Il più lungo giorno/L'Amore
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L'Amore - Ne la sera dei fuochi de la festa d'estate ne la luce deliziosa e bianca quando i nostri orecchi riposavano appena nel silenzio e i nostri occhi erano [stanchi] delle girandole di fuoco de le stelle multicolori che avevano lasciato un odore pirico una vaga gravezza rossa ne l'aria e il camminare accanto ci avevano forse illanguiditi esaltandoci di una nostra troppo diversa bellezza - lei fine e bruna, pura negli occhi e nel viso. andava ora a scatti nella lunga veste perduto il barbaglio della collana dal collo ignudo inesperta stringendo il ventaglio. Tu attratta verso la baracca. La sua vestaglia bianca a fini strappi azzurri ondeggiò ne la luce diffusa ed io seguii il suo pallore segnato sulla sua fronte da la frangia notturna dei suoi capelli. Entrammo. Dei visi bruni di autocrati si volsero rasserenati dalla fanciullezzia e dalla festa si volsero verso di noi profondamente limpidi ne la luce. Le vedute erano di un'irrealtà spettrale, dei morti bizzarri guardavano il cielo in pose legnose. C'erano dei panorami scheletrici di città - un’odalisca di gomma respirava sommessamente e volgeva attorno gli occhi d’idolo - e l’odore acuto della segatura che felpava i passi - e il sussurrio delle signorine del paese attonite di quel mistero - ih! - oh! - È così Parigi? - Ecco Londra - La battaglia di Muckden!
- Noi Guardavamo intorno - doveva essere tardi - Tutte quelle cose viste per gli occhi magnetici delle lenti in quella luce di sogno! - Immobile presso a me io la sentivo divenire lontana e straniera mentre il suo fascino si approfondiva sotto la frangia notturna dei suoi capelli - Si mosse - ed io sentii con una punta d'amarezza tosto consolata che mai più le sarei stato vicino -
La seguii dunque come si segue un sogno che più si ama quanto è vano - Così ad un tratto eravamo divenuti stranieri dopo lo strepito della festa avanti al panorama scheletrico del mondo -
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Ripartivo come nelle mie passeggiate notturne solitario per l'ombra dei portici stillanti nella nebbia goccie e goccie di luce sanguigna - nebbia dicembre - La porta si era aperta a un tratto ad uno sfarzo di luce - Davanti a me sedeva una matrona da le mammelle enormi: gli occhi bruni e vivaci posava nello sfarzo di un'ottomana rossa poggiato il gomito reggendo la testa da gli occhi giovani - mentre dietro di lei sopra di lei era mossa una tenda bianca di trina una tenda bianca di trina che sembrava agitare de le imagini, agitare de le immagini su lei, agitare de le immagini candide sopra di lei pensierosa negli occhi giovani. Avanti a lei una fanciulla ambrata inginocchiata accanto una bella giovine e forte profilo e fine ignuda sotto i capelli recisi su la fronte inginocchiata con grazia ingenua e giovanile le gambe liscie e forti ignude da la vestaglia smagliante. Uscito dall'incubo dei portici stellati di goccie e goccie di luce sanguigna io contemplavo con amore e con nostalgia la grazie simbolica e avventurosa di quella scena. Era tardi, erano là pochi e allora sorse un'intimità libera e la ruffiana il gomito poggiato a l'ottomana, poggiata la testa, per sfondo la mobile tenda di trina - parlò - con voce un po' stanca - un po' stanca e velata ma a tratti vivace in fondo commossa parlò.
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Adorava i piccioni - seguiva i loro amori de le sue curiosità irragiungibili. La femmina lo picchiettava di baci da destra tanto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e poi lui perché? Non si muoveva dieci minuti - perchè. Queste domande restavano senza risposta - allora la sua nostalgia la spingeva ancora a ricordare il passato e ricordava a lungo. Fin che la conversazione si illanguidiva, tutti si erano fatti serii nessuno voleva scherzare più. Il mistero de la voluttà rivestiva colei che lo aveva rievocato e la consacrava. Io sconvolto con le lagrime agli occhi in faccia a la tenda di trina seguivo seguivo de le fantasie bianche. Ero restato solo doveva essere tardissimo. Davanti a me la viennese da lo splendore veneziano posava il corpo lussurioso sulle ginocchia piegate, piegate con grazia di cinedo. Oh! un attimo vivere qualche cosa di delicato di infantile di commovente di irragiungibile Lei sola poteva comprendere.
La tenda pareva era ancora agitata da le sue nostalgie candide.
Anita dov'era? che sa l'irragiungibile di cui la mia ha sete, lei quelle nostalgie incantevoli che sfiorano l'anima con uno sfioramento silenzioso struggente che lasciano vuoti distrutti.
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Avevo volto la schiena al corpo de l'ancella rantolante e spingevo la mia nostalgia liberamente nel passato.
