La chioma di Berenice (1803)/Considerazione VIII

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Considerazione VIII. Statua vocale di Mennone

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Gaio Valerio Catullo - La chioma di Berenice (I secolo a.C.)
Traduzione di Ugo Foscolo (1803)
Considerazione VIII. Statua vocale di Mennone
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considerazione viii

Statua vocale di Mennone.

Del Mennone greco, figliuolo dell’Aurora, uccisore di Antiloco ed ucciso da Achille primo parlò, a quanto sappiamo, Omero (Odissea, iv, 1S7) Pindaro il siegue (Olimp. ii, Pit. ii, Nemea vi), e gli altri poeti greci e latini (Manil., Astron., lib. i, 764; Virgil., Eneid ., i, 755; Ovid., Metamorf ., xiii, 536). — Del senso arcano di questa favola s’è congetturato alla pag. 106. Eustazio (i dell’Odissea) narra che Titone fu figliuolo di Laomedonte e fratello di Priamo. E ne’ comenti (verso 243) a Dionisio il geografo, lo stesso Eustazio osserva che una delle regine etiopiche diceasi Ἠμέρα, Dies, da cui nacque Mennone; deificata poi, fu culta dagli etiopi; e nella parte australe dell’Egitto v’era la statua di lei; quindi la favola ch’ei fosse figlio dell’Aurora. Diodoro siculo (lib. iv), ove fa la genealogia de’ principi Troiani chiama Titone figliuolo di Laomedonte; ed è detto marito dell’Aurora, perché si volse alla conquista dell’Oriente: opinione seguita da Isacco Tzetze (in Licofrone, v. 16); se non che questi vuole Priamo e Titone nati di madre diversa. Vedi anche Apollodoro (Biblioteca, lib. iii, 9), e lo scoliaste greco d’Omero (Iliad. xi, v. 1). Ma Omero non si stende intorno a questa favola. Esiodo chiama Mennone re degli etiopi nato di Titone e dell’Aurora (Teogonia, v. 984), e Ditte Cretense (lib. iv, 10) narra che Ἠμέρα fosse non madre, ma sorella di Mennone. L’antico scoliaste di Aristofane (Nubi’, p. 163) chiama invece Mennone figliuolo di Giove e fratello di Sarpedonte, morti sotto Troia e culti con digiuno anniversario. Infatti Pausania (Focensi, lib. i, 31) [p. 188 modifica] cita una dipintura appesa al tempio d’Apollo delfico, ove erano Mennone e Sarpedonte. Or péscati il vero!

Né ardea minor lite per la patria. I più sono per l’Etiopia; e, dopo gli antichi, Quinto Smirneo (Paralipom. lib. ii, 31): il che fa che sia da’ poeti latini descritto nero di aspetto. Filostrato negli erotici distingue due Mennoni, uno etiope, l’altro troiano, e questi più recente. Gli etiopi sacrificavano a Mennone, annoverandolo fra’ loro eroi (Eliodoro, in Æthiopicis, lib. iv, e lib. x). Quel greco che scrisse la guerra d’Ilio sotto il nome di Ditte cretense (lib. iv, 4), gli assegna un esercito d’Indi. Ma gli assiri sel contendono con l’autorità di Ctesia, antico scrittore riferito da Diodoro siculo (lib. ii). Anzi Susa si dice edificata da Titone (Strab., lib. xv). La ròcca di Susa era detta Mennonia, e Mennonia Erodoto (lib. v, 53, 54; vii, 151) chiama la città de’ persiani. Anzi Mennone fabbricò la regia di Ciro (Igino, favola ccxxiii) e parte di Babilonia (Ampelii Liber memorialis, cap. viii). Finalmente Pausania (loc. cit.) lo rivendica agli assiri con queste parole: Venne alla guerra troiana non dall’Etiopia, ma da Susa, città de’ persiani. Né in Assiria mancò di culto; e puoi vederlo descritto nel poema della cacciagione da Oppiano (lib. ii, v. 151). Plinio accorda queste due opinioni (lib. vi, 29): Ægyptiorum bellis attrita est Æthiopia, vicissim imperitando serviendoque clara et potens etiam usque ad Trojana bella Memnone regnante: et Syriae imperitasse aetate regis Cephei palet ex Andromedae fabulis. Dirò della sepoltura. La ho descritta nell’antica Troade nella nota ai vv. 51-2, sull’autorità di Strabone (libro xiii), di Pausania ( Focensi), di Quinto Smirneo (Paralip., ii, v. 5S4) e di Marziano Capella (lib. vi). Ma il poeta Simonide, in un poema intitolato Mennone, citato da Strabone (lib. xv), pone il sepolcro in Siria presso [p. 189 modifica] il fiume Bada. Credesi da taluno che Gioseffo ebreo (Guerra giudaica, lib. ii, 10) lo collochi presso Tolomaide, nella Giudea. Ma devesi credere che il Mennone di Gioseffo fosse quel Rodio, capitano dell’armate di Dario, ultimo re di Persia. Plinio (lib. x, 26), Solino (Polysth., cap. xliii), Isidoro ( Origin ., lib. xii, 7), Quinto Curzio (lib. iv, 8), Diodoro siculo (lib. ii), Giovanni Tzetze ( Chiliad ., vi, 64) pongono la sepoltura del favoloso Mennone fra gli etiopi; il che da Filostrato ( Immagini, lib. i) viene negato. E chi de’ poeti (Quinto Smirn. lib. ii) finge che dalle gocce del suo sangue sia scaturito il fiume Paflagonio, e chi il finge (Ovid. met. xiii, 598) augello, donde gli uccelli detti mennoni, di cui Plinio e Solino (loc. cit.), ed Ovidio (Amor. lib. i, eleg. 13), e più distesamente Eliano (De animal., v, cap. 1). Rispetto alla forma, è da tutti decantato giovine ed avvenentissimo; anzi Eustazio, per omettere tant’altri, al verso 248 di Dionisio il geografo, nega ch’ei fosse nero come gli altri etiopi, e crede derivata la favola dell’Aurora madre dalla bianchezza delle membra di lui. Ma primo di tutti Omero, Odissea, xi, 521:

