Notizie intorno ad Isotta da Rimino

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Giammaria Mazzuchelli 1759 Indice:Isotta da Rimino Mazzucchelli.djvu Notizie intorno ad Isotta da Rimino Intestazione 13 giugno 2022 75% Da definire

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NOTIZIE

INTORNO

AD ISOTTA

DA RIMINO

SCRITTE

DAL CONTE GIAMMARIA

MAZZUCHELLI.

EDIZIONE SECONDA

ACCRESCIUTA DALL'AUTORE.




IN BRESCIA MDCCLIX.

Dalle Stampe di

GIAMBATISTA BOSSINI

Con Licenza de' Superiori.

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A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR

BERNARDO NANI

SENATORE VENEZIANO,





GIAMMARIA MAZZUCCHELLI.

Debbo riconoscere per una nuova prova della singolare benignità di V.E., verso di me, la finezza che le è piaciuto di farmi, comunicandomi l'esatto disegno del Busto di marmo acquistato non ha molto da Lei, fra tante altre belle antichità, a pie' del quale si leggono queste parole:

D. ISOTTÆ ARIMINENSIS

[p. 4 modifica]Quanto per altro mi trovo in debito di renderle maggiori grazie ch'io posso, tanto mi duole di non essere io sì erudito, come esser vorrei, per poter soddisfare interamente all'eccitamento, che mi dà di scriverle qualche cosa in proposito della persona in esso Busto rappresentata. Comecchè pertanto io sia persuaso poco o nulla poterle io dire che ignoto sia alla molta erudizione di V.E.; ad ogni modo per darle un contrassegno della mia ubbidienza, le esporrò brevemente quanto io ne so; e ciò tanto più volentieri, quanto che trovo tutto il motivo di maravigliarmi ch'essendo stata la Donna in quel marmo scolpita assai celebre a' suoi tempi, molti de' più valenti Letterati o ne ignorarono le notizie, o inutilmente le cercarono (1)1, o pure malamente la confusero con altra Isotta sua contemporanea, cioè con Isotta Nogarola Veronese, celebre Letterata del Secolo Decimoquinto [p. 5 modifica](2)2. Diversa pertanto dall'Isotta Nogarola fu l'Isotta da Rimino, della quale V.E. mi dà stimolo di favellare.
Questa dunque fu alla prima Concubina, e poi Moglie del celebre Sigismondo Pandolfo de' Malatesta Signor di Rimino valoroso, e chiarissimo Guerriero, il quale, dopo essere stato Generale della Santa Chiesa, passò con tal grado nel 1449. al servizio dell'inclita Repubblica di Venezia. Le Storie di que' tempi parlano di sovente di lui, che inutile sarebbe il voler qui raccogliere le notizie della sua vita. Ben al proposito della sua Isotta, e dell'amor veemente, che a questa portò, sia opportuno il dire primieramente alcuna cosa delle moglij, ch'egli ebbe, e de' varj suoi amori. [p. 6 modifica]Egli stabilì il primo suo matrimonio colla figliuola del Conte di Carmagnola Generale pur questo della Repubblica Veneziana, dal quale ebbe una gran dote; ma poi essendo stato esso Carmagnola fatto pubblicamente morire in Venezia nel 1432. per ordine del Senato, ricusò di sposarla dicendo di non volere per moglie la figliuola d'un cotal Padre. L'anno seguente prese in moglie Ginevra figliuola di Niccolò d'Este Marchese di Ferrara. Tobia Veronese (3)3 la dice sposata nel 1430; ma certamente sbaglia, mentre Cesare Clementini, che pone tal Matrimonio a' 15. di Marzo del 1433 (4)4, pare che s'accordi la Cronica Riminese (5)5, nella quale si legge che Sigismondo la condusse a Rimino a' 7. di Febbrajo del 1434. Questa Ginevra morì verso la fine del 1440 (6)6, e si vuole che Sigismondo la facesse morire di veleno, siccome, fra gli altri, scrissero Enea Silvio Piccolomini (7)7, Fra Filippo da Bergamo (8)8, e il Clementini [p. 7 modifica](9)9. La seconda moglie, ch'ei prese, fu Polissena figliuola di Francesco Sforza Generale de' Veneziani, la quale fu da lui sposata in Fermo a' 22. di Settembre del 1441; e condotta a Rimino a' 29. d'Aprile del 1442 (10)10 con magnifica pompa descritta dal Clementini (11)11. Questa gli morì nel 1448. o, com'altri vuole, sul principio di Giugno del 1449; e al riferire d'Enea Silvio, di Fra Filippo da Bergamo, e del Clementini, non ebbe miglior sorte della prima; perciocchè si dice che morisse soffocata da lui con un asciugatojo avvoltole strettamente al collo; e perciò dal citato Enea Silvio fu scritto, che di tre moglj, ch'ebbe Sigismondo (perciocchè forse gli fu ignora la quarta, cioè la nostra Isotta) di una si liberò col ripudio, dell'altra col veleno, e della terza col laccio (12)12. [p. 8 modifica]Nel tempo stesso ch'egli era legato in matrimonio colle dette Ginevra, e Polissena, si trovò pure distratto, e preso nel laccio amoroso da diverse Donne, che lo rendettero Padre di varj figliuoli (13)13. Una di queste fu [p. 9 modifica]appunto quest'Isotta ch'è rappresentata nel busto [p. 10 modifica]posseduto da V.E. chiamata da alcuni Isabetta (14)14: e forse i suoi amori con essa furono la cagione della morte della mentovata Polissena sua seconda moglie, certo essendo ch'egli amava appassionatamente Isotta, allorchè Polissena viveva, e che n'ebbe pure un figliuolo due anni prima della morte di questa, il quale ebbe nome Giovanni; ed essendogli questi morto in fascie a' 22. di Maggio del 1447. volle Sigismondo che con grandissimo onore fosse seppellito in Rimino nella Chiesa di S. Francesco (15)15. Alcuni altri figliuoli ebbe pure Sigismondo d'Isotta, prima che questa divenisse sua moglie, e fra gli altri uno per nome Malatesta, a favor del quale [p. 11 modifica](non meno che di Roberto altro suo figliuolo naturale avuto d'altra Donna) ottenne Sigismondo dal Pontefice Martino V. un Breve di Legittimazione segnato ai 31. d'Agosto del 1450 (16)16. [p. 12 modifica]Le Medaglie pure, ch'egli fece gettare in onore d'Isotta nel 1446; delle quali parlerò appresso, fanno chiara prova che fin d'allora egli si trovava di lei altamente invaghito. In qual anno Isotta precisamente nascesse, io nol trovo. Trovo bensì che nacque quasi contemporaneamente a Sigismondo, vale a dire circa il 1417; nel qual anno a' 19. di Giugno seguì la nascita di questo (17)17, e che nel tempo stesso le mancò la madre; ed alla fin da' primi suoi anni giovanili prese affetto, ed inclinazione verso di lui. Tutto ciò il Porcellio mette in bocca di lei in alcune sue Poesie, delle qual avrò opportunamente a parlare, nella seguente maniera: [p. 13 modifica]

Vix utero fueram vitales missa sub auras,
In matris funus nata puella meae,
Parvula cum parvum, poteram qua mente colebam,
Inque meo solus pectore sempre erat.


Questa Isotta fu per altro di Famiglia nobile, e delle più illustri di Rimino, detta degli Atti (18)18, la quale, fra le altre cose che la distinguevano, aveva un magnifico Palazzo situato quasi in faccia a quello di Sigismondo, detto del Cimiero, dove abitavano i Malateste prima d'aver fabbricata la Rocca (19)19.

Una tale situazione della Casa d'Isotta aprì per avventura a Sigismondo il primo adito a' suoi amori con essa; e questo Palazzo degli Atti passò di poi in potere di Sigismondo che quivi pur fece il suo testamento (20)20: indi passato Rimino sotto il dominio della Chiesa, [p. 14 modifica]fu il detto Palazzo insieme con quello del Cimiero donato dal Pontefice Giulio II. a quella Comunità, la quale poi dovette cederlo alla famiglia de' Tingoli, che come erede d'una figliuola d'Isotta, mercè d'una lite vinta, lo venne a ricuperare. Con quale sentimento poi i Parenti d'Isotta, e massimamente suo Padre, ch'era ancor vivo, e chiamavasi Frrancesco di Atto degli Atti, uomo anch'esso di assai rare doti ornato, se vogliamo credere a Tito Strozza (21)21, sentissero, o sofferissero l'intrinsichezza di lei con Sigismondo, massimamente nelle circostanze d'esser quella una Famiglia di riputazione, e ricca ancora, per quanto appare; non però tale da poter far fronte alle passioni di chi in Rimino dominava. In fatti, se si vuol prestar fede a due [p. 15 modifica]Epistole Elegiache composte allora dal Poeta Porcellio Napolitano, che in quella Corte abitava, converrà dire che il Padre non solamente non vi desse il suo assenso, ma che con disgusto pur ciò dovesse sofferire. La prima di esse Elegie del Porcellio si finge scritta da Isotta a suo Padre per difesa della propria condotta, onde piegarlo a tollerare la continuazione delle sue pratiche con Sigismondo, e vi confessa che, dopo aver fatta lunga resistenza al Dio d'Amore, ha dovuto cedere in quella guisa, che per la forza di lui cedere dovettero a Giove tante Donne da questo amate, adducendo molti altri antichi esempi della violenza d'amore, a cui non è possibile di far resistenza. Nella seconda Elegia risponde il Padre alla figliuola, e dopo averle detto che il rossore da lei provato, com'ella confessa, in iscrivergli, è una prova del suo rimorso, e quindi della sua cattiva condotta, cui poi inutilmente cerca di giustificare; le rimprovera il suo coraggio di volere ch'egli approvi quant'ella fece di suo capriccio:

Non facile rebus pudor immiscetur honestis,
Seque ipsum prodit, quem pudet ore loqui,
Ex me tu veniam nunc demum quaeris amandi,
Ut quod sponte prius feceris, ipse problem.

