Le idee di una donna/La donna scrittrice

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La donna scrittrice

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Il fanciullo Femminismo storico

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LA DONNA SCRITTRICE




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Or non è molto una bella fanciulla mi proponeva questo singolare dilemma: devo fare la scrittrice o devo studiare medicina?

Fare la scrittrice! ripeto ancora fra me. O cosa vuol dire ciò? Ma siccome anche una mamma venne apposta a trovarmi per dirmi che la sua figliola era passata senza esami e che aveva intenzione di fare la scrittrice; e lessi poi molti articoli dove seriamente si discute di tale argomento come di una carriera aperta alle donne, mi pare di dover dire qualche cosa in proposito; che se poco utile da’ miei consigli trarranno le donne, resterà almeno un documento di [p. 136 modifica]lunga esperienza e di osservazione schietta sopra un tema dove molti ragionano con fantasia superiore alla conoscenza.

Osservate intanto come la maggior parte delle donne prima di scrivere dice o pensa che vuol scrivere. Ora basta ciò per far comprendere che la ragione determinante non scaturisce in esse dall’interno come polla di acqua sorgiva, la quale esistendo per naturali combinazioni cerca la sua via d’uscita, ma è una ragione riflessa. Scrivono perchè vedono a scrivere, perchè si immaginano, orgogliose della lista ininterrotta di dieci che hanno loro procurato le scolastiche composizioni, che sia questa una occupazione piacevole, onorifica e proficua. Pur troppo anche molti uomini procedono così; senonchè quello che nell’uomo è eccezione per l’adattamento più diretto de’ suoi studi a una data carriera, si impone quasi alla mente coltivata della donna che vede nella letteratura una applicazione immediata e simpatica del suo ingegno; e per poco che [p. 137 modifica]la vanità vi soffi dentro o la speranza di guadagno, subito afferra per vocazione ciò che è niente altro che suggestione.

Badate che io non nego la possibilità nella donna di una vera vocazione. Dico appena che nelle attuali condizioni della nostra esistenza troppe cause premono intorno a quella che deve essere la causa unica e sopratutto preme il movimento femminista con finalità che, nulla avendo a vedere coll’arte, imbrogliano la questione di mille aggrovigliatissimi fili.

È desso che scaglia sul mercato tante donne scrittrici, le quali, tra il sezionare cadaveri o disegnare ponti, o misurar terreni o escogitare macchine o stillar pandette trovano che scrivere dei romanzi è più dilettevole.

Ed è per questo che la bella fanciulla di cui ho parlato, ondeggiando fra i nuovi ideali, mi domandava ingenuamente se dovesse fare la medichessa o la scrittrice, tanto era persuasa che i due termini si equivalgono. [p. 138 modifica]

Penna o bistouri non devono condurre alla stessa conclusione del guadagno? Ma forse colla penna ci si diverte di più.

Per quanto io abbia altre volte accennato a tale questione non l’ho forse sviscerata abbastanza. Mi pare che il momento sia giunto e con esso l’opportunità di fare quella specie di esame o di selezione che il maggiordomo della marchesa Travasa faceva ai preti nella “Nomina del cappellano„. Voglio scartare subito per non perdere tempo, e perchè francamente non ne valgono la pena, le candidate spinte alla letteratura dalla vanità, dall’ozio o dalla semplice imitazione; mettiamo pure nel numero anche quelle che vi si applicano come ad una nuova forma di flirt — che sono parecchie — e prendiamo direttamente a considerare lo scopo utilitario, il solo che abbia almeno apparenza di serietà. È stato osservato che la donna scrive più facilmente dell’uomo e ciò è vero se si considera l’abbondanza della sua corrispondenza; ma se vogliamo [p. 139 modifica]ricercare il perchè di cotale abbondanza, piuttosto che nella disposizione della mente non la troveremo forse nelle abitudini sedentarie e nel bisogno di sfogo sentimentale? Occorre tuttavia aver presente che altro è scrivere lettere ad amici ed altro volumi per il pubblico, appunto perchè il contenuto e non la forma fa il vero scrittore e si può imparare a scrivere bene, ma se non si ha nulla a dire, scrittori non si diventa. Ora, ammettendo pure senza restrizioni l’abilità dello scrivere, in qual modo si può da tale abilità ritrarre un guadagno?

