Le donne di casa Savoia/XVIII. Margherita di Valois

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XVIII. Margherita di Valois

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[p. - modifica] Margherita di Valois
moglie di Emanuele Filiberto
1524-1574.
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XVIII.

MARGHERITA DI VALOIS

n. 1524 — m. 1574


Con un sorriso misto di lacrime
  la verginetta ti guarda e trepida
  le braccia porgendo ti dice
  come a suora maggior — Margherita!



P
d Emanuele Filiberto aveva Carlo V, come si è detto, affidata la condotta delle sue truppe in Fiandra, ed ivi egli si era immensamente distinto, allorché all’abdicazione di lui, il Principe Sabaudo ebbe qualche screzio col figlio e successore Filippo II.

Il valoroso capitano profittò della sosta insorta nelle sue attribuzioni, ed intraprese un viaggio in Francia, ove quella Corte gli fu prodiga di ogni cortesia, volendo amicarsi il più bravo condottiero del Re nemico. Ma tutta quella cordialità non era sincera, almeno dopo accortisi che l’invitto guerriero non era mercanteggiabile, ed un fatto avvenuto durante il suo soggiorno colà rende almeno la cosa discutibile. Voglio dire l’incendio scoppiato in quella parte del Louvre, dove il giovine alloggiava, e del quale egli non [p. 182 modifica]fu vittima, perchè avvertito e messo in salvo, si racconta, da Margherita, la sorella del Re Enrico II (succeduto a suo padre Francesco I), un Re sempre oscillante fra la politica della moglie Caterina dei Medici, ed i capricci della favorita, Diana di Poitiers.

Margherita di Valois, Duchessa di Berry, figlia di Francesco I e della sua prima moglie la Regina Claudia di Francia, era nata il 20 giugno 1524. Essa aveva tutte le virtù dell’altera sua Casa senza averne i vizi o i difetti. Da suo padre aveva ereditato il culto per le belle lettere, e sino dalla fanciullezza si compiacque di studi seri, passando lunghe ore nella ricca biblioteca che Francesco aveva fondata a Fontainebleau.

Coll’andare degli anni la Duchessa si dilettò sempre più nello studiare, e proteggeva gli uomini più colti della Francia, che riceveva come maestri nel suo palazzo.

Indole seria e severa, aveva forse in se qualcosa di quella gentile infelice che le fu madre. Essa, del resto, non era davvero una bellezza, ma possedeva tal fascino per l’altezza dell’intelletto, la nobiltà dei modi, la eleganza e la gentilezza del dire, che la faceva ammirare da tutti. Parlava e scriveva varie lingue moderne, il greco e il latino, e prediligeva e stimava, soprattutto, i letterati. Aveva molta dimestichezza col Cancelliere l’Hópital, che le serviva da segretario, e coll’Ammiraglio Coligny; e Giacomo Aymont, quel luminare del suo secolo, il traduttore di Plutarco, scrisse a richiesta di lei, di cui era stato istitutore, le [p. 183 modifica]vite di Epaminonda e di Scipione, di cui essa lamentava la perdita. Possedeva un cuore tanto pietoso che la faceva amare da tutti i derelitti, e fra le opere di carità e le dolcezze dello studio, era giunta ai trentaquattro anni ancor nubile, senza, si può dire, accorgersene, e, per conseguenza, senza dolersene.

Intanto Emanuele Filiberto, tornato in pace col cugino, era stato creato governatore delle Fiandre, e quindi era riuscito vincitore a S. Quintino!1. Francia e Spagna, nuovamente alle prese, tenevano incerta l'Europa su chi sarebbe stato il vincitore, quando improvvisa, nel mondo politico, si seppe la pace conchiusa dalla Francia a Castel Cambrese, pace voluta, si dice, dal capriccio della Poitiers. [p. 184 modifica]Quando Margherita di Valois salvò dall'incendio l'invitto capitano italiano, era stata spinta soltanto da umanità? E Filiberto non pensò mai più, negli ozi dell'accampamento, nelle veglie angosciose della battaglia, alla provvida apparizione che lo aveva salvato dalla morte? In quanto a Margherita, la tradizione vuole che ella amasse già il brillante principe italiano, per le sue imprese, anche prima di conoscerlo ; riguardo a lui invece, sembra che un'altra apparizione gli rallegrasse la tristezza dei bivacchi ; ad ogni modo, nella pace di Castel Cambrese, Emanuele Filiberto, il valoroso capitano, riebbe i suoi antichi Stati, più la mano di Margherita, maggiore a lui di quattro anni.

