La Griselda/Atto I

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Atto I

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Personaggi Atto II
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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Sala regia con trono, e sedili all’intorno.

Gualtiero e Ottone.

Gualtiero. E tanto piace alla Tessaglia tutta

La caduta fatal d’una Regina?
Ottone. Sire, al fine dovrebbe il tuo periglio
Farti più cauto; il nome di regina
Mal conviene a Griselda, allora quando
La chiamasti dal bosco al regal trono;
Ed or, poiché la rendi al primo stato,
E di ninfa, e di serva, un cotal nome
Molto men se le deve. Oh queste tue
Reliquie di pietà mostran che ancora
Per Griselda non hai la fiamma estinta.

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Gualtiero. Io negarlo non so. Passar da un fido

Tenero affetto a indifferenza o sdegno,
Non è facile impresa. E come puossi
Odiar senza ragion? Farsi nemico
Dell’oggetto più caro? Ah questa, Ottone,
Questa non è virtù, ma sconoscenza.
Ottone. Ti giustifica assai della Tessaglia
Il popolo commosso.
Gualtiero.   E così ardito
Osa il volgo impor leggi al suo sovrano?...
Ottone. Solo il volgo non è, ma i grandi ancora.
Gualtiero. Benchè grandi però son miei vassalli.
Ottone. Sì, ma forti, possenti, risoluti.
Gualtiero. Minaccian forse?
Ottone.   Io non so dir sin dove
Guidariali lo sdegno. Ormai son stanchi
Di mirar la metà di questo soglio
Occupato da donna abbietta e vile.
Gualtiero. Perchè tacer sinora?
Ottone.   Il lor silenzio
Fu rispetto per te.
Gualtiero.   Han dunque adesso
Per me perso il rispetto?
Ottone.   Ah no, mio Sire;
T’amano i tuoi vassalli, e per te sono
Pronti a spargere il sangue. Il solo1 zelo
Dell’onor del diadema, ed il periglio
Ch’ei cinger possa un successore indegno,
Destò in loro il pensier.
Gualtiero.   Mancagli forse
Successor dopo me degno del trono?
Everardo è mio figlio.
Ottone. E ver, ma insieme
Figlio di donna vil. Può ben del padre

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Ereditar forte ragione al soglio,

Ma della madre serberà mai sempre
La nativa viltà. Tu sai qual sangue
Vantin questi primati, e sai ben anco
Che sembra duro il più soave giogo,
Se vil destra l’impone.
Gualtiero. Orsù, t’intendo.
Vogliono un Re crudel2? Sarò crudele.
Non basta lor che abbia la prima figlia
Sacrificata all’idolo superbo
Dell’ambizion? Si vuol che di mia mano
Sparga il sangue d’un figlio, squarci il seno
A una tenera moglie?
Ottone.   Ah no, signore,
Tanto non infierir. Tanto non chiede
La Tessaglia da te: bastagli3 solo
Di Griselda il repudio, onde si renda
Incapace del regno il di lei figlio.
Gualtiero. Tutto farò. Vedran sin dove giunga
Del mio cor la virtù, ma pensin prima
Non aversi a pentir di tal richiesta. (alterato
Ottone. Ma (perdona, signor) qual nuova furia
T’agita il sen? Non dimostrasti dianzi
Consentir al repudio? Hai pur tu stesso
Scelta la nuova sposa, e questi è ’l giorno
In cui t’attende Oronta, e pochi istanti
Tardar potrà. Così l’accogli?
Gualtiero.   È vero.
Verrà Oronta; da questa il regno tutto
Attende pace, e pace avrà. Griselda
Guidisi innanzi a me; vengano pure
I Primati del regno, il popol tutto
Sia presente al grand’atto; oggi vogl’io
Soggiogar la passion, vincer me stesso.

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Ottone. Io vado esecutor de’ cenni tuoi;

Stan già presso le scale i grandi tutti
Impazienti di ciò; seco v’è pure
Il popolo minuto: e questo e quelli
Avrai tosto presenti: indi Griselda.
Lode al ciel, che ragion nel seno tuo
Vinse l’antico amor. (Lode ad amore,
Io comincio a sperar; trarrò ben io
Griselda ripudiata in mio potere). (da sè, e parte
Gualtiero. Vedrà questa superba ingrata gente
Chi sia quella ch’io finsi avermi eletta
Per nuova sposa. Oh come strano a tutti
Svelerassi l’arcano! Intanto armiamci,
Mio cor, d’alta costanza: simulando
Lo sdegno e l’empietà, venga al cimento
La virtù di Griselda. Ecco i superbi
Temerari vassalli. Il regio trono
Rendami grave, e al mio decoro assista. (va in trono

SCENA II.