In Inghilterra e in America molte donne trovano da collocarsi quali reporter o corrispondenti di giornali; ma oltre che ciò rassomiglia più ad un impiego che alla letteratura propriamente detta, non essendoci da noi L’uso converrà aspettare che questa fonte di guadagni si apra. Le fanciulle nostre cui sorride il miraggio della scrittrice (ahi! brutta parola e brutta cosa), è il volume che vagheggiano, il volume civettuolo [p. 140 modifica]affacciato alla vetrina del libraio, il volume che si compera, che si legge, che si loda, Che vola su tutte le bocche, in tutte le mani.... e che rende tesori: Versi, romanzo o novelle. Nello stesso modo che ho ammesso l’abilità dello scrivere, voglio ammettere che il volume prenda forma e si legga e si lodi; è il resto che nella realtà corre meno liscio, perchè i gabinetti di lettura offrono un volume solo a migliaia di lettori col tenue prezzo dell’abbonamento: due e cinquanta al mese: e la creatura eccezionale che lo compera, si affretta a prestarlo a tutte le conoscenze, le quali a lor volta hanno amici intimi a cui non par vero di compartire lo stesso favore dimodocchè la vendita alla resa dei conti è illusoria e il guadagno del pari.

- Ma c’è pur stato A. B.... — Dio mio, sì! l’eccezione, la solita, fatale eccezione: Di quanto mal fu matre il successo di un paio di volumi in dieci anni! Pensate; un paio di volumi in dieci anni; e saranno chi sa [p. 141 modifica]quanti scrittori! In Germania s’è fatto il calcolo; sono ventiduemila. Da noi poco ci mancherà. È serio parlare di guadagni sopra queste basi? La sola persona che disgraziatamente prende sul serio il guadagno degli scrittori in Italia è l’Esattore fiscale.

Non mai dunque è da consigliarsi l’occupazione dello scrivere novelle e romanzi a coloro che cercano un profitto materiale e veramente dannosi mi appaiono sotto questo rapporto i concorsi dei giornali che coll’esca di cinquanta o cento lire incitano a delinquere tanta onesta gente preparando delusioni e amarezze senza fiae. Nemmeno il più grande ingegno può essere sicuro di raggiungere il successo letterario nel pubblico, quel tal successo che frutta denari, perchè esso dipende da una quantità di cause anche momentanee, anche transitorie, anche ignote ed inafferrabili come è facile verificare esaminando il valore reale di certi successi; e come facendo una prova contraria, ma che guida alla medesima [p. 142 modifica]conclusione, si resta meravigliati trovando alle volte vere gemme preziose perdute sepolte ed inapprezzate in un libro che non ebbe fortuna.

Sfrondato così delle fallaci promesse che vi tesse intorno il desiderio, noi non ci occuperemo più del profitto materiale dello scrittore altro che per dichiarare essere quello della scrittrice più problematico ancora; e ciò non farà meraviglia riflettendo a quanto ho già dichiarato, vale a dire che pur ammettendo nella donna la possibilità di una vera vocazione letteraria, è duopo riconoscere che per mille cause interne ed esterne si presenta in proporzioni molto minori che non nell’uomo; più facile è quindi che si illudano in una falsa vocazione verso cui l’attuale movimento femminista spinge con tutti i miraggi di un nuovo ideale.

E veniamo a parlare della vocazione vera.

Chiunque leggendo un libro ben fatto, prova la singolare impressione di aver [p. 143 modifica]pensato egli stesso tutto quanto l’autore ha scritto. È questa la vittoria immediata dello scrittore sul lettore; è la presa di dominio delle anime, è la violenza del connubio che fa balbettare all’anima soggiogata la parola sublime del delirio amoroso: Io sono tu!

Ma non è che un delirio. Le anime, al pari delle umane spoglie, si incontrano, non si fondono, e cessato l’attimo misterioso ognuna di esse si riprende, ritorna sola. Tale fenomeno della psiche è, io credo, il punto di partenza per un volo di sogni e di sensazioni che i giovani facilmente possono scambiare per una divina chiamata.

Certamente i più esposti ad essere colpiti da codesta illusione sono quelli che hanno particolari disposizioni: mente aperta, immaginazione viva, sensibilità, scorrevolezza a maneggiare la penna. Sono i premiati nelle scuole, i vittoriosi nelle Accademie e nei Concorsi; sono le fanciulle che si dilettano a copiare le pagine dell’autore preferito e che hanno il tavolino pieno [p. 144 modifica]zeppo di composizioni; sono gli intellettuali, non v’ha dubbio; essi hanno quasi tutto per riuscire. Ma nel quasi sta racchiusa la loro condanna. Un filo impercettibile separa il dilettante dall’artista; non è più grosso di un capello, eppure siate certi che quel filo arresterà, paralizzandole, tutte le altre qualità. Una linea in spessore, in profondità un abisso.