Le dice che amore non fu altrimenti un Dio, ma che viene finto un Nume dalla libidine, onde corprire questa sotto l'ombra d'una divinità [p. 16 modifica]li suoi sfoghi perversi.

Quem victorem jam vere hominumque Deumque
Hunc turpi fictum crede favore Deum.
Namque suo sceleri indulgens obscoena libido,
Hunc falsi situlum jussit habere Dei.
Libera peccandi miseris sic visa potestas,
Si falso segeret Numine crimen amor.

Finalmente egli si pone a consigliarla di abbandonar quegli amori, di lasciar quelle vesti troppo ricche, ed indecenti al suo grado, di esser meno immodesta, di astenersi eziandio dalle vivande troppo laute, e di fuggire, come il contagio, la pratica degli uomini; e che in tal guisa non avrà ella d'uopo del perdono di suo Padre:

Parce tuis squammas intexere vestibus aureas,
Et calamistratas excoluisse comas;
Disce supercilium vissa cohibere pudica,
Et nimium lautis abstinuisse cibis,
Colloquium, tamquam pestem, fuge, Nata,
virorum,
Sic venia poteris non eguisse mea(22)22

Ma tutto ciò o fu mera finzione del Poeta Porcellio, come pur vi finse altre cose non vere (23)23, o non fece alcuno effetto; perciocchè [p. 17 modifica]non trovo che Sigismondo, ed Isotta interrompessero giammai l'amicizia loro. Trovo bensì che un altro Poeta di queì tempi ci descrive Sigismondo come amico intrinseco del padre d'Isotta, e ci fa credere che questi fosse sempre riguardato da Sigismondo qual suo fido Consigliere sino alla sua morte, la quale fu pur assai pianta da Sigismondo (24)24 non meno che da Isotta, che lo perdette mentr'era ancora giovanetta (25)25, e nel maggior fervore de' [p. 18 modifica]suoi amori con Sigismondo (26)26. Trovo eziandio che Sigismondo studiò ogni via per tenersi amici i Parenti di lei, dando loro rari contrassegni di stima col distinguerli anche in pubblico, ed onorarli; e che Isotta altresì faceva loro parte de' suoi regali. Ci fa di ciò fede il Clementini (27)27, presso al quale io leggo che alli 12. di Febbrajo del 1448. Sigismondo creò Cavaliere Antonio di Francesco degli Atti fratello d'Isotta con molta solennità, a cui fece anche dono di cinque vestiti di seta, di tre pezze di veluto, d'un bacile, d'un bronzo, di tre tazze, e di sei scodelle d'argento, ed in ultimo del Castello de' Borghi di Razano coll'IStromento della donazione, ch'è appresso Ippolito Mariani; e ISotta lo regalò d'una tazza d'argento con in essa dugento ducati d'oro. Ma se Sigismondo in sì fatta guisa volle distinguere, e premiare un fratello d'Isotta, ben può V.E. agevolmente imaginarsi q qual grado [p. 19 modifica]poi volesse render chiara, e distinta la sua Isotta, la quale convien dir certamente che fosse ornata non solamente di rara bellezza, il perchè veniva comunemente detta la bella Isotta (28)28, ma eziandio di singolare grazia, e delle più rare doti, e vaghe, ed accorte maniere, onde farsi amare, e stimare da Sigismondo. Il Garuffi (29)29 la chiama Donna di mirabile prudenza, e versatissima nelle scienze; e Giulio Cesare Capaccio (30)30 scrive che erat prudentiae, disciplinarum studiis, sed Poetices praecipue exercitatione clara. Nè di minor elogio le sono i seguenti versi di Carlo Pinti, che si fingono da lui composti, come per essere incisi sopra il suo sepolcro, e in lode di lei (31)31.

Isotta o patrium Pellicum,
O ingens honor, atque Arimini decus,
Malatestae animi dimidium tui,
Tu ne hoc marmore conderis?
Novi quae valido pectore gesseris
Cum commissa foret res tibi civica,
Quam prudens, sapiens, quam fueris chori
Phoebi culta Poetria.
Dum te, dum recolo facta celebria,
Me quantum miseret, lumine te haud frui

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Vitali : miserae at dum memoro genus
Fortunae instabili pede;
Hac te sub lapidis pace quiescere,
Pertentant animum gaudia. Ter vale
Quae auro structa pio proxima montium
Mausolaea meres jugis.

Anche Lorenzo Legati (32)32 riputandola Autrice di alcune delle mentovate Elegie, come sopra si è detto, giunse a far dire ad Apolline che doveva essa riconoscersi per Maestra di lui, e de' Poeti Latini.

In mefio Aonidum, cum forte Poemata Vatum
Versaret; Phoebus, judiciumque daret,
Haesit, Isottaos elegos miratus, et inquit;
Vatibus et nobis ecce Magistra datur.

Ma quali encomi si potevano farle maggiori di quelli, che in lode di lei composero alcuni Poeti suoi contemporanei, de' quali abbiamo alle stampe una assai rara Raccolta? Questa è divisa in cinque libri, il primo de' quali ha per titolo: De amore Jovis in Isottam; e gli altri quattro sono intitolati Isottaei. I principali Autori furono il Porcellio Napolitano, Basinio da Parma, e un certo Trebanio. Una tale Raccolta dopo essere stata un secolo in circa giacente manoscritta nelle Librerie, ove pur se ne trovano tuttora quà, e là varj esemplari a penna (33)33, fu data alle stampe in Parigi da Cristoforo [p. 21 modifica]Preudomme col titolo seguente: Trium Poetarum elegantissimoru, Porcellii, Basinii, et Trebanii Opuscula nunc primum in lucem edita. Parisiis apud Simonem Colnaeum 1549. in 8. Quivi li componimenti del Porcellio abbracciano il libro De amore Jovis in Isottam. E qui come di passaggio si vuol osservare, che nel detto primo Libro si finge dal Porcellio, che Giove innamorato d'Isotta, le ricerchi corrispondenza d'amore, e che questa con fermezza d'animo ricusi d'annuire alle sue impure voglie, così essa rispondendo a Giove nella Seconda Elegia:

Dicit Isotta Jovi casto immaculata salutem,
Incesto nullam dicit Isotta Jovi ec.

Poi dopo avere esposte le rare doti del suo Sigismondo, e l'onore a lei fatto d'un magnifico sepolcro, consiglia Giove a pentirsi delle ricerche fattele per tentarla d'impudicizia, e dice che i suoi affetti sono già unicamente consecrati a Sigismondo ch'è il suo Dio:

A te, divorum clemens pater, atque hominum Rex,
Poeniteat scripti, poeniteatque precum;

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Poeniteat mentem stimulis tentasse pudicam,
Sola Sigismundi dicat Isotta Dei.

Li componimenti del Porcellio abbracciano una metà in circa degli altri quattro Libri intitolati Isottaei; e questi consistono in Elegie distese alla guida delle Epistole Eroidi di Ovidio. Seguono poscia tre Poemetti di Basinio in versi esametri in lode di Sigismondo; un altro del Trebanio, ed uno di Taddeo Prete Bolognese amendue pure in versi esametri; un altro di Roberto Flaminio in versi elegiaci, ed uno del Guarino Veronese pure in versi esametri. Ora non vi ha lode che in questa Raccolta non sia data ad Isotta massimamente dal Porcellio. Se vi si parla del suo ingegno, non vi fu nissuna Dea, o Greca, o Latina, di lei più illustre:

Quid loquar ingenium, quo non praestantior ulla
Sive Pelasga Dea est, sive Latina Dea ec.

Isotta, al dir del medesimo Poeta, superò Tindari nella bellezza, Saffo nella Poesia, e Penelope (elogio veramente notabile) ne' suoi costumi:

Tyndaris illa quidem specie tibi, carmine Sapho,
Penelope cedet moribus ipsa tuis.

Oltre la Poesia, al dir dello stesso, le fu famigliare la Fisica, e la Filosofia morale:

Ausa es tu rerum scitari, foemina, causas,
Verbaque Socraticis, vis adeunda viris.

In somma non fi fu Donna, non vi fu Dea da [p. 23 modifica]potere esser posta al paragone di lei:

Denique si dotes pergam numerare Puellae,
Nulla tibi par est foemina, nulla Dea ec.

