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Ettore Fieramosca/Capitolo XVII

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Capitolo XVII

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Capitolo XVII.


La partenza di Fieramosca e de’ suoi amici dal ballo, osservata da pochi, non ne aveva turbata l’allegrezza: Fanfulla togliendosi dal terrazzo, ove avea trovato D. Elvira, con prestezza e senz’essere veduto, era andato a deporre le spoglie del suo amico, e tornato poi a mescolarsi fra quelli che ballavano come non fosse suo fatto, rideva fra sè della burla compita con tanta fortuna e si moriva di voglia di raccontarla. La figlia di Consalvo andava coll’occhio cercando Ettore fra gente e gente, e non vedendolo in nessun lato non sapeva indovinare per qual cagione volesse ora celarsi da lei.

Passata così quasi un’ora, furon veduti entrare Brancaleone ed Inigo, e domandaron di Consalvo ai primi che ebbero innanzi. Fu loro accennato verso un angolo della sala, ove stava in crocchio con alcuni de’ baroni francesi. Accostatisi a lui lo trassero in disparte: gli raccontarono la novità che era nata, e come sapevan che il Valentino era nella rôcca, e per suo volere s’era fatto quel disordine, lo pregavano volesse dir loro come s’avessero a governare. Consalvo lo teneva capace di tali assassinamenti e di maggiori, se fosse bisognato; rimase sopra di sè un momento, poi disse ai due che lo seguissero, e s’avviò verso le sue stanze. Vide nel moversi don Garcia, e gli accennò che venisse anch’esso.

Non volle ammettere che il duca fosse nel castello per non rompergli fede; ma riflettendo che quel giorno medesimo aveva tolto commiato, dicendogli volersi partir nella notte, gli pareva strano che avesse [p. 240 modifica]appunto scelto quell’ultimo momento per far tanto disordine. In ogni modo stabilì di chiarirsi, e fatto prender due lumi, cintasi la spada, s’avviò innanzi per un andito che riusciva su una scaletta a chiocciola, per la quale scesero aprendo due porticelle di ferro che ne chiudevan l’entrata. Rimaneva ad aprir un altr’uscio: si fermò Consalvo, e disse a voce bassa ai suoi che ivi l’aspettassero senza far romore, nè venissero se non chiamati. Poscia aperto, scese nelle camere del duca che trovò deserte, senza lume, e in grande scompiglio; qua una sedia, là una tavola rovesciata, presso al letto la lucerna caduta, e l’olio sparso sul pavimento; le stanze vicine vuote. Chiamò allora i suoi, e, stato un momento pensando, disse:

— Per serbar fede ad un ribaldo non vorrei correr rischio d’oltraggiar chi è innocente. Sappiate dunque che il duca è stato per molti giorni in questa stanza. Domattina o stanotte voleva partirsi; di più non posso dirvi, poichè non so altro. Tutti siam persuasi che è capace d’ogni ribalderia; anche di questa potrebbe esser esso l’autore. Fate dunque ciò che vi par meglio, inseguitelo, se volete, ve ne do piena licenza; e voi, D. Diego prestate loro tutto quell’ajuto che si potrà.

Ad Inigo venne tosto l’idea d’affacciarsi per vedere se si scorgesse ancora in mare qualche legno che potesse esser quello; ma a traverso i vetri non riuscendo a scorger nulla, per non perder tempo a sferrar que’ gran finestroni, corse alla porticella che metteva su quel poco di lido sopraddetto e ch’egli conosceva avendo in pratica tutta la rôcca, ed uscito vide la barchetta e nel fondo stesa una giovane che non conosceva, ma tosto pensò potesse esser Ginevra.

Chiamati a furia i compagni, rimasero tutti senza saper che pensare, vista costei così abbandonata ed in un tal luogo. Con quanta cura poterono, la portarono sul letto del duca che, trovato tutto sottosopra, fu da loro [p. 241 modifica]rassettato alla meglio, e Consalvo, commiserando quella meschina che appariva tutta pesta, graffiata in viso, coi capelli stracciati, non senza alcuna macchia di sangue, risalì frettoloso per commetterla alla cura di qualche donna: nè volendo propalar la cosa per allora al bujo com’era di tutto quel fatto, pensò fidarsi di Vittoria Colonna, la cui matura prudenza gli era ben conosciuta. Giunto nelle sale del ballo, e trovata la figlia di Fabrizio, la condusse chetamente al letto di Ginevra, narrandole per istrada ciò ch’era avvenuto, e quanto fosse d’uopo in quel frangente de’ suoi conforti per la sventurata che non conoscevano. Il cuore animoso di Vittoria Colonna ne accettò con premura e gratitudine il carico, e quando fu giunta al letto della giovine, e l’ebbe fissata in volto un momento, si diede ad assettarle il letto, dispose meglio i guanciali, ed adagiovvela in modo più comodo, con quella sollecita e sagace pietà di cui la Provvidenza ha dotate specialmente le donne, istituendole quasi dispensatrici delle sue consolazioni agli afflitti.