Che cosa sia propriamente e in che cosa consista tale differenza nessuno ancora ha saputo misurare, come non si misura la forza di amare e di soffrire, temperature speciali dell’anima che sfuggono agli umani scandagli. Così a un dipresso si potrà forse dire che occorre all’artista ed al poeta una capacità di ricevere le impressioni doppia alla solita, perchè chi sente in misura normale esaurisce in misura normale ed è necessario a chi vuol rendere, cioè far sentire ad altri ciò che egli stesso ha sentito, una somma di ardore da lungo tempo immagazzinata, tale da essere sufficiente al [p. 145 modifica]nutrimento proprio ed a quello delle altre anime, ed inoltre una facoltà specialissima di rinnovarla quando si esaurisce.

Tutto ciò solamente per stabilire la vocazione, quanto a dire il terreno su cui edificare poi il paziente lavoro della educazione artistica.

Un vecchio maestro di poesia, Lamartine, ripensando ai primi sogni della giovinezza, si domandava:

Jamais l’éspoir des matelots
Couronna-t-il d’autant de roses
Le navire qu’on lance aux flots?

No, tutti i giardini dell’Ellade non basterebbero a fornire le ghirlande che la fantasia intreccia in quell’alba gioiosa di una anima che cerca la sua via e il pittore che dipinse L’imbarcazione a Citera non ha trovato colori più tenui, sorrisi più seducenti di quelli che abbelliscono i sogni del giovane poeta. Costa così poco lodare i primi passi di un fanciullo! Se si tratta di [p. 146 modifica]una donna la galanteria rende il complimento obbligatorio. E poi nessuno pensa che anderà molto lontano. Questa considerazione riesce perfino a spuntare la lingua acuminata dell’invidia.

Anche l’Editore per la prima volta, spinte o sponte si riesce a trovare; si trova l’articolino; si trova l’amico o l’amica che si interessa alla pubblicazione, che promette di farne vendere molte copie. È un po’ come quando dinanzi alla folla di una piazza si tenta di avvicinarsi alla prima fila; c’è sempre qualcuno che guardandoci con una cert’aria tra il dabbene e il melenso che pare voglia dire: “Anche lei qui!„ si scarta di un centimetro per lasciarci passare. Siamo ancora ai confini, non conoscono le nostre intenzioni. Ma se facciamo tanto di sforzare le file sempre più compatte quanto già ci avviciniamo al centro, sentiremo che gomitate, che pugni nelle reni, che resistenza granitica! È allora proprio che si riconoscono tutti fratelli, cioè tutti [p. 147 modifica]uguali nel difendere il possesso. Guai ai toraci tisicucci fra quelle strette! Non è il primo passo il più difficile quando si tratta di una lotta perpetua, la lotta di uno contro tutti, sempre rinnovati, sempre forti di fresche reclute.

Questo devono aver presente coloro che si accingono a diventare scrittori: uno contro tutti.

Possibile! — pensano gli ingenui.

Precisamente, amici miei. Il pubblico non sa che cosa farne dei libri nuovi; alla sua scarsa curiosità risponde il rigurgito delle biblioteche di tutto il mondo e un volume nuovo è accolto colla più profonda indifferenza tolto il caso che ragioni estranee all’arte vi abbiano creato intorno un po’ di chiasso. “Ma il chiasso noi lo faremo„ dice qualcuno. Anche questo non è facile come sembra. Lo scetticismo di editori, lettori e critici innalzerà una muraglia tra l’opera vostra ed il pubblico. È grazia se fra una dozzina di coloro che fanno la ronda alle [p. 148 modifica]vetrine dei librai uno si accorge della pubblicazione. “Ah! lei ha dato alla luce un nuovo parto del suo ingegno? Bravissimo mi rallegro. Volevo comperarlo, l’altro giorno, ma mio fratello lo porterà a casa dal Circolo e lo leggerò ugualmente. Sono tante le spese!„.