Entrano i Grandi, fanno riverenza a GUALTIERO; vanno a sedere a’ loro posti, indi entrano soldati che si schierano.

Questo, popoli4, è il giorno, in cui le leggi

Da voi prende il Re vostro. A voi fa sdegno
Veder ch’empia il mio letto ed il mio trono
Donna avvezza a trattar rustico aratro.
Tale piacque Griselda agli occhi miei,
Tale voi la sdegnaste; io voglio al fine
Lei mirar co’ vostr’occhi, ed ogni affetto
Contrario alla ragion porre in oblio.
Decretato è il repudio, e voi ne siate
Giudici e spettatori; or che la rendo
Alle selve natie donde la trassi,
Col vostro amor quel del mio sen correggo.

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SCENA III.

Griselda e detti.

Griselda. Ecco, Sire, ubbidiente a’ cenni suoi

L’umil tua serva.
Gualtiero.   Odi, Griselda: è grave
L’affar, per cui sul primo albor del giorno
Qui ti chiama Gualtier.
Griselda.   Tutta quest’alma
Pende da’ labbri tuoi.
Gualtiero.   Siedi.
Griselda.   Ubbidisco. (siede
Gualtiero. Gira l’occhio d’intorno, e mira questo
Popolo ragunato; in faccia ad esso
Deesi svelar la storia, e i primi eventi
Del nostro amor. Dimmi qual fui, qual fosti.
Griselda. (Alto principio!) In vil tugurio io nacqui;
Tu fra gli ostri reali. Io mi copria
Di rozze incolte lane, e te vid’io
D’oro adorno e di gemme. Al mio riposo
Picciolo5 letticciuol di paglia intesto
Là nel bosco servia; su molli piume
Riposar tu solevi. Il chiaro fonte,
L’orticello selvaggio a me porgeano
Innocente bevanda, e scarso cibo;
A te mensa regal preziosi cibi,
Peregrine bevande offria superba.
Io del mio genitor compagna e serva,
E servita da lui, faceamo entrambi
Nostro poter per procacciarsi il vitto.
Tu da stuol di serventi intorno cinto
Eri ubbidito ad un girar di ciglio.
Io pasceva gli armenti, e tu reggevi

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I popoli vassalli. Erano i miei

Ornamenti più rari i fior del prato.
Tu di serto regal cingevi il crine.
Vuoi di più? Sull’erbetta all’ombra estiva
Sedea nel bosco ad altre ninfe appresso.
Tu dal trono le leggi altrui dettavi.
Io misera, tu Re; vile Griselda,
D’alta stirpe Gualtier. Tal fummo allora
Che me vedesti, e ch’io te vidi, o Sire.
Tu fissando però le regie luci
Nell’innocente incolto mio sembiante,
Non sdegnasti d’amarmi, ed io volgendo
Alla regia maestade il guardo umile,
T’adorai rispettosa. Ecco il principio
Del nostro amor. Popoli, udiste? A voi
Sembra strano che un Re tanto discenda?
Che una donna volgar tanto s’innalzi?
E tu, signor, forse ti penti adesso
D’aver fatta tua sposa una tua serva?
Tace il Re! Voi tacete! Ed a qual fine,
Sire, me qui chiamasti? E perchè adesso
Risaper ciò voleste? Io non m’ascondo:
Dissi quale già fui, senza rimorso.
Godo d’esser qual son6, ma senza orgoglio,
E qual fui tornerei senza rossore.
Gualtiero. (Oh virtù senza pari!) E in tale stato
Non t’abbagliò della corona altera
Il sublime splendor?
Griselda.   Reca spavento
Il diadema reale a’ scellerati,
Ma gl’innocenti il suo fulgor consola.
Gualtiero. Dunque dal bosco al trono mio salisti?
Griselda. E fu bontà di te, signor, cui piacque
Una che amavi sollevar dal fondo

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Della sua povertà vile ed abbietta.

