Il più lungo giorno/Ritorno (nello spazio, fuori del tempo)
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vagano e si scompaiono: i frati si congedano dai pellegrini. Un alito leggero e continuo soffia dalla selva in alto, ma non si ode nè il frusciare della massa oscura nè il suo scorrere per gli antri.
La campana dalla chiesetta francescana tintinna nella tristezza del chiostro e pare il giorno dall’ombra il giorno piagner che si muore.
Ritorno
(Nello spazio, fuori del tempo)
L’acqua il vento la sanità de le prime cose –
Il lavoro umano sull’elemento –
Liquido – La natura che conduce –
Strati di rocce su strati – Il vento –
Che scherza ne la valle – Ed ombra del vento –
La nuvola – Il lontano ammonimento –
Del fiume ne la valle –
E la rovina del contrafforte la frana –
La vittoria de l’elemento –
Il vento –
Che scherza nella valle.
Su la lunghissima valle che
sale in scale la casetta
di sasso sul faticoso verde —
La bianca imagine de l’elemento —
La tellurica melodia della Falterona. Le onde telluriche.
a Nord:
2) Campigno: paese barbarico, notturno paese fuggente mistico incubo del caos. Il tuo abitante porge la notte dell’antico animale umano nei suoi gesti. Ne le tue mosse montagne l’elemento grottesco profila: un gaglioffo, una grossa puttana che fuggono sotto le nubi in corsa: e le tue rive bianche come le nubi: triangolari, curve come gonfie vele: paese fuggente mistico: notturno mistico incubo del caos
Mi rivolgo a la tellurica melodia de la Falterona a le onde tellutiche: vedo l'ultimo asterisco de la melodia de la Falterona che già s'inselva ne le nuvole. Traluce Lontana appare la linea vittoriosa degli abeti, la avanguardia dei giganti giovinetti serrati in battaglia felici nel sole lungo la lunga costa torrenziale: sullo sfondo lontano lo scoglio disperato consolato da l'immenso frusciar de le selve nel frusciar de le nere selve sempre più avanti accampanti lo scoglio enorme si ripiega grottesco su sè stesso pachiderma a quattro zampe, sotto la massa oscura: la Verna
Sempre in vista di Campigno (sosta tra le roccie) Le fontane da lungo hanno Taciuto nel vento. Ascolto: e il lontano dolore che tende e rallenta il morso nella voce del vento. Dalla roccia cola un filo d'acqua in un incavo; e riposa l'anima mia
Sbrrrr: balzo in piedi
Una forma nera cornuta mi guarda tra le roccie con occhi d'oro
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Riascolto Dante: o pellegrini che pensosi andate: il quinto canto. Tutta la sua poesia è poesia di movimento. Catrina, bizzarra creatura della montagna barbarica della conca rocciosa dei venti, come è dolce il tuo pianto.
Era la scena di dolore della madre a cui era morto l'ultimo figlio. Una delle pie donne inginocchiata la consolava: ma lei gettata a terra voleva piangere tutto il suo pianto. Figura del Ghirlandaio, ultima figlia della poesia toscana che fu tu guardavi allora scesa a lato del tuo cavallo, tu che stretta nel tuo giustacuore tra la profluvia ondosa dei tuoi capelli salivi, colla tua compagnia, come nelle favole d’antica poesia: (tu già dimentica dell’amor del poeta?).
Pomeriggio. Monte Filetto 27 Settembre
Siesta
Un usignolo canta tra i rami del noce. Il poggio è troppo bello sul cielo troppo azzurro. Il fiume canta bene la sua cantilena. E’ un’ora che guardo lo spazio laggiù e la spazio strada a mezza costa del poggio che vi conduce. Quassù abitano i falchi. La pioggia leggera d’estate batteva ora come un ricco accordo sulle foglie del noce. ma le foglie dell’acacia, albero caro alla notte si piegavano senza rumore come un’ombra verde. L’azzurro si apre tra questi due alberi. Il noce è davanti alla finestra della mia camera. La notte sembrava raccogliere tutta l’ombra e curvare le cupe foglie canore come una messe di canti l’acacia sapeva profilarsi come un chimerico fumo sul tronco lattiginoso rotondo quasi umano: l’acacia sapeva profilarsi come un chimerico fumo. Le stelle danzavano sul poggio deserto. Nessuno viene per la strada. Dai balconi mi dimentico a guardare la campagna deserta abitata da alberi sparsi, anima della solitudine forgiata di vento. Oggi che il cielo e il paesaggio erano così dolci dopo la pioggia: pensavo alle signorine di Maupassant e di Jammes chine il pallido ovale in attesa sulla tapezzeria memore e sui magazines d'altri tempi. Il fiume riprende la sua cantilena. Vado via e guardo ancora la finestra: La costa è un quadretto d’oro nello squittire dei falchi.