Il matrimonio doveva aver luogo fra breve quando l'eroe piemontese il 15 giugno 1559 entrava solennemente in Parigi, e dopo due giorni si firmava il conratto che dava a Margherita uno sposo sì vagheggiato, ad Emanuele Filiberto una potenza sì a lungo sospirata. Perciò quelle nozze si presentavano lietissime, e le feste ordinate a celebrarle veramente splendide. Ma esse dovevano riuscire fatali ad Enrico, che vi partecipava con tanto slancio. Ed ecco come.

Nella via S. Antonio era stata costruita una gran lizza, nella quale, alla presenza della Corte, furono eseguiti giuochi e combattimenti dai più valenti cavalieri, fra cui il Re stesso. Terminate le corse Enrico, coperto di elogi e di applausi, si ritirava, quando scòrse due lancie ancora intatte. Esaltato ne prese una, e fece presentare l'altra al conte di Montgomery, [p. 185 modifica]capitano delle sue guardie, il più abile tiratore di lancia della Corte.

— Rompiamo anche queste — egli disse — in onore delle dame.

Per un presentimento di disgrazia che doveva acadergli, il capitano si scusò due volte ; e la Regina e le principesse pregarono Enrico di contentarsi della gloria acquistata.

Ma il Re non volle ascoltare nessun consiglio, e fu deciso lo scontro. L'urto dei due combattenti fu terribile : la visiera del Re si mosse, e una scheggia delle lancie che eransi rotte nel cozzare, andò a colpirlo in fronte, un poco al di sopra dell'occhio destro. Trasportato semivivo a palazzo, cessò subito ogni gioia ed ogni festa, e poiché la sua vita era in pericolo, si temè perfino che la pace allora allora conclusa, non fosse duratura, se egli venisse a mancare.

Enrico, compreso di essere in pericolo, pensò invece ad assicurarla, quella pace, ed affrettò il matrimonio della sorella col Duca di Savoia.

E questo fu celebrato il 10 di luglio, undici giorni dopo la disgrazia avvenuta, nella camera stessa del Re, funzionante il Cardinale di Lorena. Enrico stesso servì da testimonio, e spirò poche ore dopo.

Questa morte, seguita in Francia da torbidi seri, prometteva all'Italia un lungo riposo ; ed Emanuele Filiberto ne profittò per fare un viaggio in Fiandra, congedarsi dal cugino Filippo II. Indi precedè la Duchessa nei suoi Stati, onde prepararle a Nizza, scelta [p. 186 modifica]da essi per residenza2, essendo Torino sempre occupata dai francesi3, un'accoglienza degna di lei e della festa dei loro cuori.

Al confine del suo Stato, Margherita, dice la tradizione, s'incontrò in un gruppo di contadinelle, che le presentarono una gran paniera di margherite, cantandole questa strofetta:

Toutes les fleurs ont leur mérite,
Mais quand mille fleurs à la fois
Se présenteraient à mon choix
Je choisirais la marguerite.

Gentile pensiero e soave complimento che, al cuor nobile di lei, riuscì caro quanto le feste magnifiche di Nizza.

Appena terminate le esultanze, e messi gli animi in calma, i due sposi pensarono seriamente a rimediare i mali prodotti nel Ducato dalla lunga guerra, e da tutti i guai che ad essa tengono dietro ; e Margherita s'interessò particolarmente a tutto ciò che riguardava la religione, le lettere e la pubblica istruzione. [p. 187 modifica]Uno dei primi atti di Emanuele Filiberto, ad onta che, alla conclusione della pace, avesse fatto promesse relative all'estirpazione dell'eresia, uguali a quelle dei Re di Francia e di Spagna, fu di concedere ai valdesi (fra i quali eransi introdotti degli ugonotti francesi, e li avevano resi turbolenti, tanto da produrre anche in Savoia qualche cosa di serio) piena libertà. A Margherita poi, che in Francia aveva fama di mezza ugonotta, piacque tanto il candore di costumi di quella schiatta, che li favorì sempre, spesso intercesse felicemente per loro, e scelse sempre fra essi la sua servitù.

