Notizia di una sconosciuta edizione piemontese delle Eroidi di Ovidio

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Costanzo Gazzera

1825 Indice:Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, Tomo XXIX.djvu Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, Tomo XXIX

Notizia di una sconosciuta edizione piemontese delle Eroidi di Ovidio del secolo XV Intestazione 9 gennaio 2013 25% Letteratura


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NOTIZIA


di una sconosciuta edizione piemontese


DELLE EROIDI DI OVIDIO


DEL SECOLO XV.


di Costanzo Gazzera.


Letta nell’adunanza delli 18 marzo 1824


In una nota MS. di proprio carattere del già nostro collega Giuseppe Vernazza, e da esso inscrita in un esemplare delle sue Osservazioni tipografiche sopra libri impressi in Piemonte nel secolo XV, stampate in Bassano nell’anno 1807, oltre dell’altamente lagnarsi degli arbitrii presi dall’editore dell’opera sua sino a scambiare nel titolo indicato il frontispizio da esso appostovi di Osservazioni intorno al Glim ed al Beggiamo, scrive pure così. Il Gamba ha omesse due osservazioni ch’io aveva mandate, con le quali si veniva a risparmiare l’occasione di trattare altre volte del Glim, e del Beggiamo. È gran danno che dal chiarissimo Gamba non venissero allocate nel testo, o conservate almeno le osservazioni inviate dal Vernazza: perocchè, e l’opera veniva ad acquistare così quel maggior grado di perfezione, che è obbligo dello scrittore di compartirle, ed avrebbero a noi pure somministrati altri lumi, onde vieppiù chiarire quella oscurità da cui sono circondate tuttora le origini dell’arte tipografica in Piemonte. Egli è vero bensì, che sia nel tempo della stampa del libro, che in quello posteriore nel quale scriveva la surriferita nota, ristretto il Vernazza a dover discorrere unicamente sulle sole esistenti e note [p. 56 modifica]edizioni del Glim, non aveva pur preveduto che altra ignota sin quì a tutti i bibliografi e letterati, quella delle Eroidi di Ovidio della quale sono per parlare, avrebbe necessitate nuove indagini, e fornita occasione ad altri studi. Certo è, che la vista e l’esame di questo nuovo cimelio tipografico, e lo avrebbe sommamente rallegrato, ed indotto a riprendere esso stesso la penna onde far manifesti ai dotti i nuovi meriti del tedesco tipografo Glim. Ma rapitoci da cruda ed inesorabil morte in tale età, che ancora ci prometteva parecchi anni di una vita tutta consacrata alle lettere, non si dovevano perciò defraudare i bibliofili della notizia di esso. Invano per altro vi aspettereste da me la vasta dottrina, l’erudizione scelta, l’eleganza della dizione, la gravita delle sentenze, l’economia della disposizione, doti tutte che constituivano l’essenza degli scritti di quel Sommo, che fia pur sempre norma e modello a chi voglia fra noi camminare la retta via de’ buoni e severi sludi.

Se non si può dire che il Piemonte sia stata la prima fra le provincie d’Italia che abbracciasse, e mettesse in pratica l’ingegnoso e benefico magistero della stampa, non fu certo delle più tarde a prevalersi di quel memorabile ritrovato dovuto

Al Genio industre
Delle menti Germane,


per cui fu dato

Di propagar sopra le impresse carte
I dotti altrui lavor1


ne quantunque non prima dell’anno 1472 si conoscano libri con data certa impressi in Piemonte, tuttavia par dimostrato2, che già del 1470 si stampasse fra noi, che è quanto dire contemporaneamente a Verona, Milano3, Bologna, e prima di Padova, Firenze e Napoli; che del resto non par probabile cosa, che il Mattia [p. 57 modifica]d’Anversa, che ai 24 di ottobre dell’anno 1472 aveva finito di stampare al Mondovi (Monteregale) l’instituzione dei Confessori di S. Antonino, avesse traversato il Piemonte, e nulla trattenendosi nè in Asti, in Vercelli o Torino, ricche, floride, e popolose città di quel tempo, per dare ivi un qualche saggio dell’abilità sua in un’arte che doveva, se non altro, stuzzicare la curiosità, siasi avviato a dirittura al Mondovì, ultima città di qualche conto, per chi venendo di Venezia, o di Roma s’incamminava verso il nostro paese. Frutto di tali sue fermate io non sarei lontano da supporre dovessero credersi alcune di quelle ancipiti edizioni, le quali molto ovvie fra noi, mancano dell’indicazione di tempo, o di luogo, non che del nome dell’impressore.