Io sono ben persuaso che al cumulo di tante lodi possano avervi avuto gran parte e l'adulazione, e quell'entusiasmo poetico, ch'è solito di portare all'eccesso il merito d'ogni Donna, che si prende a lodare; e voglio altresì credere che que' Poeti, essendo molto cari, e famigliari a Sigismondo, si saranno lusingati d'acquistarsi maggiormente la grazia di lui, e di essa ancora, lodandola senza misure; e può anch'essere che appunto per eccitamento, o per comandamento di lui si facessero in quella guisa ad esaltarla; ma per quanto degrado si voglia dare a quelle lodi, per ogni poco tuttavia di vero merito, che vi si voglia riconoscere, converrà sempre crederla una Donna assai rara, e distinta.
Certo è che Sigismondo in sì fatta guisa l'amò, che quasi il suo amore fu superstizione, per non dirlo Idolatria (34)34: ond'è che niente omise per eternarne il suo nome anche prima che divenisse sua moglie. Imperciocchè fece primieramente gettare in suo onore varie medaglie, delle quali sei sono sinora giunte a mia notizia; e di queste io ne conservo cinque in bronzo nella mia Raccolta di medaglie d'uomini illustri per lettere, e tutte hanno la data [p. 24 modifica]del 1446. a riserba della seconda, che non ha nota di tempo (35)35; e di esse espongo pure i disegni. La prima, ch'è un Medaglione, ha la sua effigie nel diritto colle parole all'intorno ISOTTÆ ARIMINENSI FORMA, ET VIRTUTE ITALIÆ DECORI, e nel rovescio si rappresenta un Elefante, ch'era lo stemma de' Malateste, col nome dell'Artefice al di sopra: OPUS MATTHÆI DE PASTIS, e al di sotto MCCCCXLVI. Questo rovescio medesimo è pure nella seconda, ch'è un Medaglione di simile grandezza, ma nel diritto vi si vede la sua testa con assai diversa conciatura, e colle sole parole: D. ISOTTÆ ARIMINENSI. La terza, ch'è di mezzana grandezza, ha lo stesso diritto che la prima, ma nel rovescio si vede un Genio, che vola, e che porta colle mani una corona, colla stessa data MCCCCXLVI. senza motto alcuno. Simile a questa, sì nella grandezza, che nel diritto, e rovescio, è un'altra posta sotto il num. V. la quale non ha altra diversità se non che intorno al detto Genio, dopo la nota dell'anno MCCCCXLVI. vi si vede aggiunto: OPUS MATHÆI DE PASTIS V. e il disegno di questa, ch'è l'unica, la quale a me manchi, è stato altresì pubblicato [p. 27 modifica]dal chiarissimo Sig. Ab. Giovannantonio Battarra nel Ragguaglio dell'apertura degli Avelli, che sono dentro, e fuori della Chiesa di S. Francesco da Rimino ec. In Milano per Antonio Agnelli 1757. in 4. La quarta pure della medesima grandezza ha nel diritto l'effigie di lei colle parole intorno: D. ISOTTÆ ARIMINEN. MCCCCXLVI., e nel rovescio si rappresenta un Libro chiuso colla parola: ELEGIÆ. Un simile rovescio apparisce pur nella sesta, il cui diritto ci va vedere Isotta colla conciatura di testa simile alla seconda. Per l'intelligenza di quest'ultimo rovescio si vuol qui dire, come alcuni sono stati d'opinione, che con esso non altro siasi voluto indicare, che la mentovata Raccolta di Poesia fatte in lode d'Isotta, composta per la maggior parte appunto di Elegie. Che anzi taluno costantemente si crede essere genuino lavoro d'Isotta varie di dette Elegie, e massimamente quelle, che hanno in fronte il nome di lei, e che vi su rappresentano come da lei scritte (36)36. Nè io qui voglio assolutamente negarlo, ma ben mi so lecito di dubitare che nel rovescio di dette Medaglie siasi voluto alludere alla mentovata Raccolta; perciocchè osservo che la nota dell'anno 1446. segnata in dette medaglie non ben s'accordo colla detta Raccolta, la quale certamente o in tutto, o [p. 28 modifica]in parte fu composta o nel 1450., o di poi; mentre nella seconda Epistola, che si finge scritta da Isotta al suo Giove, si descrive il nuovo Tempio di S. Francesco eretto da Sigismondo, la cui prima pietra fu posta l'ultimo giorno di Ottobre del 1447., come si ha dalla Cronica Riminese (37)37, ed inoltre vi si accenna il sepolcro costruttovi alla medesima Isotta, del quale parlerò poscia, in tal guisa:

Inde super gemino felix elephante sepulchrum
Quod mihi constituit Jupiter ille meus.

Ora questo sepolcro vi fu costrutto solamente nel 1450. come vi si vede dalla nota di tal anno postavi in due luoghi. Non prima dunque d'allora fu composta quell'Elegia, che forma una parte di quella Raccolta, e perciò non poteva questa essere indicata nel rovescio di quella medaglia gettata assai prima, cioè nel 1446. Qui voglio aggiungere un altro dubbio che mi nasce da alcune espressioni di esse Poesia, le quali indicano una tale eguaglianza fra Sigismondo, ed Isotta, che debbono far supporre essere allora stati legati insieme in matrimonio. Ecco come vi si esprie Basinio:

Regem
Nunc Regem faciet Dea flava Isotta Parentem
Quin etiam celebri fama clarissimus Heros
Tempora quam longos implebit laeta per orbes,
Cumque sua dulces Isotta longius annos

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Exiget, et Divam Divus nec morte relinquet.

E se così è, questi versi non potevano essere composti nel 1446; nel qual anno egli è certo ch'era Isotta sua concubina; mentre Polissena seconda moglie di Sigismondo, ch'era stata sposata nel 1441. non morì che nel 1449; come a suo luogo si è detto. Mio sentimento pertanto è che il Libro rappresentato nel rovescio di detta medaglia colla parola Elegiæ, o indichi alcun libro di Elegie composto da Isotta, giacchè è certo ch'ella era valorosa Poetessa, come consta dalle testimonianze di sopra riferite, o pure, s'è allusivo alla detta Raccolta di Poesia composte in lode di lei, e di Sigismondo, si abbia ciò ad intendere di una sola parte di esse, cioè di quelle, che potevano esser composte nel 1446; molte in fatti essendovene, che sembrano lavorate, mentr'era sua concubina, e massimamente quelle due Elegie, nella prima delle quali ISotta scrivendo a suo padre si difende, e si scusa de' suoi amori con Sigismondo; e suo padre nella seconda rispondendole cerca di persuaderla ad abbandonarli, come già di sopra riferito. Comunque sia, io credo che contemporaneo alle suddette medaglie sia pure il lavoro del Busto d'Isotta, che in marmo è presso di V.E.; il quale, se fu fatto lavorare da Sigismondo, com'è verisimile, ci somministra una [p. 30 modifica]nuova prova della passione, ch'ebbe per renderla famosa; e se da altri si fece incidere, giova a farci apprendere, che il concetto, ch'ella ebbe, si estese oltre i confini dell'animo di Sigismondo.
V'ha chi crede, che anche la Sigla composta delle due lettere S. e I; cui usava Sigismondo in questo modo come in varj marmi, e in alcune medaglie si vede, e massimamente nel sepolcro d'Isotta, fosse da lui presa per indicare Sigismondo-Isotta. Ed è assai ciò verisimile, comecchè possa anche interpretarsi per la prima sillaba del nome Sigismondo, siccome ha osservato Giuseppe Malatesta Garuffi (38)38, il quale in oltre è d'opinione, che le due mani insieme unite in atto d'impugnare un baston di comando, le quali si veggono ne' due marmi, che servono di sostegno d'un poggiuolo del Palazzo di Sigismondo ora posseduto dall'Ospitale della Misericordia di Rimino, vi si facessero da lui incidere, allorchè con Isotta celebrò le sue nozze, per contrassegno di scambievole predominio, ed unione sì di fedeltà, che di affetti.

Sia ciò com'esser vuole, assai maggior fu l'onore, che Sigismondo fece alla sua Isotta destinandole una magnifica sepoltura nel celebre [p. 33 modifica]Tempio di S. Francesco di Rimino da lui intorno a que' tempi fatto edificare, nella quale venne in fatti dopo la sua morte seppellita, siccome dall'apertura del suo avello fatta nel 1756. siamo venuti in chiaro (39)39. Sigismondo fece costruire questo sepolcro nella Cappella di S. Michele in sito molto alto. Vi si vede sostenuto da due Elefanti, e al di sopra si trova un padiglione di marmo, che lo circonda, il quale al di dentro è d'azzurro marino, e al di fuori è tutto dorato, a cui si appoggia l'arma del Casato, ch'è posta sopra l'arca; e sopra detto padiglione si veggono due teste d'Elefanti con due cartelle di marmo, ch'escono dalla bocca di detti Elefanti con questo motto preso da' libri della sapienza di Salomone: Tempus loquendi, tempus tacendi. Il collo d'essi Elefanti è cinto d'una corona di bronzo dorato, e al di sopra delle teste de' medesimi stanno due ale pur di marmo dorato. In mezzo alla facciata del sepolcro si trova una cartello di bronzo dorato con questa Iscrizione intagliata anche al piede d'esso sepolcro: [p. 34 modifica]

D. ISOTTÆ ARIMINEN.

B.M. SACRUM MCCCCL.

Questa Iscrizione colla data del 1450. potrebbe agevolmente far credere ad alcuno, come malamente ha pur creduto il Garuffi (40)40, che Isotta morisse in detto anno 1450.; e che fosse allora quivi seppellita; ma dalle cose, che si diranno appresso, consta chiaramente che quella fu così incisa, e preparata per la detta Isotta, mentr'era ancora viva, e non per anche, siccome appare, sua Sposa; e che la data dell'anno 1450. indica unicamente il tempo, in cui fu innalzato il detto sepolcro; perciochè certamente ella visse molto di poi. Veggo per altro anch'io che, così andando la cosa, Sigismondo venne ad innalzare quel magnifico sepolcro ad Isotta, mentr'era ancora sua concubina; tanto più che quel ricco lavoro doveva essere principiato almeno l'anno precedente, vale a dire, mentr'era viva Polissena sua seconda moglie; il che veramente non può non riuscire strano a chicchessia, anche per le espressioni della Iscrizione, che a quella Donna certamente non convenivano. Si sono ben fatti di ciò maraviglia anche Enea Silvio (41)41, e Luca Vaddingo (42)42, il qual ultimo, dopo aver detto che Sigismondo Ædem dedicavit Sancti Francisci memoriæ, sed ita gentilibus [p. 35 modifica]fabulis, et profanis emblemmatibus universam delineavit, ut non Sanctorum templu, sed Ethnicorum videatur delubrum, aggiunge che ad hæc minus Christianæ addidit suæ Amasiæ Mausoleum opere, et materia pulcherrimam, adiecto gentili more hoc epitaphio:

DIVÆ ISOTTÆ SACRUM.