Tutto intanto sorrideva ai novelli sposi ; ma essi udivano e comprendevano i sospiri del loro popolo, che voleva essere addirittura libero dallo straniero e vedere il suo Duca nell'antica sede di Torino ; e tanto fecero e si adoperarono, specie Margherita, che teneva sempre un ben nutrito carteggio con la cognata Caterina dei Medici, tanto a lei affezionata, e che allora governava in effetto la Francia, da riuscire a consolarli.

Uno dei principali pretesti all'occupazione francese era che quelle terre dove essi tenevano guarnigione, dovevano tornare alla Francia nel caso in cui Emanuele Filiberto non avesse eredi ; ed a questo proposito fu generale la credenza che gli si fosse data a bella posta una moglie già innanzi con gli anni ed a lui maggiore. Ebbene, ad onta di tutti i maneggi e di tutte le previsioni, il 12 gennaio 1562, in Rivoli, dopo tre anni di matrimonio. Margherita divenne madre di un principe, Carlo Emanuele, che ebbe a padrini il Re [p. 188 modifica]di Francia Carlo IX, il Papa Pio V, il Doge di Venezia Girolamo Priuli, Giovanni La Valletta Gran Maestro dell'Ordine di Malta, e fece la gioia dei piemontesi, l'orgoglio della famiglia.

Dopo questo avvenimento, Emanuele Filiberto ottenne dalla Francia uno scambio delle piazze da essa occupate, e così Torino fu libera, ed egli, la Duchessa e il principino, vi fecero l'anno seguente il loro ingresso, che riuscì addirittura solenne.

Da quel momento Margherita visse quasi sempre nella sua capitale. Ivi essa medesima incominciò l'educazione del figlio, unica speranza sua e della patria ; e vedendolo di debole complessione e gracilissimo, ne aveva infinite cure e qualcuna anche pregiudizievole. Il fanciullo, di cui fu governatrice Barbara d'Annebault, gentildonna pinerolese, imparava a meraviglia le infinite cose che gli insegnavano le prime celebrità dell'epoca, residenti in Piemonte, e che erano incaricate di formarlo alle scienze e alle lettere. A dodici anni l'istruzione completa, la grazia, la vivacità dello spirito, gli valsero i più grandi elogi di suo cugino Enrico III, che lo conobbe al suo passaggio da Torino, e una gran prova di confidenza dal padre, che, dovendo andare a Nizza per qualche tempo, rimesse a lui il governo dello stato.

Margherita era sì felice e sì soddisfatta di questo suo unico rampollo, che teneva una Corte espressamente per lui, spendendo in essa quanto le avanzava dal mantenimento della sua casa e dalle copiose elemosine. [p. 189 modifica]A questa elettissima donna, che sposando Emanuele Fliberto ne aveva sposati anche gli interessi, deve il Piemonte la restituzione di Pinerolo e Savigliano, e delle valli di Perosa, cedute dai francesi, ma non consegnate, alla pace di Castel Cambrese. Perchè essa sola, coi suoi modi insinuanti e gentili, seppe indurre un Re di Francia, Enrico III suo nipote, quando fu di passaggio da Torino, chiamato dal regno di Polonia a quello di Francia, a mantenere una promessa fatta, togliendo le truppe francesi che stavan a presidio delle due sventurate città. Il che determinò gli spagnuoli a rendere Asti e Santhià, che ancora occupavano.

Per tal modo essa s'innalzò sempre più nell'affetto del suo popolo, il quale, più che amarla, la venerava; tanto che venne chiamata l'angiolo tutelare del Piemonte, e tenuta in alto pregio fra i dotti e gli illustri.

«Erano infatti — scrive il Ricotti — le sue virtù tali e tante, che di rado si vedono congiunte in una sola persona : dignità e cortesia, indulgenza e giudizio, ingegno naturale e studio, magnificenza d'atti e semplicità di maniere, effusione di cuore e saviezza di ragionare ».