Precipua cagione per cui i tipografi di quel tempo, che pur non erano insensibili al ticchio di gloria, tralasciavano alcune volte di notare il tempo, e il luogo della edizione di alcun scritto, si deve credere a parer mio, quella del continuo vagare che alcuni di essi facevano di terra in terra, di città in città, senza fisso domicilio. Ai libri quindi che ne’ brevi e momentanei riposi andavano componendo in metalliche forme, per venir poscia presentati ai grandi, o alle persone di lettere, dalle quali speravano protezione o sovvenimento, non potevano ragionevolmente apporre data alcuna tipografica.

[p. 58 modifica] Differenti in questo particolare dal girovago, come lo chiama Santander, Piemontese nostro Jacopino Svigo al quale piacque onorati di sue stampe alcuni de’ più notabili luoghi, che nel suo ritorno in patria da Venezia, ove per forse dieci anni aveva esercito l’arte di stampare, s’incontrarono nel suo passaggio. Note quindi sono e la Somma Pisanella colla data di Vercelli 27 ottobre 1485, la Somma Angelica del Carletti di Civasso 13 di maggio 1486, ed i comentari del S. Geminiano sopra il sesto delle decretali di Torino 10 aprile 1467. Se non che, per quanto s’appartiene all’edizione di Vercelli, havvi luogo a fortemente dubitare, non venisse ivi da esso eseguita, ma che portato seco da Venezia alcuni esemplari della Somma Pisanella della stampa eseguitane ai 28 di marzo dell’anno Stesso dal Paganino di Brescia, e dall’Arrivabene di Mantova, giunto a Vercelli col solo cambiare alcuni foglietti: siccome cosa uscita da’ suoi tipi ivi la divulgasse. Le ragioni del mio credere si deducono dalla perfetta uniformità de’ tipi delle due edizioni, in quanto spetta alla forma de’ caratteri, qualità della carta, e numero delle pagine: dal comprendersi in amendue le stesse cose, nè più nè meno, dall’inutilità dello ristampare in Vercelli un’opera costosa, la quale sette soli mesi prima erasi in numero stampata in Venezia. Peso anche maggiore accrescerà il sapersi che una tale industria non era del tutto ignota allo Svigo, avendosene un altro patente esempio nella veneta edizione della Pratica Giudiziale del Deferrari, cui premise lo Svigo una dedica propria, e quale cosa sua la indirizzo al paesano di lui, il consigliero Ducale Pietro Cara di S. Germano. Di fatto dice il Vernazza4: lo Svigo non dice che il libro fosse impresso da lui: d’onde par verisimile che egli portasse nel suo fardello diversi esemplari di alcuna di quelle tre edizioni di Venezia, (1473, 1478, 1484) e che qualche pagina vacante venisse da lui riempita colla sua dedicazione; industria ch’io credo usata anche da altri erratici stampatori, i quali per oggetto de’ loro [p. 59 modifica]viaggi avevano, come noto il Denis5 spem uberioris lucri, invitationes aemulationes. Presa poi stabile stanza, e ricoverati sotto le ali del patrocinio di qualche sommo personaggio, allora si mostravano coi loro nome, e titoli, ed il tempo, e luogo non erano quasi mai dimenticati. Così praticò il Mattia d’Anversa in Mondovì, così si deve dire che facesse pure il Glim, il quale al Boezio, ed all’Ovidio non pose che il solo suo nome, e nel Manipulus Curatorum credè che coll’unire al suo il nome di Cristoforo Beggiamo, d’illustre e conosciuta famiglia, si venisse a sufficientemente indicare il luogo pure dell’impressione. Non altrimenti Giovanni Fabri di Langres, il quale o venisse in Piemonte per opera di Pantaleone da Confienza, o invitato da Pietro Cara, non mai tacque il luogo o tempo delle sue stampe, se forse non vogliasi un’eccezione pei Commentari del Tiberga alla Grammatica del Villadei 1479, de’ quali quanto e certo che venissero impressi coi tipi del Fabri, altrettanto n’è dubbio il luogo, che dal Malacarne vuolsi fosse Saluzzo, Torino dal Vernazza.