Allora vi raccomandate all’editore perchè faccia parlare i giornali. È bello il vostro libro; ci avete messo la parte migliore di voi stessi; quando lo avranno letto dovranno ammirarlo per forza! L’editore risponde che vende i libri che gli vengono chiesti e che ne mandò cento copie ai giornali. Cento copie! Ve ne partite confortati. Saranno cento persone intelligenti che lo leggeranno, cento cuori che batteranno all’unisono col vostro. Aspettate le critiche con trepidazione. Rade rade, corte corte, svogliate, ne appare qualcuna finalmente. Sono tutte su uno stampo. Il sedicente critico col gesto disinvolto del ciarlatano che si prepara a fare la frittata in un cappello, [p. 149 modifica]vi sbriga in fretta raccontando a suo modo e col suo stile ciò che avete scritto a modo vostro collo stile vostro e dimentica lo sciagurato! che i lavori di scorcio non riescono che ai grandi artisti.

Ecco qui - ei sembra dire - vi risparmio la fatica di leggere il libro: Luisa abbandona la casa paterna per farsi attrice. Incontra un ufficiale che le propone di sposarla. Ella lo ama ma non vuole; non si capisce il perchè. Si pente dopo, ma troppo tardi. Arte ed amore le mancano. Soggetto non nuovo come si vede. Lingua discreta ma con qualche francesismo.

Voi cascate dalle nuvole. Come! È questo il vostro lavoro? Luisa intanto non è il nome della protagonista; è quello di una sorella che il critico non nomina neppure e che deve essere il filo d’Arianna di tutto il romanzo. Così non si capisce nulla. E la grazia dei particolari? E la forza del dialogo? E la vita dei personaggi? E l’idealità del concetto informatore? Nulla nulla, nulla. [p. 150 modifica]Vi sentite soffocare, siete tentati di gridare: Al ladro! No, non è permesso manomettere così la roba degli altri. Piangete, o bestemmiate, o gridate, o ve ne ne state muti e frementi per l’indignazione, o chiedete sul serio: Perchè quel signore ha trattato tanto male il mio libro? — e vi sentite rispondere placidamente: Male? Non mi pare. Ha detto che la lingua è discreta. Capirà, con tutti i libri che ingombrano i tavolini di redazione il povero giornalista diventerebbe matto se dovesse leggerli.

Correte dall’amico o dall’amica che ha relazioni, che aveva promesso di occuparsi del vostro libro e trovate un volto preoccupato, una stretta di mano distratta e superficiale. Quante cose avvennero dal giorno della promessa! una rappresentazione della Duse, una toilette sciupata, il progetto di un viaggio, il principio o la fine di un amore... Il vostro libro? Ah! non avete più il coraggio di parlarne. Vi sentite solo, solo con esso, col vostro sogno, colla vostra [p. 151 modifica]illusione, colla vostra passione; solo nell'ampio mondo che non vi guarda, che non sì interessa affatto a ciò che avete scrìtto per lui, che non gli importa nulla dei vostri pensieri e delle vostre convinzioni; che lavora mangia, dorme, va a spasso, si diverte, si annoia, sta bene, sta male, lungi ben lungi da voi e dalle vostre fantasime. E vi abbattete intontito e grullo sulla vetrina dove il vostro libro giace nella immobilità tragica dei morti.

Di fronte a tali insuccessi la vocazione che era in fondo semplice suggestione ripiega presto le tende, ma si è perduto tempo, salute, qualche volta denaro, illusioni sempre. La vocazione vera si ostina. Disponendo di un capitale ancora lo mette tutto sulla posta; e novantanove volte su cento perderà dell’altro tempo, altra salute, altro denaro, altre illusioni. Poichè la proporzione della riuscita è di uno su cento (la fermo qui per non terrorizzare i neofiti ma in realtà è assai minore) duopo è che [p. 152 modifica]gli altri novantanove abbiamo sperato, lottato, lavorato invano. Non tutti è vero cadono mortalmente. Sulla lunga scala che guida alla fama noi vediamo ad ogni scalino corpi giacenti, chi in principio, chi a mezzo, chi sul punto di toccare la cima. Sono coloro a cui le forze vennero meno e pur senza abbandonare la scala si aggrapparono dove poterono in più o meno nobile positura, ma tutti sopra uno scalino, anzi molti scalini più in basso*di quanto avevano sognato, sentendo premere sui loro corpi piegati al suolo l’agile piede del conquistatore che li sorpassa.

