Memorie storiche di Arona e del suo castello/Libro III

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Libro III

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LIBRO TERZO


SOMMARIO:


La distruzione di Milano operata da Federico Barbarossa, contribuisce all’aumento di altri luoghi — Martirio del beato Arialdo Alciati — Dominio temporale degli arcivescovi di Milano sopra Arona — I Milanesi, in fazione coi Torriani, occupano il castello — Ottone Visconti, esule da Milano, si ritira in Arona — Viene assediato da Oberto Palavicino , capitano dei Torriani, e fugge all’insaputa — Ritorna ad occupare la fortezza — Combatte al torrente Guassera, e viene superato dai Torriani — Ritorna da Canobbio all’assedio di Arona, che per patto vi si arrende — Assalito di nuovo dai Torriani, è costretto ad uscire dal castello col presidio disarmato — Sua difesa detta in concistoro a Roma — Vinti i Torriani a Decio, riprende Arona ed Angera colla sede arcivescovile — Arona fu luogo staccato dal milanese, e si reggeva con leggi particolari — Galeazzo Visconti dà la signoria di Arona al fratello Stefano — A questi succede Gaspare — Giovanni Galeazzo fa smantellare la rocca con altre nei dintorni — Si ristaura da Caterina Visconti — Si erige il luogo della corte dì giustizia.
Nel primo libro di queste memorie ho riportato i monumenti, dai quali indubitatamente appare che l’esistenza di Arona sia molto anteriore alle prime memorie
[p. 64 modifica]che si trovano scritte, le quali in sostanza non segnano che dalla fine del secolo X, cioè dalla fondazione dell’abbazia dei monaci di san Benedetto. Gli avvenimenti però della fortezza e del paese sono ancora a noi più vicini di quelli dell’abbadìa, non trovandosene alcun cenno prima della metà del secolo XI. Ed abbiamo certo di che dolerci della trascuratezza dei varcati tempi, che lasciato non ci abbiano le notizie di un così notabile periodo.

Distrutta nell’anno 1158 la città di Milano dalle armi di Federico I imperatore di Germania, denominato Barbarossa, implacabile nemico dei Milanesi, reggendo la sede vescovile Uberto Pirovano, quel popolo ramingo si diffuse specialmente sul Verbano, ed Arona acquistò molte famiglie, che tanto più di buon grado vi stabilirono il loro domicilio, in quanto che Arona ed il forte erano a quei tempi di pertinenza dell'arcivescovo di Milano, e lo furono sino all'anno 1290, dipendentemente dal titolo che avevano di conti dell'impero, conferito da Ottone 1 ad Arnolfo I e successori nell’arcivescovado. Di questo possesso abbiamo le seguenti prove di fatto. Nell'anno 1056 signoreggiava così dispoticamente Arona ed il forte, Oliva de’ Valvassori, nipote di Guido Valvassori da Velate, arcivescovo di Milano, chiamato nelle storie col nome di Wido, che mentre Arialdo Alciati, diacono di Cucciago, esule da Milano, stava predicando con energia evangelica per la conversione del clero miseramente infetto di concubinato e di simonia, venne per ordine della suddetta assalito da alcuni di lei emissarii, e tradotto nella piccola isola dissotto ad Angera, ove nel giorno 28 di giugno dello stesso anno è stato barbaramente trucidato, riportando la palma del martirio. Non andò però impunito questo atroce misfatto, mentre [p. 65 modifica]Erlembaldo Cotta, capitano del popolo milanese, che aveva preso a combattere la simonìa e l’incontiuenza dei preti, e che come campione della chiesa venne poscia ascritto al numero dei Santi, portatosi con poderosa armata d’ogni pesi fornita a poca distanza del paese, pretese e conseguì il corpo di Arialdo, che dopo il martirio era stato nascosto nelle Rocca, e venne da lui con grande pompa e venerazione trasportato a Milano 1 Alli 25 di maggio del 1085 morì in Arona Tealdo Castiglione arcivescovo di Milano, esule dalla sede, che si era quivi ritirato come terra appartenente a quell’arcivescovado, ed è stato sepolto nel monastero dei Benedettini: et ibi sepultus est Tealdus archispiscopus mediolanensis anno Domini 1085 2. Lo scrittore Pietro Paolo Bosca nelle sue note al martirologio ambrosiano, al primo di giugno dice, che nell'anno 1695, nel gettare le fondamenta di un muro di fortificazione di Arona si trovò il cadavere di questo arcivescovo 3. Ma come va la cosa! Un arcivescovo, padrone anche nel temporale di Arona, non essere sepolto in una chiesa, o per lo meno in un cinto sacro o religioso? Tealdo non lo poteva essere sicuramente perchè scismatico e scomunicato; voglio bensì credere che sarassi il suo cadavere rinvenuto dentro il cinto del monastero in occasione di qualche fabbricazione interna del medesimo, e non già esteriormente nell’occasione dal suddetto Paolo Bosca rimarcata, perchè nè nell’anno 1695, nè posteriormente è stato gettato alcun muro di fortificazione nè dentro, nè fuori di quel chiostro. [p. 66 modifica]Le fortificazioni vi sono alquanto distanti, e vennero tutte eseguite in epoca anteriore al 1646.