Su quel trono però con troppo fasto
Non alzai la mia mente. Io risplendeva,
Ma la luce era tua; come del sole
È la luce, per cui splende la nube.
Gualtiero. Dimmi: rammenti tu di quella figlia
Che fu il primo tuo parto, e che rapita
Ti venne dalla culla?
Griselda.   Ahi rimembranza!
Fui madre appena, che (non so dir come)
Il bel frutto perdei del nostro amore.
Già son tre lustri, e più di lei non ebbi
Notizia alcuna. Oh quante sparsi, oh quante
Lagrime dolorose!
Gualtiero.   Odi, e stupisci.
Della figlia che piangi, io fui a un tempo
E carnefice, e padre.
Griselda.   Era tuo sangue,
E versar lo potevi a tuo piacere.
Più non piango il suo fato, or che tu fosti
Del suo fato l’autor. Gualtier non opra
Senza retto consiglio, e s’egli vinse
L’amor di padre in isvenar la figlia,
Arcano fia, cui penetrar non lice.
Gualtiero. E mi ami ancor crudel?
Griselda.   E amarti meno
Io non potrei, se me svenassi7 ancora.
Gualtiero. Griselda, tua virtù degna ti rende
Dell’affetto d’un Re: tal ti conobbi.
Di quanto feci, io non mi pento; il cielo
Testimonio ne sia; ma pur conviene
Che i miei doni ritratti. Il Re talvolta
Dee servire ai vassalli, e seco stesso,
Per serbarne il dominio, esser tiranno.

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La Tessaglia, in cui regno, ormai ricusa

Di prestarmi ubbidienza; ella mi grida,
Che il talamo reale abbia avvilito
Collo sposar Griselda, e non attende
Da’ boschi, ove sei nata, il suo monarca.
Griselda. La provincia vassalla a te divota
Tanti lustri soffrì me per regina,
Ed or solo mi sdegna?
Gualtiero.   Ella è gran tempo
Che ricalcitra al giogo. Io già svenai
Di stato alla ragion l’amata figlia;
L’odio alquanto sopì, ma non s’estinse.
Or che nacque Everardo, impaziente
Torna all’ire, e m’insulta.
Griselda.   Ah se Everardo
Rompe i nodi d’amor, dunque Everardo...
Ah no! Mora la madre, e viva il figlio.
Io che son moglie tua...
Gualtiero.   Taci, Griselda.
Moglie più non mi sei.
Griselda.   Come! mi privi
Anco dell’amor tuo?
Gualtiero.   Vuolsi dal regno
Un degno successor; son io costretto
Nuova sposa chiamar di regio sangue.
Vedi: per tua cagion vive in periglio
Quel che tanto t’amò. Non hai costanza
Per formar la mia pace?
Griselda.   Ah non fia vero, (s’alza
Che per me turbar vegga il tuo riposo.
Sdegnan mirar sulla mia fronte il fregio
D’un diadema real? Ecco mi spoglio
Dell’invidiato serto, e a quella destra,
Che mel cinse pietosa, io lo ritorno.
Coll’insegne reali io già depongo

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Il nome di regina, e quanto porta

Seco di grande il mio maestoso grado;
Ma per pietà, non mi levare almeno
Il bel nome di moglie. Ah, per que’ primi
Teneri e dolci amplessi, onde al tuo seno
Castamente stringesti il seno mio;
Per quell’amor, per quella fè, per quella
Bellissima fra noi salda costanza,
Non toglier al cor mio questo conforto.
Qualche ragion sovra del patrio soglio
Ponno i vassalli aver; ma sul tuo core,
Sovra gli affetti tuoi qual han ragione?
Deh, Signor, non lasciarmi. In me rimira
L’innocente tua sposa. Oh me infelice
Senza di te! Come vivrei, se teco
Resta la vita mia? Oh Dio! tu fuggi
L’incontro de’ miei sguardi? Ha già finito
Di piacerti Griselda?
Gualtiero.   (Alma, resisti!) (da sè
Se piacermi tu vuoi, t’accheta e parti.
Griselda. Ch’io taccia e parta? Ahi qual crudel comando,
Che mi stacca dal sen l’alma dolente!
Signor, da’ labbri tuoi fa pria ch’io senta
L’ultimo mio destino, e poi ti giuro
Non favellar mai più...
Gualtiero.   Senti, Griselda.
(Oh Dio, vacilla il cor!)
Griselda.   Parla.

SCENA IV.

Ottone e detti.

Ottone.   Signore,

Le greche navi ora son giunte in porto.
Oronta è già discesa, onde non lungi
Dalla Reggia sarà.

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Gualtiero.   Volo a incontrarla.