“Ma se uno giunge alfine, perchè non sarei io?„ L’interruzione mi viene fatta da una soave voce femminile. Ebbene, sì, perchè non sareste voi? Vi prendo in parola signora. Ecco dunque che avete rinunciato alla speranza dei lauti guadagni, che avete visto in qual modo il pubblico accoglie le nuove pubblicazioni e sapete quanta fatica e quanta coscienza costa un libro sul quale [p. 153 modifica]il primo venuto può sputar sopra impunemente e sapete il calcolo che vi è permesso fare sull’aiuto degli amici, sulla solerzia degli editori, sull'intelligenza dei critici. Sono appassite le rose delle vostre ghirlande, tacciono i preludi allettatori delle lodi prodigate ai primi vostri passi; nessuno vi sorregge né vi incoraggia più; i benevoli che un tempo si occuparono delle cose vostre sono attirati altrove, poiché ogni giorno spunta un astro nuovo verso cui piega la momentanea attenzione e voi state per essere travolta irremissibilmente nella gran ruota del tempo...

Tutto il vostro essere si ribella, nevvero? Avete consacrato la vita all’opera vostra, le avete dato il sangue migliore delle vostre vene; quella divina giovinezza che per gli altri è tripudio e festa, fu per voi austera preparazione e fu tutta la vostra esistenza olocausto al culto del pensiero. Non la vanità vi mosse, non il contagio dell’esempio non la bramosia di lucro. Avete dovuto [p. 154 modifica]vincere voi stessa ed altri, sorpassare ostacoli, frangere barriere, prendere sentieri di traverso, per correre ad impugnare la penna che nelle vostre mani significava corruscamento di lama. Nevvero, nevvero? Voi sentite di essere artista, di essere poeta, e la gran fiamma che rugge nel vostro cuore vi fa sicura della vostra vocazione.

Povera donna! Appunto perchè il vostro ideale era alto non vi potete appagare di una mezza gloria guadagnata frusto a frusto. E’ la commozione universale che occorre al vostro sogno, è la conquista definitiva delle anime; e per giungere a ciò epurate ancora l’opera vostra, raccogliete tutte le voci del vostro cuore, date ali all’ingegno, avanti, sempre avanti. Non è vicina la meta? I giovani, coloro che stanno tastando i primi scalini, vedendovi tanto innanzi, non immaginano neppure con quali sforzi di equilibrio state ritta e non sentono la furia del vento che romba a quelle altezze. Dicono: quella è [p. 155 modifica]arrivata! Ma voi chiudete gli occhi nel terrore dell’abisso che vi sta sotto, e fatta pura nelle vostre lagrime, affrontate con ardore l’ultima scalata. Povera donna! E’ qui che vi aspetta la lotta corpo a corpo.

Coloro che salirono insieme a voi, sperando, amando, lavorando come voi avete fatto e che ancora non giunsero, eccoli schierati sui vostri passi. Essi vi attendono, appostati come banditi in agguato, sul piccolo scaglione che poterono conquistare. Come voi hanno l’amarezza dei patiti disinganni, perchè essi furono al pari di voi buoni e fidenti e credettero nel loro sogno. Ed ora non credono più. La loro opera, la loro opera d’amore, giace dimenticata. Essi scrìvono ora come non avrebbero voluto scrivere mai, per necessità di logica, perchè hanno sdegnato le altre vie e devono percorrere questa fino in fondo, incatenati e schiavi del loro ideale ch’essi volevano vincere e che li ha vinti. Guardateli bene, sono i vostri peggiori nemici! Forse, con [p. 156 modifica]stupore, riconoscerete volti lontanamente noti, mani che un tempo si erano tese fraternamente a voi, quando essi avevano la generosità della giovinezza che si sente ricca e che dà. Ma quei tempi sono passati e la vostra stessa qualità di donna che allora facilitava la dispensa della lode, inasprisce i loro disinganni. Ognuno di essi era ben disposto a festeggiare la scrittrice quando nel suo interno la considerava come un leggiadro puppazzetto del suo medesimo sogno, inoffensivo, divertente, forse utile. Ma è tutt’altra cosa se la donna diviene una rivale nella concorrenza. Vi ricordate il papato di prete Pero? — Questo è un papa che ci crede. — È un papaccio in buona fede. — Diamogli l’arsenico.