Lo stato di Ginevra era una specie di letargo nel quale l’avean fatta cadere i tanti suoi patimenti, una prostrazione totale di tutte le forze: non si poteva dir fuori dei sensi, nè in sè; stava dove la si metteva; se le si moveva un braccio, od il capo, lasciava fare, e pareva non se ne accorgesse; aveva gli occhi aperti naturalmente, ma spenti affatto, e li volgeva intorno senza sguardo. S’accorse Vittoria che questo stato, quanto meno pareva violento, tanto più metteva sospetto: conobbe che non era tempo da perdere, perciò licenziati gli uomini, fece venire alcune sue donne che arrecarono spiriti e cordiali, e con questi riuscirono in breve tempo a ridestar in Ginevra la vita che pareva presso ad estinguersi.

Il primo segno che diede d’aver ripreso l’uso delle sue facoltà, fu guardarsi un momento attorno [p. 242 modifica]spaventata, e poi gettarsi con impeto dal letto per tentar di fuggire, ma la sua debolezza era tanta, che sarebbe caduta in terra, se le braccia di Vittoria non l’avessero raccolta, e con misurata violenza riposta sul letto.

— Oh! Dio! disse allora Ginevra: siete anche voi d’accordo? Mi sembrate pure gentil donna; siete giovane e bella, e neppur voi avrete pietà di me?

— Anzi, rispose Vittoria, prendendole le mani, e ponendovi su le labbra, noi e quanti sono in questa rôcca siam qui in vostro servigio, e per ajutarvi e difendervi; e quietatevi per amor del cielo, che non dovete più temer di nessuno.

— Ebbene dunque, se è così, disse Ginevra buttando di nuovo i piedi giù dal letto, lasciatemi, lasciatemi andare.

Vittoria credendo che questa voglia di fuggire nascesse da vacillazione di mente, vedendola poi così debole e tanto sfigurata, voleva persuaderla colle buone ad aver pazienza per qualche momento; ma l’aborrimento per quel luogo era divenuto per colei una smania che gli ostacoli vieppiù accendevano: onde seguitava a far forza, e diceva piangendo:

— Madonna! per amor di Dio e della Vergine santissima, non vi domando altro che di esser levata da questo letto; buttatemi in mare, nel fuoco, ma levatemi da questo letto. Già sarà poco il disagio che vi darò.... un sorso d’acqua.... che mi sento ardere le viscere.... e fate che io possa parlar quattro parole con Fra Mariano qui di San Domenico..... ma andiamo via.... lasciatemi andare....

E in così dire s’alzò dal letto, non opponendovisi più Vittoria, che vedeva il suo volere tanto deciso; e non senza grande stento essa e le sue donne la portarono quasi di peso su per la scaletta e l’allogarono in una cameruccia fuor di mano, ove Consalvo [p. 243 modifica]fatto rizzare un po’ di letticciuolo, e quivi, spogliati i panni, ed entratavi, diede un sospiro e disse:

— Signora, Dio vede tutto, e vede se in cuore lo prego di pagarvi del bene che mi fate. Vergine, vi ringrazio. E voi, signora, la quale siete cagione che almeno io non morrò disperata.... solo vi prego d’affrettarvi, e mandar per Fra Mariano.... Dite, che ora è? è giorno o sera? non so più in che mondo mi sia.

— Son le cinque ore di notte, rispose Vittoria, e si manderà per Fra Marino; ma lo sgomento che avete addosso vi fa temer più del dovere: quietatevi, state in riposo, cara la mia giovine, qui siete in luogo sicuro; io non vi lascio....

— Oh no, non mi lasciate! Se sapeste che refrigerio al cuore mi danno quei vostri occhi pietosi quando mi guardano! Sedete qui sul mio lettuccio; ecco, mi tiro un po’ verso il muro.... no, no, non abbiate timore di darmi noja, anzi così sto meglio.... E, rimasta qualche momento come balorda, le prendeva un brivido di raccapriccio, e diceva quasi fuori di sè: Se sapeste che orrore! esser sotterrata viva..... esser affogata sotto un monte di cadaveri!... vedersi addosso quei visacci de' morti pieni di putridume che ridono.... Dio! Dio! ancora mi par d’esservi....

E dicendo queste parole si stringeva addosso la sua protettrice, che a quel suo vaneggiare, conoscendo inutili i discorsi, l’abbracciava e con atti amorosissimi si studiava di racquetarla.

— Oh signora mia! proseguiva Ginevra nascondendole il capo in seno, non so quel che mi dica; m’accorgo che dico spropositi, ma sono stata troppo troppo assassinata!... e non lo meritavo! Che cosa gli avevo fatto perchè mi trattasse così?... E la Vergine Santissima m’aveva promesso di condurmi a salvamento.... l’avevo pregata tanto di cuore!... e poi [p. 244 modifica]abbandonarmi?... È vero, sono stata una sciagurata.... ma più infelice che colpevole.... oh sì! più infelice assai! Perchè il cuore, lo so io, come me lo sentivo.... e quel che ho sofferto non lo sa altri che io....