(scende dal trono
Griselda. Così tosto mi lasci?
Gualtiero.   Atteso io sono.
(senza più guardar Griselda
Griselda. Almen, pria di partire, un solo sguardo
Volgimi, per pietà.
Gualtiero.   Troppo mi chiedi.
Griselda. Vuoi lasciarmi così?
Gualtiero.   Griselda, addio. (parte col popolo
Griselda. (Ecco il tempo, Griselda, in cui dia saggio
L’anima di se stessa).
Ottone.   (Ecco il momento
In cui tenti il cuor mio la sua ventura8).
Griselda. (S’io vestii senza fasto ostri reali,
Torno senza viltade al primo nulla).
Ottone. (Se risente l’oltraggio, ella sprezzare
Non potrà la vendetta).
Griselda.   (Abbia Gualtiero
Una prova maggior di mia costanza).
Ottone. (Alma amante, coraggio!)
Griselda.   (Egli mi vegga
Fida, ancorchè sprezzata).
Ottone.   Io del tuo fato
Sento pietà, Regina, e ben ved’io
Che più tale non sei, se non ardisci...
Griselda. (Costui quant’è importun...)
Ottone.   Su le tue chiome
Più non serbi, Griselda, il regal fregio,
Ma sol che tu l’imponga, è Otton bastante
A riacquistarti e la corona e il trono.
Griselda. Chi mi toglie dal crin l’aureo diadema,
Mi ritoglie un suo don; se perde il capo

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L’insegne di regina, a me costante

Resta il cuor di Griselda.
Ottone.   E in qual maniera
Soffrir tu puoi ch’altra t’usurpi un fregio,
Che a te sola convien?
Griselda.   Fregio che basta
È l’innocenza all’alma.
Ottone.   Oscura il pregio
Anco talvolta l’innocenza oppressa.
Griselda. Forse agli occhi dell’uom, ma non del cielo.
Ottone. Ancor fede tu serbi ad un ingrato?
Griselda. Non è ingrato chi a me toglie un suo dono.
Ottone. Sì, ma fatto tributo a tua bellezza.
Griselda. Vane lusinghe; Otton, parti.
Ottone.   Ti sdegna
Ch’io dimostri pietà di tue sventure?
Griselda. Quella pietà detesto ai sentimenti
Opposta del mio Re. Piace a Gualtiero
Che infelice io sia? La stessa pena
Mio diletto si fa.
Ottone.   Troppa costanza
Per chi t’espone a vergognoso oltraggio.
Griselda. Caderà la vergogna in chi per cieca
Forsennata passion destò il tumulto.
Otton, m’intendi: ciò ti basti, e parti.
Ottone. Nieghi d’esser Regina, e altera imponi?
Griselda. L’onor mio te l’impone; egli in me siede
Come in trono real.
Ottone.   Deh pensa quanto
Perdi con tal repudio.
Griselda.   E che mai perdo?
Ottone. Regno...
Griselda.   Che mio non era.
Ottone. Grandezze...
Griselda.   Oggetto vile.

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Ottone. Sposo...

Griselda.   Che meco resta,
Lontano ancor, nell’alma mia scolpito.
Ottone. Eh non lasciarti da rivale indegna
Usurpar tanti beni. Un sol tuo sguardo
Dà tempra a questo ferro, ed un sol colpo
Troncherà i tuoi perigli; e tu nol curi?
Griselda. Taci, vile che sei; non sa Griselda
Col prezzo d’una colpa amar grandezza.
Più mi cal di mia fè, che di qual’altro
Dono di cieca sorte. Apprendi, indegno,
Da me quella virtù che non conosci.
Serba fè al tuo sovrano, in quella guisa
Ch’io la serbo al mio sposo; e sta sicuro,
Che per la via di tradimento o inganno,
Non si giunge ad aver che biasmo e infamia. (parte
Ottone. Troppo avvezza Griselda al regio fasto,
Or adito non lascia a’ miei sospiri.
Ma deposto il diadema, anco con esso
Deporrà la fierezza, e tra le selve
Avrà forse pietà del mio cordoglio.
Io con questa speranza il facil volgo
Commossi a detestarla, e sol per farla
Capace del mio amor le tolsi il trono.
Perdonami, Gualtier, se tuo malgrado
Del tuo bell’imeneo disciolgo i lacci;
Tu, Griselda, perdona; il tuo bel volto
Mi rese amante, e il tuo rigor mi rende
Per affetto tiranno. Io la mia pace
Senza l’acquisto tuo sperar non posso,
Nè ti posso acquistar, se non t’offendo. (parte

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SCENA V.

Porto di mare con veduta di varie navi.

Corrado, Roberto, Oronta e soldati.

Corrado. German, quivi rimanti: infin ch’io torni,

Teco Oronta rimanga; ella d’affetto
Nostra germana è pur, se non di sangue.
Tale il buon genitor lasciolla a noi,
Nè di sua condizion cercar più oltre
Devesi in questo giorno. Al Re Gualtiero
Pria di voi giunger debbo.
Roberto.   Ah se d’amarla,
Poichè sposa d’altrui, più non mi lice,
Perchè la lasci a me? Tanto ti fidi
Di mia virtù?9
Corrado. Per pochi istanti ancor10 seco rimanti.
Oronta. E poi?
Corrado.   E poi conviene...11
Vincer se stessi, ed inchinarsi al fato.
Oronta. Fato crudel!
Roberto.   Barbare inique stelle!
Corrado. Consolatevi: intanto il cielo forse
Ascolta con pietà vostri sospiri.
Gualtiero è giusto Re. Basta, mostrate
Nella vostra costanza animo regio. (parte
Roberto. Oronta, or sei felice, eccoti in porto:
Questa che vedi è la Tessaglia, e quella
È l’alta reggia ove Gualtiero attende
Leggi dal ciglio tuo per darle al mondo.
Oronta. Ah Roberto!
Roberto.   Che fia? sospiri, e accogli
Mesta le tue grandezze?

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Oronta.   Io sceglierei

Più volentier viver privata, e lunge
Da questa reggia, ove m’attende un trono,
Pur ch’io di te, tu di me fossi.
Roberto.   Oh cara!
Oronta. Un sol de’ sguardi tuoi val più di molto
D’ogni umana grandezza.
Roberto.9 Ah, che un sol lampo
Dell’aureo scettro e del real ammanto
Ti verrà a balenar su le pupille,
Che sembreratti a quel superbo lume
Vile l’amor che per me t’arde; e cinta
Di corona la fronte, a te accostarti
Non lascierai più di Roberto il nome.
Oronta. Tu possiedi il mio core, e così poco
Il mio cor tu conosci? Ai numi tutti
Giuro, che pria di te lasciar...
Roberto.   Deh taci!
Col grado cangierai sensi e costumi.
Oronta. Andiamo ora, se vuoi, fuggiam, mio caro,
Dov’è meno di rischio, e più di pace;
Teco verrò.
Roberto.   No no, regna nel mondo12,
Come nell’alma mia. Sì vil non sono,
Che a discender dal trono io ti consigli.
Non t’amerei, se a prezzo tal t’amassi.
Oronta. Pensa che giunta al Regno, e altrui consorte,
Mi vieteran d’amarti onore e fede.
Roberto. Lo so, lo temo, e pur costante io bramo
Più la grandezza tua che il piacer mio.
Oronta. Poscia invan ti dorrai.
Roberto.   La tua bellezza,
Più che degna di me, degna è d’impero.

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T’amerò ancor Regina, e l’amor mio

Di vassallo sarà, se non d’amante.
Oronta. E mirarti dovrò, senza ch’io possa
Chiamarti idolo mio?13
Roberto. Così la legge vuol del destin nostro14.
Oronta. Barbara legge15 (3).
Roberto. Ma prima che da te, diletta Oronta,
Mi divida per sempre, un dolce sguardo
Donami per pietà. Pria che la mano
Stringa il scettro regale, almen permetti
Ch’io la possa baciar.
Oronta.   Prendila, e in essa...
(gli porge la mano
Ma Corrado ritorna.
Roberto.   E il Re con esso.
Misero, che sarà?
Oronta.   Soccorso, o numi.

SCENA VI.

Gualtiero, Corrado, guardie e detti.

Gualtiero. Bella Oronta, fa cuore, e tu, Roberto,

Non temer del mio sdegno, lo compatisco
L’uso del vostro amor cresciuto in voi
Sempre mai coll’età. (Serba, Corrado,
Custodito l’arcano insin che giunga
L’opportuna stagion per discoprirlo).
(in disparte a Corrado
Corrado. (È mia cura ubbidir). (a Gualtiero
Gualtiero. Diletta Oronta.
Oronta. Gran Re.
Roberto.   (Qual pena!) (da sè

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Gualtiero.   E quale mai nel core

Mi nasce or che ti stringo al seno mio,
Tenerezza e piacer, figli d’amore?
Oronta. Signor, da tua bontà l’alma sorpresa
Tace, i timidi affetti e i moti interni
Più che il mio labbro, il suo16 tacer discopre.
Roberto. (Soffri, o misero cor!) (da sè
Corrado.   (Roberto è mesto).
(piano a Gualtiero
Gualtiero. (Mi piace il suo dolor). Vien meco a parte
Di quello scettro e di quegli ostri, o bella,
Che riserbaro al tuo natal le stelle.
Tu pur meco verrai, Roberto amico,
D’alto ceppo real germe ben degno.
Oggi da voi la reggia mia riceva
Ornamento maggior.
Roberto.   Troppo m’onori.
Deh mi lascia partir.
Corrado.   Perchè ricusi
D’un monarca il favor?
Roberto.   Perchè non posso
Senza danno restar.
Corrado.   German, m’intendi.
Gualtiero. Mancan forse al mio regno, onde appagarti,
Peregrine delizie?
Roberto.   Anzi il tuo regno
La delizia maggiore in sè racchiude.
Gualtiero. Resta dunque a goderla.
Roberto.   Ahimè, non posso.
Gualtiero. Perchè mai?
Roberto.   Perchè il ciel vuolmi infelice.
Gualtiero. (Odi l’amante labbro). (piano a Corrado
Corrado.   (Un grand’amore
Non può celarsi). (piano a Gualtiero

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Gualtiero. Orsù, per questa volta

Supera il desir tuo. Rimanti; io spero
Di farti lieto. Principessa, andiamo.
Oronta. Io sieguo i passi tuoi.
Gualtiero.   Sì rigorosa
Con l’amico Roberto? A lui ti togli
Senza dargli17 un addio?
Oronta.   Sire, credeva
Sconvenirmi di farlo.
Gualtiero.   E tu, Roberto,
Lasci Oronta partir senza mirarla?
Roberto. Temerei profanar col sguardo mio
La regal maestà.
Gualtiero.   No, no, non siate
Rigorosi così. La vostra fiamma,
Che col latte nutriste, io non pretendo
Con violenza ammorzar. Sarebbe il colpo
Troppo duro per voi. Bastami solo
Moderato il desio.
Oronta.   Roberto, io parto.
Roberto. Resto, ma senza cor.
Gualtiero.   Corrado, il Prence
Guiderai alla reggia, e tu mi segui,
Dilettissima Oronta, e il mesto ciglio
Rasserena, e discaccia il duolo interno.
Oronta. Addio, Roberto.
Roberto.   Principessa, addio.
Gualtiero. (Quanto mi fan pietà!) (parte con Oronta
Roberto.   Se dovea perder
La bellissima Oronta, perchè mai
Non mi vietasti da’ primi anni amarla?
Perchè adular la mia speranza? I miei
Voti perchè tradir?

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Corrado.   Regge, o Roberto,

Gli umani eventi il ciel: soffri più forte
L’alto voler, nè t’attristar cotanto.
Si compiaccion sovente i santi numi
Farci strada al gioir col dolor nostro.
Roberto. Che mi vai lusingando? Oronta è il solo
Diletto del cor mio; già l’ho perduta;
Altro ben non mi resta, e non mi lice
Sperarlo più.
Corrado.   German, m’ascolta, e taci.
Lieto sarai pria che tramonti il giorno. (parte
Roberto. A lui presterò fede? Ahimè, sì chiara
E la perdita mia, che il dubitarne
Sarebbe inganno. Al regio sguardo ahi troppo
Piacque per mio dolor la bella Oronta,
Ed a chi mai non piaceria quel volto?
Sol per mio mal le stelle, idolo amato,
Fecer me così amante e te sì bella.
Ah, che privo di pace e di conforto,
In dubbia speme, a certo mal men vivo.
Lusingarmi vorrei, ma il cor mi dice
Che al mio tormento ogni speranza è vana. (parte

SCENA VII.

Stanze Reali.

Griselda e poi Gualtiero.

Griselda. Dov’è Io sposo mio, dov’è il mio figlio?

Ad onta del destin perder non posso
Il bel nome di madre e quel di sposa.
Sì, tra le selve ancor dove mi scacci,
Troppo crudo Gualtier, sarò tua moglie;
L’indissolubil nodo onde congiunte
Furon l’anime nostre, ai numi in faccia
Franger senza cagion non è permesso.

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Qual cagion dunque fia, che franga il nostro

Giusto solenne nodo? Ah sol la morte
Ciò far potrà. Vedrai a tuo rossore
Una sposa real fra boschi errando,
Vedrai, crudo Gualtier... Ma dove mai
Mi trasporta il dolor? Perdona, o caro,
Se ti dissi crudel; non è fierezza
Togliere un dono a chi del dono è indegno.
Soffrirò in pace il mio destin, ma prima
Vo’ vederti una volta, o sposo, o figlio.
Ecco lo sposo. Ah no, tal non mi lice
Chiamarlo. Ecco il mio Re; piacciavi, o stelle,
Che quest’ultima volta io non lo trovi
Rigoroso così. (si ritira un poco
Gualtiero. Care sembianze,
(guardando un ritratto
Quanta pace recate al seno mio.
Griselda. (Parla forse di me). Signor. (si avanza
Gualtiero. Griselda,
Nella Reggia tu ancora? E non partisti?
Griselda. Parto, amato mio Re, torno alle selve,
Ma prima di partir bramai vederti,
Vagheggiarti bramai.
Gualtiero.   Care sembianze,
Quanto mai siete belle!
(guardando parte il ritratto e parte Griselda
Griselda. (E pur mi sembra
Che favelli di me). Signor, se tale
Io mi presento a te, non è che io speri
Più di piacerti ancor. Fu (se mi amasti)
Tua bontà, non mio merto. Io vengo solo
A ricever, Signor, da’ tuoi begli occhi,
Sia pietoso o crudel, l’ultimo sguardo.
Gualtiero. Che! di te mi favelli, ed io credea
Che la nuova mia sposa, e tua sovrana,
T’occupasse il pensier. La vidi, oh quanto

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Bella e gentil! Credimi, ancor tu stessa

L’ameresti, o Griselda.
Griselda.   E amarla io deggio;
Ciò che piace al tuo affetto, è caro al mio.
Gualtiero. Nel suo ritratto appunto, ora solingo
Vagheggiava quel bel che m’ha trafitto.
Griselda. (Che tormento!) Signor, la gloria tua
Anzi reca conforto al mio dolore.
Gualtiero. Vedi s’io mento. (le dà il ritratto
Griselda.   Oh numi, e quai sembianze!
Qual volto!
Gualtiero.   Che ti sembra?
Griselda.   Io veggo in essa
Una copia di te. Ne’ suoi bei lumi
I tuoi lumi vegg’io; se non che questi
Sembran esser de’ tuoi meno severi.
Su questa fronte la tua fronte io veggo,
Men turbata però questa di quella;
E nel volto di lei ravviso il tuo,
Non però, come il tuo, troppo crudele.
Or sì t’assolvo, e ti perdono affatto
L’incostanza del cor: merta ben ella
Di Gualtiero gli affetti, e non doveva
L’infelice Griselda il tuo bel core
Usurpar a colei che n’è più degna.
Gualtiero. Dunque vaga ti sembra? (togliendole il ritratto
Griselda.   È a te simile.
Gualtiero. Godrò seco felice?
Griselda.   Il ciel ti dia
Lunga età, fausto regno; i cari figli
Ti vezzeggino intorno; e almeno in tanto
Lieto destin sovvengati talvolta
Della misera tua fedel Griselda.
Gualtiero. (Resisti, o cor!) Altro dirai?
Griselda.   Che serbi

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La pietà che a me nieghi, a! figlio almeno;

Anzi (se troppo l’amor mio non chiede)
Permettimi, signor, che imprimer possa
Su quel tenero volto un caro bacio.
È mio sangue Everardo, ed è tuo sangue;
Tu pietoso il riguarda, e a me concedi
Questo lieve conforto.
Gualtiero.   O là, si guidi
Everardo a Griselda.
(ad una guardia che sta alla porta, ed al cenno del Re parte
Griselda.   Oh me felice
Presso del figlio mio!
Gualtiero.   Griselda, io vado;
Che la sposa m’attende.
Griselda.   Oh Dio! sì vanne.
Perdonami se troppo al caro oggetto
Ti trattenni lontano; io già nel volto
Veggo la pena tua, veggo la forza
Che facesti al tuo cor nel star qui meco.
Vanne pur dalla sposa, e se ti piace,
Recale in nome mio... Ma che presumo!
Ah no, cela più tosto il nome mio
Alla consorte tua, ch’egli potrebbe
Farla troppo temer della tua fede.
Gualtiero. Non più; t’affretta a ritornar al bosco.
(Ceder mi converrà, se più l’ascolto). (da sè, parte
Griselda. Qual prodigio è mai questo? Io posso dunque
Perder Gualtiero, e non morir? Sì poco
Possente è il mio dolor? La mia rivale
Pietà mi desta anzi che sdegno? È questa
Stupidezza o virtù? Numi del cielo,
Sarà vostro favor... Ma viene il figlio...

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SCENA VIII.

Everardo condotto da una guardia, e detta; e poi Ottone.

