Opere di Raimondo Montecuccoli (1821)/Annotazioni all'Elogio del Montecuccoli

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Annotazioni all'Elogio del Montecuccoli

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Annotazioni all'Elogio del Montecuccoli
Elogio del principe Raimondo Montecuccoli Lettera del conte Paradisi al Re di Prussia Federico II
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ANNOTAZIONI

ALL’ELOGIO DEL MONTECUCCOLI1




1 È stabilito che, in vece della consueta Orazione inaugurale, si reciti all’aprimento annuo delle Scuole della Università di Modena l’Elogio di alcun soggetto illustre Modanese, o dello Stato. P.

2 Il Principe Montecuccoli visse in un tempo, nel quale assai men rare erano le azioni generose e segnalate, che gli scrittori capaci di degnamente raccontarle. E’ stato dunque bisogno ricorrere a’ libri brevi, disordinati, e spesso ancor non del tutto veritieri, e questi raffrontare colle storie del tempo, e delle varie nazioni, [p. 32 modifica]colle quali il Montecuccoli ha combattuto, affine di riconoscere i fatti più al minuto, e di separare la verità dalla menzogna. L’Autore non sarebbe venuto a termine di questa sua fatica, se l’altrui soccorso non gliela avesse agevolata, procurandogli, ed additandogli gli opportuni materiali. Egli dee moltissimo a S. E. il signor Marchese Gherardo Rangone, consigliere intimo attuale di stato di S. A. S., riformatore nel dicastero degli studii, e ciamberlano delle LL. MM. II. e RR., cavaliere pieno di erudizione di ogni genere, non men profondo nelle più sublimi facoltà, che dotto in moltissime lingue, cui le scienze debbono assaissimo per la sua generosa sollecitudine di proteggerle, e cui dovranno assai più, se egli, in vece di promoverle coll’opera altrui, elegga piuttosto di usare la propria. Il chiarissimo signor abate Gabardi, uno de’ prefetti della ducale biblioteca, ha pure additati all’Autore parecchi reconditi documenti intorno la persona del Principe Montecuccoli, nascosti a tutt’altri, e noti alla sua grande ed infaticabile erudizione. Il dotto non men che cortese signor avvocato Lodovico Ricci con liberalità spontanea ha comunicate all’Autore parecchie lettere originali dello stesso Montecuccoli, ed altri rari e pregevoli documenti, che a lui si riferiscono. P.

3 Il Moreri ed altri scrittori non italiani dicono che il Montecuccoli fosse stato investito dal Re di Spagna del ducato d'Amalfi. Io non prenderò nè a negarlo, nè ad asserirlo, non parendomi di avere riscontri abbastanza sicuri su tal fatto. Ben potrebbesi facilmente essere preso equivoco con Ottavio Piccolomini, sanese, generale anch’egli di Cesare, e antecessore del Montecuccoli, il quale veramente era Duca d’Amalfi. Fu il Montecuccoli dichiarato Principe dell’imperio l’anno 1678. P.

[p. 33 modifica] 4 Aveva in animo l’Autore di riepilogare in una nota la storia della famiglia Montecuccoli, affinchè nulla mancasse di ciò che poteva illustrare la vita del gran Raimondo. La vastità della materia, e la brevità del tempo non lo hanno permesso. E veramente superfluo quasi sarebbesi giudicato in un secolo, che non molto si compiace delle genealogie, diffondersi su la storia di una famiglia così cospicua, e così dovunque conosciuta. Le vite del conte Raimondo pongono tutte, che la famiglia sua fosse nobile da sei secoli. Non lo hanno asserito senza ragione. Perchè, lasciando le tradizioni, che la dicono venuta di Germania fino dall’anno 860, e la opinione di Gasparo Sardi, nella storia Ferrarese, che la crede venuta in Italia l’anno 1014, abbiamo nelle cronache Modonesi che un Gherardo Montecuccoli, signore di Montevelli, giurò di condurre a sue spese le sue genti a benefizio del comune di Modena l’anno 1170. Una famiglia così potente nel duodecimo secolo dee presumersi di una origine anteriore al secolo stesso. P.

5 Studiò in Modena, in Perugia e in Roma. P.

6 Girolamo fu primo ministro di stato del Tirolo. Ernesto pervenne al grado di generale delle artiglierie di Cesare, e fu veramente uno de’ maggiori capitani del secolo. Nelle guerre di Fiandra ei si diportò per modo che Grozio ebbe a dire: Nunquam res ordinum pejori loco visæ, quam cum Ernestus Montecucculus Bataviam premeret. Il signor di Voltaire avendo fatta menzione di lui negli annali dell’Imperio, anno 1598, così riflette: Ceux qui ont porté ce nom (Montecuccoli) ont été destinés à combattre heureusement pour la maison d’Autriche. P.

7 Ristringerò qui la carriera militare del conte Raimondo. Entrò volontario. Militò nella fanteria ora colla picca, or col moschetto; nella cavalleria or dragone, [p. 34 modifica]or corazziero, praticando così tutte le arme che erano in uso al suo tempo. Servì alfiere nella compagnia del colonnello Wrangler. Ebbe una compagnia di corazze nel reggimento del conte Ernesto suo zio. Fu fatto sergente-maggiore nello stesso reggimento. Fu tenente-colonnello nel reggimento Fiston. Passò nello stesso grado nel reggimento del principe D. Annibale Gonzaga. Nel 1635 ebbe il reggimento di cavalleria del principe Aldobrandini, morto nella battaglia di Nordlingen. L’anno 1642 fu promosso al grado di sergente-generale di battaglia. Per la guerra di Castro, Francesco I Duca di Modena lo dichiarò Maresciallo generale delle sue armi. Cessata quella guerra ritornò in Germania, e l’Imperadore lo creò nell’anno 1644 tenente-maresciallo. Poco dopo ebbe il comando supremo delle armi nella Franconia, in assenza del generale Hatzfeld. Ebbe il comando delle armi similmente nella Silesia, e lo ebbe della cavalleria, sotto l’Arciduca Leopoldo, nella Ungheria. Ebbe il comando supremo contra i Francesi nell’anno 1672, e di poi nella stessa guerra del 1674. Lo aveva avuto anteriormente pur nella Ungheria nelle guerre del Turco. Nel 1665 fu dichiarato presidente al consiglio di guerra. P.