Se le cose sin’ora discorse hanno pur qualche peso, io stimo che soverchie debbano pur sempre riuscire tutte le indagini indiritte alla scoperta del luogo preciso della stampa della rarissima ed a tutti sin qui ignota edizione delle Eroidi di Ovidio, della quale m’accingo a dare particolar notizia.

Questo prezioso volume venutoci da quella stessa rinomata biblioteca di Bobbio, a cui l’Europa letterata debbe sì gran numero di preziose letterarie scoperte, fu stampato in forma di foglio, ed in cinque cuciture di quinterno, delle quali disgraziatamente manca la quarta: le carte prima ed ultima sono vacanti, mancano i numeri alle pagine, i richiami, le segnature, il registro. Il numero delle linee o versi d’ogni pagina compita è incostante e vario 29, 30, 31. Infine si legge in lettere ordinarie cosi:

Iohannes Glim:


[p. 60 modifica] Il testo incomincia al principio della seconda carta con lettere maiuscole

INCIPIVNT : EPISTOLE : OVIDII.
ANC. TVA. PE

Mancano sempre le maiuscole iniziali, lasciato lo spazio. Al principio d’ogni epistola il titolo è solitamente di carattere maiuscolo; alcune volte manca, come all’epistole di Dejanira ad Ercole, d’Ippermestra a Lineco, di Ero a Leandro, di Cidippe ad Acconzio, lasciato lo spazio. Sbaglio maggiore fu quello di accozzare insieme due lettere come se fossero una sola. La lettera di Isipille a Giasone s’unisce sen’z’alcuna divisione coll’altra di Didone ad Enea, e così segue sino al termine di quest’ultima. Nell’Epistola di Paride ad Elena dopo il verso prima fuit vultus nuntia fama tui, evvi quella lacuna di cinquantadue distici che il Lenner dice mancare a tutte le vecchie edizioni. Non parlo di versi ed intieri distici lasciati qua e colà, non della storpiatura de’ nomi propri, non della somma scorrezione di tutto il testo, segni evidenti della grande antichita dell’edizione, e dell’essersi procurata non da altra precedente stampa, ma da uno testo manoscritto.

Fra le non poche edizioni delle Eroidi di Ovidio impresse separatamente dalle altre opere del Poeta, e prive del corredo de’ Commentari, che videro la luce nel secolo XV; la prima che sia nota per data certa di tempo e luogo, fu opera di quello stesso Antonio Mattia d’Anversa, che unitamente a Baldassare Cordero aveva in Monteregale nell’anno 1472 stampato il libro dell’Instituzione de’ Confessori di S. Antonino. Essa porta la data dei 18 di febbraio 1473; tanta è la rarità di questo volume che ne forma un solo col Giovenale, che oltre dell’esemplare descritto dal Crevenna6, del quale non consta ove passasse, non mi è noto altro da quello in fuori, se pure non è lo stesso, il quale conservatosi per molti anni in una privata biblioteca di questa città, per [p. 61 modifica]fatale, e non scusabile incuria si lasciò uscire d’Italia. L’Orlandi, e dopo lui il Malacarne7 indicarono un’altra edizione delle Eroidi di Ovidio, eseguita in Pinerolo sino dall’anno 1470 da Jacobo de Rubeis, il che quando pur fosse, oltrechè anticiperebbe di due anni il certo esercizio della stampa in Piemonte, e di dieci quella in Pinerolo, porterebbe al numero di tre le edizioni delle Eroidi condotte a fine nel nostro paese con poco intervallo di tempo; cosa non impossibile, e per que’ tempi rara assai. Ma da nessun altro bibliografo venne registrata una tale stampa, che al Vernazza mai, nè a me toccò in sorte di poterla vedere. Non è poi cosa credibile che Jacopo de Rubeis, natione Gallus, il quale sino all’anno 1478 prolungò il suo soggiorno in Venezia, nella quale città potè sostenere il paragone col Vindelino da Spira, col Jenson, con Bartolomeo da Cremona, e cogli altri valorosi tipografici di quella metropoli con nitide e stimate edizioni, potesse stampare in Pinerolo nell’anno 1470. Io stimo che l’Orlandi confondesse le Metamorfosi colle Eroidi, e l’anno 1470 col 1480, giacchè in tale anno vennero in Pinerolo dal De Rubeis stampate le Metamorfosi.