Al punto in cui la lotta si impegna seriamente la differenza del sesso è cagione di astio maggiore. È allora che la scrittrice si sente straniera in mezzo a quegli uomini inaspriti che hanno gettato la maschera della galanteria, ripresi dalla atavica [p. 157 modifica]brutalità dell’animale in guerra. È il momento supremo. Se le forze, signora, vi hanno sorretta fin qui; se l’umiliazione, il dolore, lo scoramento, lo scetticismo, l’odio, non vi abbatterono sul fatale gradino dal quale nessuno si alza più, resisterete ai colpi dei vostri fratelli? Pensate di quante umiliazioni, di quanto dolore, di quanto scoramento, di quanto scetticismo, di quanto odio furono essi stessi abbeverati prima di snaturare nei lividi conati dell’invidia l’ingegno che mirava ad alte cose - e quando una fanciulla verrà a chiedervi se deve fare la scrittrice, penso le chiederete almeno se nella sua vocazione ha contemplato la possibilità del martirio.

Tutto ciò che dissi fin qui si rivolge alle donne che pensano sul serio a divenire scrittrici. Per le altre, per le dilettanti, la via è larga e se esse si accontentano dei successi da salotto e di un paio di talleri per i loro guanti non c’è nulla a dire. Solamente è accendere ben molte girandole per [p. 158 modifica]ottenere un lumino da cercar lumache. Quando la gloria e il guadagno debbono restare così lontani, non val meglio rinunciare ad una impresa dove si sciupano invano tante energie che troverebbero migliore impiego altrove? Questo io dico alle donne seriamente, onestamente, persuasa di fare a qualcuna un momentaneo dispiacere, e me ne duole, ma più persuasa ancora di evitare loro rancori e disinganni.

A scrivere per sè ogni donna intelligente riesce a meraviglia. Scrivere per il pubblico invece è tutt’altra cosa ed è cosa difficilissima, che non si insegna e non si impara, ed anche quando la si sa è traditrice sirena che troppe volte trascina a naufragare fin sotto i fanali del porto. Guardiamo quante signore recitando in casa propria per i loro amici, o altrove in serate di beneficenza ci meravigliano per la grazia, l’efficacia, il calore della loro recitazione; ci sembra che esse non avrebbero da far altro che salire i gradini di un vero [p. 159 modifica]palcoscenico per essere pareggiate alle attrici più in voga. Ma ci inganniamo. Portate fuori dal loro ambiente, dal circolo ossequioso che le sorregge, dalla libertà e dalla limitazione della loro parte, dall’eccitamento momentaneo, dalla sicurezza che qualunque cosa accada non rischiano nulla in quella posta e che resteranno anche dopo le signore di prima; cambiati tutti gli accessori, e il lavoro, e il pubblico e lo scopo, vorrei vedere quante di loro si salverebbero!

C’è una ragione brutale che, ove non ve ne fossero cento altre, basterebbe a creare la differenza tra il dilettantismo e la professione d’arte; la ragione del denaro. Quel denaro a cui mirate con tanta ansia, credete che il pubblico se lo lasci levar di tasca senza una terribile lotta? Pensate che il pubblico quando ha pagato diventa dispotico e quando non è contento, feroce addirittura. Tutte le scuse che salvano il dilettante, non valgono per l’artista; si può [p. 160 modifica]compatire il primo, ma per gli errori del secondo non vi sono che fischi.

Ah! se non sapete, se non intuite cosa vuol dire trovarsi soli dinanzi alla massa del pubblico che non conoscete, fra cui sono indifferenti, distratti, idioti, maligni, invidiosi, vanitosi e appena qua e là, lontana e isolata, qualche rara anima che vi ascolta con simpatia, che non può parlarvi e che voi cercate disperatamente coll’ardore del vostro desiderio; se non sapete, se non intendete la dolorosità del distacco di quella parte di voi stessi che va a fecondare gli altri sollevandoli un istante dal torpore in cui vivono, e quanto del vostro sangue dei vostri nervi, del vostro cerebro dovete dare per giungere fino ad essi, per scuoterli per infiammarli, per farli palpitare insieme a voi; se non sapete, se non intuite in mezzo alla vostra grande passione l’oltraggio di un sorriso ironico, il susurro agghiacciato dalla disapprovazione... e il vuoto della folla che si ritrae, mentre un sibilo [p. 161 modifica]viperino vi sferza il volto... ah! se non capite, se non intuite questo strazio e non siete preparati ad affrontarlo con reni di bronzo, con muscoli d’acciaio pronti al rimbalzo, non illudetevi neppure di poter strappare al pubblico quel grido di belva domata che solo segnerà la vostra vittoria.