— Sì, cara, lo credo, rispondeva Vittoria, ma quietatevi, e non dite che la Vergine v’abbia abbandonata; non vedete che m’ha mandata per asciugarvi le lagrime e ristorarvi dei vostri affanni? Ecco ch’io sto qui con voi; non vi lascio, e se ciò vi basta, non dubitate che v’abbandoni. Ma se il vostro caso domanda altri ajuti; se s’ha a castigar chi v’ha oltraggiata, se v’è qualche disordine da rimediare, parlate.... fidatevi di me.... Fabrizio Colonna mio padre.... Consalvo.... tutti insomma s’offeriscono....

— Ah, signora mia! interruppe Ginevra, tutto il mondo insieme non potrebbe farmi provar un momento di bene, nè scemar d’una stilla il mio male. In questo mondo tutto è finito.... Vi ringrazio però, oh! vi ringrazio, perchè l’ultima consolazione me l’avete fatta provar voi.... e perciò non mi dite ingrata, se non vi narro i miei casi; ma non è possibile, non si posson raccontare, e se non accetto le vostre profferte.... Dio ve ne rimeriti.... egli lo può... io non posso che ringraziarvi.... e baciarvi queste mani benedette che mi reggeranno il capo nell’ultima ora e mi chiuderanno gli occhi.... Promettetemi che non mi lascerete che quando sarò fredda affatto....

Vittoria voleva allontanar queste idee persuadendola che la sua vita non era in pericolo; ma Ginevra non la lasciava dire.

— No, no, signora mia, è inutile, so quel che è stato, e so come mi sento.... non mi negate questo bene, angelo mio benedetto! è vero che non me lo negate?... Ecco, vedete, del vostro buon volere ne profitto, non potete dirmi nè superba nè ingrata.... Dunque me lo promettete? [p. 245 modifica]

— Sì, sì, cara, ve lo prometto, se venisse il bisogno.

— Oh! così son più tranquilla: ora fate che venga padre Mariano, e poi tutto è finito di qua.... Datemi ancora un sorso d’acqua, che mi pare d’aver i carboni accesi nel cuore.... quel lume se si potesse levarmelo d’innanzi, che mi abbaglia la vista. Perdonatemi tanto disagio, ma sarà per poco.

Vittoria, prestatile questi piccoli servigi, si ripose seduta sul lettuccio, e dopo non molto, Inigo, che era andato a far alzare Fra Mariano, s’affacciò sull’uscio domandando se poteva farlo entrare. Venga, venga, disse Ginevra. Comparve sulla porta un frate d’alta statura, la cui sembianza pallida e modesta era mezzo adombrata sotto il cappuccio; s’appressò al letto dicendo: Cristo vi guardi, signora. Usciron gli altri e rimase solo con lei.

La presenza di questo religioso, i suoi modi pieni di quella carità ardente che nasce dal conoscere quanto sia divina ed augusta la missione di sollevar l’uomo nelle sue miserie, indicavano a prima vista che da gran tempo tutti gli affetti, tutti i fini mondani gli stavano sotto i piedi.

La sua storia era una specie di mistero per gli abitanti di Barletta, e per gli stessi religiosi del convento di San Domenico; nel quale senza occupar nessuna carica dell’Ordine, viveva circondato da una sorta di riverenza, che nasceva dall’esempio delle sue virtù, dal suo sapere, e dalla persuasione ch’egli era vittima d’una persecuzione religiosa. Si bisbigliava che fosse stato al secolo uno de’ primi cittadini di Firenze, della setta così detta de’ Piagnoni, della quale era capo fra Girolamo Savonarola; che vinto dalle parole di quel terribile predicatore avesse abbandonato il mondo e preso dalle sue mani l’abito domenicano in San Marco. A questi fatti, che ognun teneva per veri, si [p. 246 modifica]frammischiavan voci più incerte, che egli avesse, per darsi a Dio, rotti i legami di cuore.... si diceva che quel repentino cambiamento fosse stato cagione di gravi scandali, di sdegni, di vendette per parte della donna abbandonata, la cui opera, avvolta nella persecuzione suscitata contra il frate dalla Corte di Roma, dopo la morte del medesimo a stento si fosse sottratto per cura de’ suoi superiori che l’avean fatto fuggire travestito, e mandato sott’altro nome nel convento di Barletta, ove per essere luogo poco frequentato e fuor di mano, se ne vivea sconosciuto.

Queste eran le voci che correan sul conto suo. Ma la malevoglienza più oculata avrebbe invano cercato del resto di macchiar la sua fama. Le severe dottrine del Savonarola avean trovato il suo cuore come una terra preparata a riceverne il seme, ed ajutate dalla sua natura, pronta a sacrificar tutto alla verità, avean portato frutti di carità e di zelo ardentissimo.

Il rogo, sul quale il suo maestro era stato ridotto in cenere, avea per così dire consumato insieme tutto il suo partito; lo spavento della vendetta papale avea fatto tacer quelli che detestavan gli abusi della Corte romana. Fra Mariano viveva tranquillo nel suo ritiro, dacchè Dio non l’aveva fatto degno di morir per la verità, contento di non dover essere spettatore inoperoso di mali, contra i quali non gli era permesso d’alzar la voce.