E non è minor prova quella del temporale dominio di questo luogo negli arcivescovi di Milano quello d’essersi l’arcivescovo Grossulano, successo ad Anselmo IV, sospetto di avere ottenuta quella sede con simonìa, ritirato in questo ‘forte nell’anno 1105, come ce lo assicura Landolfo di san Paolo, scrittore milanese contemporaneo, in questi termini: Tandem propitia sors eo Grossulanum adduxit, ut Aronæ castrum aliaque loca archiepiscopalis juris feliciter possideret. E resosi in seguito esule dalla sede, volle nell’anno 1109 tentare di ricuperare in parte le rendite del suo arcivescovado, ed apparve all’improvviso sotto di questa rocca, di cui gli riescì d’impadronirsi; ma per poco la potè tenere per timore delle minacce di Olrico Vicedomino di Milano congiunto ad Anselmo Pusterla4, i quali, benchè lontani dalla patria, come dice il citato scrittore: Mediolanum redire festinaverunt, ipsamque arcem, et cetera ad archiepiscopatum pertinentia a jure et potestate Grossulani vacua invenerunt.

Arona sino a questi tempi, ed anche dopo che nel secolo XIII venisse soggiogata dal popolo milanese, benchè luogo appartenente all'arcivescovo di Milano, come parte del contado di Stazzona (ora Angera), si resse sino a tardo tempo con indipendenza municipale, e conservò la propria e piena giurisdizione in se stessa costituendo così un essere morale distinto dal ducato. Non ci è però rimasta alcuna traccia delle leggi e dei regolamenti con cui si governava. Dopo l’eccidio di Milano del 1158 sino al 1172, [p. 67 modifica]in cui questa città cominciò a risorgere dalle sue rovine, non trovasi nei pubblici documenti che il terrore che si sparse in tutte le città d'Italia per l’inumana barbarie del Barbarossa, le emigrazioni di varii popoli dalle antiche loro sedi per gli incendii e le devastazioni commesse da’ suoi capitani, e l’agro milanese ridotto ad un teatro di sanguinosa guerra, terminata appena nell’anno 1185 colla pace di Costanza. Non fu però di lunga durata la tregua per queste popolazioni, perchè due potenti famiglie, la Visconte e la Della Torre, si contendevano a gara il milanese, e laceravano le comuni al medesimo soggette, dacchè sino a quest’epoca lo stato di Milano non era ancora eretto in ducato. Nell’anno 1208 era castellano di questo forte Bernardinus Frassus magister de burgo Staciona, e nel 1211 lo era certo Martinus qui fuit de Staciona5. Non sì è però potuto sapere se dipendessero dai Visconti o dai Torriani, che in questi tempi comandavano a vicenda e giusta l’esito delle continue guerre. Si può però accertare, che nel 1216 trovandosi il popolo di Milano in una specie d’anarchìa che lo rendeva assai molesto ai municipii limitrofi, Innocenzo III mandò due cardinali in legazione in quella città, minacciandole i fulmini del Vaticano: nisi vicinas civitates vexare ei sollicitare desiisset. Il popolo, irritato da queste minacce, si volse impetuosamente contro varie vicine terre, e fra le altre contro Arona, la quale avendo fatta una valida difesa, dai Milanesi si abbandonò l’alto Novarese per fare una irruzione nella Lomellina: Et cum Aronam tentatam capere nequivissent, præda onusti in Laumellinam se intulerunt, [p. 68 modifica]eamque multo quam antea fedius lacerarunt 6. In seguito poi e nel 1249 i Milanesi fazionarii, ai quali si erano ribellati i Pavesi, presero questo castello tenuto da Guidon Cane, partitante dei Pavesi, come ne riferisce la storia milanese del Bugatti al libro 4, ove dice: « Erano però in questi tempi i Milanesi in arme ne’ confini loro, avendo preso il castello d’Arona sopra il lago Maggiore, come fortezza e frontiera dello stato, che era tenuto da Guidon Cane, e ruinato Lecco.» Ed il Sigonio al proposito scrive sotto l’anno suddetto: Mediolanenses Aronam arcem utilem, atque opportunam rebus suis futuram Guidoni Canio Federici socio eripuere; e come lo attesta anche Galvagno Fiamma nel suo Manipulum florum; ma furono ancora continuati per gli Aronesi i disaggi a cagione delle dominanti fazioni. Liberati i Milanesi dall’invasione degl’imperiali, per effetto massime dell’aiuto che loro veniva somministrato dai signori Della Torre, continuavano tranquillamente nel possesso del loro castello, il quale verso la metà del secolo XIII veniva occupato da Ottone Visconti, arcidiacono del Capitolo ambrosiano, per il fatto che andiamo narrando.