Del rimanente la somma rarità di queste stampe dell’Ovidio sia del Glim, che del Mattia in confronto di quella delle Instituzioni di S. Antonino, che pur è anteriore di un anno, i di cui esemplari, sebbene non comuni, sono in qualche numero conservati nelle pubbliche biblioteche, e dagli amatori, non ad altra causa, a mio giudizio si dove attribuire, fuorchè a quella stessa che presiedette alla distruzione totale del Donato di Subbiaco 1465, l’aver servito ad esemplare nelle scuole, e quindi per l’incessante e lungo uso consunte. Alla stessa cagione dell’aver servito nelle scuole, io assegno la quasi non credibile rarità del Sedulio, stampa di Torino dei fratelli Giovan Angelo, e Bernardino de Silva 15. 6. 4.° Il che, quando pur sia, non sarà che più ovvia, e naturale cosa [p. 62 modifica]lo spiegare come accada che i pochi esemplari residui, anzichè nel luogo stesso della stampa, o nei dintorni, si rinvengono il più delle volte lungi da esso, ed in estero paese. Il solo esemplare noto del primo libro stampato con data certa in Milano a spese di Gioanni Legnani da Antonio Zarotto da Parma, non si conserva già in Milano, o in Italia, ma in Inghilterra nella biblioteca del conte di Pembrock. In Torino si ritrovò il sommamente raro, e prezioso Virgilio di Vindelino da Spira, Venezia 1470, e per quel fatale inesorabile destino che pesa sulle cose nostre tutte più preziose, anch’esso passò il mare. In più di quarant’anni di accurate ricerche, ed assidue indagini fatte pel Vernazza, mai non eragli riuscito di scoprire un solo esemplare della sovraindicata stampa del Sedulio, prima che da me, pochi mesi prima della sua morte, le venisse comunicata quella medesima, che ritrovata in Olanda, e notata dal Crevenna8, dopo la dispersione di quella sontuosa biblioteca era passata presso un particolare di Torino. Fa ora parte della ricca, e scelta raccolta di libri e manoscritti d’ogni maniera di S. E. il Conte Prospero Balbo. Il libro Roberti Anglici viri astrologia praestantissimi de Astrolabio Canones, che dovendo servire per testo delle lezioni di Ulisse Lanciarino da Fano, pubblico Professore di Astronomia nello studio di Perugia, venne colà stampato circa l’anno 1478, non solamente non venne registrato dal chiarissimo ed amico nostro Cav. Gio. Batt. Vermiglioli nella sua elaborata opera della Tipografia Perugina del secolo XV, ma ne ignorava del tutto l’esistenza prima che scoperto da me in Torino gliene comunicassi la notizia, e spedissi poscia il libro stesso in dono a Perugia9. Questa stessa stampa d’Ovidio del Glim non già in Piemonte, ore venne fatta di pubblica ragione, ma fu scoperta nella più rimota parte de’ dominii del Re nostro in mezzo agli Apennini. Così accade alla celebre edizione della Grammatica del Villadei, sì diligentemente [p. 63 modifica]descritta dal Meerman10, e che formò oggetto particolare di studio del Vernazza, la quale o venisse stampata in Alba, siccome con apposita operetta tentò di dimostrare11, o forse meglio, e come a me pare, in Savona: certo è che di essa nessuna copia e rimasta in Italia, e la sola che resti a testificare della sua esistenza si rinvenne in Inghilterra; colà, se la cosa continua in questi termini, fra non molti anni dovremo recarci pur nou se vorremo rinvenire, conoscere, studiare le migliori, e più pregiate produzioni delle arti belle non solo, ma i libri più rari, le stampe più preziose, le medaglie, i camei, le pietre incise, e quanto venne inventato, perfezionato, o raccolto dai nostri solleciti maggiori, che il sordido interesse, e la più colpevole delle trascuratezze fa preda degli opulenti stranieri. Che se maggiori presidii gli soccorsero all’Haim, un secolo ormai passato, le pubbliche e private librerie d’Inghilterra, onde accrescere d’oltre due mila articoli delle migliori edizioni di libri italiani la biblioteca dal Fontanini compilata in Roma, di quello avesse mai potuto o ritrovare, o sperare in Italia; di che non ci avrà privati un secolo intiero di legali ed illegali depredazioni, quando si sa che non pezzi isolati, o pochi originali, ma intiere gallerie, ma scelti musei, ma numerose e pregiatissime biblioteche portano sul Tamigi colle nostre letterarie ricchezze l’ignominia ed il disonor nostro! E per non parlar che di libri, a tale giunse in quella contrada la smania di possedere le migiori edizioni de’ Classici nostri, che parrebbe degenerata in pazzia. Cui non è noto il prezzo stravagante di cinquantamila novecento ottanta franchi, al quale ascese la vendita di una pregiata e rarissima edizione veneta del Decamerone di Gio. Boccaccio stampa del Valdarfer? il qual strano pagare diede origine in Londra ad una non meno singolare e curiosa instituzione di Società, che vollero intitolata de’ Bibliomani o Roxburghe-Club.

[p. 64 modifica] Ne meglio poi si conosce la inestinguibile sete onde sono posseduti gli stranieri delle cose nostre letterarie, quanlo dalla lettura di una delle più dotte ed accurate opere di bibliografia, col consenso del governo, uscita alla luce in Parigi non prima dell’anno 182312. Vengono in essa registrate e minutamente descritte, come se tuttora colà si ritrovassero, quando da più di sei anni già erano di ritorno fra noi, alcune preziose edizioni membranacee, tra le quali lo splendido esemplare della Poliglotta Plantiniana, munifico dono del Re Filippo II. di Spagna al suo cognato Duca nostro Emanuele Filiberto di Savoia. Nè quindi, e di ciò mi duole, si risparmiano le scortesi parole13 alle quali facile e perentoria e la risposta. Nessun libro in carta, o in pergamena, nessun codice M.S. antico o moderno, nessun oggetto d’arte venne dal nostro governo ceduto sia in virtù di trattato di pace, o di qualsivoglia accordo, o patto, che in ribasso di contribuzioni, taglie, o balzelli, se non fosse il solo Codice MS. della storia delle Alpi marittime di Pietro Gioffreddo, il quale ancorchè domandato per articolo separato del trattato di Parigi 15 maggio 1796, tuttavia, qualunque ne fosse la causa, non venne allora ritirato. Quella causa stessa adunque, la quale in mancanza delle allegate nel libro, fe’ passare i monti a’ sovraindicati oggetti di scienze ed arti, quella medesima non doveva poter impedire a che, usando di ugual diritto, si facessero di nuovo ritornare in podestà del legittimo padrone, senza l’espresso consentimento del quale, non mai avrebbero dovuto abbandonare l’antica lor sede.

Ma che che sia della cagione che presiede alla distruzione della maggior parte delle prime stampe, e in singolar modo de’ Classici, è certo che della edizione delle Epistole Eroidi di Ovidio del Glim, solo esemplare noto, è questo intorno al quale ho l’onore [p. 65 modifica]d’intertenere la classe. Osservazioni precise, ed esatti confronti m’inducono a pensare, che non solamente il Glim conducesse a termine la stampa di questo libro, prima che il Mattia d’Anversa, ed il Cordero ponessero mano alla loro nell’anno 1473, ma sono anzi inclinato a credere ch’esso sia il primo saggio che dell’abilità sua produceva il tedesco Glim appena giunto in Piemonte. Di fatto i caratteri adoperati per la stampa dell’Ovidio sono angolosi e d’un taglio recente, mentre quelli sia del Boezio, che del Manipulus Curatorum, e dello Speculum sono poco nitidi e scontornati: la compaginazione è incerta e difettosa, il numero delle linee d’ogni pagina intiera inuguale e vario, e nell’intutto si scorge quella negligenza, e povertà di chi si affretta senza il necessario corredo degli stromenti e meccanismi dell’arte. La priorità di tempo e pure non equivocamente indicata da che nell’ultima pagina del Boezio innanzi al nome dello stampatore si trova il registro, del quale è privo l’Ovidio.