`Κεῖνον δὴ κάλλιστος ἴδον μετὰ Μέμνονα δῖος.
Lui veramente bellissimo vidi, dopo Mennone divino.

Or, poiché la maggior parte delle storie lo chiamano etiope, e da Plinio ci fu data ragione della sua origine assiria, andremo ricercando a tentone qual parte dell’orbe da quegli antichi fosse detta Etiopia, e dove veramente fosse la statua vocale di Mennone, ed in che tempi, e quale. Primamente Mennone ed Amenofi sono la stessa persona; il che è chiaro dalle parole di Pausania (in Atticis): Vidi oltre il Nilo la statua di Mennone, che volgarmente dicesi venuto dall’Etiopia. Ma gli egizi dicono ch’ella sia di Famenofi nativo d’Egitto: ove notano gli scoliasti [p. 190 modifica] che la F non è se non segno gramaticale del genere mascolino. Questa statua fu ed è oggi dentro l’Egitto superiore, nella Tebaide (Tacito Ann. ii, 61), la quale è dimostrata dal Jablonscki ( de Memnone, syntagma ii, cap. 2) essere stata dagli antichi greci chiamata Etiopia. E noi pure, nella nota ai vv. 51-2, abbiam notata l’ignoranza de’ tempi iliaci intorno agli Etiopi. Questo antichissimo Mennone egizio trovò appunto nell’Egitto le lettere dell’alfabeto, quindici anni innanzi Foroneo re della Grecia (Plinio, lib. vii, cap. 56). E, sebbene dell’antichità di Mennone o d’Amenofì sievi assai discordanza fra gli antichi (Gioseffo contro Apion. lib. i, 26). la lite si scioglie, poiché i vetusti signori egizi si chiamavano con lo stesso nome del che ne son testimonio le genealogie delle antiche e moderne famiglie regali. E di diversi Amenofi eredi del trono parla Manetone presso Gioseffo (lib. i, 15, e loc. cit.); e tre ne segna, se ben mi ricordo, la cronologia Eusebiana. Dicevasi anche Ismande (Strabone, lib. xv); ed è forse quell’Osimande stesso, re d’altissime imprese narrate da Diodoro siculo (lib. i). Sotto la sua statua era scritto:

               Βασιλεύς, βασιλέων Ὀσυμανδύας εἰμί.
          Εἰ δέ τις βούλεται πηλίκος εἰμὶ, καὶ ποῦ κεῖμαι,
               Νικάτω τὶ τῶν ἐμῶν ἔργον.

Re dei regi Osimande sono. Se alcuno saper vuole quanto io sia, e dove io giaccia, vinca alcuna delle mie gesta. — Vengo ora alla statua. Gli autori che ne parlano, per quanto io ho incontrato leggendo gli antichi, sono: Pausania (in Atticis), Filostrato (luoghi cit. e altrove), Luciano con l’usata ironia (in Philopseude), Giovenale (sat. xv, v. 5), Giovanni Tzetze ( Chiliad ., iv, 64), Callistrato nel libro De statuis, Tacito (Ann., ii, 61), Strabone (lib. xvii), e Dionisio il geografo nei versi 249-250, che, tradotti letteralmente, suonano: [p. 191 modifica]

               La prisca Tebe dalle cento porte,
               Ove Mennon saluta, risuonando,
               La sua nascente aurora.