Signoreggiava allora in Milano, col titolo di anziano della credenza, Martino Della Torre il quale intendeva portare alla sede arcivescovile vacante sino dall’anno 1257 il suo zio Raimondo Della Torre accetto ai popolari come Torriano. Per lo contrario i nobili volevano per arcivescovo Francesco da Settala. Il Sommo Pontefice profittando di questa divisione, desiderando di neutralizzare l’influenza dei Torriani, mandò a Milano in qualità di [p. 69 modifica]suo legato nell’anno 1264 il Cardinale Ottaviano degli Ubaldini, nell’intento di favorire l’elezione di quello che veniva designato dal partito dei’ nobili.

Martino rendeva vana la missione del cardinale legato, costringendolo con apparente cortesìa ad uscire da Milano. Il Sommo Pontefice nell’anno seguente, per attraversare a sua posta i progetti di Martino, nominò arcivescovo il detto arcidiacono Ottone Visconti: « Uomo (dice il Verri) che il cardinale legato aveva riconosciuto in Francia smanioso per comandare, violento; uomo insomma capace ad abbattere il potere dei Torriani tosto che ne avesse i mezzi. » 7 La dignità arcivescovile fu lunga pezza per Ottone un nome vano, poichè Martino Della Torre ed i successori suoi lo tennero costantemente esule dalla città, occupando i beni della mensa arcivescovile: ma l’animo impetuoso di Ottone non dormiva al certo durante il suo esilio, anzi poneva ogni opera in campo per riacquistare il possesso dell’arcivescovado, chè tanto Arona, quanto i contorni ne provarono i più funesti effetti. Più colle altrui, che colle mie parole narrerò il primo avvenimento di questo arcivescovo relativo ad Arona. Adunato nel 1263 un buon numero di nobili milanesi proscritti 8, entrò con essi improvvisamente in Arona nel primo giorno di aprile. Allorchè giunse a Milano la notizia di quest’occupazione, il marchese Oberto Pallavicino coi signori Della Torre, corse prestamente per ricuperare la piazza. Passato il Ticino con una forte mano di armati, fece assediare Arona per terra, mentre egli avendo radunata [p. 70 modifica]grande quantità di navi, prese ad assalirla dalla parte del lago. Per tutto quel mese l’arcivescovo difese la fortezza, ma non gli fu possibile resistere d’avvantaggio. Trovò egli per altro il modo di fuggirsene coi nobili che l’avevano seguìto, lasciando nel luogo i soli abitanti, i quali preferita l’individuale salvezza agli interessi di chi sopra di loro voleva dominare, tosto si arresero9. Il castello alli cinque di maggio fu demolito, e lo stesso seguì di quelli di Angera e di Brebbia, che erano di pertinenza dell’arcivescovo di Milano. La demolizione però di questo castello non deve essere stata tanto forte, giacchè si raccoglie, che da lì a non molto fu ristaurato e posto di nuovo in istato di difesa. Non tralasciò Ottone dal tentare entro pochi anni nuove imprese per ricuperare le terre del suo dominio, chè approfitando egli della morte di Gregorio X, seguita in Arezzo, ed accordatosi col partito contrario aî Torriani, assoldò (correva l’anno 1276) un corpo di milizia nella Lomellina, e portatosi sul lago Maggiore, ogni castello gli aperse le porte, tranne quelli di Arona e di Angera, che gli fu forza di espugnare10. Dipoi passò nel Seprio11. Non andò però molto, che valorose scorte tedesche, sotto il comando di Cassone, figlio di Nappo Della Torre, si avvicinarono verso Angera sino al fiume Guassera (ora chiamato Quassa) che corre nelle vicinanze di Angera, e sbocca nel lago Maggiore. Gottifredo di Langosco , che comandava le truppe di Ottone sulla destra sponda del fiume, intesa la venuta dei [p. 71 modifica]nemici, disponeva i suoi in ordinanza, attendendo il momento propizio per assalire i Torriani. Spintosi avanti nel fiume Anzio Lanser, capitano dei tedeschi al soldo dei Torriani, Gottifredo spronato il cavallo, lo assalì passandolo colla lancia, e ciò servi ad incoraggiare i suoi soldati per moversi contro i tedeschi; ma nella mischia che con molto calore si attaccò da ambe le