La carta è bella, solida, uguale tutta, benchè uscita da tre cartiere diverse, delle quali ciascuna viene controsegnata dal proprio marchio Diamante nel castone d’un anello coronato, Arma gentilizia con scudo in lozanga, Carretta coronata. Di questi segni, che tutti o parte si ritrovano pure nelle carte delle tre altre note edizioni del Glim, e del Beggiamo, parlò dottamente il Vernazza14, e con ispoglio di documenti, e confronti di codici e stampe, mise fuor di dubbio l’esistenza di tali marchi, siccome distintivo di cartiere in Piemonte assai prima dell’anno 1470.

Quanto è certo dopo ciò che, sia il Boezio che l’Ovidio venissero stampati in quel paese, nel quale già prima dell’epoca presunta della loro impressione, erano in pieno esercizio cartiere, aventi per distintivo carattere i marchi, de’ quali sono improntate le carte di esse edizioni, altrettanto incerto e dubbio si è il luogo. o la città nella quale, fissata il Glim la sua dimora, le producesse [p. 66 modifica]in metalliche forme. Dal Icgncrsi in fine ilcll’ cdizione del Man!ptilis Citratnrwn nnitamenle a ((iiello del tiliin, il noine pure di Crisloforo Begj^iamo, ilel quale si sorivc, c\vi imineiuis lituUs extiit oi’ign Slid, e neir allra dullo Spaculam vitae Ivtinanae ^egiiilasi co’ medesiiui caratteri, sottosci-itto il solo Beggiamo, aveva iiulotlo a credere, non senza inolta proUabilit:"!, clie quel luogo fosse Savigliano, patria dell’ auliea e nol,ile prosapia de’ Ceggianii. Ma il Crisloforo poteva aver avula conoscenza, e contratta socicta eol Glim anche in Toi’ino, o in altra citta fuori di Savigliano, ove per motivo di pubblico impiego, o di mllitare servizio pitcva risiedere. E per lo meiio cosa degna di osservazioue, clie de’pnchi escmplari, residiii di tpielle stampe, nessuno veuisse riirovalo in Savigliano, o ne’ suoi d’ inlorni, anzi le quatlro copie per me esaminate, tutle portavano scrilti iiidizi di provenienza da Asti. Quando non già in Savigliano, ma si dovessero snpporre impress! in Asti, bisognerebhe ilire allora che in Asti risiedesse il Bcggiamo, o in qnalita di Governatore mililare, o forse più probabilmente esercente ivi l’ ufllcio di Podesta, che ad uoino foresliero Teniva pur sempre aflidalo.

Curiosa e non del tutto innlile rieerca fia (piella altresi d’ indagare se il Glim partendo di Germania, e dalle liorentissime tipografiehe oflicine di Magonza, Strasbm-go, Ulma, o Bamberga, qua venissc per la diritla seco recaiulo, non già la cassa dci raralteri, e gli allri iiulispensabili attrezzi, che frnppo ingomhro sarebbe stato e spesa soverehia, ma si bene i pim/.nni, e le matrioi pel gello: o sc pure diseepolo di Viudelino da S()ira, del Jenson in N’enezia, dei Sweynheym e Pannariz in Subltiaro ed in Rotna, imparatone soUo tali maesiri il magistero, di cola movesse verso il Piemonle. La (jualit’i, ed il laglio de’ caralleri adoperati nelle slampe d’ indole tutta ilaliana, e di <piella sorta rhe rhiainarono Rom mi, o f^eneti, pone fiior tl’ ogni dubbio ch’ ei s" esereitasse anzi Iratto in ofTirina ilaliana, anzi ehe venire da prima di Alemagua, ove i caralteri in uso avevano forme golli; ed irregolari. [p. 67 modifica] Questi del Glim poi, a chi ben li consideri da presso, più che agli adoperati da Gioanni e Vindelino da Spira, o dal Jenson in Venezia, più tondi, e d’ uii lai^lio più svcllo ed clcgaiitc, safcostano d’ avvaiilagj;io alia iialiua degli usali dai rinoinati RomaiiL lipogiali. Se si aggiiiiiga die, giiista I’ osservazione del Vernazza, la lorniola adoperata dal Glim, e dal Beggiamo per le loro edizioni del M viipuliis, e dello Speculum: Hoc Bejaimis opus prcssit ec. e una niei’a iinitazioiie del Hoc Cor’ actus opus dellc edizioni del paluzzo dei MasKimi, sara chiaro che fatta incelta di punzoni, e mali’ici, da Roma verso la superioi-e Italia s’avviasse il Glim, e giiuilo fra noi, dalo saggio deiParlc sua ancora haml)ina, o ignola del lullo in I’iemonte colle stampe dell Ovidio e del Coezio, sassocvasse quindi col Beggiamo per quella del Mauipul’is Curatorwn: ad esso poscia già reso esperlo nella mecanica dell’ arte abbandono il foiido de’ caratteri die servirono poscia per I’edizione dello Spnculuin vit.ip huinimue. Sgoiilbro cosi d’ ogni ultcriorc impaccio, si resliluiva alia palria terra.