Veramente il Garuffi si è adoperato (43)43 per difendere Sigismondo da queste, e da alcune altre accuse dategli quivi dal Vaddingo dietro alle traccie d'Enea Silvio, notando particolarmente che l'Iscrizione non dice DIVÆ, come quelli lessero, ma D. che può piuttosto intendersi come DOMINÆ, o DOMNÆ, e che quand'anche volesse dir DIVÆ, non altro, secondo il senso dato a questa voce dagli antichi, volle significare che Eroina, o Donna Illustre. Suppone per altro il Garuffi che Isotta fosse allora sua moglie, di che io assai dubito, come dirò appresso, e che morisse in detto anno 1450; nel che certamente s'inganna. In fatti ella visse molti anni in gran concetto presso a Sigismondo anche pel sollievo che gli dava nel governo de' suoi Stati, allorchè egli per le sue cariche militari stavasene lontano. Seguita dunque la morte della mentovata Polissena, passò Isotta dal grado di concubina [p. 36 modifica]a quello di moglie di Sigismondo; di che fa chiara fede il celebre Cardinal Jacopo Piccolomini detto il Cardinal di Pavia, che fu suo contemporaneo, e che le cose di que' tempi, e di Rimino esattamente descrisse, il quale afferma che Sigismondo morendo lasciò la custodia della Città, e del Castello alla moglie Isotta, quam Pellicem prius, inde matrimonio adiunctam perdite amaverat (44)44; e si sa ancora che nel suo testamento la riconobbe per sua moglie, e co' di lui figliuoli naturali chiamolla a parte della sua eredità (45)45. Quantunque poi non mi sia riuscito di scoprire il tempo preciso, in cui egli la sposasse, gran fondamento tuttavia io trovo di credere, che ciò avvenisse dopo il 1452., perciocchè l'Autore della Cronica Riminese, la quale giugne fino al primo di Marzo del 1452. niente accenna, che fino allora l'avesse sposata, e pure si vede, che di giorno in giorno quell'Autore notava anche le più minute notizie, e circostanze spettanti a Rimino, e massimamente [p. 37 modifica]a Sigismondo, ed a' suoi matrimonj. Io credo per tanto assai verisimile che un tal matrimonio seguisse sul principio del 1453. e lo deduco da un Istromento di Donazione, che sotto a' 12. di Gennajo di quell'anno fece Sigismondo ad Isotta di cinque mula Ducati d'oro in tante vestiti, gioje, e in simili ornamenti (46)46, la qual donazione è assai probabile che seguisse in occasione, e nel tempo del suo matrimonio. Non m'è per altro ignoto aver dubitato alcuni, s'egli veramente la sposasse giammai [p. 38 modifica](47)47; al qual dubbio diede gran forza [p. 39 modifica]Sigismondo medesimo, il quale vergognandosi per avventura d'un tal matrimonio da lui segretamente contratto, era poi solito di negarlo con gran franchezza, e coll'espressioni più significanti. Quindi è che avendo egli avuta di essa Isotta una figliuola per nome Antonia, la quale fu maritata in Lodovico Gonzaga Marchese di Mantova, indi passò alle seconde nozze con giovanni Tingoli Nobile Riminese, ed essendo nata lite nel 1512. circa l'eredità da questa pretesa, venne da alcuni Contraddittori posto in dubbio, se Isotta sua madre fosse mai stata sposata da Sigismondo, e si addussero alcuni testimonj, i quali asserivano che Sigismondo soleva dire, che [p. 40 modifica]mentiuntur per guttur que' che dicevano che Isotta fosse sua moglie (48)48; ma certo è che, se Sigismondo così si esprimeva (qualora se gli voglia risparmiare la taccia di mendace) o dee intendersi del tempo, in cui non l'aveva ancora sposata, o si dee credere ch'egli non la volesse in pubblico riconoscere per sua moglie, nè volesse che da altri fosse tenuta per tale; e di quì appunto io giungo ad intendere per qual cagione, dopo averla sposata, alterar non volle l'iscrizione che sul sepolcro, le aveva preparata, ove doveva aggiungere ch'era sua Moglie; forse gli parve abbastanza l'avervi poste in più luoghi l'arme della famiglia Malatesta; e con ciò evitò pure un altro scoglio, cioè, o di doverle destinare per sepoltura quell'altra, cui egli nel medesimo Tempio nella Cappella dell'Angelo Custode aveva fatta costruire unicamente per le femmina della famiglia Malatesta, con questa breve Iscrizione: Malatestarum Domus Heroidum sepulcrum, nella quale, Isotta, come sua moglie, avrebbe dovuta essere seppellita; o pure di farle, col vietar ciò, un grave torto, e altamente disgustarla. Ma Sigismondo troppo alieno aveva l'animo di recar disgusto alla sua Isotta, la quale in Rimino era pur divenuta il suo più forte appoggio: Erat hæc, così nella Cronica [p. 41 modifica]di Rimino viene descritta (49)49 pulchra aspectu, plurimis dotibus locupletata, fœmina belligera, fortis, et constans in proposito, gratia populo, et placita oculis Principis, ex quæ nonnullos habuit filios, et filias, inter quos Pandulphum, et Lucretiam. Anche il Clementini (50)50 scrive che Sigismondo amò Isotta, e riverì non tanto per le bellezze singolari del corpo, quanto per le doti dell'animo, e per essere letterata, e di gran governo, siccome nel reggere la Città in absenza del marito diede chiari segni. Quindi è che Sigismondo non aveva in alcuno, nè meno de' suoi figliuoli, maggior confidenza che in lei, ne di ciò si può recar più chiara prova che l'ultima sua volontà; perciocchè giunto a morte sul principio di Ottobre del 1468. lasciolla per testamento fatto sin dai 23. d'Aprile del 1466. (51)51 sua Erede insieme con Salustio suo figliuolo naturale; ed inoltre lasciò particolarmente alla cura di lei la custodia della Città, e della Fortezza. Accidit per eos dies, così ciò riferisce il mentovato Cardinal di Pavia (52)52, Sigismundum, qui a Peloponnesiaco Venetorum bello in Italiam redierat, valetudine assidua fatigatum Arimini vita excedere, relicta arcis, Civitatisque custodia [p. 42 modifica]Isottæ Uxori, quam Pellicem prius, inde matrimonio adjunctam perdite amaverat. Ma ciò, che più giova a provare il concetto che aveva Sigismondo di lei, e il poter di questa sopra l'animo di lui, è, ch'ella fu capace di ridurlo verso il fine della sua vita al pentimento delle sue irregolarità, e de' suoi peccati, e a risarcire co' benefizj i mali che quà e là fatti aveva (53)53.
Morto Sigismondo, fu preso da Isotta il possesso di Rimino (54)54; ma trovandosi ella ben consapevole d'essere devoluto per la morte del marito mancato senza legittimi figliuoli, il dominio di Rimino alla Chiesa, e diffidando di poter ella ritenerlo, essendo rimasta sola senza figliuoli maschj, e coll'animo de' Cittadini affezionati assai più alla Santa Sede, che al dominio d'Isotta, o de' Malateste, deliberò [p. 43 modifica]d'invitare con sua lettera presso di sè Roberto uno de' figliuoli naturali di Sigismondo, ma nato d'altra Donna, e già da lei con odio novercale malveduto, il quale si trovava allora al servigio del Papa, ed era molto nelle guerre esercitato, facendogli sperare che la Città si sarebbe conservata, e diretta col consiglio d'amendue, e principalmente di lui: Ea vero (così segue a parlar d'Isotta il Cardinal di Pavia) non ignara obitu viri vicarium jus loci ad Ecclesiam rediisse, parum fidebat sola sine liberis in adversa Civium voluntate alienam rem retinere. Quamobrem, etsi novercali odio in Robertum esset, tamen, quia in re militari exercitatus, cum et ad defensionem idoneus crederetur, benigne ad eum scribit; monens ut, quando sine præsidio Civitas sit, ad eam conservandum maturet; futurum ut communi amborum consilio, suo vero imprimis omnia regerentur. Come poi un tale invito venisse ben tosto accettato da Roberto col pensiero fraudolento di restar egli solo padrone di Rimino opprimendo la matrigna, e col disfarsi di Salustio (55)55 altro figliuolo naturale di Sigismondo [p. 44 modifica], ma d'altra Donna, col qual ultimo era stata Isotta per alcun poco riconosciuta da altri Sovrani per Signora di Rimino (56)56; come ingannando il Pontefice s'impadronisse di Rimino, e con quali arti procurasse poi di mantenerne in possesso, nulla curado, ed affatto in disparte lasciando Isotta, segue a narrare minutamente il detto Cardinal di Pavia, il cui pass benchè alquanto lungo (giacchè molto rari sono i Commentari Storici di detto Cardinale) non arà fuor di proposito il qui riferire intero. Scrive dunque (57)57 che his accepsis literis: Robertus non tam casu patris tristatus, quam nuncio Isottæ lætus: concipere ex illa vocatione dominarum Ariminensem [p. 45 modifica]incœpit, fidens si modo administrationis partem adisset, novercam opprimi posse, adolescentemque Salustium ex altera concubina fratrem aliquo oblegari. Huic spei ea modo res erat adversa, quod non facilem ad dimissionem suam futurum Pontificem judicabat; partim quod præsidium necessarium Pontecorvi relinqui nollet, partim quod reditu suo confirmari civitatem timeret; cujus ipse potiunde desiderio teneretur. Itaque uno astu fatlere Isotam et Paulum cogitans; Romam subito venit, nunciansque magnis de rebus venisse se; ut primum admissus est; hem tibi Pontifex inquit, sine contentione Ariminum. Pater defunctus est. Civitas auctoritate vacua, et præsidio, nutat. In mulierem summa omnium respicit. Ea opis egens atque consilii, adiutorem nunc querit, substentatoremque oneris insueti. Si per te liceat, sexto illic die constitutus paucos æque post dies omni ad me derivata custodia, Arcem civitatemque liberam tradam, eam laurus mercedem facti quam tu justam censueris. Admiratus orationem hanc Paulus, quæ vultu adhuc erat quam verbis præsentior. et qua, inquit, fiducia, Juvenis, tantam rem polliceris? An nescis Isottam tibi inimicissimam esse? nec possuram defuncto Sigismundo Arimini agere, quem vivo pati non potuit? Ad eæ ille inquit, conjungunt sæpe tempora quos non conciliat sanguis. Necessitate jam mutavit noverca animum. Hem tibi ad me literas chyrografi [p. 46 modifica]sui; quibus in partem dominatus Ariminum vocor. Et simul epistolam inspiciendam porrexit. Paulus, ut manum mulieris agnovit, quæ sibi ex nonnullis ante acceptis literis non era incognita, vocationemque veram inspexit, credere cœpit, si modo voluptas Roberto esset ad perficienda quæ diceret, potestatem quidem per eam occasionem non defuturam. Id modo veniebat unum in metum ne, ut desertum præsidium excusaret, missionemque acciperet, spectante aliud animo verbis hæc mentiretur. Itaque ad allicienda veri indicia sermone diutius tracto; cum inter loquendum frequentius ostenderet placere sibi consilium, sed mutationem propositi formidare, contendebat Robertus quanto artificio poterat ad spem oblatam animum illius confirmare; crebro inter argumenta perfidiæ repetent nescire se quo alio posset consilio domum reverti, aut successim rerum sibi proponere, quando et sociales paterni injuriis haberet infensos; Venetis longo esperimento fidendum non judicaret. Contubernium autem novercæ confirmatis jam rebus suspisiosum cognoscetur. In hoc ancipiti positus Paulus: cupiditate tandem in assensum trahente dimittere illum constituit, et fortunam promissorum temptare. Sed ut præmiorum exprectatione minus loci ad animum mutandum permitteret, mercedem facti eodem in colloquio dicit. Ea fuit Senogallensis civitas, et cum circumstanti agro Mondavium oppidum; Militaris quoque conditio [p. - modifica]potestatem traducta reliquum patris ac patrui Dominatum illorum ope redimdere. Ariminum igisut veniens lætis civium susceptus est animis; non tam ab Ecclesia aversis, in quam tacite inclinabant, quam recordatione vetustæ familiæ ex cujus tanto numero hunc modo et Salustium quem dixi, superesse videbantur. Eam ille occasionem arripiens nullam popularitatis operam omittebat qua et studia civium convertere ad se posset, et tyrannidem concupitam invadere. Factum autem est brevi ut, noverca metui cedente mox et seposita, ad ejus imperium omniæ traherentur. Quasi le stesse cose si riferiscono pure, ma con qualche più minuta circostanza in un Cronica Riminese di que' tempi, della quale si è pur sopra fatta menzione. In questa Cronica, dopo essersi detto che Roberto promise al Pontefice di ricuperare all'ubbidienza della Chiesa la dicta Cità d'Arimini dalla mano della magnifica mia Madre Madonna Isotta (ove è da notarsi che Roberto, comecchè non fosse figliuolo d'Isotta, pure quivi la chiama sua Madre, perchè in realtà era sua Matrigna, nè chiamata l'avrebbe Madre, se non fosse stata moglie di Sigismondo) si riferisce che riuscì a Roberto di sorprendere Isotta nel Castello di Rimino ai 20, di Ottobre senza saputa de la magnifica Madonna Isotta, che quando così improvvisamente il vide, tutta sgomentò; non ostante con dimostrazione [p. 49 modifica]lo ricevette carnalmente, non però col core; e l'una parte e l'altra con affectione simulando, di più varie cose ragionando, el prefato Signore dicendo": Magnifica mia Matre, la nostra intentione è sempre d'onorarvi como nosta cara Matre; et così però fo prima sua volontà, pigliando el governo della dicta Cittade insieme ec.
Segue poscia il suddetto Cardinale di Pavia a riferire come Roberto memor vero inter hæc chyrographi dati id unum maxime laborabat, ut ab omni conceptæ perfidiæ suspicione animum Pauli abduceret, ne illa rescita ante turbari posset quam perfici. Ita ad eum frequenter scribens nunc condicta exequi se confirmabat, nunc res Ariminensium ad negocium inclinari, nunc Isottam quæ plurimum incæpto obstaret, sepositam esse, nunc paululum quid reliqui ad complendam rem superesse. Perpetuis autem literis certam propinquam dedictionem spondebat. Quibus in diem magis illectus Paulus ire Cesennam jusserat Laurentium Antistitem Spalatensem quæstorem ærarii, a quo et præsidia sub transfigendi tempus mitterentur ad illum, et civitatem, si dederetur, conditionibus quas vellent cives, in fidem acciperet. Ille dum in hunc eventum paratis omnibus Cesenne agit, Neapoli interim Bentius syngraphis datis acceptisque defectionem transegerat, quibus et defensio civitatis in triennium pacta erat si qui intulissent arma, et [p. 50 modifica]annua decem millia nomine militiæ pendebatur. Ea vero ut indicata Roberto sunt, majoribus jam fidens præsidiis novum opus aggreditur, quod perfidiam cum fructu detegeret ec. dopo le quali parole null'altro intorno ad Isotta riferisce; ma altronde io leggo, che non tardò molto la morte di lei, la quale seguì circa la fine del 1470. di lenta febbre, ajutata da veleno d'ordine dello stesso Roberto, che volle così liberarsi da ogni pericolo, e sospetto per la parte d'Isotta (58)58. Tale fu il fine di questa famosa Donna da Rimino, le cui rare doti meritavano certamente più onorati principj ne' suoi amori, e un miglior termine della sua vita; e queste pure sono le notizie che intorno ad essa io posso rassegnare a V.E. la quale saprà per la sua benignità renderle degne di lei col suo aggradimento. E qui pregandola della continuazione della sua pregiatissima grazia, tutto mi offero a' suoi comandamenti.