Ma il più antico ed il primo che ne parli è il padre della storia greca (Erodot., lib. ii), ove descrive le statue de’ signori vetustissimi d’Egitto, sebbene egli non la creda (come altri a’ suoi tempi congetturavano, Μέμνονος εἰκόνα εἰκάζουσί μιν) statua di Mennone: seppure Erodoto in quel luogo intende di questa statua vocale, poiché altrove quel viaggiatore d’Egitto e cercatore di meraviglie non ne fa motto. Manetone bensì scrittore a’ tempi di Filadelfo diligentemente ne scrisse (presso Sincello in Chronographia), se nondimeno non fosse questa una delle solite giunte d’Eusebio. Il che ammettendosi, niuno della statua vocale fa motto né latino né greco scrittore sino a’ tempi d’Augusto. Ma che sino dall’età di Cambise re persiano la statua parlasse, è tradizione universale. Cambise, or son quasi secoli xxiv, la fece mutilare (Pausan. in Atticis, vedi anche la cronaca Alessandrina), sospettando fraudi, e nella statua v’è un’iscrizione d’onde, quantunque guasta, si tragge: Che Cambise ferì la pietra parlante, immagine del Sole. Nondimeno Strabone scrive che la parte del colosso crollò per terremoto. Il vero è che a’ tempi di Domiziano il Mennone parlante era dimezzato. Giovenale, loco citato:

          Dimidio magicae resonant ubi Memnone chordae,
          Atque vetus Thebe centum iacet obruta portis.

Pausania la vide sedente, e la parte dalla testa al fianco giaceva a terra negletta (loc. cit.). E la udì sul far del sole mandar un suono di corde liriche, quando tendendosi si rompono. Più cautamente Strabone (loc. cit.): Credesi che una volta al giorno risuoni: Essendo io con Elio Gallo e con gli amici e commilitoni, verso l’ora prima udii il suono: [p. 192 modifica] ma se dalla base, se dal colosso, se da taluna delle statue circostanti partisse, non so affermarlo. Bastino questi due storici: i miracoli della voce mennonia narrati da’ poeti e da’ romanzieri e da’ loro scoliasti non fanno per noi; e chi li vuole può averli ove io li ho dianzi additati, e nelle varie opere di Filostrato sopra tutto. Vero è che molti uomini illustri, e fra i romani Germanico (Tacito Ann. ii, 61), l’imperadore Severo (Sparziano in Sever. cap. xiii) ed Adriano, siccome appare dalle iscrizioni che oggi si leggono sul colosso, entrarono nell’alto Egitto per vedere tanto miracolo. Moltissime iscrizioni incise sul colosso da quelli che dopo lunga peregrinazione udirono la voce divina, sono recitate dal Pochockio, e lungo sarebbe il trascriverle; e chi ne fosse curioso, le cerchi nell’Itinerario di questo eruditissimo inglese (Pochock’s, Observations on Egypte, pag. 101 e seg.)<ref>. Dirò solo, che né sempre s’udiva, né tutte le volte che la statua veniva percossa dal sole (Jourtnal des principaux écrits qui se publient, marzo 1742, artic. iv). E ciò appare anche dalla seguente iscrizione:

c. lelia africani praef.
vxor avdi. memnonem
prid.... febr. hora i̅. s.
cvm iam tertio venissem
.


Però Lelia per essere fatta degna del miracolo dovè ritornare tre volte. Della ragione della voce pochi parlano. Pausania la crede effetto della materia sassea, la quale risuonasse per forza del calore solare: ma né altri lo dice, e la statua stessa che oggi si vede nella Tebaide tace. Ecco la descrizione ch’io traggo dal Pochockio. È sedente, con le palme appoggiate sulle ginocchia. Dal ventre ed i gomiti in giù è di un sol pezzo di marmo poroso, granito e d’insigne né più veduta durezza. Dal [p. 193 modifica] ventre in su, restaurato con cinque pezzi di pietra. Sta fra molti altri, ed è verso settentrione. La base è lunga trenta piedi, larga diciassette. Dalla pianta al ginocchio è lunga piedi diciannove. Da’ lati delle gambe ed in mezzo ha tre statue coronate (Observations on Egypte, p. 101): nel quale autore puoi vedere tutta la descrizione e la immagine delineata. I contrassegni di questa statua concordano con quelli tramandati da Filostrato, da Pausania e da Strabone. Le iscrizioni sono tutte incise nelle cosce e nel marmo antico; il restauro è posteriore agli autori citati. Però gli antiquari la credono fondatamente quella stessa vocale, di cui tanto scrissero gli autori de’ primi secoli dell’era cristiana.

Se dalla noia di tante investigazioni si può ricavare alcuna verità, credo probabili le seguenti congetture: 1° che Amenofi, Osimande e Mennone sieno una stessa persona; il primo nome Egizio, il secondo nome Etiope, il terzo nome Greco; 2° che, quando gli Etiopi nel corso della possanza e decadenza delle nazioni tennero, come appare dal passo dianzi citato di Plinio, tutte le province orientali, il loro eroe sia stato deificato; 3° che per l’antichità l’eroe sia divenuto favoloso, e che le nazioni per arroganza se lo sieno ascritto; il che avvenne di Ercole, di Giove e di molti altri eroi e semidei; tanto più che l’Etiopia sotto il regno di Mennone governava la Siria e l’altro Oriente; 4° che la statua parlante sia una santa fraude, pari a quelle di cui l’umana razza si compiacque sempre, si compiace e si compiacerà, mutati i nomi; 5° che al tempo de’ Cesari, essendo l’Egitto provincia romana, gli Egizj destituti di fasti, di leggi e di possanza, si sieno giovati per estremo aiuto della preponderanza che poteano sperare dalla credulità del mondo verso quel nume del loro paese.