Ma se si deve tenere sommamcnte caro quest’ Ovidio, e per la graiide el;’i sua, e per avei-ci falla manifesla allra, e non più sperala slampa del nostro Glim, e perclie edizione principe delle Eroidi non solo, ma fors’anohe di lulte le opere Ovidianc, si vuole poi parlicolarmenle tenere in pregio e fame gran conto, come qucllo die inimcdialamenle deriva da aniico codice MS., e codice sjiarso di inolle variaiili, e di non mediocre iiumero di buone lezioni, le qnali con friilto potranno venir ronsultate da clii si occii|)i di dare una nnova esalta edizione di qucsla opera. Peccalo cVie manclii d’ un intero quinlerno! il quale ci ha privalo di 64 distici di teslo dell’ Epistola di Paridc ad Elena, dell’ inliera di Elena a Paride, non lasciaiidoci fiiorclie gli urtinii oUo distici dl quella di Leandro ad Ero. Un esatto confronto col teslo di Burinanno paleserebbc appieno il merito del noslro codice, a clii abbondasse d’ ozio per farlo con tliligenza.

Il diciotesimo verso dell'epistola di Fillide a Demofonte legge: [p. 68 modifica]

Saepe Decs sitpplex ut tu scelcrate valevcs


come il Burman dice aver ritrovato in alcuui codici, al ijual verso segue il pcntainelro

Ipsa mihi dixi: si valet ille venit

saltaiulo i due versi intermedii.

Nella leltera di Fedra ad Ippolito, dopo il penlametro

Rustica Satunio regna tenente Juit.


s’ aggiuuge il distico seguente

Saturnus periit, perrierimt et sua jura,

Sub Jove nunc mundus; jussa sequere Jovis

.


Dopo il ventesimo lerzo verso dcU’epistola di Didone ad Enea

Uror ut inducto ceratae sulfure tedae,


la nostra stampa invcce di uror ha uxor, e saltati i due versi seguenli, s’ unisce col pentametro,

Encamque animo noxque diesque refert,


I quali due versi, che sogliono pure mancare in aleune veccliie stampe, vennero introdotli nel testo dall’ Einsio, e con poco giudizio sccondo Burmann.

L’ epistola di Saffo a Faone, che da nessun codice anlico e riportata, manca pure ncila stampa del Glim. In (pella di Paride ad Elena si scorge, come in tutte quasi le anticlie edizioni, la lacuna dal 3g al i43. Dopo il 166 si legge il distico

Quum p^enus, et juno,’ pallasque in valUbus Idae

Corpora judicio supposuere meo


che l’ Einsio tolse dalla sua cdizione, ma che si rinvengono sempre nei testi antichi.

II libro termina co’ sei primi distici della risposta di Cidippe ad Aconzio, e senza indizio alcuno di lacuna o mancanza, segue

Laus Deo et Virgini Mariae Gloriosissimae Johannes Glim:


In copia grande poi sono le varianli lezioni. A noi bastera recarne un picciol numero per saggio preso dalle due prime lellere; il quale desideriamo giunga ad invogliare a tentarne, l’ intiero [p. 69 modifica]spoglio, chi abbia indirilti i suoi sliidi a reudere sinccri e correlli i testi di que’ sommi ingcgni, i cjiiali maestri di eleganza, e d’ ogni sapore di biione letlcre, sparsero i semi di quelle dolU’iue clic sole costituiscono il verace sapere. Testo del Buriuanno Ep. I. v. 28. Troia fata canunt.

lidiz. del Glim Burm. V. 56 Ediz. Bm-m. vers. 4^

Ediz. Burm. vers. 90

Ediz. Burm. vers. 2o5 Ediz.