Margherita fu di giusta statura, di volto non bello, l'abbiamo già detto, ma piacevole, di portamento maestoso, e sì gentile ed affabile, che non permetteva ad alcuno di parlarle se non si fosse prima coperta la testa, e se era persona distinta per meriti, voleva sempre che le si assidesse a lato. Attendeva con vero entusiasmo agli studi gravî e profondi, e non vi era [p. 190 modifica]l'ingegno preclaro che, capitando a Torino, non fosse da lei accolto con ogni favore e cortesia, e aiutato e sovvenuto se ivi soggiornava ed era in bisogno. Ricevè il Tasso con tanta magnificenza, dando per lui un ricevimento in una villa prossima a Torino, che egli, si racconta, dipinse quell'incantevole luogo nei giardini di Armida.

Ma la maggior parte delle sue entrate essa le spendeva a mantenere famiglie cadute in miseria, a far doti a fanciulle bisognose, a educare bambinelli meschini. Accettava con entusiasmo di perorare presso il Duca ed i magistrati le cause dei derelitti, e a far loro render giustizia. E il Duca che, se non l'amò con frenesia, le ebbe sempre somma affezione e reverenza, quasi mai le negava quanto gli chiedeva, benché talvolta se ne lagnasse coi supplicanti, che diceva si servivano di lei per far violenza alla sua volontà. Egli ascoltava anche i consigli che essa con garbo gli sapeva insinuare, e fu per sua intromissione che temperò le più fiere risoluzioni della sua politica ; insomma la pietà della regal donna circondava di dolce fascino il glorioso trono del vincitore di S. Quintino.

Dell'amore che Margherita portava al marito, da lei sì desiderato, si ebbe una singolar prova nella disgrazia che incorse presso di lei Federico Asinari conte di Camerano, il quale aveva composta una canzone in cui esortava il Duca a portarsi in Francia, per tentare di sedare i malumori che affliggevano quel regno. La Duchessa, per la sola idea di quel viaggio, che da lei [p. 191 modifica]avrebbe allontanato il marito per qualche mese, si mostrò talmente attristata e crucciata contro l'autore della bellica invocazione, che questi dovè astenersi per qualche tempo di comparire alla Corte, onde non rinnovare, colla sua presenza, all'angelica donna, il dolore prima recatole.

Era forse il presentimento che ella sarebbe morta durante un'assenza dell'amato consorte, e non avrebbe potuto indirizzargli le ultime raccomandazioni, gli ultimi addii, che così la turbava ?

Enrico III erasi congedato dalla sua affascinante zia, e scortato da Emanuele Filiberto, con brillante accompagnamento, si recava a Parigi a cingere la corona che la morte di suo fratello Carlo IX poneva sulla sua fronte. A Lione il Duca ebbe notizia che sua moglie e suo figlio erano ammalati ; la lettera era dettata dalla Duchessa, che si scusava di non scriverla di suo pugno a causa di un po' di febbre, e aggiungeva : « Dell'indisposizione di nostro figlio mi rimetto a quanto vi notificheranno i medici ; del mio male non è gran caso, se non che mi spiace di non potere stare presso di lui ; ma spero che tutto passerà bene coll'aiuto del Signore ».

A questa notizia Emanuele Filiberto si congedò dal Re e volò a Torino; ma per via ebbe l'annunzio ferale della morte della moglie, e parve che l'animo suo sempre invitto cedesse al dolore. [p. 192 modifica]Ecco come la catastrofe era accaduta. Contrariamente alle stesse sue previsioni, la febbre crebbe a Margherita, accompagnata da un intenso dolore al petto, e nel termine di tre giorni, cioè il 15 settembre 1574, la buona Duchessa era rapita all'amore di tutti ! Poco prima di morire, scrive ancora il Ricotti, essa commise per istrumento al Gran Cancelliere e agli altri uffìziali di sua casa, di chiedere al Re di Francia la continuazione delle rendite del Ducato di Berry, di cui era la titolare, affinchè con esse si soddisfacesse ai suoi debiti e si rimunerassero i suoi servitori. Essa fu pianta e desiderata da tutti i suoi sudditi come la comune protettrice, e la madre dei poveri e degli afflitti ; perchè era, a detta perfino del maldicente Brantôme, « la bontà del mondo ».