  1. Il celebre Lorenzo Pignoria eruditissimo Letterato Padovano fu ricercato da Paolo Gualdo suo amico, chi fosse questa Isotta da Rimino, di cui aveva veduta una medaglia coll'effigie di essa, e con un Libro nel rovescio col motto: Elegia, della qual medaglia io parlerò a suo luogo. Ecco ciò che gli rispose il Pignoria in una lettera, la quale si trova impressa nella Raccolta di Lettere d'Uomini illustri del Secolo XVII. 2 carte 158. La Isotta non trovo nè in Lessici, nè in Repertorj, nè in Dizionarj di sorte alcuna. Ed io per me credo, che quante Cornucopie sono in Venezia, ovvero in Terraferma, non me ne sapranno dar nuova. So bene che appresso le nostre Donne è andata in proverbio LA VALENTIGIA DI M. ISOTTA, che però forse avranno congettura fondata sopra baje di qualche Romanzo. A Verona altre volte fu una Isotta Nogarola, Donna di molte lettere, una di questa Ariminese non mi ricordo aver mai letto cosa alcuna. Dalla medaglia (come ho detto) si cava che fosse Poetessa.
  2. L'Isotta di Verona è stata confusa coll'Isotta da Rimino da diversi, e particolarmente dal Sig. Abate Goujet nel suo Supplement au Dictionaire Historique impresso nel 1749. e dal Sig. della Rocque in una Dissertazione sopra Isotta da Verona, cui ha questi malamente creduto essere la stessa che Isotta da Rimino, sostenendo che la Isotta creduta Veronese non fosse altrimenti di quella Città, ma in Rimino nata, e ciò col fondamento di due medaglie gettate in onore d'Isotta da Rimino, ove Ariminensis è detta, delle quali io pure, come altresì di molte altre alla medesima coniate, parlerò poscia. e darò il disegno. Lo sbaglio per altro del Sig. della Rocque è stato confutato da due Autori, i quali si sono affaticati in provare diverse essere fra di loro Isotta da Verona, ed Isotta da Rimino. Il primo è stato un Anonimo, la cui Dissertazione fu stampata nel Mercurio di Settembre 1741. L'altro è stato il Sig. Abate Saas Curato di San Jacopo presso alla Città di Roven, e membro dell'Accademia delle Scienze, e delle belle Lettere di Roven, che ha scritto alcune Nouvelles Remarques sur Isotta femme Savante d'Italie, le quali si trovano inserite dal Sig. Abate d'Artignì nel Tomo V delle sue Nouvelles Remarques d'Historie, & de Litterature. A Parìs chez Debure l'Aìnè 1752. in 12. a car. 28. e segg.
  3. Nella continuazione del Chronicon Dominorum de Malatestis inserita nel Tom. XLIV. della Raccolta Calogeriana a car. 134.
  4. Clementini, Raccolto Storico, Par. II. Lib. IX. In Rimino per il Simbeni, 1617, in 4.
  5. La detta Cronica è impressa nel Tom. XV. Script. rerum Italic. alla col. 931.
  6. La detta Cronica Riminese alla col. 938. la dice morta a' 3. di Settembre di quell'anno 1440. e seppellita agli 8. di quel mese; ma il Clementini nel Raccolto cit. a car. 319. pone la sua morte a' 13. d'Ottobre dell'anno medesimo 1442.
  7. Nella Vita di Sigismondo.
  8. Supplimento alle Croniche sotto l'anno 1647.
  9. Raccolto cit. Par. II. pag. 319.
  10. Cronica Riminese, loc. cit.
  11. Raccolto cit. pag. 314.
  12. Così scrive il Clementini, nel Raccolto cit. a car. 363. il che pur da memorie manoscritte di que' tempi vien confermato. In una Cronica a penna in pergamena, che tuttavia si conserva nell'Archivio del Convento de' Padri Minori Conventuali di S. Francesco da Rimino, che si crede composta da F. Alessandro da Rimino Proccuratore di quel suo Convento, sebbene altri la creda scritta da Autore più recente, si leggono le seguenti notizie intorno a Sigismondo Malatesta, e alle sue Moglj: Iniquus Princeps (cioeè Sigismondo) cuidam foeminae nobili Comitiis Karmaniola filia matrimonium promisit, et postquam opulentam dotem sibi vindicavit, juvenem dictamm repudiavit, quod accidit A. Nat. Domini 1431. Sequenti autem anno 1433. Juniperam Essentem duxit, qua a conjuge, ut dictum fuit, venenoso ptu occisa, Polisenam alteram supradictam ex nobili stirpe Sfortia in mulierem accepis de anno repar. Sal. 1440.et hac quoque necata tertiam sumpsit nomine Isotam de Achtis Ariminensem, qua cum per multos annos libere sine matrimonio vixit. Veramente quella Cronica non fu scritta che circa il 1528. dal detto P. Alessandro. Ma questi asserisce quivi con suo giuramento, che le suddette cose con tutte le altre da lui scritte in detta Pergamena sono state estratte fedelmente da certi antichi Scritti sopravanzati ad un incendio, che arse la Sagristia del Convento al tempo di Paolo II. e a piè della Pergamena vi si legge l'Autentica di due Notaj coi loro rispettivi segni, attestando esser vere tutte le cose soprascritte, ed a loro note, e da loro vedute negli antichi originali, prima che fossero trasportati a Roma, il che fu al tempo di Clemente VII. nel 1528. Della notizia del Codice suddetto, come altresì di alcune altre, delle quali sarò uso appresso, io mi confesso debitore al chiarissimo Sig. Dottor Giovanni Bianchi di Rimino, che con sua lettera mi ha dato in ciò saggio egualmente della sua gentilezza, che della sua singolare erudizione
  13. De' molti figliuoli, ch'ebbe Sigismondo, in parte dalle sue moglj, niuno de' quali, parlandosi de' maschj. gli sopravvisse, e in parte da varie donne, non sia fuor di proposito il dar qui l'enumerazione nel modo che l'abbiamo presso al Clementini, il quale nella Par. II. del suo Raccolto Ist. al Lib. IX. pag. 476. e 477. cosa ce ne ha lasciata notizia:
    "Sigismondo Pandolfo ebbe da varie Donne molti figliuoli, di parte de' quali non si sanno le vere Madri, benchè i naturali tutti sieno attribuiti ad Isotta, nondimeno per congetture verisimili vi sono opinioni in contrario, siccome di Salustio Malatesta, e di Roberto il Magnifico, che nacque circa il 1442. onde è impossibile, che fossero d'Isotta." (Io dubito che qui il Clementini s'inganni, deducendo che Roberto non potesse essere figliuolo d'Isotta per essere nato circa il 1441. Forse egli credette che Isotta allora fosse troppo giovinetta, ma non veggo ove il provi. Io produrrò fondamento onde credere, che essa nacque quasi contemporaneamente a Sigismondo, cioè circa il 1417. Per altro, che Roberto non fosse figliuolo d'Isotta, l'ho anch'io per verissimo, ma non già per la suddetta ragione addotta dal Clementini, bensì per la testimonianza d'un Breve di Legittimazione cui ottenne Sigismondo dal Pontefice Niccolò V a favore di detto Roberto, e di Malatesta, che intero si riferirà appresso, ove Roberto vi si dice procreato dal detto Sigismondo, e da Vannella di Galliotto de' Toschi di Fano.)
    "Roberto Novello figliuolo di Sigismondo Pandolfo, e di Ginevra da Este, nacque l'anno 1437. a' 29. Settembre alle ore x ... Alli 2. di Febbrajo dell'anno seguente fu battezzato, ed alli 19. di Novembre alle 22. ore nel Palazzo del Vescovado nella Villa di Scolta passò alla celeste vita.
    Galeotto figliuolo di Sigismondo Pandolfo, e di Polissena Sforza, nacque il dì primo Febbraio 1443. e fu battezzato alli 17. e poco dopo morì.
    Giovanni figliuolo di Sigismondo, e della bella Isotta degli Atti, allora Dama d'esso Sigismondo, e poi moglie, non si ha memoria precisa quando nascesse, ma morì nelle fascie l'anno 1447. alli 22. di Maggio.