Griselda. Vieni, vieni, Everardo, o dolce, o caro

Frutto dell’amor mio; già di quest’alma
In te bacio una parte, ed in te bacio
Del mio Gualtier l’immagine adorata.
Felice te, che in puerile etade
Non comprendi il rigor del tuo destino.
Oh, quanto, oh quanto ti faria pietade
La tua povera madre! Oh quanti pianti
Spargeresti con lei! Povero figlio!
Dunque per mia cagion privo del soglio,
Benchè figlio di Re, viver dovrai?
Dalle viscere mie traesti il duro
Stato di servitù; ma se traesti
Dalle viscere mie la mia costanza,
Nulla ti calerà dell’empia sorte.
Vieni meco, ben mio, tu mi sarai
Di soave conforto. Avrò mai sempre
In te del padre tuo presente il volto.
Vieni meco alle selve...
Ottone.   E chi ti diede
La libertà di condur teco il figlio?
Griselda. Gualtier.
Ottone.   No, Gualtiero anzi t’impone
Darlo nelle mie man.
Griselda.   Per qual cagione?
Ottone. Perchè darti non vuol nelle tue pene
Un sì grande conforto.
Griselda.   Ah, ch’io non credo
Sì crudele il mio Re.
Ottone.   Mal lo conosci.
Egli la stessa crudeltade ha in seno,
E tu ancora l’adori?

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Griselda.   E adorerollo

Benchè tutto spargesse il sangue mio.
Ottone. Io che sento pietà del tuo dolore,
Ti lascio il figlio.
Griselda.   Il don ricuso.
Ottone.   Ingrata!
Dunque il figlio non ami?
Griselda.   Io l’amo quanto
Puote amarsi giammai.
Ottone.   Perchè il ricusi?
Griselda. Perchè contro il voler del mio Gualtiero
Io non posso voler.
Ottone.   Nulla fia noto
A lui di ciò; sia in tuo potere il figlio.
Basta sol che pietosa a me un tuo sguardo
Doni per ricompensa.
Griselda.   A questo prezzo
Non compro il figlio mio. (scaccia da sè il figlio
Ottone.   Madre spietata!
Guida Everardo alle mie stanze: io serbo
I comandi del Re. (alla guardia, che guida via Everardo
Griselda.   Misero figlio!
Non ti vedrò mai più.
Ottone.   Perdesti il regno,
Ed ancora non sai perder l’orgoglio?
Griselda. Il mio regno perdei, non il mio core.
Ottone. In me sprezzi d’un Prence il degno affetto?
Griselda. La mia fede e il mio amor debbo a Gualtiero.
Ottone. A Gualtiero crudel, che ti ripudia?
Griselda. Se sua sposa non son, sarò una serva.
Ottone. Perdi il nome di sposa e quel di madre.
Griselda. La costanza mi resta, e l’onor mio.
Ottone. Orsù torna mendica e pastorella.
Griselda. Pastorella ch’io sia, ch’io sia mendica,
Sempre grande sarò. Per non soffrire

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Più a lungo i guardi tuoi, già parto: il cenno

Ubbidisco così del Signor mio.
Tu l’umana follia manda in obblio;
Che pria ch’io cangi dal mio sen l’affetto,
S’oscurerà nel suo meriglio18 il sole.
Nacqui, vissi, regnai, torno alle selve;
Ma nel regno, nel bosco, e prima e poi,
Caro mi fu dell’innocenza il pregio. (parte
Ottone. Non giovan le lusinghe. Oh da qui innanzi
Gioveran le minacce. E un’altra via
S’ha da tentar. Dalle ripulse appunto
Prende forza il mio amor, come dal lido
L’onda percossa più s’innalza e freme.
Non son quell’io che fa tremar gli audaci,
Se di femmina vil non vinco il core.
Faccia pur quanto sa, dovrà mal grado
Del suo strano rigor farsi soggetta
Del mio voler, o perderà in un punto
Per opra mia fama, consorte e vita. (parte



Fine dell’Atto Primo.

  1. Nel testo, molto scorretto, dell’ed. Zatta, è stampato suo.
  2. Nell’ed. Zatta è stampato crudele.
  3. Così nel testo.
  4. Nel lesto: Questo popoli.
  5. Nel testo: picciol.
  6. Nel testo: sono.
  7. Nel testo: svenasti.
  8. Nel testo: sventura.
  9. Il verso rimane così mutilo.
  10. Nel testo: ancora.
  11. Anche qui abbiamo un settenario in luogo di un endecasillabo, come spesso nel melodramma dello Zeno: vedi Nota storica.
  12. Nel testo è stampato: No non regna nel mondo.
  13. Anche qui il settenario in luogo dell’endecasillabo.
  14. Nel testo, con errore evidente, è stampato: del nostro destin.
  15. Qui un semplice quinario.
  16. Nel testo: e il suo. Lo Zeno dice: Più che il mio labbro, il mio tacer palesa.
  17. Nel testo: darle.
  18. Forse per meriggio.