Sedutosi al capezzale della giovane, la benedisse, domandandole se volea confessarsi.

— Oh sì! Padre, rispose Ginevra, non ho altro desiderio al mondo, e se non avessi sentito mancarmi le forze e la vita, non v’avrei dato tanto disagio a quest’ora, ma per me poco più ve n’è: e perciò non perdiamo tempo, e fate ch’io muoja nella grazia del mio Signor Iddio e della S. Chiesa Romana. [p. 247 modifica]

— La vita e la morte son nelle mani di Dio, rispose fra Mariano, e sarà quel ch’egli vorrà: fate dal canto vostro il potere, nè dubitate che vi manchi il suo ajuto.

E fatto il segno di croce, dopo le preci che si usano, disse alla donna: — Or dite su.

Per aprire affatto il suo cuore sin nel più interno, le fu mestieri raccontare dal principio la storia della sua vita, il malaugurato matrimonio, la morte supposta, l’errare che aveva fatto di terra in terra. Il suo dire era interrotto spesso dallo sfinimento, e in parte mal connesso, perchè mal le reggeva il cervello a sì penoso lavoro.

— Padre! disse alla fine Ginevra, sono stata è vero molt’anni vicina a chi non m’era marito, ma non ho avuta altra colpa fuorchè quella d’espormi al pericolo di mal fare; Iddio solo me n’ha liberata. Sono stata negligente nel cercar del mio sposo, e nel chiarirmi se veramente fosse morto.... alla fine poi l’ho trovato, ed allora subito risolsi di ritornar con lui.... e l’eseguii.... e coll’ajuto della Vergine sperai che mi riuscisse.... ma Dio! invece dove son caduta!...

E qui narrava a fra Mariano come approdando al piè della rôcca avesse veduto lo stretto colloquio d’Ettore e d’Elvira, per la qual cosa sopraffatta dal dolore era caduta nel fondo del suo battello e s’era risentita soltanto nella camera del Valentino; e spiegato questo crudel fatto sino alla fine, prorompeva in un pianto convulso e disperato ed in parole sconnesse che mostravan pur troppo la nascente alienazione della sua mente.

Commosso fin nel profondo del cuore, il buon frate prese con quella prudenza che richiedeva l’importanza del caso tutti i modi per ridurla in calma, e solo vi riuscì in parte dopo molto tempo, quando la [p. 248 modifica]natura stanca diede luogo a quel parosismo, che lasciò l’infelice sensibilmente più sfinita e mal ridotta di prima.

— Padre! seguitava Ginevra con voce indebolita, è possibile dunque che Dio, che la Vergine abbian ributtate le mie lagrime, maladetto il mio dolore? La vendetta di Dio è piombata sul mio capo come un fulmine, quando pareva mi promettesse pietà.... già è stato immenso il castigo dei miei peccati..... ma ne temo un altro più tremendo.... sento che morrò disperata d’ottener perdono.... sento che Dio mi indurisce il cuore in questi ultimi momenti.... sto per passare, e non posso nè scordar quell’uomo.... nè perdonar a colei.... Oh pregate per me! ajutatemi; fin che è tempo, parlatemi di speranza....

— Di speranza? interruppe il frate, non sapete che quegli che mi manda a voi, è quel Dio che comprò la vostra salute colla morte della croce, che vi promette misericordia, e ve la prometterebbe se foste carica de’ peccati di tutto il mondo, purchè non facciate ingiuria a tanto amore disperando del suo perdono? E che cosa vi domanda per meritarlo, e meritar quella corona di gloria e d’allegrezza che non avrà più fine? Vi domanda di amarlo come egli v’ha amata, di soffrire un poco per amor suo, com’egli ha sofferto, e tanto, per amor vostro, di perdonar a chi v’ha fatto ingiuria, com’esso perdonò gli strazii, le percosse, gli oltraggi e la morte. Eccolo in cielo che v’aspetta ed anela d’accogliervi fra le sue braccia, d’asciugar il vostro pianto, e volgerlo in una gioja che non avrà misura. Il nemico, che vi teneva per sua, non può sopportar che gli fuggiate di mano; egli tenta ogni via di riavervi; egli fa prova di togliervi la speranza, ma non gli verrà fatto. Io, ministro di Dio eterno, e s’alzò in piedi in atto solenne stendendo le mani sul capo di Ginevra, vi giuro pel suo santo [p. 249 modifica]nome che col perdono è scritta nel libro eterno la vostra eterna salvezza, se con un solo atto d’amore sapete comprare un tanto premio: il divin sangue del Verbo scenda sull’anima vostra come celeste rugiada, ne lavi ogni macchia, v’infonda pace, allegrezza, e dolore d’aver offeso chi lo sparse per voi, vi dia vigore a respingere, a sprezzare gli assalti del nemico che vuol la vostra rovina.