    Lucrezia alli 24. Novembre 1447. Fu maritata a Cecco d'Antonio Ordelaffi Signore di Forlì.
    Pandolfo Malatesta nominato nella Patente fatta a Niccolò Panzuto degli Adimari per la compra in Ragugia (si vuole che anche questo fosse figliuolo d'Isotta).
    Un altro Giovanni, di cui nè la nascita, nè la morte, nè altra azione trovo, che quanto scrive il Muzio, che si trovò alla difesa di Montefiore, e nel 1459. segnò una Supplica...
    Giovanna figliuola di Sigismondo, e di Polissena Sforza fu maritata a Giulio Cesare Varani Signore di Camerino, e chiamata nel Testamento del Padre Giovanna d'Avazano.
    Margherita maritata a Carlo Fortebraccio Conte di Montone, e figliuolo già di Braccio.
    Contessina maritata a Cristoforo Nardelli da Forlì nipote del Cardinale di Milano da Roberto il Magnifico l'anno 1474. (Ma quivi forse si dee leggere Nardini, e non Nardelli, mentre il Cardinal di Milano, che fioriva circa il 1480. fu Stefano Nardini, cui il Panvinio, forse con errore, chiama Narducci).
    Antonia figliuola di Sigismondo, e d'Isotta moglie, fu maritata a Lodovico Marchese di Mantova agli 11. di Gennajo 1481. (Anche qui si vuole da noi avvertire che nell'Albero Genealogico della famiglia Gonzaga si afferma che Lodovico Gonzaga morì nel 1478. dopo avere sposata Barbera di Gio. Marchese di Brandemburgo. Potrebbe quegli essere stato un suo figliuolo, o nipote.)
    Salustio Malatesta figliuolo di Sigismondo Pandolfo, tenuto da alcuni d'Isotta, ma non è vero per le ragioni altrove dette. Era di vaga presenza, e nobili costumi, legittimato, e abilitato alla successione degli Stati da Niccolò V. insieme con Roberto. Vien riputato fratello di Valerio anche di Madre, come si legge ne' mss. di Claudio Paci; ma il Muzio nella Vita di Federigo d'Urbino dice, ch'era figliuolo d'un'altra Donna. (Io per altro tengo per fermo che fosse figliuolo d'Isotta, come si vede dal Breve di sua Legittimazione, cui poco appresso intero da me si riferirà.)
    Valerio figliuolo di Sigismondo, e d'Isotta, al riferire d'alcuni Scrittori, ma stante l'istruzione altre volte allegata, e lo scrivere del Simonetti nella Sforziade, era nato da altra Donna.
    Roberto figliuolo di Sigismondo Pandolfo, e di Vanuccia Foschi da Fano (e non d'Isotta, come alcuni col Sansovino hanno scritto) nacque l'anno 1442....Acquistò il nome di Magnifico ... fu legittimato da Niccolò V. Vedi la nota 16.
  14. Isabetta è chiamata dal Sansovino nelle sue Famiglie Illustri a car. 134. Ediz. di Venezia 1582. in 4. e dal Cazot nel Tom. II. delle Genealog. des Maisons Sovraines.
  15. Morì Giovanni, così scrive l'Autor della Cronica Riminese sotto a' 12. di Maggio del 1447. alla col. 959 figliuolo del nostro Magnifico Signore, e fu seppellito a S. Francesco nell'Arca del Sig. Carlo, e fugli fatto grandissimo onore da tutti gli Ordini, e da tutto il Popolo, e fu figliuolo di Madonna Isotta. Quasi lo istesso riferisce anche il Clementini nella Par. II. del Raccolto cit. a car. 351.
  16. Il detto Breve di Legittimazione tratto da ex Regest. Bullar. Secret. Nicol. Vo. Tom. IX: par. 174.; ci è stato gentilmente comunicato dal chiarissimo Sig. Conte Giuseppe Garampi Archivista e Canonico Vaticano, ed è il seguente:
    Nicolaus Episcopus et Dilectis filiis Roberto, et Malatesta de Malatestis fratribus laicis Ariminens. salutem etc.
    Illegitime genitos, quos vita decorat honestas, natura vitium minime decolorat, quia decus virtutum genitura maculam abstergit in filiis, et pudicita morum, pudor originis aboletur. Cum itaque sicut ex ferie dilecti filii Nobilis viri Sigismundi Pandulphi de Malatestis in Ariminem ac nonnullis aliis Civitatibus et Terris pro Nobis, et Romana Ecclesia in temporalibus Vicariis generalis nobils nuper oblata petitionis accepimus, vos defectum natalium, videlicet tu Roberte ex Sigismundo Pandulpho praedicto tunc soluto et dilecta in Christo filia Vannella Galiati de Tuschis muliere Fanen. tunc soluta, et tu Malatesta a dilecti filii ex eodem Sigismundo Pandulpho similiter tunc soluto, et diletta in Christo filia Isotta Francisci de Attis muliere Ariminem. etiam tunc soluta procreati, atque geniti patiamini. Nos attendentes, quod sicut habet fide dignorum affectio ex laudabilibus vestra juventutis, seu infantilitatis inditiis verisimiliter praesumitur, quod vos in viros debeatis producere virtuosos, quodque defectum hujusmodi vitae hac morum honestate, aliisque probatis, et virtutum, quod in vobis ortus odiosus ademit, et propterea volentes vos pro quibus dictus Sigismundus Pandulphus nobis super hoc humiliter supplicavit, favore prosequi gratiae specialis, hujusmmodi supplicationibus inclinati, vos et vestrum quemlibet ad jura natalium auctoritate Apostolica harum serie restituentes vobis cum, et cum vobis, ac quolibet vestrum, ut vos in omnibus et singulis quibuscumque bonis, mobilibus, et immobilibus Sigismundi Pandulphi, et mulierum praedictorum, nec non cognatorum et agnatorum vestrorum, aliorumque quorumlibet, tam ex testamento, quam ab intestato, et tam causa mortis, quam inter vivos, etiam cum praejudicio eorum, qui in bonis ipsis, si genitor, et genitrices vostri, ac cognati, et agnati praedicti ab hujusmodi intestato decederent, succedere deberent, etiamsi filii legitimi, et naturales nati et nascituri ipsius Sigismondi Pandulphi, aut eius ex suo germano legitime procreati et procreandi nepotes fureint, equalibus tamen portionibus cum ipsis filiis legitimis et naturalibus eiusdem genitores vestri et genitricum succedere, pro ut de jure succedunt filii legitimi et naturales, nec non etiam alias legitime ad Dominia, honores, dignitates etiam Comitatuum, et Ducatus, ac Officia saecaulariae quaecumque, quoscumque, et qualiacumque eligi, praefici et assumi, illaque peretenere, regere, gerere et exercere libere et licite possitis, et valeatis, ac quilibet vestrum possit et valeat perinde in omnibus et per omnia, ac si de legitimo matrimonio procreati essetis, et vestrum quilibet esset defecto praedicto, ac Fictaven. Concilii, et aliis Apostolicis Constitutionibus, nec non legibus Imperialibus, et Statutis municipalibus, ceterisque contrariis nequaequam obstantibus, auctoritate Apostolica tenore praesentium de specialis dono gratiae dispensamus. Nulli ergo etc. nostra Restitutionis, et Dispensationis infingere etc. Si quis etc. Datum Fabriani Camerinen. Diacesis Anno etc. millesimo quadringentesimo quinquagesimo pridie Kal. Septembris anno quarto.
    Gratis de mandato etc.
    L. de Castilione.
  17. Tobia del Borgo, Continuatio Chronici Dominor. de Malatestis nel Tom. XLIV. della Raccolta Calogerana, pag. 139.
  18. Della nobiltà della Famiglia degli Atti si hanno chiare prove in un processo di lite, che colla Comunità di Rimino ebbe Antonia figliuola d'Isotta, del quale parlerò appresso. Quivi, fra le altre cose, si vede, che il Nonno d'Isotta è chiamato Magnificus Dominus Alius de Aliis nobilis Ariminensis. Anche dalle Poesie del Porcellio composte in lode di lei, delle quali farò poscia ricordanza, viene confermata la nobiltà, e antichità do quella Famiglia, così esprimendosi:

    Adde genus, proavos, claramque a nomine gentem,
    Et Patriam, et tanta nobilitate Patres.

    Quì perciò si possono correggere due errori in tale proposito; l'uno dell'Uguetan, che nel suo Voyage d'Italie impresso a Lyon 1681. in 12. scrive a car. 124. che Isotta era una semplice Cittadina di Rimino, une simple Burgoise; l'altro del Preudomme, che nella Prefazione alle accennate Poesie del Porcellio cadde nell'altro estremo, dicendo che Sigismondo prese la moglie Isottam Principis Ariminensis filiam.

  19. Marcheselli, Pittura di Rimino, pagg. 46. e 47.; e Martiniere, Diction. Geograph. della ristampa di Venezia alla Voce Rimino annotaz. (f).
  20. Clementini, Raccolte cit. Lib. II. pag. 471.
  21. Delle rare doti del Padre d'Isotta ci ha lasciata una bella testimonianza Tito Strozza in una delle sue Elegie, cui finge scritta da Sigismondo a Isotta per condolersi seco, e confortarla sulla morte di suo padre. Eccone il principio:

    Hanc Sigismundi tibi fert, Isotta, salutem
    Nomina, sollicita littera facta manu.
    Scribere difficile est, quam me nova cura fatigat,
    Quam mihi mors fuerit Patris acerba tui.
    Ejus enim nobis nimium jactura dolenda est
    Qui praestans factis, ingenioque fuit.
    Et quamcumque illi patriam fortuna dedissit,
    Illum ortu potuit nobilitare suo.
    Sed quamvis nostra summum decus adderet urbi.
    Clarus et innumeris esset imaginibus
    Virtutesque viri quamvis ego sempre amarim,
    Te propter, obis carior ille fuite etc.

    La detta Elegia è stampata fra le Poesie dello Strozza nel Tom. IV. della Raccolta Poetarum Italor. Florentia 1722. in 8. a car. 129.

  22. I detti versi si riferiscono anche dal Sig. Ab. Sazs nel luogo cit.
  23. Finse quivi il Porcellio, fra le altre cose, la morte d'Isotta, come seguita prima di quella di Sigismondo, e ciò, siccome riflette il detto Sig. Ab. Sazs a cat. 44. per aver occasione di far comparire la sua poetica fantasia, rendendo conto a Sigismondo de' supposti ultimi sentimenti d'una persona, ch'egli amava con tanta passione.
  24. Egli è il suddetto Tito Strozza che così da scrivere da Sigismondo ad Isotta nella citata Elegia:

    Ille jacet, cujus dulci sermone fruebar,
    Quo potuit curas saepe levare meas,
    Cuius recta fides, ingens prudentia, fidum,
    Consilium, gravitas digna Catone fuit.
    Ast ego dilecti casu cum vexer amici,
    Me cruciat luctus, cara puella, tuus,
    Et tristes lachrima, et saevi sine fine dolores
    Dilacerans miseris pectora nostra modis.

  25. Così il detto Strozza segue poco appresso nella citata Elegia:

    Cetera si desint, fortunatissimus esset,
    Cum tu illi talis filia contingeris.
    Adde, quod ad superos aditum mens aequa, fidesque,
    Et virtus praestans, relligioque dedit.
    Non igitur grati, nec amantis signa videntur
    illius tantis ingeminisse bonis.
    Et si quis remanet post fata novissima sensus
    Aegre fert lachrymas umbra paterna tuas.
    Quod te, per per cineres, animamque parentis, et illum
    Qui non junxit Amor, per Veneremque rogo.
    Per quaecumque tibi parvae tulit oscula mater,
    Per spem fraternam, per faciemque tuam,:
    Per Sigismundi (si qua est tibi gratia) nomen,
    Te praeter cui non ulla placare potest;
    Nil profecturas, oro, compesce querelas,
    Queris tua cocncutitur flore juventa suo;
    Desine sidereos lachrymis corrumpere ocellos
    Et rigido rescas ungue notare genas.

  26. Ecco ciò che di poi lo Strozza fa dire da Sigismondo ad Isotta nella detta Elegia in riguardo al laccio amoroso con cui era stato preso con essa:

    Si tua cara minus, nostrae succurre saluti;
    Quae, nisi desieris, nulla futura brevi est.
    Si pater occubuit letho, maestamque reliquit;
    Adfines adsunt, frater, opesque sibi;
    His quoque me, cui non obscurum nomen in orbe
    Clara dedit virtus, connumerare velis;
    Quem crines stavi rapiunt, oculique loquaces,
    Quique caret dura rusticitate, pudor,
    Qui tibi frater ero, gentorque, et fidus amator
    Dum mea torquebit fila secunda soror.

  27. Raccolto cit. Par. II. pag. 359.
  28. Clementini, Raccolto cit. Par. II. Lib. IV. pagg. 351. e 477.
  29. Lettera Apologetica in difesa del Tempio di S. Francesco eretto in Rimini da Sigismondo Pandolfo Malatesta nel Tom. XXX. del Giorn. de' Letter. d'Italia a car. 163.
  30. Elegia illustrium Mulierum, pag. 174.
  31. Si trovano stampati dietro al detto Elogio composto dal Capaccio, a car. 175.
  32. Museo Cospiano, Cap. XXI.
  33. Alcuni esemplari, tra gli altri, se ne trovano in Roma nella Libreria Vaticana; uno se ne conserva in Rimino presso al mentovato Sig. Dottor Giovanni Bianchi; uno esiste nella Libreria di Norfole in Inghilterra; ed uno era, già, alcuni anni, in Verona nella Libreria Saibante segnato del num. 476. ov'è da avvertirsi, che questo è più ampio dello stampato, e che in fronte ad esse Poesie si legge: Tobias Poeta Veronensis. Questi fu Tobia del Borgo Veronese, il quale per avvenuta ne fu il Raccoglitore, o l'Autore del Primo Componimento, che vi si legge.
  34. Apostolo Zeno, Dissertaz. Vossiane, Tom. I. pag. 17.
  35. Pare che il Clementini avesse notizia di due sole di dette Medaglie; almeno di due sole ha fatta menzione nel Lib. II. del Raccolto cit. a car. 470. ove per altro conferma, che ad Isotta furono fatte gettare da Sigismondo.
  36. Lorenzo Legati, Museo Cospiano, Cap. XXI.
  37. A car. 360.
  38. Lettera Apologetica cit.
  39. Due descrizioni abbiamo alle stampe dell'apertura degli Avelli che sono dentro e fuori della Chiesa di S. Francesco di Rimino, spettanti alla famiglia de' Malateste già padroni di quella Città, la quale apertura fu fatta alla presenza di alcuni Gentiluomini nell'Agosto del 1756. L'una fu scritta dal chiarissimo Sig. Ab. Gio. Antonio Battarra, al quale è piaciuto d'indirizzarla al mio nome, è stampata nella Raccolta Milanese del 1757. In Milano nella stamperia d'Antonio Agnelli 1757. in 4. L'altra iscritta d'altra penna, è stata pubblicata nelle Novelle Letter. di Firenze del 1757. alla col. 262. e segg.
  40. Lettera Apologetica cit.
  41. Commentar. Lib.II.
  42. Annal. Ord. FF: Minor. Tom. II.
  43. Garuffi, Lettera Apologetica cit.
  44. Piccolomini, Commentar. Lib. V. pag. 375.
  45. Scrive il Clementini nel Lib. II. del Raccolto cit. a car. 469. che Sigismondo mandò con Ordine, o sia Patente a Ragugia per comprare alcuni beni stabili per lo valore di mille cinquecento Ducati d'oro ec. Nella qual Patente Sigismondo dichiara che i detti beni abbiano ad essere di Pandolfo Malatesta suo figliuolo, e de' suoi eredi, e di Lucrezia sua figliuola sorella del suddetto, vivente essa, e morendo Pandolfo senza eredi, ricadano alla medesima Lucrezia, dopo la cui morte a Salustio Malatesti suo figliuolo, ed agli eredi, e ad Isotta de Malatestis sua consorte in vita di essa, e degli eredi, avendo figli maschi, e dopo la morte d'Isotta gli assegnava alla fabbrica di S. Sigismondo.
  46. Il detto Istromento di Donazione, il quale fu rogato da FRancesco de' Paponi Notajo di Rimino nel Castello Sigismondo, cioè nella Rocca di detta Città, ch'era la residenza di Sigismondo, si conserva nell'Archivio di Rimino in un Codice Membranaceo detto il Codice Pandolfeseo; ed è il seguente:
    In Christi nomine Amen. Anno a Nativitate ejusdam Millesima CCCCLIIJ. Indictione primo tempore Sanctissimi in Christo Patris et Domini nostri Domini Nicolai Divina Providentia Papæ quinti et die xij. mensis Januarii.
    Magnificus et potens Dominus Milesque strenuus et generosus Dominus Sigismundus Pandulfus natus quondam bonæ ac recolendæ memoriæ Magnifici et potentis Domini Militisque prelaudati Domini Pandulfi qm. Domini ..... de Malatestis Arimini, ex sua sponte, et eccerta scientia et animo deliberato per se et suos haeredes dedidt, tradidit ed donavit pure, libere et irrevocabiliter inter vivos Magnifica et Generosa Domina Isotta tamquam benemerita filia quondam Nobilis Viri Francisci de Actiis de Arimino, præsenti, stipulanti, et recipienti pro se et suis hæredibus tot et tanta bona mobilia, videlicet tot Vestes, Zoglias, Jochalia et adornamenta per ipsum Magnificum Dominum sibi Dominæ Isottæ consignata et penes ipsam Dominam Isottam existentes et existensia, quæ ascendunt ad valorem, summam, et quantitatem, seu existimationem quinque millium Ducatorum auri, prædictos quinque millia Ducatos auri in dictis Vestibus, Zoliis, adornamentis et Jochalibus penes ipsam Magnificam Dominam Isottam Donatariam existentibus, seu quæ penes ipsam Magnificam Dominam Donatariam in futurum reperientur cuiuscumque valoris, generis, speciei, vel quantitatis seu conditionis, qui existimationis essent usque ad dicta quantitatem valerem et summam et existimationem ascendent itaquod vigore præsentis Donationis irrevocabilit facta possit ipsa Magnifica Domina Donataria et valeat dict. quantitatem quinque millium Ducatorum auri ut supra donat. petere, exigere, consequi, et habere in dictas Vest., Zogli., Jochal. et adornament. et re ... qua penes ipsam reperientur, et ipsas, et ipsa penes se retinere usque ad integram soluptionem et satisfactionem prædictorum quinque millium Ducat. auri ascenden. seu quantitate prædicta ipse, Magnificus et potens, Domibus Donator eidem Magnificæ Dominæ Donatariæ ut supra dedit, tradidit et renunciavit ad habendum, etc.
    Actum in Civitate Arimini in Contrata Sancta Columba in Castro Sismundo Residentiæ præfati Magnifici Domini Donatoris in quadam Camera superiori dicti Castri, præsentibus ibidem eximio et famoso utriusque juris Doctore Domino Jacobo quondam Jacobi de Anaxstasiis de Burgo Sancti Sepulchri honorando Vicario Gabellarum Arimini, eloquenti viro Nicolao Panzuto qm .... de Fano habitatore Arimini Camerario præfati Magnifici Domini, et Nicolao alias Saraxino qm. ... de Castro seu Foro Saraxino familiare præfati Magnifici Domini Donatoris testibus ad prædicta habitis, vocatis, et rogatis.
    Et ego Franciscus de Paponibus Notar. Arimini de prædictis rogatus fui.
  47. Molti certamente hanno creduto che Isotta non sia mai stata moglie di Sigismondo, e taluno, come si può osservare nelle Novelle Letter. di Firenze del 1757. alla col. 153. ha pur creduto potersi di ciò, vale a dire, che non sia mai stata sua moglie, cavare un argomento da que' versi di Carlo Pinti riferiti di sopra a cat. 19.