squadre verso quel finme, spaventatosi il cavallo di Gottifredo, restò preso dai Torriani; per il che perdutisi d’animo i suoi, si misero con disordine in fuga, sempre inseguiti dai Torriani. Teobaldo Visconte, fratello di Ottone, è stato preso in questa mischia con altri gentiluomini, i quali poi per la crudeltà di Nappo, e si dice anche di sua moglie, furono collo stesso Gottifredo decapitati a Gallarate12. Per questo fatto Arona ed Angera vennero di bel nuovo in potere dei Torriani. I posteriori avvenimenti, e specialmente la rotta di Ottone a Castelseprio, ruinarono intieramente le sue squadre, onde ritiratosi a stento a Canobbio, colà con Simone Rusca da Locarno, e con gli aiuti di Guglielmo marchese di Monferrato, con cui si era alleato13, attese a far gente per irrompere di nuovo contro i Torriani, disposto avendo che Simone governasse le genti sulle navi, e Guglielmo quelle di terra. La rocca di Angera, già dopo l’ultima rovina ristorata, benchè dopo i fatti di Castelseprio venisse guardata con gelosia dai Torriani, all’approssimarsi di Ottone e di Simone da Locarno, si arrese a’ patti. Quindi l’armata Ottoniana si volse ad Arona, che per la fortezza del sito, si stimava [p. 72 modifica]luogo più importante. L'assedio durò molti giorni, ed il paese provò grande rovina nei fabbricati dal forte gettare delle pietre per mezzo delle balestre; ma e per la mancanza di sussidii da parte dei Torriani che vi stavano dentro, e per le istanze dei terrieri che vedevansi ridotti a mal partito per l’ostinazione d’ambe le parti belligeranti, aderirono gli assediati alla cessione della piazza, entrandovi Ottone co’ suoi seguaci. Non era appena conchiuso l’accordo della cessione, che si seppe che Cassone Della Torre se ne veniva da Milano con una banda di tedeschi. A tal nuova Guglielmo, rannodate le sue genti di terra e di acqua, le pose in vantaggiosa situazione esteriormente alla fortezza, nella quale era rimasto il solo Ottone con sufficiente miliza per la difesa. L'armata Torriana, comandata: da Cassone e da Mosca suo fratello, e dai loro cugini Andrea ed Enrico, si accostò con tal ordine e forza, che si spinse sin dentro gli steccati, rompendo ed abbattendo ogni ostile incontro, di maniera che Ottone fu costretto di arrendersi a patto che egli ed i suoi uscissero disarmati, come fu eseguito, avendo Ottone ed i suoi soldati deposte le armi sulla spianata, luogo ora chiamato il Serrone, dacchè in quei tempi era chiuso, e faceva parte delle difese del forte14. In prova di che riportiamo le stesse parole che Ottone ha proferite avanti il Sommo Pontefice Urbano IV nella sua difesa che fece nel concistoro, presenti i legati Milanesi e Torriani: «Fateor amicorum manu succintus Aronam capi non ut detrimenta patria inferrem, sed ut quocumque modo în diœcesi mea constitutus, possessionem mihi designatam asservarem. Sed audaces et [p. 73 modifica]impii homines, quos nulla reverentia sacerdotii, nullus Dei metus, nulla Pontificis auctoritas tangit, subito tumultuarium militem contrahunt, oppidum obsident, pastorem operibus, ac machinis oppugnant.... Cedere furentibus malui, quam committere ut civium meorum sanguis ex certamine effunderetur 15». Guglielmo marchese di Monferrato coll’avanzo delle sue genti di cavalleria andò a Pavia; Ottone e Simone da Locarno si ritirarono l’uno a Como e l’altro a Novara. In questo modo Arona lacerata da tanti patimenti, si riconfermò sotto la potenza dei Torriani, e vi stette sino all'anno 1277, in cui Ottone, col favore dei suddetti suoi alleati e di Riccardo Langosco, raccolte nuove forze, debellato avendo i Torriani a Decio16, fatti prigionieri Nappo Carnevario, Enrico, Lombardo, Mosca e Guido Torriani, e cacciati Martino, e Cassone Della Torre da questo castello, in cui dopo la rotta di Decio si erano rifuggiati, potè finalmente entrare in Milano tanto desiderato, ed avere per conseguenza il dominio su di questa e sulla fortezza di Angera senza ulteriore contrasto.

