veniva il rumore di un mulino; da più lontano il brusìo di una macchina a vapore.

— Sono tanto stanca — sospirò Emma arrestandosi.

— Aspetta.

Si tolse il paletò, lo stese sull’erba, e la fece sedere.

— Come sei buono!

Egli s’inginocchiò accanto a lei, le prese una mano e la sfiorò con un bacio. Pur non avendo il più piccolo dubbio sul sentimento di quell’atto affettuoso, Emma arrossì istintivamente.

— O babbo mio! — mormorò accarezzandolo.

Come la stella filante che solca il cielo con la sua luce e ruina nelle tenebre, misero bolide informe, Leopoldo si sentì precipitare dall’alto della raggiante visione che l’aveva teste rapito, in fondo al più squallido abisso.

Mai più! Mai più!

Egli non era per lei che il buon padre.

Abituata ad amarlo così fin dalla tenera infanzia, avrebbe inorridito alla sola idea che egli l’amasse diversamente. Oltre a ciò Emma doveva amare un altro. Quella disperazione non poteva derivare altro che da un amore. Ne era convinto.

Non fiatò: non si scosse. Sorrise.

Era avvezzo a soffrire.

Intanto, Emma, mezzo sdraiata, reggendosi sul [p. 224 modifica] gomito guardava lontano, con le pupille smarrite, il viso improntato dall’interno patimento.

Osservandola, il Mandelli si vergognò di avere pensato a sè e alle tarde illusioni della sua maturità, invece di occuparsi di lei che soffriva tanto nell’età in in cui la nuova battaglia abbatte sì facilmente l’anima non agguerrita.

— Emma, figlia mia, perchè ti tormenti così?

La fanciulla lo guardò e gli lesse in volto l’immensa pietà, la tenera indulgenza: null’altro.

— Perdonami. Non posso dirti; soffrirei troppo e sarebbe inutile.

— È una ostinazione la tua. Una ostinazione che mi addolora e mi offende.

— Non dirmi questo, ti prego! Senti. Io non ho che te al mondo, non amo più che te. Se potessi parlare, tu solo saresti il mio confidente. Ma devo tacere. Farei del male, immeritato, ad altre persone. Lasciami, nella mia miseria, l’orgoglio di saper soffrir sola e di non far pesare la mia disgrazia sulle persone che amo. Passerà, vedrai. Mi rimetterò.

— Come posso fidarmi di queste promesse? — esclamò Leopoldo. — Come posso fidarmi, se poche sere fa me ne hai fatte di altrettanto solenni, e poi.... pensavi di toglierti la vita?!..

Ella chinò la fronte non osando negare e non sapendo come calmare quella giusta inquietudine.

— Perchè volevi morire?... Pensa, morire.... alla [p. 225 modifica]tua età! Ci vuole una causa ben forte. E se un’ora fa eri così disperata, come posso io credere che la stessa disperazione non si impadronisca di te domani, dal momento che ignoro quali avvenimenti ti hanno spinta, e quali altri potrebbero trattenerti da oggi in poi?

— Ti giuro, sull’anima mia, e per il bene che ti voglio, ti giuro che non cercherò più di morire. Non ti basta?

— Non mi basta. Credo che tu abbia, adesso, la miglior volontà di mantenere la tua promessa. Ma sai tu se le cause che esistevano oggi, non si rinnoveranno domani, forse più gravi, più terribili?

— Ne sono sicura. Oggi è avvenuto un fatto che ha dissipata la mia ultima speranza, la mia ultima illusione. Non ho più nulla da temere, perchè non spero più nulla. Dunque, se non mi sono uccisa oggi, non mi uccido più. È una cosa finita. Capisci?... E poi, dopo di aver parlato così, con te... No, no! Sta sicuro. Credi al mio giuramento: per quanto potessi essere disperata, non mi ucciderò.

Egli restò un momento sopra pensiero, poi disse:

— Adesso ti credo.

Emma riprese:

— Senti. Se non potessi proprio reggere, piuttosto che morire, andrò via.

— Andrai via?.... Dove vuoi andare?

— Per il mondo. Vagabonda son nata... [p. 226 modifica]

Sorrise tristamente.

— Non farai neppur questo, Emma; finchè vivo io, non sarai mai ridotta a tale estremo. Se tu mi dici assolutamente che non vuoi più stare con noi, ti darò i mezzi di vivere in un altro paese.

Oh!... sei troppo generoso con me. Basta. Non ci pensiamo adesso. Spero che avrò la forza di vincere... di vincere me stessa. Penserò a te, alla tua vita e cercherò d’imitarti.

Si alzò lentamente un po’ intirizzita.

— Andiamo — disse Leopoldo — fa freddo.

E si asciugò la fronte madida di sudore.