— Oh padre mio! disse Ginevra, tutta compresa di venerazione per le parole che udiva, Iddio parla per bocca vostra: dunque ancora posso sperare, e non sono abbandonata per sempre?

— No, anima benedetta! anzi quanto più duro è il combattere, tanto sarà più gloriosa la palma. Ma ora che Iddio vi dà grazia e tempo di conoscere le vostre colpe e le sue misericordie, pensate a non tornar addietro, e ricordatevi di ciò ch’egli dice: sarebbe stato meglio per loro non conoscere le vie della giustizia che il ritrarsene dopo averle conosciute. Chi pone mano all’aratro e poi si volge indietro non è degno della mercede. — L’immagine di quell’uomo non può uscirvi dal cuore? Vedete dove avevate poste le vostre speranze, da chi aspettavate gioja e conforto! Vedete per chi avete sprezzato l’amore del vostro Dio! Per uno che, quella fede mondana e colpevole che v’avea data, neppure ve l’ha saputa serbare, che ad un soffio s’è volto altrove senza curarsi di voi. Così attiene il mondo le sue promesse; e non ostante sprezzate, per seguirlo, le promesse immancabili dell’Eterno! e quando egli vi fa toccar con mano la vanità de’ vostri desiderii, quasi vi sdegnate, invece di prostrarvi innanzi a questo miracolo di bontà?

Non potete perdonare a colei? E in che v’offese? Prima, nè pur vi conosce: poi è donzella libera, può attendere senza delitto a questi pensieri. Oh! quanto dovreste piuttosto amarla, ed adorare in lei lo [p. 250 modifica]stromento che la mano di Dio adopra per la vostra salute. Anch’io son peccatore, lo fui, fui tanto sciagurato e cieco da cercar nelle creature la pace del cuore. Dio mi chiamò; seguii la sua voce nell’amarezza da prima; ma poi, qual ricco compenso non m’ha accordato la divina bontà pel piccolo sacrificio? Qual tranquilla allegrezza di amare ed esser certi d’un contraccambio eterno ed immenso? Oh! credete a me, anima benedetta! che son uomo peccatore più di voi, e ne sono stato alla prova, tutto è fiele, incertezza e tenebre, fuorchè amar Dio, servirlo, e sperare nelle sue misericordie.

— Oh sì, disse Ginevra interrompendolo, e dando in un pianto dirotto; m’avete aperta la mente e m’avete vinta: sì, perdono, e perdono con tutta l’anima, e ne darò prova. Venga colei; che la veda prima di morire, e l’abbracci; e vivano felici insieme, come spero che Dio avrà pietà di me nella vita avvenire.

Cadde ginocchioni il frate accanto al lettuccio, ed alzando al cielo gli occhi e le mani disse: — Variis et miris nobis vocat nos Deus! Adoriamo l’opera della sua misericordia.

E rimasto così un momento orando, s’alzò, benedisse ed assolse la giovane; poi riprese:

— Dunque, veramente siete risolta a veder colei, e far quest’opera di paradiso?

— Sì, padre; fate che venga; sento che ho bisogno di morir perdonando.

— E Dio, ve lo dico in suo nome, già vi ha perdonato; già siete sua; questo santo proposito è il segno della vostra salute.

S’avviava il frate per cercar di D. Elvira. Ginevra lo richiamò.

— Una grazia, disse, mi resta a domandarvi, e non dovete negarmela se volete che muoja in pace.

Quando non ci sarò più, andate al campo francese, [p. 251 modifica]trovate mio marito (fra soldati è chiamato Grajano d’Asti, ed è al soldo del duca di Nemours) e ditegli che alla mia ultim’ora ho domandato perdono a Dio come lo domando a lui se l’ho offeso: ditegli che pel passo in cui mi trovo, gli giuro che l’anima mia uscendo di questa vita, è pura com’era quando mi ricevette da mio padre: che non maledica la mia memoria, e faccia dir una messa in suffragio dell’anima mia.

— Siate benedetta!... State quieta, il vostro desiderio sarà adempiuto.

— Un’altra grazia vorrei chiedervi, seguitò Ginevra.... Non so se sia bene o male.... ma Dio, che vede il mio interno, sa se parlo a buon fine.... Vorrei che cercaste anche di lui.... d’Ettore Fieramosca, voglio dire, che è lancia del signor Prospero.... ditegli che pregherò per lui, e che gli perdono.... cioè.... no, non gli parlate di perdono.... alla fine non son poi certissima.... potrebbe esser stato un altro che gli somigliasse.... No, no, ditegli soltanto che pensi all’anima.... che conosco adesso in quanto errore eravamo.... si ricordi dell’altra vita, che questa passa come un fumo, e glielo dice chi n’è alla prova, e gli vuol.... e pensa al suo vero bene. Ditegli poi che se Dio, come spero, m’accoglie nella sua misericordia, pregherò per lui, onde vinca la sfida, e sia difeso l’onor dell’armi italiane.

Fra Mariano diede un sospiro e disse: — Anche questo farò.