    Isotta o parium gloria Pellicum ec.

    intorno a' quali in dette Novelle si fa questa osservazione: Or se Isotta qui si dice gloria Pellicum, essa non avrà mai avuto il pregio d'essere stata sua moglie ec. Ma qui si vogliono avvertire due cose: l'una che il Pinti fu un poeta che visse due secoli dopo Isotta, e la cui autorità perciò dee considerarsi di poco momento; l'altra essere verissimo che Isotta essendo Concubina di Sigismondo si rendette famosa per le sue rare doti di animo, che di corpo, e perciò quivi chiamarsi gloria Pellicum. Per altro pare a me non potersi dubitare ch'ella sia poi stata moglie di Sigismondo, avendosi gran numero di testimonianze e di ragioni, alle quali non si saprebbe come rispondere. Eccone alcune, oltre a quella del Card. di Pavia e di alcun altro suo contemporaneo che si riferirà appresso. In un passo d'una Cronica Riminese scritta a quel tempo, il quale si riferirà di poi, si vede che Roberto (che fu figliuolo di Sigismondo, ma d'altra Donna) l'onorava, dopo la morte di Sigismondo, del titolo di sua Madre, per non chiamarla Matrigna. In un Istromento dei 9. di Giugno del 1457. che si conserva a penna nell'Archivio de' Padri Eremitani di Sant'Agostino di Rimino si vede chiamata Domina Isotta de Malatestis. Nel Codice ms. di Claudio Paci nella Libreria Gambalunga di Rimino si legge a car. 174. la Patente di Sigismondo Malatesta segnata de' 17. di Marzo del 1468. (già citata dal Clementini nel Tom. II. a car. 469.) in cui dona certi beni, i quali vuole che sieno di Salustio Malatesta nostro figliuolo, et suoi heredi, et similiter dell'Isotta de' Malatesti NOSTRA CONSORTE, vivente lei, e de' suoi heredi havendo figliuoli maschj, sin autem in vitæ solum. Nel pubblico Archivio di Rimino si conserva un Testamento Magnifici et Spectabilis Militis D. Antonii qm. Francisci de Actis de Rimino fatto a' 20. di Settembre del 1458. in cui lasciò erede Magnificam Dominam Isottam ejus Sororem de Malatestis. Ma ciò che a me sembra affatto decisivo, è che Sigismondo nel suo Testamento fatto a' 23. d'Aprile del 1466. esistente nell'Archivio di Rimino, in cui lasciò erede Isotta con Salustio suo figliuolo di lui, la chiama magnificam, et dilectam ejus CONSORTEM D. ISOTTAM DE MALATESTIS ec.; e che così pur chiamolla nel suo Codicillo fatto a' 16. d'Agosto del 1648.

  48. Anche di detto Processo di lite io debbo la notizia al mentovato gentilissimo Sig. Dottor Giovanni Bianchi.
  49. Cioè nella Cronica ms. composta da Fr. Alessandro da Rimino citata di sopra alla nota 12.
  50. Raccolto cit. Lib. II. pag. 470.
  51. Il detto Testamento si conserva nell'Archivio pubblico di Rimino.
  52. Loc. cit.
  53. Ad hujusmodi insinuationem, correcionemque (così segue Fr. Alessandro da Rimino nella Cronica soprammenzionata, parlando d'Isotta) Princeps in se revertus ad resipiscientiam conscientia suæ dolore cordis tacitus redire cupiens, deperdita, et damnificata aliquo qua poterat modo Princeps idem ante obitum suum, cui tot mala, totidem bona impertivit; et præcipue, cum erga Religionem nostram jam enunciato modo suam fovisset ferociam, usque ad de medio tollendum unum ex nobis propter fidei nostra constantiam, on erubescens Martyris Christi Auctorem esse, cœpit locupletari Domus, Conventus, et Ecclesias nostri Ordinis per totam dictionem suam etc. e poco appresso soggiugne: Tandem ætatis suæ quinquagesimo primo jam cosumato Princeps immunitatem corripiens errorum suorum pœnitens placidissime morti subiit, quem paulo post per amans uxor Isotta subsequata fuit. Utrarumque corpora in antedicto Templo separatim superbo funere conspiciuntur.
  54. Clementini, Raccolto, cit. Lib. II. pag. 489. Lo stesso si riferisce anche in una Cronica Riminese scritta nel 1478. la quale si conserva ms. in Roma presso al chiarissimo Sig. Conte Giuseppe Garampi Archivista e Canonico Vaticano.
  55. Il detto Salustio fu in fatti ammazzato in Rimino nel vicolo de' Pagliacci per intelligenza, come si crede, del mentovato Roberto; ma ne ebbe la colpa un certo Marcheselli, il quale restò ucciso dal furore del Popolo per l'amore che presso di questo si era conciliato Salustio, tuttochè Roberto avesse proccurato di salvarlo. Di tal morte fa un cenno il Sansovino nelle Famiglie illustri nel luogo cit. ove aggiugne che Roberto entrò nella Rocca di Rimino vestito da Contadino, e che anche Valerio altro suo fratello assalito da alcuni sconosciuti fu ammazzato, e tutto ciò seguì nel 1469.
  56. Che Isotta e Salustio fossero riconosciuto per Signori di Rimino, io lo ricavo dalla seguente Ducale scritta ad essi circa quel tempo dalla Repubblica di Venezia, la quale ci è stata gentilmente comunicata dal Chiarissimo P.D. Giannantonio Gradenigo Monaco Casinese: Magnificis et potentibus Dominis Isotta et Salustio de Malatestis Arimini etc.
    Ad ceteras possessiones et prediæ, que habet Monasticorum Sancti Georgii Majoris Urbis nostra Venetiarum, Ordinis S. Benedicti de Observantia, sunt etiam sibi, ut accepimus, nonnulla bona et possessiones istic Arimini, quæ usurpantur, et ab iniquis et illegittimis detentoribus contra omnem Justitiam possidentur. Pro quibus recipiendis, et vindicandis mittunt Reverendus Abbas, et Monaci dicti Monasterij nuntium suum, qui jure agat contra ipsos usurpatores et inniquos detentores. Et quoniam vehementer diligimus et caros habemos viros hos Religiosos, ob vita integritatem et summam sanctimoniam, cupimusque non parum ut re et juribus suis potiantur, scribendas hasce nostras M. V. duximus, rogantes majorem in modum, ut reverentia Dei, cujus hi viri acceptissimi servi sunt, nostraque contemplatione placeat habere causam hanc commendatam et nuntio dictorum Religiosorum ad expeditionem celerem, etc ..... juris sui, omni ope et auxilia adesse. Quod non tam nobis, quam immortali Deo gratissimum erit etc.
  57. Comment. cit. pag. 375.
  58. Clementini, Raccolta cit. Par. II. pag. 511.