8 Un uomo nato per le armi non poteva desiderare scuola migliore delle guerre di Fiandra. Non vi ha esempio di altre, che egualmente durassero. La religione ne fu il pretesto; ma le vere cagioni bisogna dedurle dalla acerbità di Filippo II Re di Spagna e del cardinale di Granvela suo ministro, il quale, promulgati editti che distruggevano i privilegii e il commercio della nazione, puniva come di fellonia qualunque rappresentanza. Dall’altre parte Maurizio di Nassau, mettendosi a capo de’ malcontenti, mostrando di proteggere e la setta di essi, quasi tutti protestanti, e la [p. 35 modifica]pubblica libertà, tendeva a signoreggiare in quelle provincie. Il sanguinario duca d’Alba compiè l’opera colla crudeltà, e non vi fu più chi amasse il governo spagnuolo, dopo che furono decapitati i due maggiori signori della nazione, il conte di Horn, e il conte di Egmont. Nulla giovò che il moderato e savio commendatore di Requesens tentasse la via della conciliazione. I tre sommi capitani, Gioanni d’Austria, Alessandro Farnese, Ambrogio Spinola, preservarono dalla alienazione dieci delle diciassette provincie. Gli Spagnuoli erano i migliori soldati dell'Europa; ma le provincie unite avevano il vantaggio di esser soccorse dai protestanti di Alemagna e di Francia, e dalla Inghilterra; avevano il benefizio di una situazione bassa e paludosa, la quale ad arte si poteva sommergere; finalmente poco potevasi sperare dal valore degli Spagnuoli, i quali spesso non erano pagati: il possessor dell’oro e dell’argento del Messico e del Perù spesso non aveva di che pagare l’esercito, e gli avversarii suoi, poveri e deboli, non deponevano le arme per alcuna avversità. Se le guerre di Fiandra potessero aver paragone nell’antichità, parmi che considerata e la ostinazione reciproca, e le varie vicende, e la sceltezza de’ soldati, e la virtù de’ capitani, fossero da compararsi alla guerra del Peloponneso. L’anno 1606 fu riconosciuta la indipendenza delle sette provincie. Liberi appena, quei nuovi repubblicani furono aggressori della Spagna, e l’anno 1629 erano all’assedio di Bois-le-Duc, e vicini a conquistare il Brabante. In quella occasione l’Imperadore Ferdinando II mandò soccorso agli Spagnuoli, e ne ebbe il comando il Conte Ernesto Montecuccoli, il quale in quella guerra appunto si condusse seco il giovinetto Raimondo. P.

9 Era Raimondo capitano di quel tempo, e conduceva la vanguardia. Il fatto è narrato concordemente da tutti [p. 36 modifica]gli scrittori della sua vita. La storia pure narra che veramente egli ebbe la maggior gloria nella presa di cinque città, tre delle quali son nominate, cioè Calbe, Anesleben, Stasfort. Alla battaglia di Lipsia, innoltrato troppo addentro, dagli Svedesi ne fu circondato e preso. Per quella volta rimase prigione sei mesi, e venne secondo l’uso di quel tempo riscattato a danaro. P.

10 Il conte Lionardo Torstedon succedette all’illustre Banner, e venne riputato uno de’ maggiori capitani della nazione Svedese, e de’ migliori discepoli di Gustavo Adolfo. P.

11 Stette il conte Raimondo prigione degli Svedesi la seconda volta per ben due anni, parte a Wismar, parte a Stettino, e fu liberato col cambio dello Slang, preso dal Piccolomini. P.

12 Cum Totum iter (Lucullus) et navigationem consumpsisset, partim in percontando a peritis, partim in rebus gestis legendis, in Asiam factus Imperator venit, cum esset Roma profectus rei militaris rudis. Cicero Acad. quaest. lib. i. P.

13 Nulla di esagerato sulla letteratura del Montecuccoli. Le sue Memorie manifestano che ei possedeva la lingua latina, la francese, la spagnuola, e non è da dubitare della teutonica. Quanto alla propria non si può negare che egli non ne avesse fatto studio su buoni autori, e segnatamente su Niccolò Machiavelli. Gli strani e sconci vocaboli, che si scontrano alle volte nelle Memorie, debbonsi imputare più verosimilmente a sbaglio dell’editore, che era tedesco, e che per alcuni suoi saggi dimostrò di posseder poco l’italiano. Aggiungasi che l’edizione ne fu postuma, che il libro andava attorno manoscritto, e da amanuensi non italiani. Sicchè a torto alcun forse ha tacciato di barbaro il nostro Montecuccoli. Resta anche un argomento, che mi pare [p. 37 modifica]senza risposta, a dimostrare, ch’ei non ebbe colpa nei falli della sua edizione, ed è che in alcuni luoghi manca il senso gramaticale. Può egli sospettarsi tal difetto in tal uomo, e in un’opera, che vedesi scritta con somma posatezza e maturità2?

Ch’ei fosse versato nella teologia lo attesta l’abate Pacichelli nelle sue lettere. Egli connobbelo di persona, usò seco famigliarmente, e racconta che passava le intere notti nella sua scelta biblioteca, che disputava volentieri, e che aveva sempre fra le mani la teologia del padre Gonet.

Della poesia si dilettò similmente. Un suo saggio lascierà luogo a giudicare come ei vi fosse disposto, e come vi sarebbe riuscito, se fosse vissuto in altro secolo, e avesse avuto ozio di esercitavirsi. Ecco un suo sonetto in morte della sua sposa Margherita di Diechtristein:

D’una perla, cui pari in Oriente
     Fra’ tesori eritrei non mai s’è visto,
     Fecemi fido Amor far ricco acquisto,
     Onde tutte mie voglie eran contente.

Ahi morte! impoverito di repente
     M’hai tu, e al mio dolce ogni tuo assenzio hai misto:
     Ahi mondo! in un momento e lieto, e tristo:
     Nate appena le gioje, eccole spente.

Qual fluttua voto a sera, e va ramingo
     Legno, che pien di merci era il mattino,
     Tal’io, tutto pur dianzi, or nulla stringo.

Segneranno il mio misero destino,
     Estatici pensier, viver solingo,
     Neri panni, umid’occhi, e viso chino. P.