La moribonda stette alquanto in silenzio, e le corse alla mente Zoraide, la sua protetta, colla quale in quegli ultimi giorni aveva pur avuto qualche rancore; supplicò il frate che cercasse di lei nel monastero di S. Orsola, e le recasse cogli ultimi saluti un suo monile, pregandola a portarlo per amor suo: raccomandò a lui quella povera derelitta, le trovasse egli [p. 252 modifica]un ricovero onorevole, e soprattutto cercasse di farla cristiana. Dopo di che seguitava:

— Un’ultima carità poi vi domando, e certo me l’accorderete. Fatemi seppellire nella cappelletta sotterranea di S. Orsola, vestita dell’abito del monastero. Mi consola il pensare che dormirò in pace vicino all’immagine di quella Vergine che ha pur finalmente ascoltate le mie preghiere, e posto un termine alla mia miseria.

— Ebbene, disse Fra Mariano frenando a stento le lagrime, il vostro volere sarà eseguito in tutto.

Uscì ciò detto, e, fatta rientrare Vittoria Colonna, prese egli la parola per non lasciare che Ginevra, alla quale veniva mancando la lena, s’affaticasse col parlar troppo, e disse:

— Signora! vi prego di cercar di D. Elvira e far che venga qui; questa povera giovane vorrebbe dirle due parole.

Vittoria, che non s’aspettava a questo, rimase così un momento sospesa, pure s’avviò senza replicare, mentre Ginevra le diceva: — Mi perdoni se le do questo disagio, ma non è tempo da perdere.

Era presso alle quattro ore di notte, ed il ballo era finito da pochi momenti; le sale s’andavano vuotando; sfilavano giù per lo scalone gl’invitati accompagnati dai baroni dell’esercito spagnuolo.

Consalvo aveva in quel punto dato commiato al duca di Nemours ed ai suoi cavalieri, che, montati a cavallo, se ne ritornavano al campo preceduti da molte torce.

Nel cortile era un brulicare di gente a piedi ed a cavallo, un rumore, un gridare che rimbombava per tutto il castello. Le donne partendo salivano in groppa agli uomini di loro compagnia, come s’usava in quel secolo, e così, diminuendo sempre la folla e lo strepido, in poco tempo rimase affatto vuoto il [p. 253 modifica]cortile, se non che qualche servo lo traversava per suo ufficio; s’udivano aprire e chiuder porte, si vedean girar lumi sulle logge e per le finestre, ed alla fine quando l’orologio battè le sei ore, la guardia della porta alzò il ponte che dava sulla piazza, e, cessato il suono delle catene che lo reggevano, succedette un silenzio che non fu più interrotto pel rimanente della notte.

Vittoria intanto aveva attraversato le sale ove si attendeva a spegner i lumi e dar sesto al mobile; giunse alla camera ove già s’era ritirata D. Elvira che cominciava a levarsi d’attorno gli ornamenti e le gale. La trovò in quest’occupazione ajutata da due cameriere, la cui opera, al modo dispettoso col quale le trattava, pareva non le fosse troppo gradita; era accaldata, rossa in viso, ed all’aspetto tutt’altro che soddisfatta della sua serata. Quando vide entrar Vittoria, un intimo senso prodotto forse da un nascosto rimorso le fece nascer il pensiero che la sua amica avesse a parlarle su un tuono che in quel momento le pareva duro di sopportare. Quest’idea fu cagione che l’accogliesse con un atto di sorpresa che non celava interamente l’impazienza. Vittoria se ne avvide, ma senza darne segno, le disse con tutta dolcezza, che la pregava ritardasse in suo servigio di andar a letto per un quarto d’ora, e venisse a quello di Ginevra che la domandava. Dovette per conseguenza spiegarle come si trovasse quivi costei; e la figlia di Consalvo, che, come tutti i capi sventati in genere, aveva in fondo buon cuore, fu contenta d’andarvi, tanto più che vide la cosa prender miglior piega che non s’aspettava.

Vennero dunque insieme alla camera di Ginevra, ed entrate s’avvicinarono al letto. La bellezza di D. Elvira non avea tanto spiccato allorchè il suo vestire e la pettinatura era foggiata col maggior studio, [p. 254 modifica]quanto ora appariva in quel disordine che lasciava ondeggiar liberi sul collo e sulle spalle i suoi lunghissimi capelli d’oro; fra Mariano abbassò gli occhi, e la povera Ginevra nel mirarla sentì un fremito interno e diede un sospiro, al quale il buon frate non potè negar compassione. Rimasero così le tre donne mute alcuni minuti, dopo i quali, alzandosi Ginevra sul gomito, disse:

— Signora! voi stupirete ch’io sia tanto ardita di disturbarvi, non conoscendovi, nè essendo conosciuta da voi; ma a chi si trova a questo passo si perdona tutto. Prima però di parlarvi più aperto debbo domandarvene licenza: posso dirvi due parole con libertà? Qualunque sia la vostra risposta, essa sarà chiusa fra poco nell’avello con me; ma posso parlare presente questa signora, o volete che siam sole?

— Oh! disse D. Elvira, questa è la più cara amica ch’io m’abbia, ed essa m’ama più assai che non merito, onde dite pur su, cara mia signora, che son qui per ascoltarvi.