Per gli accaduti fatti benchè siasi consolidata la suprema signorìa di Arona nel dominio di chi reggeva il contado di Milano, è però sempre stata considerata come luogo staccato dal contado, o dal ducato medesimo. Ebbe Arona sempre il proprio giudice17, con giurisdizione separata ed indipendente , ed il suo governo municipale18. E quello [p. 74 modifica]che è più rimarchevole si è che la giustizia rendevasi non già a nome del popolo milanese, ma sempre del popolo di Arona: Auctoritatem communis Arone interponente. Con quali leggi poi Arona si regolasse, come terra separata dall’egro e ducato Milanese, non è facile indicarlo. È regola che i paesi conquistati debbano osservare le leggi che gli impone il conquistatore. Reggevasi il territorio milanese colla scorta delle consuetudini particolari state per gran tempo le regolatrici dei giudizii, e che non esistevano che nella memoria di certi uomini chiamati morum periti. Appena nell’anno 1216 si giudicò necessario il porle in iscritto e ne fu compilato un libro intitolato Consuetudines Mediolani19 da cui ebbero principio gli statuti di quel ducato, stati poi riordinati da Giovanni Galeazzo Visconti nel 1396, e successivamente da Lodovico Sforza nel 1498. Dal vedere praticate in Arona alcune abitudini in tutto consimili a quelle usate nell’agro milanese, è forza il dire, che siasi assoggettata all’osservanza delle consuetudini di quel ducato. Era portato dalle prime per esempio l’uso di adoperare due sorta di pesi dette libbra, l’una chiamata giusta ed era di once ventotto, e l’altra sì appellava sottile, e constava di once dodici20». Si sono questi pesi costantemente adoperati, e si usano tuttavia in Arona. Le solennità nelle stipulazioni delle femmine, la rivendicazione dei beni paterni, la regola delle servitù urbane e rustiche, e di alcuni contratti, e tante altre pratiche forensi sino ai giorni nostri osservate sono senza dubbio il frutto di una servile imitazione degli usi e delle consuetudini del popolo conquistatore di Arona, passate poi [p. 75 modifica]col volgere d’anni in vere leggi. Con tutto ciò non si può dire che vi fosse una compita legislazione ancorchè si osservassero simultaneamente le leggi romane, e rimanevano in conseguenza non piccole lacune nei patrii bisogni. Arona dovrà essersi trovata in eguale e forse anche in più critica situazione di Milano; per cui gli fu forza di imitare l’esempio di quasi tutti i luoghi del suo circondario, e provvedere a se stessa, formando le sue leggi municipali21. A quest’epoca è perciò riferibile la compilazione del codice de’ suoi statuti 22 suggeriti dalla necessità per non vedersi astretta ad obbedire a leggi straniere, le quali comecchè particolari del luogo in cui vennero decretate, non confacevano pel suo caso. Di questi statuti noi daremo una più chiara notizia ai lettori in miglior sede in questi libri, dovendo contemporaneamente trattare di fatti e di cose che vi hanno relazione, e che sarebbe disadatto riferirle a questo luogo. Trovo poi negli atti notarili di quest’archivio, che i commissarii di Arona, cui spettava la giurisdizione civile e criminale, davano la facoltà a chi li richiedeva di ritenere le minute dei notai defunti, e di autenticarne le copie, potere, che in oggi ha la sola regia camera 23. Trovo altresì, che il consiglio municipale aveva il diritto della nomina del proprio parroco, prerogativa che durò, come gia dissi, sino al cambiamento della parrocchia in arcipretura 24; questi poteri [p. 76 modifica]concorrono a conformare l’indipendenza e la specialità di leggi e di regolamenti, coi quali Arona si reggeva a comune.