[p. 38 modifica]14 Nel secolo passato l'Italia fu teatro di continue guerre, delle quali, combattendosi fra piccioli eserciti, e non riuscendo a niuna conseguenza, pochissimo ha parlato la storia. Una di tali guerre fu quella di Castro, la quale però avrebbe potuto produrre grandi mutazioni negli stati. Odoardo Farnese, Duca di Parma, osò invadere lo stato pontificio con tremila cavalli. Entrato senza contesa, ebbe gran fatica ad uscirne salvo. Il Pontefice armato avrebbe potuto privarlo de’ suoi dominii, se la necessità di tener equilibrio nell'Italia non gli avesse procacciato difensori. Però la Repubblica Veneta, il gran duca di Toscana, e Francesco I, duca di Modena, si collegarono a favor del Farnese, dopo avere inutilmente tentato tutte le vie della pace. Seguirono alcune zuffe sul territorio Ferrarese, delle quali non si terrà gran conto nella storia militare. Fatto si è che i pontifizii, dopo alcuni piccioli vantaggi, invasero il Modonese. Il Duca si trovò con quattromila uomini soli. Forse dodicimila erano i nimici, condotti dal signor di Valencé e dal Mattei, sperimentati capitani, e di non ignobil fama. Posero assedio a Nonantola, che per sè stessa non si poteva difendere. Dava grandissimo animo alle milizie il cardinale Antonio Barberini, legato a latere. Il conte Raimondo fece sciogliere l’assedio, e venne a battaglia. È certo ch’ei fece dugento prigionieri, e trovo scritto che rimanessero sul campo ottocento morti; il che non oserei assicurare per vero. Certo è che i pontifizii fuggirono precipitosamente nelle terre ecclesiastiche. Il cardinale ebbe il cavallo ucciso. Pochi cardinali hanno avuto il coraggio di arrischiarsi tanto in un fatto d’arme, ma niuno è fuggito mai con la velocità del Barberini. La vittoria fu compiuta per ogni titolo, e non le mancò, siccome osserva uno scrittore contemporaneo assai giudiziosamente, che maggior [p. 39 modifica]teatro per farlo risapere alla pubblica fama come una delle maggiori prodezze di fortuna, e di valor militare (Vita ed azioni del conte Montecuccoli). P.

15 Tra gli eroi della casa d’Este pochi agguagliano Francesco I, e niuno forse lo supera. Ei regnò a tempi duri e difficili. La Spagna, signora delle due Sicilie, della Sardegna, e del vasto e dovizioso ducato di Milano, dominava la maggior parte, e la migliore della Italia. I suoi Vicerè e Governatori usavano superbamente co’ Principi italiani. La Francia aveva anch’essa aderenti, e si sforzava di stabilirsi nella Lombardia. La emulazione delle due monarchie produceva due fazioni fra’ nostri Principi, e un continuo stato di diffidenza e di guerra, nel quale possibile non era durar neutrali. Francesco I, seguendo la necessità e la prudenza, fu lungamente collegato degli Spagnuoli. Condottiero supremo delle arme confederate, egli espugnò Valenza e Mortara, e sarebbe giunto forse a conquistare tutto il ducato di Milano, se la morte non lo rapiva a mezzo il corso de’ suoi trionfi. Fu gran capitano, e riuscì sempre felice, quando i suoi consigli furono posti ad effetto. Fu magnifico sopra ogni Sovrano del suo tempo. Niuno lo vinse nella benignità, nella liberalità, e nell’amore della giustizia. P.

16 Sui primi anni dello scorso secolo gli Svedesi, nazione poco cognita, e nulla temuta, divennero gli arbitri della Germania. L’austriaco Imperadore Ferdinando II aveva quasi ridotti i protestanti agli antichi limiti, e tutto l’imperio era atterrito della sua potenza, e minacciato di servitù. La Francia gelosa dell’ingrandimento di Casa d’Austria, eccitò Gustavo Adolfo Re di Svezia a prender le parti de’ Principi protestanti, e gli somministrò danaro. Ei venne, e assunse il titolo di protettore della pubblica libertà. La battaglia di Lipsia [p. 40 modifica]dimostrò qual uomo ei fosse, e qual condottiero. Il Tillì, che comandava gli Austriaci, troppo superiori di numero, non si trovò preparato alla nuova tattica svedese, e fu compiutamente disfatto. La battaglia di Lutzen dimostrò qual nazione fossero gli Svedesi. Il Re loro morì: la sua morte si divulgò nel campo: tutt’altro esercito sarebbesi disordinato: essi si proposero di vendicarlo, ed egregiamente ne riuscirono. Gustavo fu dei maggiori uomini, che mai regnassero. Fiero e intrepido soldato, egli era benigno ed umano al medesimo tempo. Si dice, che geloso di non contravvenire alla giustizia, ei non movesse le arme, senza prima consultare il celebre trattato del Grozio sul diritto della guerra e della pace. Grozio, interpretato da lui, approvò ogni cosa, ed approvò anche, che egli occupasse a titolo di compenso la Pomerania vacante per la estinzione de’ suoi duchi. Nella minorità di Cristina, figlia di Gustavo, gli Svedesi, per consiglio del presidente conte d'Oxenstiern, continuarono nelle stesse imprese. Il valore e la scienza del gran Gustavo risorsero ne’ Banner, ne’ Torstedon, ne' Wrangel, ne’ Königsmark, co’ quali il Montecuccoli ebbe a guerreggiare assai volte. La Francia continuò sempre nella loro confederazione, soccorrendoli quando di danaro, quando di genti. Cessò la gloria e la potenza degli Svedesi nell’impero Germanico, quando la Francia ascesa al sommo della grandezza potè operare per se stessa, senza cercare sussidii dal settentrione. P.

17 L’anno 1646 il maresciallo di Turenna erasi congiunto agli Svedesi e agli Hassiani. I primi penetrarono in Boemia. Al celebre Gioanni de Werth e al Montecuccoli fu commesso di discacciarli colle tenuissime forze di ottomila cavalli e duemila fanti. Gli Svedesi furono disfatti colla morte del loro generale Wrangel. [p. 41 modifica]Montecuccoli ebbe un cavallo ucciso, e fu ferito egli stesso. L’anno 1648 il Königsmarch e il Turenna passarono il ponte da lor gittato sul Danubio presso Laubinghen per andare ad Augusta. Il generale supremo Holtzapel prese in suo ajuto il Montecuccoli. Gli imperiali furon vinti, e morto in battaglia lo stesso Holtzapel. Il Montecuccoli comandò in sua vece, e in mezzo infiniti svantaggi e pericoli, che sempre si moltiplicavano, preservò quel poco che gli restava con gran lode degli alleati, e ammirazione dei nemici. P.

Sembra a noi troppo sommariamente toccata questa ritirata celebratissima anche dagli scrittori avversarii, e principio della fama guerriera del Montecuccoli. Il conte d’Holtzapel, conosciuto dagli storici di quel secolo sotto il nome di Pietro Melandro, perì nell’assalto datogli dal Turenna. Gl’imperiali fuggivano: il duca Ulrico di Wirtemberg, maggior generale dell’esercito, si trincerò sulla sponda del fiumicello Schmult a Zusmarhausen presso Augusta con sette squadroni e tre battaglioni: sostenne per un giorno intero le artiglierie del Turenna; vide intrepidamente perire mezze le sue schiere, e cangiò cinque cavalli uccisi sotto di lui. Per tanta costanza d’Ulrico, il Montecuccoli ebbe campo di riordinare le schiere sbaragliate e fuggiasche, e combattendo sempre con la sua retroguardia contro i Francesi e gli Svedesi vittoriosi, si ritirò con pochissimo danno sotto il cannone d’Augusta. L’eroismo del Duca, e la sapienza del Montecuccoli sono consegnati nella storia del Turenna, e nelle memorie, che questo eroe lasciò, ove parlando del capitano italiano, scrisse: On ne peut pas se mieux comporter qu’il faisoit dans cette retraite (Mem. lib. I, an. 1648). E un uffiziale francese testimonio oculare aggiunge: On loua [p. 42 modifica]beaucoup l’intrépidité de Montecuccoli et du duc de Wirtemberg qui essuyèrent trois combats dans un même jour, et perdirent leur général sans être effrayés ni par la difficulté de la retraite, ni par le nombre de leurs morts, ni par la perte de leur artillerie et de leur bagage (Memorie inedite citate dal cavaliere Ramsay nella storia del Turenna lib. ii). A torto l’oratore asserisce essere stati in quell’anno al Montecuccoli confidati gli affari di Cesare; perchè dopo la morte di Pietro Melandro, fu inviato comandante supremo a quell’esercito il principe Piccolomini, sanese; nè so che il Montecuccoli abbia comandato superiormente prima della guerra di Transilvania l’anno 1657. F.

18 Dopo la pace di Munster e di Osnabruk il conte Raimondo intraprese gli accennati viaggi, ed ebbe compagno il celebre conte Enea Caprara, uno anch’egli de’ grandi capitani del secolo. Ebbe onori e presenti dalla Regina Cristina, la quale tenne seco di poi corrispondenza, e fu uno di quelli, cui ella degnò prevenire confidenzialmente del suo pensiero di abdicare. La lettera stessa ne esiste, ed è inserita nelle memorie del signor La Beaumelle. Il Puffendorff nella sua storia di Svezia asserisce che il Montecuccoli venne a Stockolm non per diporto, ma in grado d’ambasciadore. P.

19 » E perciocchè uno de’ pregi dell’Estense (Francesco I) era la magnificenza, trattenne egli per più giorni quell’illustre brigata (due arciduchi d’Austria) con sontuosi divertimenti di commedie, cacce, conviti e danze. Superbo specialmente riuscì un torneo a cavallo, fatto nella piazza del castello, per le ricche comparse, per la rarità delle macchine, voli e battaglie. Restò nulladimeno funestata sì allegra giornata da un sinistro accidente, cioè dalla morte di Gioanni [p. 43 modifica]Maria Molza cavalier modonese, il quale correndo colla lancia incontro il conte Raimondo Montecuccoli, miseramente ferito alla gola, perdè tosto la vita. Sì afflitto rimase per questa disavventura il Montecuccoli, perchè suo grande amico era il Molza, che non tardò a tornarsene in Germania, dove ecc.» Muratori Annali d’Italia, anno 1651. P.

20 L’anno 1666 il Montecuccoli in grado di ambasciadore andò a ricevere al Finale di Genova l’infanta Margherita figlia del Re cattolico, e sposa dell’Imperadore Leopoldo. A quella occasione ebbe dal Monarca delle Spagne il rarissimo onore del toson d’oro. L’anno 1670 condusse a Czestokows in Polonia Eleonora Maria sorella dell’Imperadore, e moglie di Michele Wiesnowiski Re di Polonia. P.

21 L’anno 1657 Raimondo prese in moglie Margherita figlia di Massimiliano principe di Diechtristein, maggiordomo maggiore dell’Imperadore Ferdinando III, e di Anna Maria de’ principi di Lichtenstein. Questa dama accoppiò a’ pregi di una rara bellezza le più ammirate doti dell’animo. Vi fu chi ne scrisse la vita diffusamente. Tenerissima pel marito, ne fu di egual tenerezza corrisposta. Ebbe il dolore di perderla l’anno 1676. Gli rimasero di lei tre figlie ed un figlio. Le figlie furon collocate in cospicui matrimonii, e il figlio corse la carriera del padre, e morì maresciallo di campo. P.

22 Carlo Gustavo, venuto al trono per l’abdicazione di Cristina, pensò subito a muover guerra. Incerto se alla Polonia o alla Danimarca, antepose la prima, come la più facile a conquistarsi. Non s’ingannò. Vinti i Polacchi in varii scontri, fu necessitato il loro Re Casimiro a fuggire, quando i suoi lo avevano abbandonato. Accresciuti i nemici del regno colla venuta di [p. 44 modifica]Giorgio Ragotzi principe di Transilvania, il Re di Svezia corse tutta la Polonia, e non gli mancò che l’atto di coronarsi, il quale era prossimo e decretato. L’Imperadore soccorse quel Monarca fuggitivo. Montecuccoli ebbe il comando della cavalleria; di poi, morto il generale Hatzfeld, di tutto l’esercito. Gli Svedesi dovettero realmente, in grazia del valor suo, abbandonar le conquiste. Intanto il Re di Danimarca, geloso degli Svedesi emuli suoi, osò assalirli. Presto ebbe a pentirsene. Invasa la Danimarca, si venne all’assedio di Copenhaguen, e al dieci di febbrajo se ne tentò, benchè infelicemente, l’assalto generale. Gli Imperiali, i Brandeburghesi e i Polacchi per terra, e gli Olandesi per mare, andarono in ajuto di quello stato. Il primo passo fu di assicurarsi della fede del duca di Holstein, prendendo in ostaggio il castello di Gottorp. In seguito conquistarono moltissimo paese. Gli Svedesi si erano fortificati nella Fionia; bisognava discacciarli. Si tentò due volte lo sbarco inutilmente. Non piaceva agli Olandesi che riuscisse; però freddamente servirono, come è molto bene accennato nelle Memorie. Non è però credibile che eglino scaricassero i cannoni carichi a sola polvere. Tal fatto, narrato dal Puffendorff, si può riporre nel lungo novero delle menzogne stampate. Il parere della diversione nella Pomerania salvò la Danimarca. La pace intempestiva fu cagione che gli Svedesi non perdessero interamente quella provincia. Il conte di Erbestein sbarcò nella Fionia, e facilmente disfece i non molti Svedesi che vi accampavano. Seguì battaglia, e de’ generali svedesi non si salvarono che il principe di Sultzbach e il conte di Steinboch. È falso, quantunque asserito da chi scrisse la vita della contessa Montecuccoli, che il Conte conducesse egli stesso quell’ultimo sbarco. [p. 45 modifica]Ved. Memorie parte i, e Puffendorff de rebus Svecicis. P.

23 Ferdinando II ebbe in arme cento cinquantamila uomini, senza altri trentamila che gli somministrò la lega cattolica. Tal forza andò così rapidamente declinando, che diminuita assaissimo negli ultimi anni dello stesso Ferdinando II, vie maggiormente si estenuò sotto Ferdinando III, e si annientò quasi sotto Leopoldo. Montecuccoli si trovò nella epoca della decadenza dell’Austriaca monarchia, sicchè ebbe quasi sempre a combattere con forze tenui ed inferiori. Le sue guerre furon sempre difensive, e non decorate di quell’esteriore apparato di gloria che è nel conquistare. P.

24 Vedi Commentarii dell’Autore lib. iii. P.

25 Non permetteva la necessaria brevità dell’Elogio d’indugiarsi sulle prime campagne della guerra d’Ungheria. La Transilvania, che il Turco voleva dipendente da se, e l’Imperatore libera, fu occasione che si venisse a manifesta rottura fra le due monarchie. Alcuni reggimenti cesarei, condotti alle frontiere della Transilvania dal Montecuccoli, avevano prevenuto qualunque movimento de’ Turchi. Ma un ordine della corte, obbligandolo a retrocedere, disfece quasi quel piccolo, ma sufficiente esercito, e lasciò esposta la Ungheria. I Turchi ne profittarono. Appresso le epidemie, la peste stessa introdotta nel campo cesareo; la mala fede degli Ungheri che negarono di ricever presidii e somministrar genti; l’alienazione de’ Transilvani; la discordia de’ generali imperiali, furono i motivi della non ottima fortuna della campagna seguente. Una falsa voce di pace divulgata da’ Turchi, e creduta dagli Austriaci, persuase Cesare a disarmare. I Turchi entrarono nella Ungheria con centomila uomini, e non si poterono opporre a tanta forza che seimila soldati appena, e [p. 46 modifica]questi anco in breve si ridussero a quattromila. Il Turco non fece altro in quella campagna che prendere Nehausel. Appresso vennero gli ajuti dell’imperio e della Francia, e così si potè combattere a S. Gottardo. La battaglia seguì il dì primo d’agosto dell’anno 1670. P.

26 La battaglia durò sette ore. Il Capitano non ebbe meno a combattere col valore de’ Turchi, che colla diffidenza de’ proprii generali. La pace venne in conseguenza di sì segnalata vittoria. P.

27 Nella guerra de’ Francesi il Montecuccoli riuscì di ciò che più importava, della presa di Bona, la quale assicurava la libera comunicazione colle provincie-unite confederate di Cesare. Nondimeno gli alleati non furon contenti di lui, ed ei dovette dimettere il comando3.

La campagna seguente dimostrò qual fosse il pregio di tanto uomo, appunto a quel modo che il pregio dell’aria si conosce nel vuoto Boileano, quando ella ne [p. 47 modifica]è estratta. I Cesarei in numero di settantaduemila al principio della stagione, erano appena ventimila accostandosi l’inverno. Nulla avrebbe salvato l’imperio, fuorchè un eccellente condottiero. Montecuccoli ritornò al comando, e gli affari si rimisero subito. Fu l’anno 1675 che seguì quella memorabile campagna, la quale i dotti militari reputano essere stata il sommo della loro scienza, e del valore, così per parte del Turenna che conduceva i Francesi, che del Montecuccoli che reggeva gl’imperiali. Il giudizio che io ne ho dato non è che una versione de’ giudizii de’ migliori maestri dell’arte militare. Udiamo Federico di Prussia:

Vous, Montecuccoli, l’égal de ce Romain,
Vous, sage défenseur de l’Empire et du Rhin,
Qui tintes par vos camps en savant capitaine
La fortune en suspens entre vous et Turenne,
Mes vers oublieroient-ils vos immortels exploits?
Ah! Mars, pour les chanter ranimerait ma voix.
Venez, jeunes guerriers, admirez la campagne,
Où ses marches, ses camps sauvèrent l’Allemagne,
Où se montrant toujours dans des postes nouveaux,
Il contint les Français, et brava leurs travaux; etc.

Art de la guerre, chant II.

Non meno splendido è l’elogio di Folard, che pure suol essere parco lodatore degli uomini di guerra: La campagne de monsieur de Turenne de 1674 vaut bien une des plus belles de César. Celle de l’année suivante, qui fut la dernière de ce grand homme, fut son chef-d’oeuvre. Elle est comparable à celle d’Afranius. Décidons sans être trop hardis, elle est au-dessus, car cet [p. 48 modifica]Afranius, quoique fort habile, ne valait pas Montecuccoli. Celui-ci était digne d’étre opposé à Cesar, et non pas l’autre. Il le fut à monsieur de Turenne. Quelle campagne! Je n’en vois point de si belles dans l’antiquité. Il n'y a guère que les experts dans le métier qui puissent en bien juger. Combien d’obstacles réciproques à surmonter! Combien de chicanes, de marches, de contre-marches, de variations d’armes et de manoeuvres profondes et rusées! C’est en cela seul que l'on reconnaît les grands hommes, et non dans la facilité de vaincre, et dans le prodigieux nombre de troupes qui combattent des deux côtés. Folard sur Polybe tom. I, pag. 255.

Simile affatto è il sentimento dell’autore del Saggio generale di tattica, uscito ultimamente a luce, e reputato a quest’ora uno de’ classici libri della professione. Osserva il dotto autore fra le altre meraviglie di quella campagna, che i due eserciti stettero sempre in moto in uno spazio di paese lungo dieci o dodici leghe, e largo quattro o cinque.

Lo stesso Folard in altro luogo osserva, che »Il Montecuccoli era eccellente nell’arte de’ movimenti generali di ogni sorta. Le sue marcie erano chiare, semplici, piene di sapere, e le sue colonne disposte e distinte per modo, che da qualunque lato l’inimico si affacciasse, elle trovavansi sempre a un tempo stesso e d’uno stesso movimento poste in battaglia. Pochi si sono approssimati a lui in questa scienza». Ibid. lib. II, c. 6. P.

28 Il paralello fra’ due capitani fu primieramente immaginato dal celebre padre Tournemine. Quel dottissimo scrittore si dimenticò nondimeno della scrupolosa equità che si poteva pretendere da lui quando conchiuse, che il Turenna era divenuto superiore, e che la sua [p. 49 modifica]morte risparmiò al Montecuccoli il rossore di esser vinto. Vedi Journal de Trevoux an 1707, mois de mai. Tal sentenza, uscita dalla penna di un grand’uomo, potrebbe sedurre coloro che non si avveggono essere ella una condiscendenza a favore della propria nazione, anziché un tratto di storica verità. Hanno tutti gli scrittori fino al presente, che io mi sappia, celebrata ed illustrata la campagna dell’anno 1675, accumulando i meriti di amendue i competitori. Io tenterò di separare quelli che sono proprii e particolari del nostro Italiano. Io gli ascrivo a merito proprio e particolare quanto egli ebbe di svantaggio per lo stato delle cose, e lo svantaggio non fu di poco momento. Il Turenna godeva dei benefizii della precedente campagna, per lui felicissima, ed incominciava vittorioso la susseguente; e il Montecuccoli si metteva a capo di un esercito sbigottito, e di affari sconcii e disordinati. Tutte le forze erano adunate nell'esercito francese, e tutto era in ordine; ma tardi si riunì l’austriaco, tardi se gli congiunsero parecchi reggimenti, che ne eran divisi per lontani quartieri. Il Turenna potè impunemente prevenire l'avversario, passare il Reno, e mettersi alle spalle il ponte di Strasburgo, acciò non gli servisse: gl’imperiali dovevano guardare un paese quasi aperto, e i Francesi avevano dopo di loro Brisac, Filisburgo, ed altre piazze fortissime. Finalmente il Turenna era vegeto e vigoroso, tutto visitava in persona, tutto vedeva cogli occhi proprii, e tutto per se medesimo eseguiva; dove l’altro, debilitato dalla vecchiaja e dalle infermità, doveva prevalersi de’ subalterni, e giudicar sui rapporti. V. Vie de Turenne tom. II, p. 135, 136; opera del sig. di Cavagnac, che conosceva di persona il Montecuccoli, e aveva servito sotto di lui nelle campagne di Ungheria. Indebolirebbe il merito di questi svantaggi, se fosse [p. 50 modifica]vero ciò che alcuni scrittori francesi affermano, che il Montecuccoli avesse avuto tre o quattromila uomini sopra il Turenna. Ma e gli Austriaci il negano (fra gli altri il padre Wagner scrittore assai diligente del regno di Leopoldo Cesare), e non par ragionevole il credere questa copia di soldati sul Reno, in un tempo che la casa d’Austria manteneva altri due corpi, quello che militava sulla Mosella, e quello che in Pomerania faceva fronte agli Svedesi. Se in quella campagna, almen sul fine, alcun de’ due emuli era superiore, parrebbe, ben ponderate le cose, che quello fosse appunto il Montecuccoli. L’esercito suo aveva vissuto in piena abbondanza di ogni cosa per la maravigliosa avvertenza del Generale di tener sempre aperta la comunicazione co’ fertili paesi della Svevia e del Palatinato, dove i Francesi erano stretti di provvigioni, massime per i cavalli, a tal che per parecchi giorni ebbero a pascersi delle foglie degli alberi. Le fanterie austriache erano da competere colle francesi. La cavalleria alemanna era superiore alla francese, almen per questo che la francese era notabilmente scemata e consunta per i recenti disagii. I generali austriaci, fra’ quali si nomina il principe di Lorena, il margravio di Baden, il conte Enea Caprara, il Dunevald, erano tutti uomini di sperimentato valore e capacità. La situazione del Montecuccoli era sicuramente la più vantaggiosa. Egli stesso piantò batterie, schierò l’esercito in battaglia, segno che voleva combattere; né egli avrebbe pensato ad avventurare la battaglia, se non avesse veduto vantaggio manifesto. Come adunque conchiudere, come inferire che egli era sull'atto di succumbere, e presso al momento di perdere? P.

29 Enrico de la Tour d’Auvergne, visconte di Turenna, nacque a Sedan l’anno 1611 di Enrico duca di Buglione, [p. 51 modifica]e sovrano di Sedan, e di Elisabetta di Nassau, figlia del principe Guglielmo di Oranges, e sorella del principe Maurizio. Non è mia intenzione, né di mio istituto ragionare di lui. Tutto sarebbe superfluo quanto io potessi dire in sua lode dopo un Fléchier e tanti altri dotti e facondi oratori, che lo hanno meritamente celebrato. A me basterà di averlo comparato al Montecuccoli, parendomi che tutte le lodi sieno in quest’unica riepilogate. Ei morì di una palla di cannone, mentre osservava un luogo per collocarvi una batteria. Non avendo comunicate le sue intenzioni ad alcuno, il conte di Lorges suo nipote, preso il comando dell’esercito, ripassò il Reno, e vi fu inseguito dal Montecuccoli, il quale poi pose assedio ad Haguenau, e a Saverne. Il principe di Condé, sopravvenuto al comando dell’esercito, lo necessitò a levare uno degli assedii, e gli ordini superiori della sua corte lo distolsero dall’altro. Poco appresso seguì la pace. I grandi avvenimenti producon sempre alcune novelle. Piacevolissima è quella che seriamente racconta madama de Sévigné alla occasione della morte del gran Turenna. «Si dice (così ella scrive) che il Montecuccoli, dopo aver certificato il signor di Lorges del suo rammarico per la perdita di sì gran capitano, gli fece pur sapere che gli lascierebbe ripassare il Reno, non volendo esporre la sua fama alla furia di un esercito inferocito, e al valore della gioventù francese, cui nulla nel primo impeto può resistere». Lettres de madame de Sévigné, lettre 2o3. P.

Da un’altra lettera di madama de Sévigné appare quanto il Turenna reputasse il Montecuccoli: Quand Turenne eut fait passer à loisir ses troupes, il se trouva content, et dit à monsieur de Royes: «Tout de bon; il me semble que cela n’est pas trop mal, et je crois que monsieur de Montecuccoli trouverait assez [p. 52 modifica]bien ce que l’on vient de faire». Il est vrai que c'étaìt un chef-d’oeuvre d’habileté (Lettera 206 sul fine). F.

30 Il Turenna lasciò alcune memorie, le quali non sono che una mera relazione delle sue campagne, scritta unicamente per conservare la ricordanza di quelle, e senza alcun apparato di scienza e di riflessioni. Le Memorie del Montecuccoli, libro scientifico, ed universale, sono tutt’altra cosa. P.

31 «Montecuccoli (dice il signor di Folard) è uno de’ nostri maestri e il Vegezio de’ moderni, o a dir meglio, è assai maggiore di Vegezio ..... È andato innanzi a tutti, e se tutto non vi si trova, bisogna considerare la strettezza che si è prescritta nell’opera sua, la quale altro non è che la idea d’un corso generale e compiuto dell’arte della guerra». Folard sur Polybe: Observations sur le passage du fleuve Achelous.

Aderendo al giudizio di tanto scrittore, e censore dell’arte della guerra, dico, che le Memorie del Montecuccoli sono alla scienza militare quello, che gli aforismi d’Ippocrate alla medicina, il risultato di innumerevoli osservazioni, che comparate insieme si riuniscono in alcuni principii certi ed universali. L’arte della guerra abbisognava di tal libro, che la riducesse a forma di scienza, che ne gittasse i fondamenti secondo l’uso delle armi moderne, perchè altri scrittori in seguito potessero, seguendo le molte diramazioni, ampliarla e trattarla difiusamente. Senza un Galileo non avremmo un Newton; senza un Montecuccoli non avremmo un Folard, un Puisegur, un Turpin, e forse non avremmo quello che ha condotto la tattica al sommo della perfezione, il gran Federico. Coloro che credono aver potuto bastare a ciò gli antichi maestri, non si sono avveduti, che i divarii del vecchio e del nuovo guerreggiare sono [p. 53 modifica]essenziali e non accidentali. L’invenzione della polvere ha indotto nel guerreggiare tanta diversità almeno, quanta ne ha prodotto la bussola nella navigazione. Mettiamo a confronto amendue le maniere: si vedrà somma semplicità nella guerra degli antichi, somma complicazione nella nostra. Dall’una parte catapulte ed arieti, dall’altra il vario e vasto apparato delle artiglierie, e tutto il faticoso studio della balistica. Là gli archi e le fionde, qui i moschetti di lungo tratto, e che tutto assordan di rumore, e tutto involvon di fumo e di confusione: le spade, sole arme che ferisser daddovero, come avverte egregiamente Lucano:

Ensis habet vires, et gens quaecumque virorum est

Bella gerit gladiis;


le aste, i pili resi inutili, vani gli elmi e gli scudi, vana quasi la forza e la gagliardia. In vece di guerrieri inferociti che si scaglino sul nemico, e contendano corpo a corpo, e mescolino le arme e il furore; soldati che a passo misurato s’innoltrano, danno la morte con regola e con metodo, e con ugual pazienza l'aspettano a piè fermo, appena ritorcendo l’offesa: in vece delle torri e de’ merli, i bastioni, le cortine, e un labirinto di opere esteriori, varie sommamente all’aspetto, sommamente nell’oggetto analoghe ed uniformi: in vece degli scavamenti o cunicoli degli antichi, condotti senz’arte, e da uomini puramente meccanici, oggidì le mine, lavoro di astruso calcolo e di ben ponderate misure. L’arte degli assedii, arte di valore e di pazienza presso gli antichi, oggidì è somma speculazione, e tanto vasta quasi quanto è l’immenso circolo delle matematiche. Senza che, lasciate le considerazioni delle armi, non mancano altre insigni disparità. [p. 54 modifica]La diversa qualità de’ soldati, cittadini e spontanei una volta, di presente spesso stranieri, sempre mercenarii, e tutti forzati o dal governo o dalla fame4. L’accampar facile allora che si chiudevano nel vallo, dove rendevansi quasi inespugnabili, arduo oggidì che bisognano tante avvertenze alle situazioni, tante cautele contra le sorprese e le diserzioni: la cura de’ viveri agevole, quando i soldati si recavan seco le loro provvigioni, grave a’ dì nostri che ella è affidata a’ magazzini, e avventurata in quelli la somma delle cose. «Ecco (dice l’illustre autore del saggio generale sulla tattica) ècco gli errori e gli abusi che imbarazzano la scienza moderna, che moltiplicano le nozioni che la compongono, che rendono così rari gli ottimi condottieri nel tempo nostro». Cresce la difficoltà nella immensità degli eserciti. «Tale, il cui ingegno avrebbe abbracciate tutte le parti della scienza militare degli antichi, che avrebbe lodevolmente condotti quindici o ventimila Greci o Romani; tale che sarebbe stato uno Xantippo, un Camillo, non basta oggi per la metà delle cognizioni che compongono la scienza moderna». Essai général de tactique, discours préliminaire. Le Memorie del Montecuccoli hanno avuto, come Polibio, un diffuso ed erudito commentatore nel signor conte di Turpin de Crissé, brigadiere degli eserciti del Re Cristianissimo. Quel commentario non ha tanto per oggetto di illustrare il testo, quanto di far dissertazioni sui temi dal testo suggeriti. Il testo però bene spesso vi è scordato, e spesso [p. 55 modifica]censurato, e le ommissioni non si perdonano alla brevità. Il commentatore del MONTECUCCOLi non è del genere degli altri, troppo passionato pel suo autore. P.