— Quand’è così, e giacchè me ne date licenza, ecco la sola interrogazione che vorrei farvi.

Ma a questo punto, come per prender vigore e preparar la frase che non sapeva come incominciare, si fermò un momento. Il proposito di perdonar a quella che le era cagione di così disperato dolore era stato fermato con tutta la sincerità del cuore; ma chi vorrebbe esser tanto severo da far un delitto all’infelice se al momento di divenir certissima che i suoi occhi non l’aveano ingannata e che il giovane veduto a piedi di D. Elvira era Ettore veramente, si sentisse una ripugnanza invincibile ad acquistar questa certezza? Chi avrebbe cuore di condannarla se nutrisse ancora un’indefinita speranza d’aver preso scambio, e di sapere che Ettore era ancora quello di una volta? [p. 255 modifica]

Comunque sia dobbiam dire che crediamo questi sentimenti non fossero estinti interamente, e ne nascesse la breve dubitazione che produsse quel momento di silenzio.

Pure alla fine disse risolutamente, e con voce chiara e spiccata:

— Ditemi dunque, e perdonatemi se ardisco domandarvi tanto. Non eravate voi stassera sulla loggia che guarda la marina, circa le tre ore, e non era a vostri piedi Ettore Fieramosca?

Quest’interrogazione egualmente inaspettata e diretta, scosse le due giovani quantunque per diverse cagioni; il viso di D. Elvira divenne color di brace; ella rimase senza poter profferir sillaba. Ginevra che la guardava fissa in viso capì tutto, si sentì agghiacciare il sangue, e riprese con voce mutata:

— Signora! son troppo ardita, lo conosco, ma vedete, io muojo, e vi domando, pel perdono che tutti speriamo nell’altra vita, di non negarmi questa grazia; rispondetemi: eravate voi.....? era esso....?

D. Elvira credeva di sognare; volgeva lo sguardo timido a Vittoria, la quale leggendole negli occhi che temeva la sua severità, e conoscendo non esser quello il momento di mostrarla, l’abbracciò, e senza profferir parole la rassicurava.

Ginevra si sentiva morire nell’incertezza: stese le palme aperte e tremanti alla donzella, e con voce che potè dirsi grido disperato, replicò:

— Ebbene, dunque?...

D. Elvira si strinse atterrita alla sua amica, abbassò gli occhi e rispose:

— Sì.... eravam noi....

Il viso dell’infelicissima Ginevra fece una mutazione come se si fosse dimagrato tutto in un tratto; pure a stento si sollevò a sedere sul letto, prese per [p. 256 modifica]la mano D. Elvira, se la fece accostare, le gettò le braccia al collo, e le disse: — Dio dunque vi benedica e vi renda felici.

Ma quest’ultima parola fu appena udita, e forse, prima d’essere stata articolata interamente, già l’anima sua riceveva in cielo il premio della vittoria più ardua che possa riportare una donna sopra sè stessa, del perdono più magnanimo che possa accordare un cuore umano.

Le sue braccia che erano intrecciate al collo della figlia di Consalvo, perdendo la forza ricaddero insieme col corpo che ritornò supino sul letto. Il suo volto prese in un momento l’atto e il colore della morte: lo conobbero le due donzelle, mandarono un grido. Il frate rimase per alcuni momenti come senza respiro, alla fine disse giungendo le mani: — Questa è sembianza di Paradiso. Poscia inginocchiatisi tutti e tre orarono pel riposo di quell’anima che tanto ne abbisognava, e l’aveva saputo così ben meritare. Composero le sue mani sul petto, e Fra Mariano intrecciatale fra le dita la corona che aveva alla cintola, postole a’ piedi un lume, disse: requiescat in pace; ed in cuor suo ora pregando per lei, ora volgendosi a domandar la sua intercessione, come d’un’anima che gli pareva per fermo dover essere in luogo di salvamento, condusse le due donzelle fuori di quel luogo funesto, e, ritornato presso la defunta, vi passò in orazione le ore che mancavano al giorno.

Una delle mire principali di Consalvo nell’accordar il suo consenso alle disfide che si dovean combattere fra Spagnuoli e Francesi, e fra Italiani e Francesi, era stato il guadagnar tempo onde potessero giungere gli ajuti di Spagna per mare, privo dei quali essendo troppo inferiore di forze all’esercito nemico, gli era convenuto star chiuso in Barletta senza poter tentar fazione che fosse d’importanza. Nel corso però della [p. 257 modifica]giornata, in cui si trovava avere ospiti suoi i baroni francesi, gli erano state recate lettere che gli annunziavano vicino l’arrivo delle navi cariche di uomini; le quali, superata già la punta di Reggio, poco potevan tardare a comparire avanti a Barletta. Conoscendo perciò che non gli tornava il trarre le cose più in lungo, e che non avrebbe bisognato lasciar cader l’animo che veniva ad accrescersi fra suoi per l’arrivo de’ nuovi soldati, fece in modo, parlando di questi scontri, col duca di Nemours e cogli altri Francesi, di persuaderli a prendere il giorno più vicino che si potesse. Così fu deciso che gli Spagnuoli combattessero l’indomani del ballo, in uno spazio lungo il mare, mezzo miglio fuor della porta che va a Bari, e gli Italiani il terzo giorno, in un luogo che già da Brancaleone e da Prospero Colonna era stato veduto e stimato a proposito, ed era posto presso la terra di Quarato, a mezza strada fra Barletta ed il campo francese.