Faust era giovine e bello aveva i capelli ricciuti. Allora le bolognesi somigliavano a medaglie sicuracusane e il taglio degli occhi era tanto perfetto che amavano sembrare immobili a contrastare armoniosamente coi lunghi riccioli bruni. Era facile incontrarle la sera per le vie cupe. la luna illuminava allora le strade. e Faust alzava gli occhi ai comignoli delle case che nella luce della luna sembravano punti interrogativi e restava pensieroso allo strisciare dei loro passi che si attenuavano. Dalla vecchia taverna a volte che raccoglieva gli scolari d'Alemagna gli piaceva udire tra i calmi conversari l'inverno bolognese frigido e nebuloso come il suo, tra lo schioccare dei ciocchi e i guizzi della fiamma sull'ocra delle volte i passi frettolosi sotto gli archi prossimi. Amava raccogliersi in un canto mentre la giovine ostessa rosso il guarnello e le belle gote sotto la lunga pettinatura fumosa passava e ripassava davanti a lui. Faust era giovine e bello. In un giorno come quello dalla saletta tappezzata tutta rossa tra i i rintornelli di un organo automatico e una decorazione floreale udivo scorrere la folla sotto i portici e il rumore cupo dell'inverno. Era giovane la mano non mai quieta a sostenere il viso indeciso gentile di ansia e di stanchezza. Prestavo allora il mio enigma alle sartine levigate e flessuose consacrate dalla mia ansia del supremo amore dell'ansia della mia fanciullezza tormentosa assetata. Tutto era mistero per me la via vita era tutta «una ansia del segreto delle stelle tutto un chinarsi sull'abisso» Ero bello di tormento inquieto pallido assetato errante dietro le larve del mistero. Poi fuggii. mi persi per il tumulto de le città colossali vidi le cattedrali bianche levarsi congerie enorme di fede e di sogno colle mille punte nel cielo, vidi le Alpi levarsi ancora come più grandi cattedrali e piene dell’ombre degli abeti e piene della melodia dei torrenti di cui udivo il canto nascente dall’infinito del sogno. Lassù tra gli abeti fumosi nella nebbia tra i mille e mille ticchiettii le mille voci del silenzio svelata una giovine luce tra i tronchi per sentieri di chiari e salivo: su lo sfondo le Alpi un bianco delicato mistero: (forse così tu tra gli scogli chiara gora vegliata dal sorriso del sogno? forse così tu il riso di Simonetta e di Beatrice sull’acque specchianti del lago estatico dell’oblio Leonardo fingevi?) Le Alpi sullo sfondo un bianco delicato mistero per lo la verginità dei miei pensieri salivo (imagini di sogno, chiusi occhi stanchi di amare il tuo Cristo Leonardo! forse; pallide imagini doloranti di ricordi oscuri prima che il sogno nel dolore si facesse carne!) così salivo alle Alpi, il torrente mi raccontava oscuramente la storia, io fisso fra le lancie immobili degli abeti credendo a tratti vergare una nuova melodia selvaggia e pure triste forse, fissavo le nubi che sembravano attardarsi curiose su quel paesaggio profondo e spiarlo e svanire dietro le lancie immobili degli abeti, e povero ignudo, felice di riflettere nei miei occhi il paesaggio quale un ricordo incantevole e orrido indelebile in fondo al mio cuore salivo. Il torrente mi raccontava oscuramente la storia. Salivo al paese de le regine bionde, finchè a un punto le bianche alpi mi sbarrarono il cammino. Una fanciulla nel torrente lavava e cantava. lavava e cantava ne la neve de le bianche alpi, e si volse mi accolse mi amò. Il sogno si era fatto inaspettatamente carne. E ancora sullo sfondo de le Alpi un il bianco delicato mistero, ne la purità del mio ricordo o s'accese la luce de la lampada stellare la luce de la sera d'amore.
.'.
Ma quale incubo gravava tuttavia sulla mia giovinezza? O i baci vani della fanciulla che lavava lavava e cantava ne la neve de le bianche Alpi (le lacrime salirono ai miei occhi al ricordo). Ud Riudivo: Crosciava il torrente ancora lontano, bagnava antiche città desolate mura rose lunghe vie silenziose dopo il saccheggio, presente un calore dolor dorato una chioma profusa ne l’ombra de la stanza piena di sogni oscuri, procubo un corpo rantolante ne la notte mistica dell’antico animale umano: procuba dormiva l’ancella dimentica in sogni oscuri - come un’icona bizantina come un mito arabesco imbiancando in fondo il pallore incerto della tenda.
E allora più lontano ancora figurazioni di un’antichissima libera vita di enormi miti solari di stragi di orgie si crearono davanti al mio spirito. Rividi un’antica immagine una sopravissuta vivente per la forza misteriosa di un mito barbaro negli scheletrici occhi liquidi.
gorghi di luci vividi di linfe oscure. Ne la tortura del mio sogno scoprire il magia corpo scheletrico vulcanizzato due chiazze due fori di palle di moschetto sulle sue mammelle estinte. Laggiù negli antri dell'America riudivo fremere le chitarre.
sui terreni vaghi della citta nella capanna di assi e di zingo una candela schiariva il terreno nudo. delle forme attorno. una danza indiana.
Ne le sue malefiche volute il sogno mi avvolgeva
Sul tesoro fiorente di una fanciulla in sogno. la Vieja la sopravissuta si aggrappava come un ragno
Una matrona selvaggia in faccia mi fissava con uno sguardo muto. la luce era scarsa sul terreno nudo dell'alito metalizzato delle chitarre. forse la Vieja pronunciava a l’orecchio de la fanciulla selvaggia parole che non udivo come il vento senza parole della pampa che sommerge. A un tratto la fanciulla liberata esalò la sua giovinezza confusamente languida ne la sua grazia selvaggia. i suoi gli occhi dolci e acuti come un gorgo.
Sulle spalle della bella selvaggia si illanguidì la grazia a l’ombra dei capelli fluidi e l’ombra angusta dell’albero della vita si tramò nella sosta sul terreno nudo invitando le chitarre il lontano sonno.
Sulla Pampa si udì chiaramente uno scalpitare di cavalli selvaggi.
Il vento si udì chiaramente levarsi. la scalpitare parve perdersi sordo nell'infinito. Nel quadro de la porta aperta le stella brillarono rosse e calde ne la lontananza l'ombra de le selvaggie ne l'ombra