Erano già cessate sino dall’anno 1312 le guerre fra la fazione Torriana e la Visconte per la morte occorsa in Cremona di Guido Della Torre capitano perpetuo del popolo Milanese, e per la pace stipulatasi con Cassone Della Torre nella città d’Asti a mediazione di Enrico VII, ciò nullameno Arona durante il dominio dei Visconti stato quasi sempre convulso e torbido, conta alcune memorie degne di ricordo. Mancato di vita nel 1322 Matteo Visconte cognominato il Magno, ed insorte fra suoi figli Luchino, Marco, Stefano, e Giovanni gelosìe di stato verso il primo loro fratello Galeazzo, per avere col loro valore contribuito alla difesa dello stato, ed alla di lui sovranità, gli fu forza assegnare a ciascuno di loro diverse signorie nel Milanese ed a Stefano diede quella di Arona correndo l’anno 1325, il che contribuì non poco a diminuire la grande influenza nel dominio temporale che aveva sopra di questo paese l’abbazia dei monaci Benedettini25. Possedeva Stefano pacificamente la nuova signoria sino all’anno 1328 quando si vide un bel giorno improvisamente spogliato del forte da Pietro Calzino, e Robaldone fratelli Tornielli di Novara, stati creati da Lodovico il Bavaro nel 1327 vicari imperiali di quella città e conti di Arona, talmentechè il Visconte potè appena salvare la vita fuggendo26. Devastarono li Tornielli in tre giorni Arona e tutto il vicinato in odio dei Visconti; ma riacquistata [p. 77 modifica]questa signoria in breve dalle armi di Galeazzo, vi rientrò lo stesso Stefano Visconte, che per qualche tempo ancora lo possedette essendovi di poi subentrato Gaspare Visconte27. Sofferse Arona molte peripezie verso il 1357, e venne rappresagliata dai due partiti de’ Guelfi e Ghibellini, che in Italia ebbero principio nella città di Pistoia nell’anno 1239, ed arsero per due secoli e più l’italico suolo con infiniti danni. Ma la più grande sventura per Arona (se tale può chiamarsi la distruzione di un’oggetto che è la causa di continue molestie), avvenne nel 1358 in cui Giovanni Galeazzo Il Visconte duca di Milano, geloso della sua grandezza, ed istruito delle passate vicende smantellò questa fortezza, quella di Invorio Maggiore, di Castelletto sopra Ticino, di Miasino, e quant’altre vi erano sul Verbano che servivano d’asilo alle fazioni28. Morto poi in settembre del 1402 questo Visconte, ed insorti molti torbidi pendente l’età pupillare de’ suoi figli Galeazzo-Maria, e Filippo-Maria, la loro madre e tutrice Caterina Visconte fece immediatamente ristaurare questa fortezza, considerata come un antemurale dello stato di Milano; e nell’anno 1405, essendosi resi più gravi li torbidi del ducato, mossi dai nemici dei Visconti nella minorità dei predetti di lei figli, vi si ritirò coi medesimi, e con Francesco Barbavara loro tutore insidiato dagli emuli, e vi dimorò per più di sei mesi.