Il dolore per la morte della moglie, attutì per Emanuele Filiberto il contento di essere finalmente reintegrato nell'intero possesso dei suoi Stati. Quantunque egli avesse sposato Margherita per riflessione, e non andasse esente da altre passioni amorose, erano vissuti insieme, mercè la di lei virtù, in tal corrispondenza di affetti e di stima, che egli fu riputato il più fedele e il più amorevole marito che allora si conoscesse.

Emanuele Filiberto pensò di attenuare il generale dolore decretando alla cara estinta solenni funerali, da lui stesso condotti, e presieduti da tre Arcivescovi e nove Vescovi. L'orazione funebre, veramente splendida, fu detta da Monsignor Giustiniani, Vescovo di Ginevra, ma il migliore elogio dell'estinta furono le [p. 193 modifica]lacrime degli astanti, lacrime che non si asciugarono col finire della funzione.

Il nome di Margherita fu a lungo invocato dal suo popolo, e la sua memoria benedetta in eterno.

Nelle medaglie che formano la storia metallica di Casa Savoia, Margherita di Valois vien detta Musarum parens et altrix.


  1. La notizia della vittoria di S. Quintino giunse in tempo a troncare la corsa sbrigliata delle armi francesi in Piemonte, ove il Conte della Trinità e il Conte di Luserna difendevano a grande stento Cuneo e Fossano.
         Carlo Manfredi, conte di Luserna, aveva sposato, nel 1528, Beatrice, figliuola di Gianfrancesco di Savoia, signore di Pancalieri e Cavorre. Siccome nella vita di Beatrice vi è un episodio che la fa degna delle donne illustri della sua Casa, cosi mi par giusto raccontarlo qui.
         Nell'occasione in cui il di lei marito, sotto le bandiere di Emanuele Filiberto, difendeva Cuneo contro Brissac, nel 1537, essa si fece un nome distinto. Ai replicati inviti di Brissac, che voleva evitarle i rischi della guerra, ricusò dì uscire dalla fortezza, anzi si vantò di volere essa medesima, unitamente alla marchesa di Ceva, difendere un bastione.
         Brissac, spiegando la più vile codardia, avendo sorpreso un bambino di lei presso una nutrice, lo fece portare al campo, minacciando di ucciderlo se Cuneo non si arrendeva. Ma Beatrice fu pronta a rispondere che l'amore del marito per lei, ne avrebbe fatti nascere degli altri, che, come quello, era disposta a sacrificare alla patria.
         Brissac forzò l'assedio per 57 giorni, e Cuneo tenne fermo, con gran vantaggio di Emanuele Filiberto, i cui possedimenti in Savoia erano rimasti bene esigui.
         Beatrice, amica dei poveri e dei buoni, fu celebrata dai poeti, e mori vecchissima nel 1602.
  2. Il Cibario dice che a Nizza, gli sposi sbarcarono e si trattennero solo qualche giorno, indi passarono a Vercelli, ove si stabilirono, fino che non fu loro dato di restituirsi a Torino.
  3. Il capitolo della pace, che riguardava il Piemonte, diceva: che la Francia restituisse al Duca di Savoia tutto quanto Francesco I aveva conquistato a Carlo III. E tempo tre anni a comporre le controversie circa certe provincie. Intanto il Duca andasse al possesso, e il Re di Francia rimanesse in occupazione delle piazze di Pinerolo, Torino, Chieri, Chivasso e Villanova d'Asti. Per contrappeso e guarentigia gli spagnuoli occupassero Asti e Vercelli. Si negoziò per tre anni senza nulla concludere, e allora convennesi in Fossano (agosto 1562) che i francesi sgombrassero da ogni dove, meno che, temporaneamente, da Pinerolo, Perosa e Savignano, e gli spagnuoli, alla loro volta, rimanessero in Asti e Santhià. Cosi durò per altri dodici anni.