Burm. vers. ^o.

Ediz.. Burm. vers.

48Ediz.. Burm. vers. ’j2.

Ediz.. Burm. vers.

Ediz.. Burm. vers.

Ediz.. Burm. vers. 102.

Ediz.. Burm. vers. i4o.

Ediz.. "Burm. vers. 142.

Ediz..


80.

. 77Troyca facta canunt.

. Hie laccr admissos.

. Hie alacer niissos.

. Dictus es.

. Dicer is. ’. Dilaniantur opes.

. Dilacerantur opes.

. Ut qui sit inutilis armis. .... inutilis annis. Phyllis Demophoonli. altera tela arcus: altera tela faces, altera sunt arcus, altera tela faces. Heu patior telis vulnera facta meis. Heu partior telis vulnera etc. Et pulsata nigri regia caeca Dei

regia caeca Ditis Quod solum excusat, solum miraris in illo. Quodsolumexcusat solumque nwneraris in illo Inde capistratis tigribus etc. Inque capistratis etc. Phylli face expcctes. Phjllifac expectes. Traiectam gladio transiectam gladio. praebuerunt prebuerint.

Note

  1. Metastasio, Tempio della Eternità.
  2. Vernazza, Osserv. sopra libri impressi in Piemonte. Bassano 1807 8.
  3. Il libro di cotesta Regia Biblioteca Miracoli de la gloriosa Verzene Maria, diè luogo a due opinioni, a mio parere, false amendue. Colla prima si volle accreditare il sentimento di chi pensava che Filippo Lavagna fosse il primo stampatore di Milano non solo, ma il primo uomo d’Italia che esercitasse sì fatto magistero. La seconda mirava a fissare nell’anno 1469 il principio dell’arte tipografica nella predetta città, e ciò sul fondamento della soscrizione posta in fondo del libro = Impressum anno domini Mcccc° Lxviiii die sviiii Maij = La prima si dimostrò priva adatto di fondamento dal dottissimo P. Affò, nè credo si possa, ragionevolmente apporre a’ suoi argomenti. Quanto alla seconda, benchè corroborata dal Vernazza e Tiraboschi, tuttavia non è meno insussistente, ed un solo rapido e passagiero esame del libro e più che sufficiente a dimostrare che per sola sbadataggine del tipografo che oblio un X, si pose 1469 ove doveva esscie 1479. I caratteri sono quelli stessi adoperati in altre stampe del Zarotto, il libro è in 4° piccolo, e vi sono le segnature. Il Lavagna poi non è ivi menzionato che quale autore, o meglio compilatore dell’opera, ma non già come stampatore. Resta dunque che il primo libro stampato in Milano con certa data, sia il Terenzio dei 13 marzo 1470 del Parmigiano Zarotto.
  4. Memorie manoscritte.
  5. Suffrag. p. 42.
  6. Catal. Rullooc 3. vul. t. ijj. /)..
  7. Delle opere de’ Medici e Cerusisi. Vol. I. pag. 159.
  8. Catal in 8.° vol. 3. pag. 173.
  9. Ved. Bibliografia Storico Perugina Perugia 1823. 4° pag. 170.
  10. Origin. Typograph. vol I. p. 93.
  11. Tipografia in Alba. Torino 1815. 8.°
  12. Catalogue des livres imprimées sur velin, de la du Roi. Paris 5 vol. 8.°
  13. Obtenu de la bibliothèque dr Turin pour celle du Roi, ainsi que beaucoup d’autres livres, soit par traité de paix, soit par convention, et en deduction de contributions diverses, cet exemplaire à été repris en 1815 sans qu’on sache encore en vertu de quel traité.
  14. Osservazioni Tipograf. intorno a libri impressi in Piemonte nel sec. XV p. 43 e seg.