Erano a questi tempi e già sino dal 1393 investiti i Visconti dell’autorità ducale, e per avere conseguentemente avvocato a loro, in vigore del supremo comando, le pre[p. 78 modifica]rogative feudali, che prima competevano all’abbazia dei Benedettini, esercitavano in Arona la piena podestà signorile. Arrogaronsi quindi il diritto della nomina degli amministratori del pubblico, la facoltà della curia, e l’elezione del giudice, e stabilirono a tale effetto un locale appellato Corte di giustizia, deputandone il giudice ogni biennio; questo fabbricato che ancora esiste, e la di cui antica struttura è prova dell’asserzione, è quello che si vede in prospetto al porto, il cui porticato sorretto da colonne ottangone di sasso bigio serve per il mercato del grano, ed appartiene in parte alla casa Borromeo, ed in parte ad un beneficio di juspatronato dell’antica famiglia Curioni, originaria di Arona. Li Visconti che per eternare la loro memoria solevano caricare de’ loro stemmi i pubblici edifici, fregiarono questo locale di alcune pitture sugli angoli, fra le quali rimangono ancora gli avanzi di una d’esse rappresentante il tempo e la giustizia sull’angolo di mezzodì; ed in alcune medaglie rotonde sottostanti alle finestre vi fecero collocare dei busti di cotto rappresentanti la loro progenie. Gli Sforza loro successori, vi aggiunsero pure le loro insegne gentilizie vedendovisi ancora presentemmente quelle di Francesco Sforza colle lettere iniziali del suo nome; ed entrata sul principio del 1536 la corte di Spagna in possesso del ducato di Milano, e sue pertinenze, fece apporre a quel locale le sue armi, che in qualche parte ancora si comprendono sopra quelle di Francesco Sforza: e continuò in quel medesimo sito sino all’anno 1564 l’amministrazione della giustizia, avendo poi dovuto il municipio per causa di nuovi regolamenti somministrare in altra situazione la casa e le carceri al giudice.

  1. Puricelli in Vita S. Erlembardi, ed il Giulini sopracitato, tom. IV, pag. 108 a 118.
  2. Bonaventura Castiglioni: De Gallorum insubrum antiquis sedibus.
  3. Giulini sopracitato, tom. IV, pag. 259.
  4. Landolfo sopracitato, cap. 17.
  5. Si è già avanti accennato, che Angera sino al fine del secolo XII venne chiamata Stazzona.
  6. Carlo Sigonio: De regno Italico, lib XVI, ad num. 1216, tom. 11.
  7. Il conte Verri, Storia di Milano, tom. II, cap. 10.
  8. Giulini, tom. VIII, lib. LVI.
  9. Anno 1263 obsessa a populo mediolanensi Arona fuit, ac erepta Othoni archiepiscopo. Il Muratori.
  10. Azario, cronaca pag. 8.
  11. Paolo Giovio nella vita dei XII Visconti.
  12. Giovio sopracitato.
  13. Denina, Storia dell’Italia occidentale, tom. I, cap. 5, ed il Corio parte II.
  14. Giovio sopracitato.
  15. Saxus in vita Othonis Vicecom., e Bernardino Corio, Storia di Milano, parte II, pag. 126.
  16. Giovio sopracitato.
  17. Verri, Collect. Decis ad tit. constitut, De adv. fiscal. n 10, pag. 46, et ad tit. De monetis, n. 17, pag. 47.
  18. Il Padre Zaccaria, lib. III, pag. 161.
  19. Il conte Giulini, tom. V, pag. 78.
  20. Lo stesso, tom. VII, pag. 328.
  21. Canobbio compilò i suoi statuti nei 1357; Invorio Inferiore nel 1365; Lesa nel 1393; la Valle di Sesia nel 1478; Domodossola nel 1586.
  22. MS. nell’archivio municipale di Arona.
  23. Sono a vedersj gli stromenti 28 gennaio, 1 e 7 febbraio 1509, e 20 febbraio 1546, del notaio di Arona Giovanni Filippo Caccia.
  24. Istromenti 17 gennaio 1488 del notaio Ponzoni; 3 gennaio e 14 febbraio 1497 e 19 febbraio 1499 del suddetto Caccia
  25. Il Corio, parte II, pag. 203, ed il conte Giulini tom. X, pag. 223.
  26. MS. di Pietro Azario, ed il Cotta nel Museo Novarese.
  27. Abasil. Petri, Novaria sacra, pag. 536, ed il diploma 12 ottobre 1405 del duca di Milano, pergamena dell'archivio Borromeo Arese di Milano.
  28. Azario e Cotta succitati.