Campigno (28 Settembre)
Per rendere il paesaggio, il paese vergine che il fiume docile a valle solo riempie del suo rumore di tremiti freschi non basta la pittura, ci vuole l’acqua l’elemento stesso, la melodia docile dell’acqua che si stende tra le forre all’ampia rovina del suo letto, che dolce come l’antica voce dei venti incalza verso le valli in curve regali: poi che essa è qui veramente la regina del paesaggio.
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Valdervé è una costa alpina che scende al fiume e getta sull'acqua il suo piedistallo come la zanna del leone: l’acqua volge con tonfi chiari e profondi lasciando l’alto scenario pastorale di grandi alberi e colline.
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Ecco le roccie, le costruzioni colossali strati su strati, monumenti di tenacia solitaria che consolano il cuore degli uomini: e dolce mi sembra il mio destino fuggitivo al fascino dei lontani miraggi di ventura che ancora arridono dai monti azzurri: e a udire il sussurrare dell’acqua al piede delle roccie favolose fresca ancora delle profondità della terra. Così conosco una musica dolce nel mio ricordo, dolce senza ricordarmene neppure una nota: so che si chiama la partenza o il ritorno: conosco un quadro perduto tra lo splendore dell’arte fiorentina con la sua parola di dolce nostalgia: il figliuol prodigo all'ombra degli alberi della casa paterna. Letteratura? Non so: il mio ricordo, l'acqua è così. Dopo gli sfondi spirituali senza spirito, dopo l'oro crepuscolare, dolce come il canto dell'onnipresente tenebra è il canto docile dell'acqua sotto le roccie: Come è dolce l'elemento nello splendore nero degli occhi delle vergini spagnole: e come le corde delle chitarre di Spagna
Ribera, dove vidi le tue danze bizzarre arieggiate di secchi accordi? Il tuo satiro aguzzo alla danza dei vittoriosi accordi? E in faccia il cavaliere della morte, l’altra tua faccia, cuore profondo, cuore danzante, satiro cinto di pampini danzante sulla sacra oscenità di Sileno? Nude scheletriche stampe, su la rozza parete in un meriggio torrido quali o fantasmi della pietra. Ascolto: Le fontane hanno taciuto nella voce del vento: dalla roccia cola un filo d’acqua in un incavo: Il vento allenta e raffrena il morso del lontano dolore. Son volto: tra le rocce crepuscolari una forma nera cornuta immobile mi guarda immobile con occhi d’oro.
Sono avanti alla roccia del conte Lando. cè il crepuscolo,
Laggiù la pianura di Romagna.
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O donna sognata, donna adorata, donna forte, il profilo nobilitato di un ricordo d'immobilità bizantina, le linee dolci e potenti, dorata dell'enigma delle sfingi: la testa nobile e mitica occhi crepuscolari sognata col suo in un paesaggio di torri là sognati sulla guerreggiata pianura, là sulle rive dei fiumi bevuti dalla terra avida là dove si perde il grido di Francesca: dalla mia fanciullezza una voce grave di preghiera ancora risuona lenta e commossa: non e tu dal quel ritmo Sacro a me commosso Sorgevi già inquieto di vaste pianure, di lontani miracolosi destini, risveglia la mia speranza sull'infinito della pianura e del mare sentendo aleggiare un soffio di grazia: nobiltà carnale e dorata, profondità dorata degli occhi? guerriera, amante, mistica, benigna di nobiltà umana, antica Romagna?
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L'acqua del mulino corre piana e invisibile nella gara
Rivedo ancora un fanciullo, lo stesso fanciullo steso sull'erba laggiù. Sembra dormire. Ripenso alla mia fanciullezza Quanto tempo è trascorso: appena ricordo una sera quando che i bagliori magnetici delle stelle mi dissero per la prima volta dell'infinità delle morti: il tempo si è addensato è scorso come l'acqua scorre per quel fanciullo lasciando dietro a sè il silenzio, la gora profonda e uguale: conservando il silenzio come ogni giorno l'ombra. Quel fanciullo o quella immagine proiettata dalla mia nostalgia? Così immobile laggiù? Come il mio cadavere
18 ottobre È la fine del pellegrinaggio Sono capitato in mezzo a buona gente. La finestra della stanza che affronta i venti e una vedova già serva padrona di un nobile romagnolo, il figlio povero uccellino dai tratti dolci e dall'anima indecisa, povero uccellino che trascina una gamba rotta e il vento che batte alla finestra dall'orizzonte annuvolato, i monti lontani ed alti, il rombo monotono del vento. Lontano è caduta la neve.
La serva padrona zitta mi rifà il letto e l'aiuta la fanticella.
Monotona dolcezza della vita patriarcale
Marradi: