Le lettere di S. Caterina da Siena e di alcuni suoi discepoli
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LE LETTERE
DI
S. CATERINA DA SIENA
RIDOTTE A MIGLIOR LEZIONE, E IN ORDINE NUOVO DISPOSTE
CON NOTE
DI
NICCOLÒ TOMMASEO
A CURA
DI
PIERO MISCIATTELLI
Volume II.
Terza Edizione
SIENA
LIBRERIA EDITRICE
GIUNTINI BENTIVOGLIO & C.°
1922
LETTERE
DI
SANTA CATERINA DA SIENA
LETTERE
DI
SANTA CATERINA DA SIENA
LXXII. — A Romano Linaiuolo alla Compagnia del Bigallo1 in Firenze.
Segna il proposito fatto di darsi a Dio. Le ispirazioni sono mezzo che c’invitano a nozze d’amore, e ci porgono la veste nuziale: ma a prenderla richiedesi amore. Non ti volgere a guardare l’aratro. Obbedienza è vomere che rompe la durezza della volontà, ne sterpa le male erbe, e prepara il terreno.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vederti che tu non volla il capo addietro a mirare l’aratro, ma perseverante nella virtù; perocché tu sai che sola la perseveranzia è quella cosa che è coronata. Tu se’ chiamato e invitato2 da Cristo alle nozze di vita eterna: ma non vi dee andare chi non è vestito. Vuoisi adunque esser vestito del vestimento nuziale, acciò che non sia cacciato dalle nozze, come servo iniquo. Farmi che la prima dolce Verità t’abbia mandati i messi ad annunziare le nozze, e a recarti il vestimento: e questi messi sono le sante e buone spirazioni3 e dolci desiderii che ti sono dati dalla clemenzia dello Spirito Santo. Queste sono quelle sante cogitazioni che ti fanno fuggire il vizio e spregiare il mondo con tutte le delizie sue, e fannoti giungere alle nozze delle vere e reali4 virtù. Vestesi l’anima d’amore, col quale amore entra alla vita durabile. Sicché vedi che le spirazioni sante di Dio ti recano il vestimento della virtù, fannotelo amare (e però ti vesti);5 ed invitati alle nozze di vita eterna. Perocché dopo il vestimento della virtù e della ardentissima carità séguita la Grazia, e dopo la Grazia la visione di Dio, dove sta la nostra beatitudine.
E però io ti prego per l’amore di Cristo crocifisso che tu risponda virilmente senza negligenzia. Pensa che non è niente il cominciare e il metter mano all’aratro, come detto è. I santi pensieri sono quelli che cominciano ad arare, e la perseveranzia delle virtù finisce. Colui che ara, rivolta la terra: così lo Spirito Santo rivolta la terra della perversa volontà sensitiva. E spesse volte l’uomo innamorato di sì dolce invito e reale vestimento, per fender meglio la terra sua, cerca se trovasi un vomere bene tagliente per poterla meglio rivoltare: e vede e trova 6 che neuno ne trova sì perfetto a rompere e tagliare e divellere 7 la nostra volontà qui, 8 quanto il ferro e il giogo della santa obbedienzia. E poiché l’ha trovato, impara dall’obbediente Verbo Figliuolo di Dio; e per lo suo amore vuol essere obbediente infìno alla morte. E non ci fa punto resistenza. E egli fa come savio, che vuole navigare colle braccia d’altrui, cioè dell’Ordine, e non sopra le sue.
Ricordomi, che tu con santo desiderio e proponimento ti partisti da me, di voler rispondere a Dio che ti chiamava, e di volere essere alla santa obbedienzia. Non so come tu tel fai. Pregoti che quello che non è fatto, che tu 'l facci bene e diligentemente con buona sollecitudine; e sappiatene spacciare e tagliare dal mondo. E non aspettare tempo, che tu non sei sicuro d’averlo. Grande stoltizia e mattezza è dell’uomo che egli perda quello che ha per quello che non ha. Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso, nasconditi nel costato suo, nel quale vederai il segreto del cuore. Mostra la prima dolce verità che l’operazione sua fatta in noi è fatta con amore di cuore; e tu con amore gli rispondi. Egli è il dolce Dio nostro che non vuole altro che amore. E colui che ama, non offenderà mai la cosa amata. Orsù, figliuolo mio, non dormire più nel sonno della negligenzia. Vattene tosto al tuo padre messer l’abbate con volontà morta e non viva: 9 chè se tu andassi con volontà viva, direi che tu non vi mettessi piede; chè non si farebbe10 né per te né per lui. Spero per la bontà di Dio, che tu seguiterai le vestigio di Cristo crocifisso. E non ti porre a sciogliere e’ legami del mondo, ma tira fuori il coltello dell’odio e dell’amore, e taglia spacciatamente. Altro non dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.
LXXIII. — A Suora Costanza Monaca del Monasterio di San Abundio appresso Siena11.
L’amore ci dia la speranza. L’umile conoscimento di se non sia diffidenza di Dio, della cui bontà la coscienza ci è documento. Allegorie nuove del bagno e del letto.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, lo Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te, e confortoti nel prezioso sangue suo;
con desiderio di vederti bagnata e annegata nel prezioso
sangue del Figliuolo di Dio. Considerando me, che nella memoria del sangue si trova il fuoco dell’ardentissima carità, nella carità non cade tristizia nè confusione: e però io voglio che l’affetto tuo sia posto nel sangue. Ine t’inebria e ardi e consuma ogni amore proprio che fusse in te: sicché col fuoco d’esso amore spenga il fuoco del timore e amor proprio di te.
Perchè si trova il fuoco nel sangue? perchè il sangue fu sparto con ardentissimo fuoco d’amore. O glorioso e prezioso sangue, tu se’ fatto a noi bagno, e unguento posto sopra le ferite nostre. Veramente, figliuola mia, egli è bagno; che nel bagno tu trovi il caldo e l’acqua, e il luogo dove egli sta 12. Così ti dico che in questo glorioso bagno tu ci trovi il caldo della divina carità, che per amore l’ha dato; trovi il luogo, cioè Dio eterno, dove è il Verbo; ed era 13 nel principio; trovi l’acqua nel sangue, cioè che del sangue esce l’acqua della Grazia: ed evvi il muro che vela l’occhio14. O mabile dolcissima carità, che tu hai preso il muro della nostra umanità, la quale ha ricoperto la somma ed eterna ed alta Deità, Dio-e-uomo! Ed è tanto perfetta questa unione che né per morte né per veruna cosa si può separare. E però si trova tanto diletto e refrigerio e consolazione nel sangue. Che nel sangue si trova il fuoco della divina carità e la virtù della somma, alta ed eterna deità15. Sai che per virtù della Divina Essenzia vale il sangue dell’Agnello. Sappi16 che se fusse stato puro uomo senza Dio, non voleva il sangue; ma per l’unione che fece Dio nell’uomo, accettò il sacrifizio del sangue suo.
Bene è adunque glorioso questo sangue; è uno unguento odorifero che spegne la puzza della nostra iniquità. Egli é uno lume che tolle la tenebra, e non tanto la tenebra grossa, di fuora 17 del peccato mortale, ma la tenebra della disordinata confusione, che viene spesse volte nell’anima sotto colore e specie d’una stolta umilità. La confusione, intende18, quando le cogitazioni vengono nel cuore, dicendo: «Cosa che tu facci, non è piacevole né accetta a Dio: tu se’ in stato di dannazione». A mano a mano, poiché egli ha data la confusione, l’infonde>19, e mostragli la via colorata col colore dell’umilità, dicendo: «Vedi che per li tuoi peccati non se’ degna di molte grazie e doni;» e così si ritrae spesse volte dalla comunione e dagli altri doni ed esercizi spirituali. Questo si é l’inganno e la tenebra che il dimonio fa. Dico che se tu, o a cui toccasse, sarai annegata nel sangue dello Agnello immacolato, che queste illusioni non albergheranno in te. Che, poniamochè elle, venissero, non vi permarranno dentro; anco, saranno cacciate dalla viva fede e speranza, la quale ha posta in questo sangue. Fassene beffe, e dice: «per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, che è in me, che mi conforta. E se pure io dovessi aver l’inferno, io non voglio però perdere l’esercizio mio». Grande stoltizia sarebbe a farsi degno della confusione dello inferno, prima che venisse il tempo.
Or ti leva con un fuoco d’amore, carissima figliuola: e non ti confondere; ma rispondi a te medesima, e di’: «Or che comparazione è dalla mia iniquità alla abondanzia del sangue sparto con tanto fuoco d’amore?» Io voglio bene che tu vegga, te non essere, e la tua negligenzia e ignoranzia tua: ma non voglio che tu la vegga per tenebre di confusione, ma con lume dell’infinita bontà di Dio, la quale tu trovi in te. Sappi che il dimonio non vorrebbe altro, se non che tu ti recassi solo a cognoscimento delle miserie tue, senza altro condimento. Ma egli vuole essere condito col condimento della speranza nella misericordia di Dio.
Sai come ti conviene fare? come quando tu entri in cella la notte per andare a dormire: la prima andata sì 20 trovi la cella, e dentro vedi che v’è il letto: là prima, vedi che t’è necessaria; e questo non fai solo per la cella, ma volli l’occhio e l’affetto al letto, ove tu trovi il riposo. Così de’ tu fare: giugnere all’abitazione della cella del gnoscimento di te; nella quale io voglio che tu apra l'occhio del cognoscimento con affettuoso amore: trapassi nella cella, e vattene a letto, nel quale letto è la dolce bontà di Dio che trovi in te, cella.21 ' Bene vedi tu che l'essere tuo t'è dato per grazia, e non per debito. Vedi, figliuola, che questo letto è coperto d'uno copertoio vermiglio tutto nel sangue dello svenato e consumato Agnello. Or qui ti riposa, e non ti partire mai. Vedi che non hai cella senza letto, nè letto senza cella; ingrassi l'anima tua in questa bontà di Dio, perocchè ella può ingrassare. Che in questo letto sta il cibo, la mensa, il servitore. Il Padre t'è mensa, il Figliuolo t'è cibo, lo Spirito Santo ti serve, e esso Spirito Santo fa letto di sè. 22 Sappi che se tu volessi pure stare a vedere te medesima con grande confusione, perchè 23 tu vedessi la mensa, il letto apparecchiato, e in esso cognoscimento nol participeresti, nè riceveresti il frutto della pace e quiete sua; ma rimarresti senza, e sterile senza neuno frutto. Adunque io ti prego per l'amore di Cristo crocifisso, che tu permanga in questo dolce e glorioso letto di riposo. Son certa che se tu t'annegherai nel sangue, che tu il farai.
E però dissi ch'io desideravo di vederti gnata e annegata vel sangue del Figliuolo di Dio. Non dico più. Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Ponti in su la croce con Cristo crocifisso; nasconditi nelle piaghe di Cristo crocifisso. Seguitalo per la via della croce: conformati con Cristo crocifisso; dilettati degli obbrobrii, pene, strazii, tormenti, scherni e villanie per l’amore di Cristo crocifisso; sostenendo infino all’ultimo della vita tua, gustando sempre il sangue che versa giù per la croce. Gesù dolce. Gesù amore.
LXXIV. — A Frate Niccolò da Monte Alcino 24 dell’Ordine de’ Frati Predicatori.
La croce è scala. Da’ piedi il primo affetto del bene, giacché l’affetto è i piedi dell’anima: nel costato il segreto dell’amore; alla bocca il bacio della pace. Ambasciate di sagrifizio.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
A voi, dilettissimo e carissimo figliuolo mio in Cristo Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi posto in su la mensa della santissima croce, dove si trova l’Agnello immacolato che s’è fatto a noi cibo, mensa e servitore. Considerando me che d’altro cibo non si può dilettare né saziare l’anima, dico che ci conviene andare per la 25 via: egli è essa via. Qual fu la via sua? fu quello che egli mangiò in essa via; pene, obbrobrii, e strazii, villanie, e infino 26 l’obbrobriosa morte della croce. Convienci salire, poiché siamo giunti all’obietto nostro. Veramente così fa l’anima, poiché ha veduta la via che ha fatta il Maestro suo. Oh che é a vedere tanto consumato amore, che di sé medesimo, cioè del corpo suo, ha fatto scala per levarci della via delle pene; e ponerci in riposo! O figliuolo carissimo, chi dubita che nel principio della via gli pare fadigoso; 27 ma poich’eli è giunto a’ piei dell’ affetto, dell’odio e dell’amore, 28 ogni cosa amara gli doventa dolce. Sicché il primo scalone 29 nel corpo di Cristo sono i piei. Questa fu la regola ch’egli insegnò una volta a una sua serva, dicendo: «Lèvati su, figliuola, lèvati sopra di te, e sali in me. E acciocché tu possa salire, io t’ho fatta la scala, essendo chiavellato in croce. Fa', che prima tu sagli a’ piei, cioè l’affetto e il desiderio tuo; perocché come i piei portano il corpo così l’affetto porta l'anima. A questo primo, cognoscerai te medesima. Poi giugnerai al lato del costato aperto, per la quale apritura ti mostro il segreto mio: che quello che io ho fatto, ho fatto per amore cordiale. Ine si inebria l’anima tua 30». In tanta pace gusterete Dioe-uomo. Ine si troverà il caldo della divina carità: cognoscerete la infinita bontà di Dio. Poiché abbiamo cognosciuto noi e cognosciuto la bontà sua, e noi giugneremo alla pace 31 della bocca. Ine gusta tanta pace e quiete, che, come cosa levata in alto, neuna amaritudine che vegna, gli può aggiugnere. Egli è quello letto pacifico dove si riposa l’anima. E però dissi ch’io desideravo di vedervi posto in su la mensa della santissima croce.
Orsù, figliuolo, non stiamo piìi in negligenzia; che il tempo de’ fiori 32 ne viene. Abbiate buona sollecitudine delle pecorelle vostre. Fate che, se l’obbedienzia non ve ne manda, che voi non vi partiate. Dite a coteste donne che si riposino in su la croce collo sposo loro Cristo crocifisso. Dite a Frate Giovanni che si sveni 33 e aprasi in su la croce per Cristo. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.
LXXV. — Al Monasterio di San Gaggio in Firenze, e alla Badessa e Monache del Monasterio, che è in Monte Sansovino.34
Non è povertà degna ne obbedienza senza umiltà e senza carità. Ascendesi all’umiltà per l’affetto. Quella sola è pena davvero che non è consolata d’affetto. Le ascensioni faticose conducono a pace. Morte di Monna Nera, da consolarsene perchè salita alla pace. Le idee in questa lettera, e anco le digressioni, sono congiunte insieme da un filo delicato, ma sodo.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissima madre e figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con derio di vedervi nascose e serrate nel costato di Cristo crocifisso; perocché altrimenti non varrebbe l'essere serrato dentro delle mura, ma più tosto sarebbe a giudizio. 35 E però come il corpo è rinchiuso, così vuole essere chiuso e serrato l’affetto e il desiderio vostro, levato dallo stato e dalle delizie del mondo, e seguitare lo sposo Cristo dolce Gesù. Non dubito che se sarete amatrici dello sposo Eterno, voi seguiterete le vestigie d’esso sposo. E sapete quale fu la vita di questo sposo? Povertà volontaria, obedienzia. Per umilità la somma altezza discese alla bassezza della natura umana; e per umilità e amore ineffabile che Egli ebbe a noi, si diè l'umanità sua all’obbrobriosa morte della croce, eleggendo la via de’ tormenti, de’ flagelli, strazii e vituperii. Or questa umilità dovete seguitare: e sappiate che essa non si può avere se non con perfetto e vero cognoscimento di sé, ed in vedere la profonda umilità e mansuetudine dell’Agnello svenato con tanto fuoco d’amore. Dico che egli seguitò la via della vera povertà; onde Egli fu tanto povero che non ebbe dove riposare il capo suo; e nella sua natività. Maria dolce appena ebbe tanto pannicello che ella potesse invollere il Figliuolo suo. E però voi, spose, dovete seguitare la via di quella povertà. E così sapete che voi avete promesso 36 e io così vi prego per amor di Cristo crocifisso. che osserviate infino alla morte; perocché altrimenti non sareste spose, ma sareste come adultere, amando alcuna cosa fuora di Dio. Che in tanto è detta adultera la sposa, in quanto ella ama un altro più che lo sposo. E 37 quale è il segno dell’amore? che ella sia obediente a lui. E però dopo la povertà e umilità, seguita l’obedienzia. Che quanto la sposa è più povera per spirito 38 volontariamente, e più ha renunziata alla ricchezza e stati del mondo; tanto più è umile; e quanto più è umile, tanto più è obediente. Perocché 'l superbo non è mai obediente, però che la sua superbia non si vuole inchinare a essere suddito né soggetto 39 a neuna creatura. Voglio dunque che siate umili, e che voi spogliate 40 il cuore e l’affetto infine alla morte. Voi, abadessa, obediente all’Ordine; e voi suddite, obedientiall’Ordine, e alla abadessa vostra.
Imparate, imparate dallo Sposo Eterno, dolce e buono Gesù, che fu obediente infino 41 alla morte. Sapete che senza obedienzia voi non potreste participare il sangue dell’Agnello. Ora che é la Religiosa senza il giogo dell’obedienzia? È morta; e drittamente è uno dimonio incarnato. Non è osservatrice dell’Ordine, ma trapassatrice dell’Ordine. Ella è condotta nel bando 42 della morte, avendo trapassati i comandamenti santi di Dio: e oltre ai comandamenti, ha trapassata 43 la promissione e il voto 44 che ella fece nella Professione. O dilettissime suore e figliuole in Cristo dolce Gesù, io non voglio che caggiate in questo inconveniente: ma voglio che siate sollecite, e non trapassarla d’uno punto. Volete voi dilettarvi dello sposo vostro? Or uccidete la vostra perversa volontà, e non ribellate mai alla vera obedienzia. Sapete che il vero obediente non va mai investigando la volontà del prelato suo, ma subito china il capo, e mandala in 45 effetto. Innamoratevi dunque di questa vera, e reale virtù. Volete voi avere pace e quiete? tolletevi la volontà; perocché ogni pena procede dalla propria volontà. Vestitevi dunque della dolce ed eterna volontà di Dio; e a questo modo gusterete vita eterna, e sarete chiamati 46 angeli terrestri in questa vita.
Confortatevi con la prima dolce Verità. Ma a questo non potreste mai venire, se non aprite l’occhio del cognoscimento a riguardare il fuoco della divina carità, la quale Dio ha adoperata nella sua creatura razionale. Pensate, madre e figliuole, che voi sete obbligate più che molte altre creature, in quanto Dio oltre a quello amore ch’Egli ha donato alla creatura, Egli ha donato più a voi in particolare, traendovi dalla bruttura e dalla tenebrosa vita fetida, piena di puzza e di vituperio, e avvi collocate ed elette per sé. E però nou dovete mai essere negligenti; ma cercare tutte quelle cose, luoghi e modi, per li quali più potete piacere a lui. E se voi mi diceste: «quale è la via?» dicovelo: è quella che fece Egli, cioè la via degli obbrobrii, pene, tormenti e flagelli. E con che modo? col modo della vera umilità e dell’ ardentissima carità; amore ineffabile, col quale amore si renunzia alle ricchezze e stati del mondo. E dall’umilità viene all’obedienza, come detto è. Alla quale obedienzia seguita la pace: perocché la obedienzia tolle ogni pena, e dà ogni diletto; però che é tolta via la volontà che dà pena drittamente. 47
Acciocché ella possa salire a questa perfezione, il nostro Salvatore ha fatto del corpo suo scala, e su v’ha fatti gli scaloni. Se ragguardate i piei, essi sono confitti e chiavellati in croce, posti per lo primo scalone; perocché in prima dee essere l’affetto dell’anima spogliato d’ogni volontà propria. Perocché come i piei portano el corpo, così l’affetto porta l’anima. Sappiate che l’anima giammai non ha alcuna virtù se non sale questo primo scalone. Salito che tu l'hai, giugni alla vera e profonda umiltà. 48 Ma sagli poi all’alto, e non tardare 49 più: e ciò fatto, e tu giugni al costato aperto del Figliuolo di Dio; e ine troverete il fuoco l’abisso della divina carità. In questo scalone del costato aperto vi troverete una bottega 50 piena di specie odorifere. 51 Ine troverete Dio-ed-Uomo; ine si sazia ed inebria l’anima per sì fatto modo che non vede sé medesima. Siccome l’ebbro inebbriato di vino, così l’anima allora non può vedere altro che sangue sparto con tanto fuoco d’amore. Onde allora si leva con ardentissimo desiderio, e giugno all’altro scalone, cioè alla bocca, e ine si riposa in pace e in quiete, e gustavi la pace dell’obbedienzia. E fa come l’uomo che è bene inebbriato; che quando è bene pieno, si dà a dormire; e quando dorme, non sente prosperità nè avversità. Così la sposa di Cristo piena d’amore s’addormenta nella pace dello Sposo suo. Addormentati sono i sentimenti suoi; perocché, se tutte le tribolazioni venissero sopra di lei, punto non se ne cura; se ella è in prosperità del mondo, non la sente per diletto disordinato, perocché già se ne spogliò per lo primo 52 affetto. Or questo è il luogo dove ella si trova conformata con l’unione di Cristo crocifisso.
Correte adunque virilmente, poiché avete la via, il luogo, dove potete trovare il letto nel quale vi riposiate, e la mensa dove prendiate diletto, e il cibo del quale vi saziate; perocché egli è fatto a noi mensa, cibo e servitore. Assai sareste degne di reprensione, se per vostra negligenzia non cercaste il riposo, e, come stolte, vi dilungaste dal cibo. Voglio dunque, e così vi prego da parte di Cristo crocifisso, che voi vi riscaldiate e bagniate nel sangue di Cristo crocifisso. E acciocché siate fatte una cosa con lui, non schifate fadiga, ma dilettatevi in esse fadighe; perocché la fadiga è poca, e il frutto grande. Non dico più a questo.
Parmi che la vostra carissima madre e mia, monna Nera 53 sia posta alla mensa della vita durabile, dove si gusta il cibo della vita, e ha trovato l'Agnello immacolato per frutto. 54 Che, come di sopra dissi ch’egli era mensa e cibo e servitore, così dico che ella, come vera sposa di Cristo crocifìsso, ha trovato il Padre eterno, che gli é mensa e letto, perocché nel Padre Eterno trova a pieno tutta la sua necessità. In ciò, 55 carissime, che l’uomo s’affadiga, o partesi dall’uno luogo all’altro, si è per dare il cibo, e ’l vestimento alla creatura, e luogo di riposo. Dico dunque che ella ha trovata la somma ed eterna bontà di Dio eterno, d’onde non bisogna che l’anima si parta per verune di queste cose, 56 e andare in diversi luoghi; perocché quello è luogo fermo e stabile, dove "si trova il letto, per riposo, della somma ed eterna deità. Il Padre è mensa, il Figliuolo è cibo: che per mezzo del Verbo incarnato del Figliuolo di Dio giungiamo tutti, se vogliamo, a porto di salute. Lo Spirito Santo la serve. Perocché per amore il Padre ci donò questo cibo del suo Figliuolo, e per amore il Figliuolo ci donò la vita, e a sé die la morte; sicché con la morte sua partici paramo la vita durabile. Noi che siamo peregrini e viandanti in questa vita, riceviamo questo frutto imperfettamente; ma ella l’ha ricevuto perfettissimamente, e non è veruna cosa che il possa torre. Voi dunque, come vere figliuole, dovete esser contente del bene e dell’utilità della vostra madre; e però dovete stare in vera e santa pazienzia sì per rispetto di Colui che l’ha fatto, di tollero la presenzia sua d’inanzi a voi, che non dovete scordare dall’eterna volontà di Dio; e sì per la propria sua utilità, che è uscita di fadiga e di molta pena, nella quale è stata, già è molto tempo; e è ita a luogo di riposo. Ma voi, come vere figliuole, vi prego che seguitiate le vestigio e la dottrina sua, ed i santi costumi, nei quali ella vi ha notricate. E non temete perchè vi paia essere rimase orfane, come pecore senza pastore: perocché non sarete rimase orfane, perchè Dio vi provederà, e le sue sante e buone orazioni, le quali ella offera nel cospetto di Dio per voi. Evvi rimasa monna Ghita. Pregovi che voi gli siate obbedienti in tutte quelle cose che sono ordinate secondo Dio e la santa religione. E voi prego, monna Ghita, quanto io so e posso, che abbiate buona cura di cotesta famiglia, in conservarla, e accrescere 57 in buona operazione. E non ci commettete negligenzia; perocché vi sarebbe richiesto da Dio. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.
Perseveranza. Più fatica costa il male, di cui facciamo noi martiri. Non s’inganni la coscienza propria sotto colore di libertà o di pietà per fuggire l’obbedienza promessa o la solitudine.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi costante, perseverante 59 alla virtù; acciocché non volliate il capo in dietro a mirare l’arato; ma con perseveranzia seguitare la via della verità. Perocché la perseveranzia è quella cosa che è coronata; e senza la perseveranzia non potremo essere piacevoli né accetti a Dio. 60 Ella è quella virtù che porta, con l’abbondanzia della carità, il frutto d’ogni nostra fadiga dentro nell’anima nostra. Oh quanto é beata l’anima che corre e consuma la vita sua in vera e santa virtù! perocché in questa vita gusta l’arra di vita eterna. Ma non potremo giugnere a questa perfezione senza il molto sostenere; perocché questa vita non passa senza fadiga: e chi volesse fuggire la fadiga, fuggirebbe il frutto, e non avrebbe però fuggita la fadiga; perocché portare ce la conviene in qualunque stato noi siamo. È vero che elleno si portano con merito e senza merito, secondoché la volontà é ordinata secondo Dio. E gli uomini del mondo, perché il loro principio dell’affetto e dell’amore è corrotto, ogni loro operazione è guasta e corrotta: onde costoro portano le fadighe senza alcuno merito. Quante sono le fadighe e le pene che essi sostengono in servizio del dimonio! che spesse volte per commettere il peccato mortale sostengono molte pene, e mettonsene alla morte del corpo loro. Questi cotali sono i martiri del dimonio e figliuoli delle tenebre; e insegnano a’ figliuoli della luce, e dannoci grande materia di vergogna e di confusione dinanzi a Dio. O figliuolo carissimo, quanta ignoranzia e miseria è la nostra, a parerci tanto duro e incomportabile a sostenere per Cristo crocifisso, e per avere la vita della Grazia; e non pare malagevole agli uomini del mondo a sostenere pena in servizio del dimonio! Tutto questo procede, perchè noi non siamo fondati in verità, e con vero cognoscimento di noi, e non siamo posti sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù. Perocché chi non cognosce sé, non può cognoscere Dio; e non cognoscendo Dio, non 61 può amare; non amandolo, non viene a perfetta carità, né ad odio di sé medesimo. Il quale odio fa portare con vera pazienzia ogni pena, fadiga e tribolazione dagli uomini e dal dimonio. Perocché alcuna volta siamo perseguitati dagli uomini con ingiurie, con parole e con fatti (e questo permette Dio, perchè sia provata in noi la virtù); e alcuna volta dalle dimonia con molte e diverse cogitazioni, per farci privare della Grazia, e per condurci nella morte. Le battaglie sono diverse: onde alcuna volta ci tenterà centra il prelato nostro, facendoci parere indi screte le obedieuzie imposte da lui: e così si concepe uno dispiacimento verso di loro e dell’ordine nostro. E questo 62 fa per privarci dell’obedienzia. E entrando il dimonio per questa porta della disobedienzia, non ce ne avvedremo, 63 che ci trarebbe fuore dell’ordine, dicendo il dimonio dentro nella mente: «poiché essi sono tanto indiscreti, e tu se’giovane; non poteresti sostenere tanta pena. Meglio t’è dunque che tu te ne parta. Qualche modo troverai, che tu resterai esente 64 con qualche licenzia». Con la quale fa vedere che si possa stare lecitamente.
Queste sono battaglie che vengono; le quali non fanno però danno nell’anima; né queste né altre molte miserabili e dissolute 65 battaglie, se la propria volontà non consente. Perocché Dio non le dà per nostra morte, ma per vita; non perché noi siamo vinti, ma perché noi vinciamo, e perché sia provata in noi la virtìi. Ma noi, virili, con lume della santissima fede apriamo l’occhio dell’intelletto a ragguardare il sangue di Cristo crocifìsso, acciocché si fortifichi la nostra debilezza, e cognosciamo 66 la virtù e la perseveranzia in questo glorioso e prezioso sangue.
Nel sangue di Cristo si trova la gravezza 67 e il dispiacimento della colpa: ine si manifesta la stizia, e ine si manifesta la misericordia. Noi sappiamo bene che se a Dio non fusse molto dispiaciuta la colpa, e non fusse stata di grandissimo danno alla salute nostra; non ci averebbe dato il Verbo dell"unigenito suo Figliuolo, del quale volse fare una ancudine; puniendo 68 le colpe nostre sopra del corpo suo; e così volse che si facesse giustizia della colpa commessa. E 'l Figliuolo non ci averebbe data la vita, dandoci il prezzo del sangue con tanto fuoco d’amore, facendocene bagno, e 69 lavando la lebbra delle colpe nostre: e questo fece per grazia e per misericordia, e non per debito. Bene è dunque vero che nel sangue troviamo il dispiacimento e la gravezza della colpa, la giustizia e l’abbondanzia della misericordia, con obedieuzia pronta, correndo con vera umilità infino all’obbrobriosa morte della croce.
Dico dunque, che questo è il modo di venire a perseveranzia e resistere contra gli uomini e centra le battaglie del dimenio, cioè col lume della fede come 70 detto è, e con vero cognoscimento di noi, onde ci umilieremo. Dal quale cognoscimento verremo al perfettissimo odio della propria sensualità, e l’odio sarà quello che farà giustizia della colpa sua. E porterà con vera pazienzia ogni ingiuria, strazii, scherni e villanie, e l’obedieuzia indiscreta, e le fadighe dell’Ordine, e ogni altra battaglia, da qualunque altro lato elle vengono. E per questo modo gusterà il frutto della divina misericordia, il quale ha trovato per affetto d’amore, e veduto con l’occhio dell’intelletto.
Adunque non voglio, figliuolo carissimo, che cadiate in negligenzia: né manchi in voi il santo cognoscimento, ne serrate l’occhio dell’intelletto a ragguardare questo glorioso e prezioso sangue. Perocché, se voi ne lo levaste, cadereste in molta ignoranzia; e non cognoscereste la verità; ma, con occhio pieno di nebbia, sarete abbagliato, cercando il diletto e il piacere colà dove egli non è, ponendosi 71 ad amare le cose create più che ’l Creatore, e pigliare diletto e piacere delle creature. E alcuna volta si comincia ad amare le creature sotto colore di spirituale amore. E se egli non s’ha cura, e non esercita le virtù; non cognosce la verità, e non tiene l’occhio nel sangue di Cristo crocifìsso: onde l’amore diventa tutto sensuale. E poiché il dimenio l' ha condotto colà dove egli voleva, cioè ’avergli fatta pigliare quella conversazione delle creature sotto colore di spirito, e lassare l’esercizio della santa orazione e il desiderio delle virtù e il cognoscimento della verità; subito gli mette uno tedio e una tristizia nella mente con una disperazione, in tanto che si vuole partire dal giogo dell’obedienzia, e abbandonare il giardino dell’ordine, dove ha gustato cotanti soavi e dolci 72 frutti prima che egli perdesse il gusto del santo desiderio, a quello tempo dolce che le fadighe e i pesi dell’ordine gli pareva 73 di grande suavità. Sicché vedete quanto male per questo ne potrebbe venire. E però voglio che voi vi studiate, giusta al vostro potere di portarvi sì e con sì vero desiderio, che questo non addivenga mai a voi per neuno caso che venisse. Non venga mai la mente vostra a neuna confusione; ma levate l’occhio nel sangue, e pigliate una larga 74 e dolce speranza; ponendo il rimedio di levarsi da tutte quelle cose che gli 75 impediscono la verità: e allora riceverà grandissima grazia da Dio, e comincerà a ricevere il frutto delle sue fadighe, ricevendo l’abbondanzia della carità nell’anima. Or fuggite, figliuolo carissimo, nella cella del cognoscimento di voi, abbracciando il legno della santissima croce; bagnandovi nel sangue dell’umile e immacolato Agnello; fuggendo ogni conversazione che vi fusse nociva alla salute vostra. E non mirate a dire: «che parrà, se io mi levo da queste creature? Io lor dispiacerò, e averannolo per male». Non lassate però: che noi siamo posti per piacere al Creatore, e non alle creature. Sapete che dinanzi al sommo Giudice neuno risponderà per voi nell’ultima estremità della morte; ma solo la virtù sarà quella, con la misericordia,76 che risponderà. Quanto c'è necessaria la virtù! senza la virtù non possiamo vivere di vita di grazia. E però vi dissi ch’io desideravo di vedervi costante e perseverante alla virtù infino alla morte. Sicché non vollete il capo indietro per alcuna cosa che sia. Spero nella bontà di Dio, che ’l farete; siccome debbe fare il vero figliuolo. E così farete quello che sete tenuto di fare, e adempirete il desiderio mio. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.
LXXVII. — Al venerabile Religioso Frate Guglielmo d’Inghilterra, il quale era Baccelliere dell’Ordine de’ Frati Eremitani di Santo Agostino, a Selva di Lago. 77
Dalla Croce, albero di Generoso dolore, frutti di carità. Di lì Gesù ci trae in alto per forza d’amore. Il frate non si pasca solo di meditazioni solitarie, ma ascolti le altrui necessità e compatisca.
A voi, reverendissimo e carissimo padre in Cristo Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi del Figliuolo di Dio, vi conforto e raccomando nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi uniti e trasformati nella sua inestimabile carità; sicchè noi che siamo arbori sterili e infruttuosi senza neuno frutto, 78 siamo innestati nell’arbore della vita. Così rapportiamo 79 uno saporoso e dolce frutto, non per noi, ma per lo maestro della grazia che è in noi. Siccome il corpo vive per l’anima, così l’anima vive per Dio. Questa Parola incarnata non ci poteva, in quanto Uomo, restituire la vita della zia; ma, in quanto Dio, per amare, la divina Essenzia volse, e puotelo 80 fare. Oh fuoco, abisso di carità, perchè non siamo separati da te, hai voluto fare un innesto di te in me. Questo fu quando seminasti la Parola tua nel campo di Maria. Adunque bene è vero che l’anima vive per te; e ’l prezzo dell’abbondantissimo sangue, sparto per me, valse per l'amore della divina Essenzia. Non mi maraviglio, carissimo padre, se la sapienzia di Dio, Parola incarnata, dice: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me». Oh cuori indurati, e stolti figliuoli di Adam! Bene è misero miserabile cuore, se non si lassa trare a sì dolce padre. Dice: Se io sarò levato, egli: 81 perchè? solo perchè noi corriamo. Non ci veggo, carissimo padre, altro peso, se non l'amore e la ignoranza 82 che noi abbiamo a noi medesimi, e poco lume e cognoscimento di Dio. Chi non cognosce, non può amare; e chi cognosce, sì ama. Non voglio che stiamo più in questa ignoranzia; che non saremo innestati nella vita: ma voglio che l’occhio dell’intelletto sia levato sopra di noi a vedere e cognoscere quella somma e eterna vita. Non ne 83 può altro volere, che la nostra tificazione: ogni luogo e ogni tempo, o per morte o per vita, o per persecuzioni, o per gli uomini o per li dimonii, ci dà solo a questo fine, perchè abbiamo la nostra santificazione. Dicovi che subito che l’anima ha aperto 84 lo intendimento, diventa amatore 85 dell’onore di Dio e delle creature; diventa amatore di pene; e non si diletta altro che in croce con lui. Non è grande fatto: 86 che già ha veduto che la bontà di Dio non può voltare altro che bene, e ogni cosa viene da lui; già è privato dell’amore proprio(che gli dà tenebre, e però non vede lume). 87
O padre, non’stiamo più; ed innestiamoci nell'arbore fruttuoso, acciocché il maestro non si levi 88 senza noi. Tolliamo 89 il legame, il vincolo dell’ardentissima sua carità, la quale il tenne confitto e chiavellato in sul legno della santissima croce percotiamo, 90 percotiamo con affetto; perocché lo nito bene vuole infinito desiderio. Questa è la condizione dell’anima: perchè ella ha infinito 91 essere, e però ella infinitamente desidera, e non si sazia 92 mai, se non si congiugne con lo infinito. Levisi adunque il cuore con ogni suo movimento ad amare colui che ama senza essere amato. 93 Oh amore inestimabile! Per fabricare le nostre anime facesti ancudine del corpo tuo: sicché il corpo satisfa alla pena, e l’anima di Cristo ha dispiacimento del peccato: e la natura divina colla potenzia sua... 94 Guardate come fedelmente siamo ricomperati! E perchè? perchè fu levato in alto. Sottomettiamo adunque la nostra volontà perversa sotto il giogo della volontà di Dio, che non vuole altro che il nostro bene; ricevendo con riverenzia ogni fatiga: che noi non siamo degni di tanto bene.
Dicovi da parte di Cristo crocifisso, che non tanto che alcuna volta la settimana il priore volesse che voi diceste la Messa 95 in convento, ma voglio che se vedete la sua volontà, ogni dì voi la diciate. Perchè voi perdiate le consolazioni, non perdete però lo stato della Grazia; anco, l’acquistate, quando voi perdete la vostra volontà. Voglio che, acciocché noi mostriamo d’essere mangiatori dell’anime e gustatori de’ prossimi, noi non attendiamo pure alle nostre consolazioni; ma dobbiamo attendere e udire e aver compassione alle fadighe de’ prossimi, e specialmente a coloro che sono uniti a una medesima carità. E se non faceste così, sarebbe grandissimo difetto. E però voglio che alle fadighe e necessità di frate Antonio voi prestiate l’orecchie ad udirle: e frate Antonio voglio e prego che egli oda voi. E così vi prego da parte di Cristo, e mia, che facciate. A questo modo conserverete in voi la vera carità. E se non faceste così, dareste luogo al dimonio a seminare discordia. Altro non dico; se non che io vi prego e stringo che siate unito e trasformato in questo arbore di Cristo crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.
LXXVin. — A Niccolò Povero, di Romagna, Romito a Firenze.
In sé l’anima conosce Dio. Umiliandosi, si esalta ad amore. Esercita l’amore di Dio verso i prossimi.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi tutto rimesso nella divina providenzia, spogliato d’ogni affetto terreno, e di voi medesimo, acciocché siate vestito di Cristo crocifisso; perocché in altro modo non giugnereste al termine vostro, se non seguitaste la vita e dottrina di sto amoroso Verbo. Così ci ammaestrò egli, quando disse: «neuno può venire al Padre, se non per me». Ma non veggo che in lui vi poteste bene rimettere, né in tutto spogliarvi di voi, se prima non cognosceste la somma ed eterna bontà sua, e la nostra miseria.
Dove cognosceremo lui e noi? dentro nell’anima nostra. Onde c’è bisogno d’intrare nella cella del cognoscimento di noi, e aprire l’occhio" 96 dell’intelletto, levandone ogni nuvila d’amore proprio. E cognosceremo, noi non esser niente, e specialmente nel tempo delle molte battaglie e tentazioni; perocché, se fussimo alcuna cosa, ci leveremmo quelle battaglie che noi non volessimo. Bene abbiamo adunque materia di umiliarci, e spogliarci di noi; perché non è da sperare in quella cosa che non è. La bontà di Dio cognosceremo in noi, vedendoci creati all’imagine e similitudine sua affine che participiamo il suo infinito ed eterno bene: e essendo privati della Grazia per lo peccato del primo uomo, ci ha creati a Grazia nel sangue dell’unigenito suo Figliuolo. Amore inestimabile! per ricomperare il servo hai dato il figliuolo proprio; per renderci la vita, désti a te la morte. Bene adunque vediamo che egli è somma ed eterna bontà, e che ineffabilmente ci ama: che se non ci amasse, non ci avrebbe dato sì fatto ricomperatore. Il sangue ci manifesta questo amore. Adunque in lui voglio che speriate e confidiatevi tutto; e in lui ponete ogni vostro affetto e desiderio.
Ma attendete che a lui non potiamo fare alcuna utilità, imperocché egli é lo Dio nostro che non ha bisogno di noi. In che adunque dimostreremo l’amore che averemo a lui? In quello mezzo che egli ci ha posto-per provare in noi la virtù, cioè il prossimo nostro, il quale dobbiamo amare come noi medesimi, sovvenendolo di ciò che vediamo che gii sia necessità, 97 secondo le grazie che Dio ci ha date, desse a ministrare; e offeriie lagrime umili, 98 e continue orazioni dinanzi a Dio per salute di tutto quanto il mondo, e specialmente per lo corpo mistico della santa Chiesa, la quale vediamo venuta in tanta ruina, se la divina bontà non provede. Allora seguiterete la dottrina di Cristo crocifisso, il quale per onore del Padre e salute nostra die la vita, correndo come innamorato all’obbrobriosa morte della croce, E siccome egli non si trasse ne per pena, ne per riraproverio, ne per ingratitudine nostra, che non compisse la nostra salute; così dobbiamo fare noi, che per veruna cagione ci dobbiamo ritrare di sovvenire alla necessità del prossimo nostro, spirituale e temporale, senza rispetto d’aicuna utilità consolazione riceverne quaggiù; solo amarlo e sovvenirlo, perchè Dio l’ama. Così adempirete la dilezione del prossimo, secondo il comandamento di Dio e il mio desiderio. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. LXXIX. — All' Abadessa e Monache di San Pietro, in Monticelli a Lignaia in Firenze. 99
Imitazione di Cristo. La Dottrina sua è amore. Nelle promesse a Dio l’anima gli offre il suo libero arbitrio, ma per larsi più libera. Chi non osserva la povertà, più risica infrangere le altre promesse. Vita rilassata di certe monache. Il cuore è lampada; l’affetto è luce, nutrita d’umiltà. La tiene ferma la mano del timore santo, non della servile paura.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi vere serve e spose di Cristo crocifìsso; e per siffatto modo seguitiate le vestigia sue, che innanzi eleggiate la morte, che trapassare i comandamenti dolci suoi ed i consigli, i quali voi avete promessi. Oh quanto è dolce e soave’ alla sposa consecrata a Cristo seguitare la via e la dottrina dello Spirito Santo! Quale è la vita e dottrina sua? non è altro che amore. Perocché tutte le altre virtù sono virtù per esso amore. La dottrina sua non è superbia ne disobedienzia né amore proprio né ricchezza né onore ne stato del mondo; non piacimento né diletto di corpo. Non ha 100 amore d’amare il prossimo per sé, (ma... per utilità nostra ci ha amati e data la vita per noi con tanto fuoco d’amore): anco, é profonda e vera umilità. 101 Or fu mai veduta tanta umilità, quanta è vedere Dio liato all’uomo? la somma altezza discesa a tanta bassezza, quanta è la nostra umanità? Egli è obbediente infino all’obbrobriosa morte della croce, 102 egli è paziente, in tanta mansuetudine che non è udito il grido suo per veruna mormorazione: egli elesse povertà volontaria, quello che era somma ed eterna ricchezza; intanto che Maria dolce non ebbe panno dove invollerlo; e nell’ultimo, morendo nudo in su la croce, non ebbe luogo dove appoggiare il capo suo. Questo dolce e innamorato Verbo fu saziato di pene e vestito d’obbrobrii, dilettandosi delle ingiurie, delli scherni e villanie; sostenendo fame e sete, colui che sazia ogni affamato con tanto fuoco e diletto d’amore. Egli è il dolce Dio nostro che non ha bisogno di noi. E non ha allentato d’adoperare la nostra salute; anco, ha perseverato non lassando par la nostra ignoranzia e ingratitudine, nè per lo grido de’ Giudei che gridano che egli discenda dalla croce; non lassù però, che non compisse la nostra salute.
Or questa è la dottrina e la via, la quale egli ha fatta: e noi miseri 103 miserabili, pieni di difetti, non spose vere, ma adultere, facciamo tutto il contrario; perocché noi cerchiamo diletto, delizie, piaceri, amore sensitivo; uno amore proprio; del quale amore nasce discordia, disobedieuzia. La cella si fa nemico: la conversazione de’ secolari e di coloro che vivono secolarescamente, si fa amico! Vuole abbondare e non mancare nella sustanzia porale, parendogli, se non abonda sempre, avere necessità. Egli si dilunga dall’amore del suo creatore; lassa la madre dell’orazione. Anco facendo l'orazione debita, alla quale voi sete obbligate, spesse volte viene a tedio; perocché colui che non ama, ogni piccola fadiga gli pare grande a sostenere; la cosa possibile gli pare impossibile a potere adoperare. E tutto questo procede dall’amore proprio, il quale nasce da superbia, e la superbia nasce da lui, fondata in molta ingratitudine e ignoranzia e negligenzia nelle sante e buone operazioni.
Non voglio dunque, dilettissime figliuole, che questo divenga 104 a voi: ma come spose vere, seguitate le vestigie dello sposo vostro; perocché, altrimenti, non potreste osservare quello che voi avete promesso e fatto voto, cioè, povertà, obedienzia e continenzia. Sapete bene che nella professione voi deste per dota il libero aibitrio 105 vostro allo sposo eterno; perocché con libertà di cuore faceste la detta professione. Ohe sono tre colonne che tengono la città dell’anima nostra, e non lassano cadere in ruina; e non avendone, 106 subito viene meno. Debbe dunque la sposa esser povera volontariamente per amore di Cristo crocifisso che gli ha insegnata la via.
La povertà é ricchezza e gloria delle religiose: e grande confusione é, ch’el si trova che elle abbiano che date. Sapete quanto male n’esce? Che se passa 107 questo, tutti gli altri passerà; perocché colei che pone l’affetto suo in possedere, e non s’unisce con le suore (come voi dovete vivere, che dovete vivere a comune e avere tanto la grande quanto la piccola, e la piccola quanto la grande); se noi fa, ne viene in questo difetto, che ella caderà nella incontinenzia o mentale o attuale. E cade nella disobedienzia, perocché è disobediente all’ordine suo e non vuole essere corretta dal prelato. 108 E trapassa quello che aveva promesso. Onde vengono le conversazioni di coloro che vivono disordinatamente; vuoli secolari, vuoli religiosi, vuoli uomo, vuoli donna. Che la conversazione non sia fondata in Dio, non procede da altro, se non per alcuno dono o diletto piacere che trovassero. E tanto basta quello amore e amistà, quanto basta il dono e il diletto. E però dico che colei che non possiede, e che non ha che donare, dico che, non avendo che donare, sarà tolto da lei ogni disordinata conversazione.
Levata la conversazione, non ha materia di svagolare la mente, nè di cadere nella immondizia corporalmente né spiritualmente; ma trova, e vorrà, 109 la conversazione di Cristo crocifisso, e de’ servi dolcissimi suoi, i quali amano per Cristo e per amore della virtù, e non per propria utilità. Concepe uno desiderio e una fame della virtù, che non pare che se ne possa saziare. E perchè vede che della madre e della fontana dell’orazione trae la vita della grazia e il tesoro delle virtù, partesi dalla conversazione degli uomini, e fugge e ricovera in cella, cercando lo sposo suo, e abbracciandosi con esso in sul legno della santissima croce. Ine si bagna di lagrime e di sudori, ed inebriasi del sangue del consumato ed innamorato Agnello: pascesi de’ sospiri, i quali gitta per dolci e affocati desiderii. Or questa è vera e reale sposa e che realmente seguita lo sposo suo. E come Cristo benedetto (come detto è) non lassa per veruna pena d’adoperare la salute nostra; così la sposa non lassa né debbe lassare per veruna pena ne fadiga, né per fame né per sete, né per alcuna necessità, che non adoperi continuamente l'onore di Dio. Anco, risponda alla tenerezza propria del corpo suo, e dolcemente dica: «Confortati, anima mia, che ciò che ti manca quaggiù, t’avanza a vita eterna». E non lassi la buona operazione con santi desiderii, né per tentazione del dimonio, né per fragilità della carne, né per li perversi consiglieri del dimonio, 110 che sono peggio che Giudei, che dicono spesse volte «discendi dalla croce della penitenzia e della vita ordinata». E non debbe lassare il servire al prossimo suo, né di cercare la salute sua, per ingratitudine né per ignoranzia, che non cognoscesse il servizio. Non debbe lassare; perocché, se lassasse, parrebbe che cercasse d’essere retribuito da loro, e non da Dio: la quale cosa non si debbe fare, ma prima eleggere la morte. Con pazienzia portate, carissime figliuole, i difetti l'una dell’altra portando con pazienzia e sopportando con amore i difetti l’una dell’altra. 111 E così sarete legate ed unite nel legame della carità, il quale è di tanta fortezza, che ne dimonio né creatura vi potrà separare se voi non vorrete. Siate obedienti infine alla morte; acciocché siate spose vere; sicché, quando lo sposo vi richiederà nell’ultima stremità della morte, voi abbiate ia lampana piena e non vota, siccome vergini savie, e non matte. Drittamente il cuore vostro debbe essere una lampana, la quale debbe essere piena d’olio, e dentrovi il lume del cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi; che è lume e fuoco della carità, notricato e acceso 112 nell’olio della vera e profonda umilità. Perocché chi non ha lume di cognoscimento di sé, non si può umiliare; che con la superbia mai non si umilia. Poiché la lampana é fornita, debbesi tenere in mano con una santa e vera intenzione 113 in Dio; cioè la mano del santo timore, il quale ha a regolare l’affetto e il desiderio nostro. Non dico, timore servile, ma timore santo, 114 che per veruna cosa voglia offendere la somma ed eterna bontà di Dio. Ogni creatura che ha in sé ragione, ha questa lampana; perocché il cuore dell'uomo é una lampana: onde se la mano del timore santo la tiene dritta, e ella é fornita, sta bene; ma se ella è in mano di timore servile, egli la rivolta sottosopra, perocché serve e ama d’amore proprio per proprio diletto e non per amare di Dio. Costui affoga il 115 lume e versane l’olio; perocché non v’è lume di carità, e uon v’è olio di vera u milita. E queste sono quelle cotali di cui disse il nostro Salvatore: «lo non vi cognosco, e!ion so chi voi vi sete». Adunque io voglio che siate forti e prudenti ^». Tenete il cuore vostro, e fate che sia lampana dritta. E come la lampana è stretta da piedi e larga da capo, così il cuore e l’affetto si debbe restringere al mondo e "^ ogni diletto e vanità e delizie e piacere e contento ^ suo. E debbe essere larga da capo; cioè che il cuore, l’anima e l’affetto sia tutto riposato e posto in Cristo crocifisso. Vestitevi ^ di pene e d’obbrobri per lui: unitevi e amatevi insieme.
E voi, madonna l’abbadessa, siate madre e pastore, che poniate la vita per le vostre figliuole, s’el bisogna. Ritraetele dal vivere in particolare ^ e dalla conversazione; le quali cose sono la morte dell’anime loro e disfacimento di perfezione. Nella conversazione fate che voi gli siate uno specchio di virtìi, acciocché la virtù ammonisca più che le parole. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.
1 Prudenza senza forza è paura; forza imprudente, mattia.
- Può stare anche senza un altro a, leggendo quasi a ’l mondo, e ogni; come diciamo: per V amor di Dio e la carità della patria tralasciando il per l’altra volta.
3 Può esserci gradazione crescente se intendasi per diletto il primo senso che gli ascetici dicono dilettazione o compiacimento: per vanità lo svagolarsi ne’ iiiletti ancorché non colpevoli; per delizie le delicatezze che fiaccano e corrompono; per piacere i princìpii e sequele della voluttà; per contento il tenersi abitualmente ne’ piaceri, il non mirare più alto, contentandosene vilmente e profondandosi in quelli.
•* Il traslato della veste ne’ libri sacri è frequente. In un salmo: Induam salutari — Induam confusione».
s iSTon la solitudine meditante, ma i crocchi appartati, o il superbo dividersi dalle pari. Senti la popolana. LXXX. — A Maestro Giovanni terzo dell’Gradine de’ Fidati Fremitani di Santo Agostino. 116
Nel saneue della Redenzione è fuoco d’amore, che spegne l’amor proprio, e insegna come il dolore sia prova benefica e perfezionatrice, unico vero male la colpa. Parlando dell’amor proprio e dello scandalezzarsi, e del tentare che i buoni fanno altri buoni, accenna forse i difetti del frate con dolce materna severità.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi bagnato nel sangue dello svenato Agnello, il quale sangue lava e annega, cioè uccide, la propria perversa volontà. Dico che lava la faccia 117 della coscienzia, e uccide il vermine d’essa coscienzia; perocché ’l sangue e’ è fatto bagno. E perchè il sangue non è senza fuoco, anco è intriso col fuoco della divina carità (perocché fu sparto per amore); sicché 118 il fuoco col sangue lava e consuma la ruggine nella colpa, che è nella coscienzia: la quale colpa è uno vermine che rode in ^ essa coscienzia. Ondef*morto che è questo vermine, e lavata che è la faccia dell’anima, è ^ privata del proprio e disordinato amore. Perocché, mentre che l'amor proprio è nell’anima, questo vermine non muore mai, ne si leva la lebbi a della faccia dell’anima. Poniamochè ’l sangue e il fuoco del divino amore ci sia dato (e a lutti è dato questo sangue e fuoco per nostra l’edenzione); e nondimeno da tutti non è participato: e questo non è per difetto del sangue, né del fuoco, né della prima dolce Verità che ce l’ha donato; ma è difetto di chi non vota il vasello per poterlo empire d’esso sangue. Onde il vasello del cuore, mentre che egli è pieno del proprio amore, o spiritualmente ^ o temporalmente non può empire ^ il divino amore, né participare la virtù del sangue: e però’ non si lava la faccia, e non s’uccide il vermine. Dunque e’ è bisogno di trovare modo di votarsi e d’iempirsi, acciocché noi giugnamo a quella perfezione d’uccidere la propria volontà: perocché, uccisa la volontà, è ucciso il vermine.
Che modo ci è dunque, carissimo figliuolo? dicovelo. Che noi ci apiiamo l’occhio dell’intelletto a cognoscere uno sommo bene e uno miserabile male. Il sommo bene è Dio, il quale ci ama d’ineffabile amore: il quale amore ci è manifestato col
122 mezzo del Verbo unigenito suo Figliolo, e il Figliuolo c'e l'ha manifestato col mezzo del sangue suo. Onde nel sangue cognosce l’uomo l’amore che Dio gli porta, e il suo proprio miserabile male. Perocché la colpa è quella che conduce l’anima alle miserabili pene eternali. E però è solo il peccato quello che è male, il quale procede dal proprio amore: perocché veruna altra cosa è che sia male, se non questa. E questo fu cagione della morte di Cristo. E però dico che nel sangue cognosciamo il sommo bene dell’amore che Dio ci ha, e il miserabile nostro male; perocché altre cose non sono male, se non solo la colpa, come detto é. Onde né tribolazioni né persecuzioni del mondo non sono male; né ingiurie, né strazii, né scherni, né villanie, né tentazioni del dimonio, né tentazioni degli uomini, le quali tentano i servi di Dio; né le 123 tentazioni, né le molestie che dà l'uno servo di Dio all’altro: le quali Dio tutte permette per tentare, e per cercare 124 se trova in noi fortezza e pazienzia e perseveranzia infino all’ultimo; anco, conducono l’anima a gustare il sommo ed eterno Bene. Questo vediamo noi manifestamente nel Figliuolo di Dio, il quale essendo Dio e uomo, e non potendo volere veruno male, non le averebbe elette per sé; che tutta la vita sua non fu altro che pene e tormenti e strazii e rimproveri!, 125 e nell’ultimo l’obbrobriosa morte della croce: e questo volse sostenere, perchè era bene, e per punire la colpa nostra, che è quella cosa ch’è male.
Poi, dunque, che l’occhio dell’intelletto ha così ben veduto e discernuto chi gli è cagione del bene, e chi gli è cagione del male, e quale è quello che è bene, e quello che è miserabile male; l’affetto, perchè va dietro all’intelletto, corre di subito e ama il suo Creatore, cognoscendo nel sangue l’amore suo ineffabile; e ama tutto quello che vede che ’l faccia più piacere 126 e unire con lui. Onde allora si diletta delle molte tribolazioni, e priva se medesimo delle consolazioni proprie per affetto e amore della virtù. E non elegge lo strumento 127 delle tribolazioni, che provano le virtù, a suo modo, ma a modo di colui che gli ’l dà, cioè Dio; il quale non vuole altro, se non che siamo santificati in lui; e però gli ’l concede. Così 128 egli ha tratto l’amore dell’amore. E perchè l’occhio dell'intelletto in esso amore ha veduto il suo male, cioè la sua colpa, odialo, in tanto che desidera vendetta di quella cosa che n’è stata cagione. La cagione del peccato è il proprio amore, il quale notrica la perversa volontà, che ribella alla ragione. 129 E mai non resta di scere e di multiplicare l’odio dell’amore sensitivo infìno che l’ha morto. E però diventa subito paziente; e non si scandalizza in Dio, ne in sé, né nel prossimo suo; ma ha presa 130 l’arme a uccidere questo perverso sentimento, il quale conduce l’anima a tanto miserabile male, che gli tolle l’essere della grazia, e dagli la morte, tornando a non cavelle, perchè è privata di Colui che é. Tolle dunque il coltello, che è l’arme con che si difende da’ nemici suoi; e con quello uccide la propria sensualità. Il quale coltello ha due tagli, 131 cioè odio e amore, E menalo con la mano del libero arbitrio, il quale, cognosce che Dio gli ha dato per grazia, e non per debito; e con esso coltello taglia e uccide.
Or a questo modo, figliuolo, partecipiamo la virtù del sangue e il calore del fuoco: il quale sangue lava, e il fuoco consuma la ruggine della colpa, e uccide il vermine della coscienzia: non uccide propriamente la coscienzia, la quale è guardia dell’anima, ma il vermine della colpa, che v’è dentro. In altro modo né per altra via non potremo giugnere a pace e a quiete, né gustare il sangue dell’immacolato Agnello. E però vi dissi ch’io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso.
Dunque levatevi su e destatevi dal sonno della negligenzia, e annegate la propria perversa volontà in questo glorioso prezzo. 132 E non vi ritragga re servile, nè amore proprio, ne detto delle creature, nè mormorazione, ne scandalo del mondo: 133 ma perseverate con virile cuore. E guardate che voi non facciate come i matti; e se voi l’avete fatto, sì ve ne dolete, di scandalizzarvi nei servi di Dio, o mormorare delle loro operazioni: perocché questo é uno de’ segni che la volontà non é morta: e se ella é morta nelle cose temporali, non é anco morta nelle spirituali. Vogliate dunque che in tutto muoia ad ogni suo parere, 134 e viva in voi, la dolce eterna volontà di Dio: e di questa siate giudice, 135 siccome dice la nostra lezione. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Scrivestemi che il figliuolo non poteva stare senza il latte e il fuoco della mamma. 136 Onde se ne averete volontà, non tardate a venire per esso. Dite, che non vorreste offendere l’obedienzia. Venite per la 137 licenzia, e non l'offenderete. E eccidi bisogno; perché Nanni 138 s’è partito per buona necessità; sicché se potete venire, l'averò molto caro. Gesù dolce, Gesù amore.
Raccomandateci al baccelliere, 139 e a Frate tonio, e a misser Matteo, e all’Abbate, e a tutti gli altri.
LXXXI. — A Francesco, di Francesco di Tolomei 140 vestita dell’abito di San Domenico, inferma.
L’esorta a pazienza nelle sue infermità. Sa patire chi ama; chi pensa alla potenza e sapienza e amore di Dio; chi prega, chi attinge dalla purità la fortezza. L’anima che sta forte, e non consente in sé al male, per battaglie che di fuori sostenga, rimane pura. Rimedio agli scrupoli e alle fiacchezze di spirito.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, Io Catarina, serva e schiava di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vederti con vera e santa pazienzia, acciocché virilmente porti e la infermità e qualunque altra cosa Dio ti permettesse, siccome vera serva e sposa di Cristo crocifisso. E così debbi fare; perocché la sposa non si debbe mai scordare della volontà dello sposo suo.
Ma attendi, carissima figliuola, che a questa volontà, così accordata e sottoposta a quella di Dio non verresti mai se tu col lume della santissima fede non ragguardassi quanto tu se’ amata da lui: perocché, vedendoti amare, non potrai fare che tu non ami: amando, odierai la propria sensualità, 141 la quale fa impaziente l’anima che l’ama. Onde subito che tu odierai sarai fatta paziente. Sicché col lume ti vedrai. Ma dove troverai questo amore? Nel sangue dell’umile e immacolato Agnello, il quale per lavare la faccia della sposa sua, corse all’obbrobriosa morte della croce; onde col fuoco della sua carità la purificò della colpa, lavandola nell’acqua del santo battesimo, il quale battesimo vale a noi in virtù del sangue: e il sangue gli fu colore, che fece la faccia dell’anima vermiglia, la quale era tutta impallidita per la colpa di Adam. Tutto questo fu fatto per amore. Adunque vedi che ’l sangue ti manifesta l’amore che Dio t’ha. Egli è quello eterno sposo che non muore mai: egli è somma sapienzia, somma potenzia, somma clemenzia e somma bellezza, ^ in tanto che ’l sole si maraviglia della bellezza sua. Egli è somma purità, in tanto che, quanto più l’anima che è sua sposa, s’accosta a lui, tanto più diventa pura e monda d’ogni peccato, e più sente l’odore della virginità.^ E però la sposa che vede che egli si diletta della purità, studia d’accostarsi a lui con quello mezzo che più perfettamente la possa unire. Quale è questo mezzo? è l’orazione umile, fedele e continua. Umile, dico; fatta nel cognoscimento di te: continua, per continuo santo desiderio; e fedele^ per lo cognoscimento che hai avuto di Dio, vedendo che
143 egli è fedele e potente a darti quello che domandi; ed è somma sapieuzia, che sa; ed è somma clemenzia, che ti vuole dare più. che non sai addimandare. Or con questo verrai a perfettissima pazienzia in ogni luogo, in ogni tempo e stato che tu se’ e sarai; e nella infermità e nella sanità, con battaglie e senza battaglie. La quali battaglie non vorrei, però, che tu credessi che faccino l’anima immonda, se non in quanto la volontà le ricevesse ^ per dilettazione, di qualunque battaglia si fusse. E però l’anima che sente la volontà averne dispiacimento, e non piacere, si debbe confortare, e non venire a veruna confusione o tedio di mente; ma debbe vedere che Dio gli ’l permette per farla venire ad umilità, e per conservarla e crescerla in essa. Così voglio che facci tu. Godi, figliuola, che Dio per sua misericordia, ti fa degna di portare ^ per lui; e reputatene indegna: e facendo così, ti conformerai in Qgni cosa con la volontà del tuo dolce sposo. Compirassi a questo modo in te la volontà di Dio e il desiderio dell’anima mia, il quale dissi che era di vederti con vera e santa pazienzia. E così ti prego e voglio che sia, in ciò che piace al tuo dolcissimo sposo di concederti per lo poco tempo. ^ Non dico più. Fermane nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesìi amore.
1 Il compiacimento nel male fa che l’anima accolga ia sé il nemico, la cui battaglia, altrimenti, strepita fuor delle porte.
2 Assoluto, com’ oggidì sopportare. Così gli Apostoli esultavano dell’essere stimati degni di patire, per il nome di Gesù, contumelie.
^ Glie l’uomo vive quaggiù. O forse qualcosa manca. LXXXII. — A tre Donne di Firenze.
Accioccliè l'anima sia tenace del buon proposito, conosca sé; cioè la dipendenza propria, la debolezza, i difetti, il prezzo del tempo, i benefizi! di Dio in cui sperare. Orazione del cuore: vÌL’ilanza della mente. Coscienzia del bene, che si ha più o iiien piena. Pazienzia, midollo di carità. Tolleranza d’opinioni e pratiche diverse. Non andare a caccia di tanti consigli.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù, perchè^ la divina bontà v’ha tratto dal loto del mondo, non vogliate voliere il capo addietro e mirare T arato: ma sempre mirate quello che vi bisogna di fare per conservare in voi il sauto principio, e proponimento che avete fatto. Quale è quella cosa che ci conviene vedere e fare per conservare la buona volontà? dicovelo. Che sempre siate nella cella del cognoscimento di voi; e cognoscendo, voi non essere er essere vostro avere da Dio; e di cognoscere li difetti vostri, e la brevità del tempo, il quale è tanto caro ^ a noi. Però che nel tempo si può acquistare la vita durabile, e perderla, secondo che piace a noi: e, passato il tempo, ueuno bene possiamo adoperare.
E dovete cognoscere in voi la grande bontà di Dio, e lo ineffabile amore che a voi porta; il quale amore v’ha manifestato col mezzo del Verbo dell’unigenito suo Eigliuolo: e questo dolce e amoroso Verbo lo ha mostrato col mezzo del sangue suo. Onde noi siamo quello vassello che abbiamo ricevuto il sangue; e siaiho quella pietra dove è fitto
1 Manca il solito cominciamento; ond’è da credere frammento di lettera, la quale forse accennava a particolari notabili della vita di queste tre, e chi si di quante altre, fiorentine.
- Dante:.... il tempo è caro
In questo regno si, ch’io perdo troppo
Venendo teco sì a paro a paro».
E per questo va innanzi, e non torna indietro; crescendo di virtù in virtù; esercitandosi con la vigilia e con la umile e continua orazione, con lo continuo e santo desiderio, e con buone e sante operazioni: le quali sono quella orazione continua, che ogni persona che ha in sé ragione, 145 debbe avere, oltre all’orazione particolare, 146 che si fa alle ore debite e ordinate. Le quali 147 in neuno modo si debbono lassare, se non fusse già per caso di obedienzia per carità; ma per altro modo no, né per battaglia né per sonnolenzia di mente né di corpo. Ma debbesi destare il corpo con lo esercizio corporale, 148 in venie 149 o in altri esercizi che abbiano a stirpare 150 il sonno quaud’egli ha avuto il debito suo. La sonnolenzia della mente si vuole destare coll’odio e dispiacimento di se: e con una impugnazione santa salire la sedia della coscienzia vostra, riprendendo sé stessa, e dicendo: «che dormi tu, anima mia? dormi, e la divina bontà veglia sopra a te: e ’l tempo passa e non ti aspetta. Vuo’ tu esser trovata a dormire dal Giudice, quando ti richiederà che tu rendi ragione del tempo tuo, come tu l’hai speso, e come sei stata grata al benefizio del sangue suo?» Allora si desterà la mente: e poniamochè sopra di quello destare non sentisse, 151 ella s’è pure desta, e stirpa lo amore proprio dell’anima sua. E per questo modo va innanzi, e vassi 152 dalla imperfezione alla perfezione; alla quale pare che vogliate venire. Perocché l’amore non sta ozioso, ma sempre adopera grandi cose. Facendo così, vi vestirete del mirollo 153 della virtù della pazienzia, che è la rairoUa della carità; e goderete delle pene, purché voi vi possiate conformare con Cristo crocifisso; e a portare le pene e obbrobrii suoi, vi parrà godere. E fuggirete le conversazioni, e diletteretevi della solitudine; e non presumerete di voi; ma confiderete in Cristo crocifisso. E non s’empirà la mente vostra di fantasie, ma di vere e reali virtù: amando con il cuore schietto e non finto, 154 libero e non doppio; ma in verità amerete lui sopra ogni cosa, e il prossimo come voi medesime. Né per molestie del demonio, che vi desse laidi e malvagi pensieri, né per fragilità della carne, né per molestie delle creature, non verrete a tedio né a confusione di mente; ma con fede viva direte con Paolo Apostolo: «per Cristo crocifisso ogni cosa porterò, che é in me, che mi conforta». Riputatevi degne delle pene, e indegne del frutto, per umiltà. 155 Amatevi, amatevi insieme con una carità fraterna in Cristo dolce Gesù, tratta dall’abisso della sua carità. Altro non vi dico. Dio vi riempia della sua santissima grazia.
Di una cosa vi prego: che voi non andiate per molti consigli; ma pigliate uno consigliero il quale vi consigli schiettamente, e quello seguitate. Però che andare per molti è cosa pericolosa. Non che ogni consiglio, che é fondato in carità, non sia buono: ma come e’ servi di Dio sono differenti nei modi, poniamochè tutti siano nell’affetto della carità; così differente danno la dottrina. Onde se le genti assai cercano, 156 con tutti si vorriano confromare: e quando veniste a vedere, 157 trovereste vedova l'anima d’ognuno. E però è il meglio ed è di bisogno, che l’anima si feudi in uno, e in quello s’ingegni d’essere perfetta; e nondimeno gli piaccia la dottrina di ciascuno. Non, che li vada cercando per sé; ma debbegli piacere li differenti e diversi 158 modi che Dio tiene con le sue creature, ed averli in riverenzia, vedendo che nella casa del Padre nostro sono tante mansioni.
Or bagnatevi e annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso dolce amore. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. LXXXIII. — A Conte di Conte da Firenze, 159 Spirituale.
Fede è amore, amore è Fede. La Fede s’illumina nel dolore, il qual prova l'anima, accresce, l’intendimento moltiplica i meriti. Legge consolante del progresso morale e sociale: clie dopo il fallo può crescere il merito, crescere coli’ umiltà l’amore verso Dio e verso gli uomini. Fiducia in sé speijne fede. Ogni colpa è infedeltà, e viene da presunzione. Lettera di conforto a chi era forse caduto.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedere in te il lume della santissima fede, il quale lume ci mostra la via della verità; e senz’esso neuno nostro esercizio, desiderio, operazione 160 verrebbe a frutto, né a perfezione, né a quel fine per lo quale avessimo cominciato; ma ogni cosa verrebbe imperfetta, e, lenti saremmo nella carità di Dio e del prossimo. La cagione è questa: che pare 161 che tanto sia la fede quanto l’amore, e tanto l'amore quanto la fede. Chi ama, sempre è fedele a colui cui egli ama, e fedelmente il serve infino alla morte. carissimo figliuolo, questo è quel lume che conduce l’anima a porto di salute, tràla dal loto 162 della miseria, e dissolve in lei ogni tenebra di proprio amore: perocché in esso cognosce quanto è spiacevole a Dio e nocivo alla sua salute; e però si leva con odio e caccialo fuore di se. Con fede viva cognobbe che ogni colpa è punita, e ogni bene è remunerato; e però abbraccia la virtù, e spregia il vizio. Con grande sollecitudine diventa costante e perseverante in fino alla morte; in tanto che né dimenio né creatura né la fragile carne il fanno voliere il capo addietro, quando questo lume perfettamente é nell’anima. Alla quale perfezione si viene con molto esercizio, con ansietato desiderio, e con profonda umiltà. La quale umiltà l’anima acquista nella casa del cognoscimento di sé, col mezzo della continua, umile, e fedele orazione, con molte battaglie dal dimonio, e molestie dalle creature, e da se medesimo, cioè dalla perversa volontà, e dalla fragile carne che sempre impugna centra lo spirito. A tutte resiste col lume della santissima fede; col quale lume, nella dottrina del Verbo, s’innamorò del sostenere pene e fadighe per qualunque modo Dio gliele permettesse; non eleggendo tempo né luogo né fadighe a modo suo, ma secondo che vuole la Verità Eterna, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione.
Ma perché ci permette queste fadighe e tante ribellioni? Perché si provi in noi la virtù; e acciò che col lume cognosciamo la nostra imperfezione, e l’adiutorio che l’anima riceve da Dio nella battaglia e fadighe; e acciò che cognosciamo il fuoco della sua carità nella buona volontà che egli ha riservata nell’anima nel tempo della tenebra e delle molestie e delle molte fadighe. Per questo cognoscimento che ha nel tempo delle fadighe, leva da se la imperfezioue della Fede, e viene a perfettissima Fede, per la molta esperienza che n’ha avuta e provata, 163 essendo ancora nel camino della imperfezione. Questo lume tolle via in tutto la confusione della mente; non tanto che 164 nel tempo delle battaglie, ma eziandio se l’uomo attualmente fosse caduto in colpa del peccato mortale, di qualunque peccato si sia, la fede il rileva. Perchè col lume ragguarda nella clemenzia, fuoco ed abisso della carità di Dio, distendendo le braccia della speranza, e con esse riceve e stringe il frutto del sangue, nel quale ha trovato questo dolce e amoroso fuoco; con una contrizione perfetta, umiliandosi a Dio, e al prossimo per lui, 165 e reputasi il minimo, il pili vile di tutti gli altri. E così spegne la colpa dentro nell’anima sua per contrizione e speranza del sangue; il qual sangue fa introdotto 166 dal lume della fede. Per questo modo viene a tanta perfezione e a tanto amore del divino e amoroso fuoco, che egli può dire insieme col dolce Gregorio: o felice e avventurata colpa, 167 che meritasti avere così fatto Redentore! Fu felice la colpa di Adam? No, ma il frutto che per essa ricevemmo, fu felice, vestendo 168 Dio il suo Figliuolo della nostra Umanità, e ponondogli la grande obbedienzia, che restituisce a grazia l’umana generazione; ed egli come innamorato, corse a pagare’ il prezzo del sangue suo. Così dico dell’anima. La colpa sua non è felice, ma il frutto che riceve nell’affetto della carità, per la grande e perfetta emendazione che ha fatta col lume della fede, come detto è, e perchè cresce in cognoscimento e umiltà. Ella se ne va tutta gioiosa all’obbedienzia de’ comandamenti di Dio ricevendo con odio e amore questo giogo sopra le spalle sue; e subito corre, come innamorata, a dare la vita, se bisogna, per salute dell’anime. Perchè col lume ha veduto che l’amore e le grazie, che ha trovato in Dio, a lui non può rendere. Puogli bene rendere amore, ma debito 169 di utilità, no, per grazia che egli riceva da Dio; però che egli non ha bisogno di noi: ma ben può rendere al prossimo, facendo utilità a lui, poiché a Dio non la può fare. E veramente egli è così; che servendo al prossimo caritativamente, noi dimostriamo in lui l’amore che abbiamo alla somma Eterna verità. In questa carità si pruova se le virtù in verità sono nell’anima, o no. Sicché l’anima corre, come obediente, e ha legata la sua volontà a compire la volontà di Dio nel prossimo suo; non lassando per pena né per veruna cosa, 170 in fino alla morte.
Con questo lume gusta l’arra di vita eterna, nutricandosi per affetto d’amore al petto di Cristo crocifisso, dilettandosi di furare 171 le virtù, e la vita e maturità, che ebbero i veri gustatori cittadini della vita beata, mentre che furono peregrini e viandanti in questa vita. Con questa fede si porta la chiave del sangue, con la quale si disserra vita eterna. La fede non presume di sé, ma del suo Creatore; perchè non v’è il vento della superbia con la propria reputazione; 172 la quale reputazione, e superbia, immondizia, e ogni altro difetto e miseria sono i frutti della infedelità che aviamo verso di Dio, e della presunzione di fidarci in noi medesimi. Il quale è uno vermine che sta nascosto sotto la radice dell’arbore dell’anima nostra; e se l’uomo noll’uccide col coltello dell’odio, rode tanto, che o egli fa torcere l’arbore, o egli il manda a terra, se con grande diligeuzia e umiltà l’anima non si procura. 173 Spesse volte sarà l’uomo sì ignorante per l’amore proprio di sé, che egli non s’avvedrà che questo vermine vi sia nascosto. E però Dio permette le molte battaglie e persecuzioni, e che l’arbore si torca, e alcuna volta che caggia. Non permette la mala volontà, ma permettegli il tempo, 174 e lassalo guidare al libero arbitrio suo, solo perchè egli ritorni a sé medesimo; e con questo lume, umiliato, cerchi questo vermine, e metta mano al coltello dell’odio, ed uccidalo. E non ha materia quell’anima di rallegrarsi, e ricognoscere la grazia che Dio gli ha fatta d’avere veduto e trovato in sé quello che non cognosceva? Sì bene. Sicché per ogni modo, carissimo figliuolo, in ogni stato che l’uomo è, o giusto o peccatore, o che sia caduto e poi si rilevi, gli é necessario questo lume.
Quanti sono gl’inconvenienti che ne vengono per non averlo! Non mi pongo a narrarlo, né a dirne più; che troppo sarebbe lungo. Basti per ora quello che ne ho detto. Quanto gli è utile e dilettevole a darvelo, 175 non tel so esprimere con lingua né con inchiostro; ma Dio tel faccia provare per sua infinita misericordia. Così voglio che sia. E però dissi che io desideravo di vedere in te il lume della santissima fede.
Sómmi molto meravigliata delle lettere che hai mandate a Barduccio 176 Per neuna cagione voglio che ti parti dalla Congregazione 177 de’ tuoi fratelli (guarda già, 178 che tu non andassi al luogo perfetto della religione); né che tu venga mai a confusione di mente; ma tutto umiliato ti facci suddito al più minimo che ve n’é. 179 Né, per questo, lassare che tu non porga a loro quella verità che Dio ti facesse cognoscere. 180 Or cominciamo testé di nuovo a pigliare i rimedi 181 sopradetti, acciò che il dimonio della tristizia e confusione non assalisca l’anima nostra: che peggio sarebbe l'ultima, che le prime; 182 e sarebbe grande offesa di Dio. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.
LXXXIV. — A Frate Filippo di Vannuccio, e a Frate Niccolò di Pietro di Firenze, dell’ordine di Monte Oliveto.
(Fatta in astrazione). Obbedienza è pazienza nel bene, consolata dalla carità, sostenuta dall’umiltà dignitosa. Ogni virtù è obbedienza a una legge. Esempio di Gesù Cristo. Obbedienza è giustizia che l’uomo rende, più che agli altri, a sé, conoscendo che poca cosa egli sia nell’ordine sociale. Insidie del tentatore grossolane per farci disobbedire, altre più fine, sotto specie di perfezione. Il senso umiliato delle proprie battaglie ci consiglia obbedienza; e così dai pericoli abbiamo salute. Obbedienza volontaria ben si concilia con povertà volontaria; e ambedue ci francano dalla servitù superba del mondo. Lodi eloquenti dell’obbedienza; dove ogni inciso è un argomento. Danni del contrario.
Al nome di Gesù Cristo crocifìsso e di Maria dolce.
Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondati in vera e perfetta pazienzia; perocché senza la pazienzia non sareste piacevoli a Dio, e non portereste il giogo della santa obedienzia, ma con impazienzia ricalcitrereste 183 al prelato e all’ordine vostro. E pazienzia non è mai se non in colui che sta in perfetta carità: onde colui che ama, de la malagevolezza che pare che sia in portare i costumi dell’ordine, e le gravi obedienzie, e alcuna volta indiscrete. Ma poiché per l’amore la malagevolezza si parte, e con pazienzia porta; è fatto subitamente suddito e vero obediente. Ed è umile; che per superbia non leva mai il capo contra ’l prelato suo. E tanto sarà umile quanto obediente; e tanto obediente quanto umile. Oh quanto è dolce, figliuoli carissimi, questa dolce virtù della propria obedienzia! La quale obedienzia tolle ogni fadiga, perocché è fondata in carità; e carità non è senza pazienzia né senza umilità. Perocché l’umilità è baglia e nutrice della carità. Ma vediamo un poco il frutto di questa virtù dell’obedienzia, e se elli é frutto di vita no; e quello che esce del disobediente.
Ogni creatura, figliuoli carissimi, che ha in sé ragione, debbe essere obediente a’ comandamenti di Dio. La quale obedieuzia leva via la colpa del peccato mortale, e riceve la vita della Grazia. Perocché con altro strumento non si leva la colpa, e non si fa la colpa. Nella obedienzia si leva la colpa, perocché osserva i comandamenti della legge; e nella disobedienzia offende, perché trapassa quello che gli fu comandato, e fa quello che gli é vietato; onde ne gli nasce la morte e elegge subito quello che Cristo fuggì, e fugge quello che egli elesse. Cristo fuggì le delizie e li stati del mondo; egli lo cerca, mettendo l’anima sua nelle mani delle dimonia per potere avere e compire i suoi disordinati desiderii; fuggendo quello che ’l Figliuolo di Dio abbracciò, cioè scherni, strazii, vituperi, i quali con pazienzia portò infino all’obbrobriosa morte della croce, e umilmente, e tanto che non è udito File:Lettere - Santa Caterina, 1922 (page 74 crop).jpg il suo grido per veruna mormorazione; ma sostenne infino alla morte per compire l’obedienzia del Padre e la salute nostra. Ma colui che è obediente, seguita le vestigie di questo dolce e amoroso Verbo, e cerca l’onore di Dio e la salute dell’anime. Sicché vedete che ogni creatura che ha in se ragione, se vuole la vita della Grazia, si conviene che passi col giogo dell’obedienzia.
Ma attendete, che questa è una obedienzia generale, alla quale generalmente ciascuno è tenuto e obbligato. Ed è un’altra obedienzia, che è particolare, la quale hanno coloro che, osservati i comandamenti, seguitano i consigli, volendo andare attualmente e mentalmente per la via della perfezione. Questi sono coloro che entrano nel giardino della santa religione. Ma agevole cosa gli sarà ad obedire all’ordine e al prelato suo, a colui che ha osservata l'obedienzia generale, e dalla generale è ito alla particolare. Onde se elli è ito con la volontà morta, come debbe, egli gode, e stando nell’amaritudine sente 184 la dolcezza, e nel tempo della guerra gusta la pace, e nel mare tempestoso fortemente naviga; perocché
il vento dell’obedienzia tanto forte <ref>Dante:«.... Amdavann forte
Si come nave spinta da buonn Vento»,
nella navicella dell’ordine, che neuno altro vento contrario che venisse, la può impedire. Non il vento della superbia; perocché egli è umile, che altrimenti non sarebbe obediente; non la impazienzia, perocché egli ama, e per amore s’è sottoposto all’Ordine e al prelato, e non tanto al prelato, ma a ogni creatura per Dio: e la pazienzia è il midollo della carità. Onde noi paò percuotere il vento della infedelità, né il vento della ingiustizia; peroechè giustamente rende il debito, suo: onde a sè rende odio e dispiacimeuto della propria sensualità, la quale, se la ragione non tenesse il freno in mano, ricalcitrerebbe all’obedienzia; e a Dio rende gloria, e loda al nome suo, e al prossimo la benevolenzia, portando e sopportando i difetti suoi. Allora con fede viva (perchè alla Fede sono seguitate le opere) aspetta, nell’ultimo della vita sua, di tornare al fine suo nella vita durabile, siccome il prelato gli promise nella sua professione. Perchè gli promette di dargli vita eterna, se in verità osserva i tre voti principali, cioè obedienzia, continenzia e povertà volontaria; le quali cose tutte il vero obediente osserva. Questa navicella va sì diritta verso il porto di vita eterna col vento dell’obedienzia, che in veruno scnglio si percuote mai.
Molti scogli si trovano nel mare di questa tempestosa vita, ne’ quali ci peruoteremmo, se il vento prospero dell’obedienzia non ci fusse. Or che duro scoglio è quello delle impugnazioni delle dimonia, le quali non dormono mai, volendo assediare l’anima di molte varie, diverse e laide cogitazioni; e più nel tempo che l’anima si vuole stringere e serrare, con questo vento dell’obedienzia, con umile orazione (la quale orazione è uno petto dove si notricano i figliuoli delle virtù), solo per impedirla! 185 Perocché la malizia del dimonio il fa solamente per farci venire a tedio l’orazione e la santa obedienzia, quasi volendo metterci ne’ cuori una bilità di non potere perseverare in quello che è cominciati», nè portare le fadighe dell’ordine; e la paglia gli fa parere una trave; e una parola che gli sia detta nel tempo delle battaglie, gli farà parere uno coltello, dicendogli: «che fai tu in tante pene? meglio t’è di tenere altra via». Ma questa è una battaglila grossa 186 a chi ha punto d’intelletto; perocché l’uomo vede bene che meglio è per l’anima sua che sia perseverante e costante nella virtù cominciata. Ma un’altra ne pone, colorata col colore dell’odio e del cognoscimento del difetto suo, e dello schietto e puro servire che gli pare che debba fare al suo Creatore, dicendo nella mente sua: «misero, tu debbi fare le tue operazioni e orazioni schiette con purità di mente e semplicità di cuore, senz’altri pensieri; e tu fai tutto il contrario: onde, perchè tu non le 187 fai come tu debbi, elle non sono piacevoli a Dio. Meglio t’è dunque di lassare stare». Questa, figliuoli carissimi, è una battaglia occulta, mostrandoci prima la verità di quello che è, e facendocela cognoscere; ma poi di dietro v’attacca la bugia, la quale germina il veleno della confusione. Onde, giunta la confusione, perde l’esercizio; e perduto l’esercizio, è atto a cadere in ogni miseria, e nell’ultimo nella disperazione. E però si fa tanto dinanzi, 188 e tanto da lunga con sottili arti, cioè per giungerlo 189 qui, non perchè egli 190 creda che di primo colpo egli cadesse in quelle cogitazioni, cioè che vi consentisse. Chi è colui che campa e non percuote in questo scoglio? Solo l’obediente, perocché egli è umile; e l’umile passa e rompe tutti i laccioli del dimonio. Sicché vedete che all’obediente non bisogna di temere di timore servile per alcuna cogitazione o molestia del dimonio. Tenga pur ferma la volontà, che non consenta, annegandola nel sangue di Cristo crocifisso, e legandola, col lume della vera obedienzia, per amore e reverenzia del Verbo Unigenito Figliuolo di Dio.
E trovasi ancora lo scoglio della fragile e miserabile carne che vuole impugnare contra allo Spirito; la quale è vestita d’amore sensitivo, il quale amore sarebbe offendere, perocché la carne ha sempre in sé ribellione, e alcuna volta si corrompe. Ma non sarebbe offesa, se non inquanto la volontà legata 191 col proprio amore sensitivo, consentisse alla fragile carne, e dilettasi 192 nel suo corrompere. Ma se la volontà è morta nell’amore sensitivo e nel proprio diletto, e legata nella obedienzia, come detto è; con tutte le sue ribellioni non gli può nuocere, né impedire la navicella; anco, è uno agumentare e dare vigore al vento, che più velocemente corra verso il termine suo. Perocché l’anima che si sente impugnare, si leva talora dal sonno della negligenzia con odio e cognoscimento di sé e con vera umilità. Che se così non fusse, dormirebbe nella negligenzia con molta ignoranzia e presunzione; la quale presunzione notricherebbe la suberbia: e presumendo di sé medesimo alcuna cosa. 193 Onde per le pugne 194 diventa più umile. E perciò dissemo, che tanto è obediente quanto umile. Se dunque cresce la virtù dell’umilità, cresce, anco la virtù dell’obedienzia. Sicché vedete che corre più velocemente.
Ecci anco lo scoglio del mondo; il quale, come ingannattore, si mostra con molte delizie, stati e grandezze, tutto fiorito; e nondimeno egli ha in sé continua amaritudine, ed é senza alcuna fermezza o stabilità. Ma ogni suo diletto e piacere viene tosto meno: siccome la bellezza del fiore, il quale, quando é tolto dal campo, pare, a vederlo, bello e odorifero; e, colto, subito è passata la bellezza e l'odore suo, ed è tornato a non cavelle. 195 Così la bellezza e gli stati del mondo paiono uno fiore; ma subitochè l’affetto dell’anima gli piglia con disordinato amore, si trova voto e senza bellezza alcuna, perduto quell’odore che avevano in loro. Odore hanno in quanto sono escite dalla santa mente di Dio; ma subito l’odore é partito in colui 196 che l’ha colte e possiede con disordinato amore; né per difetto loro né del Creatore che le ha date, ma per difetto di colui che le ha tolte, il quale non le ha lassate nel luogo dove elle Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/81 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/82 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/83 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/84 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/85 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/86 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/87 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/88 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/89 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/90 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/91 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/92 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/93 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/94 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/95 Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/96 Pagina:Lettere - 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E per tanto io vi dico che ’l papa mandò di qua uno suo vicario; ciò fue il padre spirituale di quella Contessa (1) che morì a Roma; e è colui che renuniziò al vescovo per amore della virtù, e venne a me da parte del Padre santo, dicendo che io dovessi fare speciale orazione per lui e per la santa Chiesa; e per segno mi recò la santa indulgenzia. Gaudete dunque et exultate, perocché il Padre santo ha cominciato ad esercitare l’occhio (2) verso l’ onore di Dio e della santa Chiesa. Costà verrà un giovane che vi darà questa lettera. Dategli di ciò che egli vi dice, fede; imperocché egli ha uno santo desiderio d’andare al Sepolcro; e però egli ne va ora al santo Padre, per lui (3) e per alquante persoue religiose e secolari. Io ho scritta una lettera (4) al Padre santo; e mandandolo pregando che per amore di quello dolcissimo sangue egli ci dia licenzia acciocché noi
1 Alfonso di Vadatera vescovo in Andalusia, poi romito, confessore di santa Brigida, nel 73 morta in Roma; stato più volte in Avignone a sollecitare, in nome di lei, Gregorio al ritorno. Anche per quello doveva egli riverire (come si sa che riverì) Caterina, e ella lui. L’anno 1388 morì; e fu sepolto nella chiesa detta si di San Girolamo, ma tenuta dagli Olivetani, a quattro miglia da Genova, edificata con elemosine raccolte da esso. Devoto al potente eremita, al Dalmata di Betlemme, aveva già prima dotato co’ proprii beni un monastero dell’ordine di San Girolamo, sorto in Ispagna a que’ dì. Era più volte ritornato nel Senese per trattare della sua fondazione col Generale Olivetano; e Caterina, che a parecchi di que’ monaci ha lettere, gli avrà additati i più degni, e cooperato all’intento di lui. Contessa ella chiama Brigida, non principessa; perchè quel titolo era da Matilde nobilitato in Toscana sopra tutti i principati, né così volgare e triviale come divenne poi. Dante a Dio imperatore dà i santi maggiori nell’ aula più segreta per Conti, cioè compagni di milizia e dignità, quasi una camera di Pari. 2 Non è un grande elogio. Pare che a lei paresse che Gregorio XI in corte d’Avignone esercitasse poco l’occhio della mente. E però parla latino, come d’insolita cosa. 3 Sé. 4 Smarrita. 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Indice
- ↑ Fondata in Firenze da un secolo o poco più, da Pietro Martire Domenicano, zelante avversario de’ Manichei, inquisitore generale in Toscana. La colonna di Santa Felicita è memoria degli Eretici vinti in armi. Affidò Pietro a dodici cittadini dodici gonfaloni bianchi con croce vermiglia, da radunare il popolo, se guerre civili, anzi sociali, sotto pretesto di religione insorgessero. Ucciso ch’e’ fu dagli Eretici, crebbe d’uomini e donne la Compagnia, detta in prima di Santa Maria, ma poi della Misericordia per essersi lei dalle armi volta alle opere di pia carità. E prese in cura lo Spedale di Santa Maria del Bigallo, a cinque miglia da Firenze sulla strada d’Arezzo. Le monache domenicane di Ripoli (delle più antiche case dell’Ordine) nel 1267 lo cedettero a questa Confraternita, che prese il nome di lì. Nel 1503 i Capitani del Bigallo cedettero esso spedale alle Benedettine di Catignano, che lasciarono il loro monastero cadente. Questo magistrato ebbe poi in cura i fanciulli abbandonati.
- ↑ Invito è più amorevole e onorevole di chiamata.
- ↑ Dante:
«Ne l’impetrare spiraxion mi valse, Con le quali e in sogno ed altrimenti Lo rivocai».
- ↑ Realtà è la verità ideale in atto. Ma nell’uso antico e nel popolare, reale ha senso più ampio.
- ↑ Consiglio di virtù non secondato da amore è quasi vestimento prezioso che uno abbia dinanzi a sé, e non se ne vesta.
- ↑ Vede intendendo, trova sperimentando.
- ↑ Rompere la prima durezza; tagliare, dividere il desiderio dagli oggetti pericolosi; divellere le radici dell’affetto passionato. Rammentisi che parla a un linaiuolo, e le imagini della cultura e della veste apparranno più appropriate.
- ↑ In questa vita. Se pure il qui non è una ripetizione sbagliata del quanto abbreviato.
- ↑ Vivo assolutamente diciamo fanciullo o uomo soverchiamente vivace.
- ↑ Più comune oggidì: non farebbe
- ↑ In un’altra lettera, e tuttavia nel popolo, Santa Bonda, per essersi l’a d’Abondio appiccicata al titolo precedente; onde femmina il Santo. Monastero a un miglio da Siena, fondato da Pipino nel 754 o 56; dedicato ai santi Abondo e Abondanzio, le cui reliquie egli aveva portate di Roma, e arricchito di rendite. Erano monache benedettine; e al tempo del Burlamacchi la pietà vi fioriva. Il Beato Colombini volle essere ivi sepolto; e Caterina in quella chiesa gustò delizie di spirito. Narra la leggenda che intendevasi edificarlo nel piano lungo il fiume Tressa; ma che le materie raccolte nel giorno alla fabbrica, trovandosi nella notte portate più d’una volta sul monte, quel sito parve elezione di Dio.
- ↑ Paragona il luogo che contiene l’acqua e il calore salutare di lei, all’essenza divina della quale è il verbo redentore. Dante: «Non circoscritto, e tutto circoscrive».
- ↑ Giovanni: «In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum». Qui apud adombra unione intima essenziale. Il luogo del bagno e l’acqua e il suo calore fanno una cosa: e così, dice Caterina, la potenza e la sapienza redentrice e l’amore. Se non c’è tutta l’aggiustatezza (e ce n’è più di quel che paia, quanto è possibile a imagini umane), certo ci è novità.
- ↑ Pare che intenda, tra Dio e l’intelletto dell’uomo frapporsi il limite dell’umanità; ma questo limite in grazia della redenzione farsi mezzo. L’immagine ha un senso alto; e, anco letterariamente è meno strana che in Dante: «Gli occhi che quinci e quindi avén parete Dio non caler»
- ↑ Per Dio. Dante.
- ↑ Sai per fede il prim; ora sappi il perchè della fede.
- ↑ Non già che il peccato sia cosa estrinseca; ma ne’ più segreti dell’anima c'è un male di cui l’uomo pio meno s’accorge, e gli viene dalla sua stessa maleintesa e male usata pietà.
- ↑ Le presenta di fuori, eppoi le insinua nell’intimo
- ↑ Forse, intendo o infonde.
- ↑ La stampa si trovi
- ↑ Bello che l'infinita bontà del bene infinito, l'anima la ritrovi dentro di sè, e la ritrovi nell'atto di sentire le sue proprie angustie. Più bello che nel Petrarca:
«Qual cella è di memoria, in cui s'accolga
Quanta vede virtù, quanta beltate,
Chi gli occhi mira, d'ogni valor segno,
Dolce del mio cor chiave?» - ↑ Il contrapposto in altezza, di quel di Dante: «Faccian le bestie fiesolane strame Di lor medesme. Ha fatto alla guancia della sua palma.... letto.» Ma come il Padre sia mensa non s'intende; quand' altri non dica che, siccome la scienza regge e pare che offra il necessario alla vita, così la potenza di Dio all' opere nostre.
- ↑ Sta per benchè.
- ↑ Uomo di solitudine, morto nel nel 1398; ha titolo di beato.
- ↑ Forse: per la sua.
- ↑ Forse: in fine
- ↑ Non so se meglio sarebbe: chi dubita, nel principio.... intendo che all’uomo non ancora munito di fede ferma, la via in sul primo pare faticosa.
- ↑ Tanto l'odio quanto l’amore, nel linguaggio di Caterina e nel filosofico, sono affetti. Intendo odio e pentimento del male, amore del bene.
- ↑ In senso di scaglione: e qui l’uscita in one, come nel greco e nel francese, è diminutiva.
- ↑ Forse s’inebrii. Non è ben chiaro dove le parole di Cristo finiscano, e dove essa ripigli. Ma il tua pare che segni il distacco.
- ↑ Il bacio è segno di pace.
- ↑ Cantica: «Flores apparuerunt in terra nostra».
- ↑ Il sagrifizio doloroso di sé, può ad ogni ora l’anima rinnovarlo.
- ↑ San Craggio a uno scarso miglio da Firenze. Gaggio, corrotto da Caio; poiché a San Caio intitolò il monastero Tommaso Corsini, nobile fiorentino; e il cardinal Pietro figliuolo di lui lo arricchì della metà de’ suoi beni, in prò’ delle Agostiniane, ivi di sangue nobile tutte. San Savino è tra Siena e Arezzo; faceva uno staterello da sé, soggetto all’Altezza Reale di Toscana: così il Lettere di S. Caterina - Vol. II. Burlamacchi. Nel 1336 fu fondato il monastero a cui Caterina scrive, da tre donne tornate di Terra Santa. Erano Benedettine. E conservavano copia di questa lettera, perdutosi il foglio, se non scritto, inviato da Caterina; perdutosi o logorato per il molto richiedere che ne facevano gli ammalati, da quel tocco sperando a sè guarigione. La medesima lettera è ai due monasteri; con’una piccola giunta a quel di San Gaggio.
- ↑ Per condanna, la Bibbia.
- ↑ La stampa: promesse.
- ↑ La stampa: El
- ↑ II pauperes spiritu, rendesi col per meglio che coll’ in. Dicendo in ispirito, parrebbe escludersene la povertà esteriore ed in atto. Dicendo per, denotasi la libera scelta, e l’alto fine spirituale, e la spirituale radice, senza la quale la povertà è apparenza arida, ostentazione, forse grettezza e inerzia e sudiceria.
- ↑ Talvolta soggetto è più di suddito, in quanto accenna dipendenza forzata; ma del resto la sudditanza è cosa più regolare e abituale, la soggezione può essere per accidente o per poco.
- ↑ Vi spogliate della vostra volontà e dell’affetto. Virgilio: «Istam... exue mentem».
- ↑ Ap.: «Obediens usque ad mortem». Non del tempo, ma del grado d’intensità; non fino all’ora del morire, ma fino a morire per obbedienza.
- ↑ Sentenza solenne. Condotta in dice più che al. Dante: «Il biasmo in che era condotta».
- ↑ Spesso in Caterina vale, oltre al trasgredire, il non curare.
- ↑ Distingue la promessa del voto; perchè ad anima retta e costante l'infrangere la promessa, anco semplice, è grave macchia.
- ↑ Più bello che a. Dice prontezza e pienezza d’operazione.
- ↑ Non correggo chiamate; non solo perchè accorda con angeli, ma perchè comprende le anime tutte, con velo maschile o femminile che sia.
- ↑ Propriamente, cioè quella pena che sola merita questo nome.
- ↑ Non è vera umiltà senz’affetto. Salendo si trova il profondo. Coelumque profundum.
- ↑ La stampa: tardate e saglie: che spesso la seconda persona dell’ imperativo qui finisce in e anco che non sia la seconda coniugazione.
- ↑ Secondo il senso del greco, ripostiglio. L’idea di negozio nell’origine non ha luogo. Ogni cosa si fa mercantile col tempo; e lo provano le parole negozio, operaxione, interesse, frutto, però, effetto, oggetto. E sarebbe un bel trattato e profondo: delle parole e delle cose dal mercimonio invilite.
- ↑ Frequenti simili imagini ne’ libri sacri. Il Salmo: «Myrrha et gutta et easia a vestimentis tuis. — Quam jucundum habitare fratres in unum! Sicut unguentum....» i.a Cantica: «In odorem unguentorum tuorum curimus».
- ↑ rimo e in dignità, e perchè l’anima n’è occupata già prima.
- ↑ Femminino dello scorcio di Ranieri o Rainerio. Tutto quello che segue è a sole le monache di San Gaggio.
- ↑ Di sue fatiche: o piuttosto, come altrove, frutto dell’albero della croce Parrebbe più chiaro senza l’in ciò; ma il valore del modo antico è questo: l’affaticarsi dell’uomo è per.... Di questo, che egli si affatica, è cagione... In questo c’è il fine... — Il presente periodo è una digressioncella, che subito però la riconduce al soggetto, e si fa conferma di quello.
- ↑ A sé, o a’ suoi cari.
- ↑ Terrene.
- ↑ Non dice accrescerla. L’un pronome basta. La logica non consiste in queste cose.
- ↑ Forse de’ Docci, nobili Senesi: fatto dal nome (forse scorcio di Bindocoio) il casato. La madre di lui Margherita Bindi Docci, Mantellata.
- ↑ La perseveranza è la costanza nel bene, segnatamente a fine religioso, e continuata per tutta la prova. «Non coronabitur nisi qui legitime certaverit».
- ↑ Accetto dice più che piacevole, prepara trilione più intima; e ha senso religioso più proprio.
- ↑ Lascio non, che sta per nol, e s’intende. Eisparmiare i pronomi senza offendere l’evidenza, è vantaggio.
- ↑ La stampa: questa.
- ↑ Forse avvedremmo.
- ↑ La stampa: asente; come in autori anche non senesi asempio per esempio, e altri molti. Ma potrebbe dire anco assente.
- ↑ Disordinate: perchè lo sciogliersi de’ vincoli necessari, o lo sciogliersi anco de’ non necessari in modo non conveniente al fine, è disordine.
- ↑ Qui vale il conoscere a prova; né senza pratica è cognizione piena. Così comunemente diciamo: non conosce quel che sia pudore, quel che sia dignità. Il più corrotto e avvilito non cessa di conoscerlo con la mente ma lo disconosce.
- ↑ Del sentimento dell’uomo, Dante: «Mi porse tanto di gravexxa, Con la paura ch’uscia di sua vista».
- ↑ Dante: obbediendo.
- ↑ La stampa: o.
- ↑ La stampa: e come.
- ↑ Non correggo ponendovi: giacche tali trapassi di costrutto a lei sono, famigliari.
- ↑ Per lo più soave ha maggior valore di dolce; ma nello stile di Caterina questa è parola solenne che comprende ogni bene e ogni gioia d’amore. Ond’ella, quasi unica, per darle ancora maggiore efficacia suole posporla al nome; siccome qui appresso: al tempo dolce, che è più affettuoso e più alto che in Dante a Francesca: «Al tempo de’ dolci sospiri».
- ↑ Più bello assai che parevano, non solo per la uguaglianza del numero ma perchè l’impersonale rittae meglio questa soavità intima che viene dall'alto; e perchè tutte le gioie delle fatiche feconde e dei pesi cari sono da quel singolare raccolte in una.
- ↑ Più bello che in Orazio spem longam.
- ↑ O manca, o il salto da voi a lui è un po’ forte.
- ↑ Sottinteso divina anco in Dante.
- ↑ Crede il Burlamacchi che Gugliemo abitasse al convento di San Leonardo, anch’esso degli Eremitani, un miglio da Lecceto, e tra i due conventi corre la selva de’ lecci. Ma San Leonardo nel principio del secolo scorso aveva pochi frati, per causa della mal’aria che spirava dalle acque ferme lì presso; onde dicevasi il piano del lago. Quello che nelle note a un’altra lettera il Burlamacchi dice seccato, parrebbe dunque altra cosa.
- ↑ Può la pianta essere sterile, e può produrre qualche frutto scarso e stento, segnatamente se la sterilità medicata dall’industria e dell’arte.
- ↑ Quasi portiamo al rivolgere del tempo debito, e in copia.
- ↑ Potrebbesi leggere puotèlo per potealo; ma meglio la sconcordanza, che dimostra la sempre presente potenza.
- ↑ Non muto: perchè l’egli, così posto, può intendersi che dia forza al detto.
- ↑ Pare che intenda: la sconoscenza nostra è il peso che ci tira al basso; l'amore di Gesù è il peso che ci solleva. Peso non è sola la forza di gravità che fa scendere; ma ogni forza attrattiva: e lo provano anche grammaticalmente i sensi di sospendere, appendere, pendere, e il traslato filosofico di pensiero. In un inno la Chiesa:
«Beata cujus brachiis
Pretium pependit saeculi!
Statera facta corporis». - ↑ Ne avrebbe a togliersi, o leggere ne senza il non. Forse il copista scrisse l’idiotismo usitato per più dolcezza di pronunzia, nome può.
- ↑ Dante:
«Apri la mente a quel ch’io ti paleso».
«Quella che ad altro intender m’avea chiuso». - ↑ Anima e amatore sta bene nella grammatica filosofica della vergine uomo.
- ↑ Questo che pare sforzo, è necessità dell’amore. Il soprannaturale è veramente natura.
- ↑ Pongo tra parentesi queste parole, nelle quali Caterina, per odio dell’amor proprio si lascia sviare dal principale concetto. Intendasi: che dà tenebre all’anima, la quale se ne lascia occupare.
- ↑ In croce. Vangelo in altro senso: «surgite; eamus». La Chiesa: «Agnus in crucis levatur Immolandus stipile».
- ↑ Vangelo:«tollite jugum memum» — Vincolo è più soave di legame, e può essere anco più stretto e più intimo; onde ha sensi più spirituali. L’amore e il piacere, che sono vincoli, stringono più dolcemente che la semplice obbligazione. Dante: «Non fu alcuna cosa — Che mi legasse con sì dolci vinci — Strinse potenzia con atto tal vime che giammai non si divima — Lo vincol d’amor che fa Natura».
- ↑ Non è chiaro; ma può valere, andiamo con forte moto a congiungerci.
In questo senso anche Dante. E in un luugo il percuotere vale corrispondere
con armonia:
«leva all’alte ruote
Meco la vista, dritto a quella parte
Dove l'un moto all’altro si percuote.Lettere di S. Caterina - Voi II. 3
- ↑ Perchè imagine dell’ente infinito; perchè destinata a bene infinito; perchè la natura della sua cognizione è quell'indefinito, che è l’ombra dell’infinità a cui aspira la sua affezione. Altre volte in queste lettere infinito sta per immortale.
- ↑ Dante:
«Giammai non si saxia
Nostro intelletto se il Ver non lo illustra,
Di fuor dal qual nessun vero si spaxia».Agostino: «Fecisti nos ad te; et inquietimi’ est cor nostrum donec requiescat in te».
- ↑ Prima che noi l’amassimo, prima che fossimo.
- ↑ Manca. Intendo ohe la natura divina con la potenza sua soddisfa d’abbondanza alla umana colpa. Dante: «Tanto soddisfece, Che d’ogni colpa vince la bilancia».
- ↑ Guglielmo per lo più dimorava nel bosco. Di quelle grotte, nido di meditazione e preghiera, parla con divozione Martino V che le visitò.E li comincia a vagheggiar nell'arte Di quel Maestro che dentro a se l’ama».
- ↑ Dante: «l’occhio della mente».
- ↑ Essere necessità a, in Dante.
- ↑ Notisi collocazione di parole, da scrittore grande, e che col suono esprime l’idea e il sentimento.
- ↑ Fuor di Firenze. Monache benedettine, devote a Caterina. E della morte di lei scrive un discepolo a una di queste. Conservano con venerazione un Crocifisso lasciato da essa.
- ↑ Forse senza l’ha. Senonchè in quel che segue, qualcosa manca. Intende che Cristo e la dottrina di Cristo insegna un amore privo d’interesse, perch’egli così ci ha amati.
- ↑ La dottrina di G. C. è umiltà. Più bello che se dicesse è l’umiltà o simile. Così diciamo: Quel ch’io sento è verità.
- ↑ La stampa porta dopo croce un interrogativo, e non ha egli; che pare doversi aggiungere acciò che corrisponda e al costrutto e alla serie delle idee.
- ↑ Non correggo misere ancorché segua spose: perchè solito a lei fare maschio lo spirito femminile; o in quel punto pensare agli uomini tutti, applicando poi alle monache.
- ↑ Forse addivenga. Ma può stare.
- ↑ Dante del voto: «Nel fermar tra Dio e V umno il patto, — Vittima fassi dì questo tesoro» (della libertà del volere).
- ↑ Meglio avendole.
- ↑ Trasgredisce questo voto. Questo è de’ tre il men difficile, anzi il più comodo ad osservare.
- ↑ Comprende anco la superiora, secondo l’uso del tempo e secondo l'origine.
- ↑ Passa dal presente al futuro: e ciò conferisce non solo a varietà di forme e di suoni, ma fa sentire la certezza della cosa pronunziata, come se fosse già; e denota che il male non s’arresta al presente, ma è fonte di simili altri assai.
- ↑ Forse da leggere del mondo; se pur non intende che i consiglieri del Demonio (nominato già) siano gli uomini profani di cuore.
- ↑ Avrebbe a esser ripetuto per isbaglio; almeno i difetti l'una dell’altra.
- ↑ L’umiltà non solo nutrisce, ma accende ogni affetto. Fin nell’amore colpevole l’anima si sente dolcemente umiliata, e minore e necessitosa dell’oggetto amato; e in questo sentimento si esalta. L’uomo superbo, la donna vana, non ama.
- ↑ Ha senso qui tra d’intenso e di attento. Intenzione per attenzione a Corfù si dice.
- ↑ Bene comparato il timone alla mano, che tiene e porta, sospinge e ritira, innalza e abbassa, e regge e lascia cadere l’affetto, secondo ch’è timore santo o servile.
- ↑ La stampa affoca, che tiene di fauces.
- ↑ Non pochi degli Agostiaiani onorò dell’affetto suo Caterina, segnatamente di que’ di Leccete. Un d’essi fu Giovaoni Tantucci nobile senese, detto Giovanni III, perchè priore dopo altri due Giovanni, Incontri e Chigi, senesi e beati. Il Tantucci insegnava Teologia; onde Caterina lo chiama semplicemente Maestro: dottore dell’università di Cambridge. Borioso della sua scienza, e al modo di certi uomini pii sospettando d’ogni virtù che non somigli la loro, andò con frate Gabriello di Volterra Provinciale de’ Francescani, per voler confondere questa fanciulla: e ne rimase confuso; e, buono e dotto veramente consì era, prese a onorarla altamente. La accompagnò ne’ viaggi d’Avignone o di Roma; e fu de’ tre confessori a cui da papa Gregorio era data facoltà di assolvere i convertiti nelle sue peregrinazioni da essa, E anco al Francescano fu grato mutare in riverenza gli spregi superbi. Un Padre Tantucci nel secolo scorso stampò tradotte le momorie del Caffarini, con altre notizie della vita di Caterina.
- ↑ Dante dà ai pensieri atto e faccia: e personifica la coscienza, la buona compagnia.
- ↑ Togliendo questo sicché il costrutto riesce grammaticalmente più netto. Ma gli è un quasi riempitivo, di quelli che usiamo parlando.
- ↑ Più bello rode in che rode essa. Entro a lei esercita opera di distruzione dolorosa, non però distrugge lei.
- ↑ Nella stampa e congiunzione.
- ↑ C'è un amor proprio spirituale; o, com’ora direbbero, anco i buoni talvolta peccano d’egoismo.
- ↑ Intendi empirsi del. Potrebbesi correggere: noi può empire, intendendo che l’amore divino faccia partecipe il cuore della virtù del sangue: ma non in questo senso usa participare la Mostra. Orazio: «Sinoerum est nisi vas, quodcunque infundis, acescit.
- ↑ La stampa, queste due ultime volte, pone nelle; e intorbida il senso, e toglie una bellezza di verità. Numerate diverse altre tentazioni, Caterina ne soggiunge una più grave che quelle del diavolo, e quelle degli uomini in genere, e specialmente de’ non buoni; dico quelle che si danno fra loro i servi di Dio.
- ↑ Usa nel vero suo senso la parola tentare, e la spiega. Tobia: «quia dilectus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te».
- ↑ Rimprovèrio anco in Dante: e più si accosta a improperio.
- ↑ La grammatica quadrupede porterebbe: piacere a lui, e unire con lui.
- ↑ Le tribolazioni gli sono strumento a edificare sé ed altri; ma considerandole appunto perciò come cosa sacra, non presume egli di adoperarle, quasi strumenti vili, a capriccio.
- ↑ La stampa: come egli. Il Burlamacchi spiega: «Dio concede a l’uomo il bene delle tribolazioni quasi per premio, secondo che l’uomo ha saputo dall’amore di Dio trarre amore». Ma l’interpretazione mi pare sforzata, e il senso non lega. O ci deve mancare qualcosa, o s’ha porre così, e intendere: a questo modo riguardando le tribolazioni per amore concedute da Dio, l'uomo ne deduce cagione e ragione di meglio amare Lui bene sommo, e odiare l'unico vero male, la colpa.
- ↑ Sapientemente dice che la volontà del male fa ribellare la ragione al vero. Il dubbio stesso è spesso principio o effetto di colpa voluta.
- ↑ Qui più bello che prende. Dice e la prontezza, e l’atto abituale: l'ha preso in men ch’io non dico, e la tiene sempre.
- ↑ Salmo: «Gladii ancipites».
- ↑ Un inno:
«... Gloriosi
Corporis Mysterium,
Sanguinisque pretiosi,
Quem in mundi pretium,
Fruetus ventris generosi,
Rex effudit entium.Lettere di S. Caterina - Voi. II. 4
- ↑ Scandalezzare i tristi e i falsi buoni, è morale necessità.
- ↑ Sottintendesi la volontà vostra.
- ↑ Se non è errore di scrittura, intendasi: secondo questa volontà di Dio (di per da), siate giudice della vostra. Lezione accenna a qualche lettura spirituale o fatta fra loro dianzi o solita farsi. In questo senso lezione, anco in Dante.
- ↑ Parole affettuose del frate, desiderante a Caterina siccome a madre, che gli dava non pur latte ma fuoco. «Ignitum eloquium tuum vehenienter». Mamma più volte nel severo poema di Dante.
- ↑ Con.
- ↑ Fra i discepoli di Caterina numerati da ser Cristofano Guidini è un Giovanni.
- ↑ Fra Guglielno d’Inghilterra; agostiniano: e così frate Antonio. M. Matteo Rettore dell’Ospedale della Misericordia; l’Abate è quel di Sant’Antimo.
- ↑ Figliuola di Francesco Tolomei, e di Onorabile o Orrabile o Rabe degli Agazzari, famiglie cospicue di Siena; sorella di Giacomo Tolomei, convertito a Dio per opera di Caterina. E questa stessa Francesca con la sorella Ginoccia per le esortazioni di lei, si tolse dal mondo, si fece Domenicana; e il popolo la disse beata.
- ↑ Non solo i disordinati piaceri del senso, ma ogni condiscendenza al senso o nol non saper sostenere il dolore o nel non usare ragionevolmente il piacere anche lecito, ella chiama(e così dicevasi sapientemente) sensualità; che ora a talnni, sotto il nome di sensibilità, è latta pregio di natura e d’arte, coltivasi, accattasi. Possono in quel senso anco le persone devote essere sensuali.
- ↑ Incorona la Triade col raggio della bellezza.
- ↑ Una gentile canzone serbica: «Di die sa egli il tuo seno? di viola o di rosa? Ne’ di viola ne di rosa: sa di ragazza».
- ↑ In Omero ha senso d’amore materiale. Come rincontratesi Omero e Caterina, gl’Ionio e la Senese? E come il concetto della prosa di lei vola sopra quel canto Che sovra gli altri, com’aquila, vola?
- ↑ Orazione senza operazione non è d’anima ragionevole; se non quando l’esempio della solitudine levata dalle meschinità della terra, operi (e non fa di bisogno che ciò sia sensibilmente, e quasi materialmente) negli animi altrui, e rigeneri la società.
- ↑ Più particolarmonte detta. L’orazione dell’intenzione e dell’opera abbraccia tutta la vita; la mentale e la vocale, son parti di quella.
- ↑ Orazioni.
- ↑ Alla contemplante e pensatrice operosa non pare indegno esercitarsi in lavori manuali; e questo anco per tenere sveglia la mente. L’esercizio, bene adoprato, del corpo, è sollievo e ispirazione.
- ↑ Atti del chiedere venia, perdono, inchinandosi a Dio. I greci chiamano lETcivoiai e il pentimento iEtàvoiGig Un del trecento: «Orava con molte lagrime, e facea molte venie prostrandosi in terra». Vuole Caterina non già che si facciano cotesti inchini presente la gente, ma in cella, per iscuotere la sonnolenza; e perchè lì veramente gli sfoghi dell’affetto e dell’umiltà sono liberi e schietti. In senso non religioso la cronaca del Morelli: «fu in Vinegia dinanzi al Doge, con molte invenie dimandando perdono». Oggidì invenie vale cerimonie affettatamento sommesse. Così la stessa parola cerimonia, acquistò senso profano e di spregio.
- ↑ Più felice quest’imagine del sonno che si apprende all’anima e s’avviluppa quasi pianta parassita; che in Dante il frangersi nel sonno che, prima di morire, guizza.
- ↑ Forse sbagliato. Il senso pare; quand’anco ella non avesse il pieno sentimento e uso della forza propria, non perderebbe però tutto il merito dell’aver vinto quella fiachezza ch’è nel condiscendere a se. Il sopra di quello destare, par voglia dire che la mente non si reca in tutto sopra di sé, non ha piena la coscienza riflessa. La stanchezza vince, i sensi; ma l’anima tuttavia è regina di quelli.
- ↑ Può non essere impersonale: e così in Dante: «Come l'uom che non s’affigge. Ma vassi alla via sua».
- ↑ In Romagna merollo. La d e la r si scambiano: armario, armadio. Vestirsi del midollo, non è improprio se s’intenda affine a investirsi, ne’ sensi dell’induere latino.
- ↑ Paolo: «In caritate non fiata». Bello il contrapporre di libero a doppio. Libertà è coraggio di semplicità sapiente; la doppiezza è di schiavi.
- ↑ Non per viltà o per disperazione, che sono due rami dell’orgoglio, ai quali l'anima rea s’impicca.
- ↑ Se le persone ne cercano assai di cotesti consiglieri dell’anima. Le genti è comune ai Francesi; ma il popolo toscano, anco nel plurale, lo ha tuttavia.
- ↑ Nell’intimo. Lo sposare troppe opinioni lascia l’affetto vedovo. Come la Samaritana che non aveva marito, appunto per averne avuti sette.
- ↑ Non solo varii ma differenti, non solo differenti ma diversi. Questo si chiama saperne e di stile e di spirito. Questa è la pazienza tollerante, midollo della carità. L’impazienza liberalesca è intollerante degli altri e di sé, quando non sia incatenata o non s’addormenti.
- ↑ Conte è nome, non titolo: e aveva il nome stesso anche il padre. Fu il figliuolo devoto a Caterina. Ed ’ ebbe in cura la carcere delle Stinche; giacché in tempi che meno menavasi vanto di scienza penale, se non sempre più umane, erano più moralmente vegliate e meno corruttrici le carceri. A lui Giovanni delle Celle scrisse in lode di Caterina due lettere.
- ↑ Non solo l’esercizio delle pratiche esteriori, ma i desiderii del bene che valgono più, e le opere stesse. Pare che a esercizio corrisponda frutto, per denotare che e’ è delle pratiche sterili; a desiderio corrisponda perfezione, cioè esecuzione che lo compisca; a operazione corrisponda il conseguimento del fine. Intende che le opere buone a fine meramente umano, non raggiungono da ultimo neppur questo fine: onde i disinganni amari, e i dubbii disperati.
- ↑ Apparisce chiaro, non sembra in mera apparenza.
- ↑ Salmo: Eduxit me de lacu miseriae et de luto faecis».
- ↑ Non ogni prova dà l’esperienza; ma, d’altra parte, non ogni esperienza è provata, cioè preparata e seguita dalla riflessione, che la rende feconda e dimostrativa, e ne deduce le sue coseguenze.
- ↑ Può stare anco senza il che; ma non è da torlo via come errore.
- ↑ Umiliarsi al prossimo per altro che per Dio è viltà e vanità.
- ↑ La redenzione non solo è fatta conoscere all’intelletto dalla Fede; ma essa Fede, in quanto virtù, fa sentire all’anima il valore della Redenzione in effetto. E però dice introdotto il sangue, quasi fatto scorrere negli intimi seni dell’ anima.
- ↑ O felix culpa! Ci aggiunge avventurata per abbondanza d’affetto, ma non senza senso, in quanto dice che tale ventura non è merito nostro; dove felice accenna più propriamente la grandezza del bene a cui la colpa fu non cagione ma occasione.
- ↑ Petrarca: «Anima che di nostra umanitade Vestita vai».
- ↑ Renderò il debito delle utilità ricevute da Dio con beni utili a Dio, non abbisognante di noi.
- ↑ Né per tentazione di diletto, più terribile d’ogni pena.
- ↑ Non potendo per meriti di giusta fatica acquistare i beni dello spirito, si può dire che in certa guisa li furi, appropriandoseli, e cogliendo il tempo opportuno; e poi tenemdoli celati, non per frode, ma sì per modestia e per tema di perderli. Soggiunge, con modo ardito (per non moltiplicare le parole, e correre diritto alla cosa, e anche così esprimere l'imagine del furare) furare la vita e la maturità: bella parola, che la ripensare al contrapposto, delle acerbe gioie o delle immature o fradice, puerili o decrepite grandezze del mondo.
- ↑ Il reputar sé da molto.
- ↑ Per curare ha esempi, e uno neutro e passivo del Giambullari. Ma qui ha senso più generale e più proprio.
- ↑ Che n’usi secondo il libero arbitrio. Altrove dice la libertà e il tempo tesori affidati da Dio.
- ↑ Meglio ad averlo.
- ↑ Canigiani.
- ↑ O quella che Giovanni delle Celle aveva fatta in Firenze, e ne tocca in altra lettera Caterina: o simile a quella.
- ↑ Salvo se tu ti fai monaco.
- ↑ Non so se errato.
- ↑ Le umiltà non soffoghi la sincerità, né invilisca il coraggio delzelo puro.
- ↑ A’ falli commessi; i quali per la Fede convertonsi in meriti vieppiù grandi forse che quelli della inesperta innocenza. Questa parola modesta, e le altre che seguono, darebbero a sospettare, essere qui nella fine il vero intento e l’assunto di tutta la lettera. Ne abbiamo veduti altri esempi. E di qui apparrebbe in nuova bellezza l’artifizio dell’affetto che spirano segnatamente le parole in cui degna.uente commentasi l’esclamazione del dolce Gregorio. Lettere di 3. Caterina - Vol. II.
- ↑ Vangelo: «Erunt novissima illius pejora prioribus.
- ↑ La stampa: ricalcitraste.
- ↑ La stampa senta.
- ↑ Periodo avviluppato Ma non è, come pare, improprio lo stringersi e il serrarsi, accanto al traslato de la navicella. Chi andando, s’attiene a una parte, o tende verso quella, pare che voglia stringerlesi. In Virgilio, appunto di nave: «Inter navemque Gyae scopulosque sonantes Radit iter laevum interior. — Littoraque Epiri legimus».
- ↑ Grossolana insidia, facile a fuggire.
- ↑ La stampa: li.
- ↑ Muove dalla lontana le sue obbiezioni; si presenta in modo quasi lusinghiero: occurrit.
- ↑ Dante: «Giugnèmi paura».
- ↑ La stampa ha qui un’ella che turba il senso. Il diavolo non e femmina.
- ↑ La libertà non può essere legata che da se stessa; se non si rinnega, nessuno la vince.
- ↑ Forse dilettassesi. Ma può stare anche questo.
- ↑ Qui manca. forse è da togliere le parole e presumendo di sè medesimo alcuna cosa.
- ↑ Per impugnazione, sulla forma di pugna; come per confermazione, conferma.
- ↑ Non è negazione di per sé, giacché in. Romagna ha pur senso di qualchecosa. Onde il non richiederehbesi sempre; ma omettesi come quando veruno per nessuno.
- ↑ Non dice partito da: ed è proprietà sapiente, degna di questa similitudine, comparabile non senza vantaggio alla simile dell’Ariosto e d’altri poeti. L’odore, l’aura piacevolmente ispiratrice, la grazia e la bellezza, rimangono tuttavia nel bene di cui l’anima abusa; ma non sono nell'anima stessa: essa divide la bellezza dall’oggetto bello, con attrazione rea, con distrazione da ultimo penosa. Alta distinzione del bello assoluto che è nelle minime cose, in rispetto all’ordine di tutto il Creato, dal relativo che la mente umana ci scorge o vuol trovarci, diverso dall’ordine, o contrario a quello. L’uomo co’ suoi errori e abusi non può distruggere, né togliere agli altri uomini (se essi non si facciano complici del suo errore) né la bellezza né la bontà né l’utilità delle cose.