I cavalieri delle due parti, avvisati dai loro capi di quanto era stato deciso, pensarono tosto ai fatti loro: i Francesi, quelli che dovevano combattere, lasciato il ballo, tornarono al campo prima degli altri per aver tempo di dar ordine a quanto occorreva per la battaglia, e gli Spagnuoli del pari, tornati ognuno al suo alloggiamento, attesero ad allestirsi, e fare in modo d’aver qualche ora di riposo prima della mattina. Ad Inigo ed a Brancaleone fu data la nuova quando, già allogata Ginevra nella camera d’onde non dovea uscir viva, erano andati pel frate; ed il primo, che era del numero de’ combattenti, per dar ordine alle cose sue, dovette lasciar al compagno il spensiero di ritrovar Fieramosca ed ajutarlo in questi suoi casi. Si strinsero la mano lasciandosi, e dicendo Inigo:

— Come potrà combattere domani l’altro, se stassera non poteva reggersi in piedi? [p. 258 modifica]

Brancaleone per sola risposta scosse il capo mordendosi il labbro inferiore, e mostrando nell’aspetto che sentiva tutta la verità della riflessione dello Spagnuolo. Si tolse di quivi, sceso al porto, salì in un battello sollecitando d’esser presto al monastero per dire ad Ettore, come avean promesso, qual fosse stato l’esito delle loro ricerche.

Prima però di narrare in che stato trovasse il suo amico, che aveva lasciato tanto a mal termine, dobbiamo, prevenendo ciò che accadde la mattina seguente, narrar il fine dell’impresa degli Spagnuoli.

Quando le due compagnie di undici uomini d’arme per parte si trovarono sul campo, era già uscito il sole da un’ora. Fra gli Spagnuoli, Inigo, Azevedo, Correa, il vecchio Segredo, D. Garcia di Parades erano i più rinomati, e gli altri, quantunque meno conosciuti, eran tutti buona gente d’arme e a cavallo: Pedro Navarro avea da Consalvo ricevuto l’incarico di servir di padrino. Dalla parte francese questo era dato a Monsig. della Palissa, che fra’ suoi guerrieri contava Bajardo, l’onore della Milizia d’allora. La battaglia si mantenne per molto tempo con pari fortuna dalle due parti. Segredo alla fine ebbe da un colpo di spada recise le redini, che teneva tirate; onde portato a furia dal cavallo, stava per uscir del campo. Questo caso, preveduto dai regolamenti dei duelli, si teneva per una sconfitta, e colui al quale accadeva dovea darsi prigione. Vedendo il buon Segredo che il cavallo stava per varcar i limiti che eran segnati intorno intorno da grossi pezzi di macigno, si buttò a terra e, quantunque per la difficoltà del salto, e forse perchè gli anni lo rendevano meno agile, cadesse in ginocchio, si difendeva arditamente da due uomini che a cavallo lo combattevano. Ma la spada gli andò in pezzi, e non trovandosi altr’arme, ed essendogli riuscito vano il rifuggiarsi fra’ suoi che si trovavan [p. 259 modifica]distanti, dovette arrendersi e ritirarsi dal campo. La cosa era però andata tanto coll’onor suo, che da tutti fu lodato, e compianta la sua disgrazia. Dopo quest’accidente seguitandosi a combattere parve che la fortuna andasse inclinando alla parte spagnuola. A molti Francesi erano stati uccisi i cavalli; e qui è bene d’avvertire il lettore che, malgrado le antiche regole cavalleresche, si soleva spesso in queste disfide esser prima d’accordo di poterli ferire, onde fossero più vera immagine della guerra, ove non più o rarissimo s’usava questa cortesia, e per mostrare anche maggiormente la perizia de’ combattenti. Dopo due ore di menar le mani, i padrini fecero dar nelle trombe, e così divisa la zuffa accordarono un breve respiro.

Gli Spagnuoli erano tutti a cavallo, ed alla loro truppa non mancava che Segredo. De’ Francesi un solo s’era dovuto dar prigione ed in ciò eran pari, ma giacevan sul campo sette de’ lor cavalli uccisi. Bajardo però era ancora in sella. Dopo una mezz’ora di riposo fu ripreso il combattimento, e, malgrado gli sforzi degli Spagnuoli, i loro nemici si mantenevano quasi direi trincerati dietro i corpi de’ cavalli sui quali que’ degli avversari, benchè ammazzati di speronate, non vollero mai passare. Così dopo molto affannarsi e maneggiarsi inutilmente, venne dai Francesi la proposta di finir la battaglia e restarne con pari onore.