32 I Francesi s’attribuiscono la gloria di aver creato essi la moderna architettura militare. Il mondo abbagliato da’ lor libri e dal nome di un Vauban, facilmente ha potuto persuadersene, difficile essendo che apparisse la virtù nascosta ne’ disusati libri degli inventori. Niuna nazione è stata più tarda ad illustrare questa scienza, come la francese, tanto è lontano ch’ella ne sia la creatrice. Il Barleduc, loro più antico autore, scrisse dell’anno 1620. Ventinove anni prima era uscita alla luce l'opera del tedesco Spekler, e del 1551 ne era già stampata alcuna cosa di fortificazione in Italia dal bresciano Niccolò Tartaglia. Poco tardarono altri autori più vasti ed estesi di lui. Il Lanteri, il Zancha, il Lupiccini, il Maggi, il Castriotto, il Cattaneo, l’Alghisi e il Tethi avevano dati a luce intieri trattati della moderna fortificazione, avanti che alcuno oltramontano ne avesse scritto. E non era ancor compiuto il decimosesto secolo, quando uscì l’opera vasta e rinomata del capitan Francesco Marchi, bolognese, nella quale tutte le parti della scienza son contenute, e dove chiaramente si scuopre l’illustre ritrovamento, del quale si è fatto onore al Vauban, le paralelle. La nazione che precede in una scienza co’proprii scrittori di considerabil tempo qualunque altra, ne è senza dubbio la istitutrice, senzachè quasi tutti i nomi delle fortificazioni sono italiani, e italiani per modo, che ritengono la forma della loro origine anche intrusi nelle lingue straniere. Per tutti i citati autori nostri vedesi veramente una successione d’invenzioni; ma l’invenzion fondamentale è dovuta al celebre architetto veronese Michele Sanmicheli. Il fondamento della nuova fortificazione consiste nella [p. 56 modifica]sostituzione de’ bastioni triangolari alle torri degli antichi. Il rimanente delle opere non è in sostanza che una riproduzione ed imitazione di quel primo disegno. Dileguata la opinione che ne attribuisce la prima invenzione o all’Ussita Ziska, o a’ Turchi d’Otranto, opinione nata per false descrizioni, è dimostrato per innegabili testimonianze, che ella appartiene al lodato Sanmicheli, che ne fece il primo sperimento nel recinto della sua patria. Egli fu, quanto all’operare, il Vauban de’ suoi giorni. Sono, per cosi dire, innumerevoli le fortezze che egli edificò o restaurò nello stato Veneto, nell'Ecclesiastico, nel ducato di Milano, nella Morea, in Candia, ed in Cipro. L’arte nata con lui, e da lui tanto esercitata, fece in breve tempo rapidi e insigni progressi. Questa compendiata storia della moderna architettura militare, non è che un epilogo breve ed imperfetto di una dissertazione dell’egregio ed eruditissimo signor conte Angelo Scarabelli, professore di architettura civile e militare nella università di Modena, premessa alle sue lezioni. Avrei potuto colla sua scorta parere erudito con poca fatica, ma ho preferito di esser breve. Bastami di asserire sulla fede indubitabile del lodato scritto, corredato di tutti gli argomenti della evidenza, che non rimane alcun dubbio, che gli Italiani siano gli inventori e creatori della nuova maniera di fortificare, comecché non vogliasi negar la lor lode ai Francesi, che l’hanno condotta a nuovi termini di perfezione. P.

33 Se le azioni del MONTECUCCOLI fossero state scritte colla diligenza di quelle del Turenna, vedremmo troppe occasioni, nelle quali egli ebbe da contendere colla invidia e la emulazione. Nondimeno que'pochi documenti della sua vita che ci restano, dimostrano abbastanza quanto tentassero i malevoli e gl’invidiosi di oscurare [p. 57 modifica]la sua gloria. Si fece in modo che, dovendo guerreggiare contro i Turchi, ei mancasse di tutto: se gli diede biasimo ch’ei non frenasse le scorrerie de’ Tartari, quando non aveva che quattromila uomini. Si accusava ordinariamente di timidezza, e per questa accusa ei dovette l’anno 1675 rimoversi dal comando dell’esercito. La ragione e l’equità non sarebbero state forse bastevoli a giustificarlo, se l’esito per avventura non lo avesse fatto trionfare a malgrado degli emuli. P.

34 Giorgio Volfango Wedelio, nel catalogo de’ patroni e colleghi dell’Accademia Leopoldina de’ Curiosi della Natura, posto al principio della decuria II per l’anno 1682, colloca a capo di tutti il Montecuccoli, aggiungendovi le parole seguenti: Qui quondam fuerat praeses nostri ordinis, eheu! serenissimus princeps ac heros dominus D. Raymundus sacri Romani Imperii comes de Montecuccoli, dominus in Hoen-eg, etc., col restante de’ suoi titoli,
Jam nunc aetherea sede beatus ovat. P.




[p. 58 modifica] Questo Elogio venne dal suo Autore mandato al Re di Prussia Federico II, e non sarà senza pregio dell’opera nostra l'aggiunger qui la lettera del conte Paradisi, e la risposta di quell'immortal Capitano. Sì l'una che l'altra tornano in gran lode del MONTECUCCOLI, e in onore dei loro Autori.

  1. Le seguenti annotazioni sono in gran parte dell’Autore stesso dell’Elogio, e le rimanenti sono del signor Foscolo, il quale alcune cose v’aggiunse, che mi parve portasse il pregio di ritenere. Quelle dell’Autore saranno contrassegnate colla lettera P, e quelle del Foscolo colla F. Essendo queste note altrettanti documenti istorici addotti per lo più dall’Autore, onde confermare le cose dette da lui nell’Elogio, ho creduto di poterle rimandare al fine dell’Elogio stesso.
  2. Le cure del signor Foscolo, e quelle perpetue che ho consacrato alla presente edizione, onde ridurla alla sua vera e genuina lezione, ridaranno al Montecuccoli l’onore di scrittore esatto, e severo.
  3. Raimondo non volle e per l’onor suo e per l’onore delle armi cesaree sottostare all’Elettore di Brandeburgo che presumeva di capitanare tutti gli alleati. Però senza sciogliersi palesemente dalla confederazione, comandava i proprii eserciti emancipandoli dal consiglio de’ Principi alemanni. Ma il Principe di Lobkowitz, ministro di Leopoldo I, vinto o da’ maneggi di Brandeburgo o dalla propria invidia, tentò di calunniarlo presso l’Imperadore: non riuscendo, foggiò una lettera col sigillo imperiale, ordinando al Conte di non combattere. Però il Montecuccoli si finse infermo, e dimorò a Paderbona finché dagli alleati, e da’ nemici che si maravigliavano di quell’ozio, fu costretto ad andare a Vienna. Si scoprì la frode del Lobkowitz: fu da prima punita, e poco dopo perdonata. Ecco le ragioni vere, memorate in tutte le storie delle guerre di Luigi XIV, per cui il Montecuccoli lasciò gli eserciti confederati — Frattanto, mentre Raimondo stava lontano dagli eserciti, gli eserciti comandati dal Duca di Lorena, e dal Conte Caprara, furono dal Turenna sconfitti a Sintzheim, nel Palatinato; poi comandati dal Duca di Beurnonville, furono dal Turenna battuti a Ensheim presso Strasburgo. Opposero finalmente al Turenna i Principi alemanni 60000 uomini; e il Turenna con un esercito di 30000 li costrinse a perdere il campo nelle pianure di Colmar, ed a ripassare il Reno. Dopo queste calamità dell’Impero germanico, molti Principi si sciolsero dalla lega, e la salute dell’Austria fu riposta in un piccolo esercito comandato dal Montecuccoli, che tornò dall’esilio come Camillo. F.
  4. Questo svantaggio della milizia moderna a paragone dell’antica è sparito, dacché i governi d’Europa, imitando gli antichi istessi, si posero ad ordinare milizie proprie e nazionali. Alcune altre disparità accennate dall'Autore sono parimente scomparse, dacché le scienze fecero maggiori progressi, e dopo che le guerre della rivoluzione francese abbreviarono di tanto gli antichi metodi, ed avanzarono grandemente l’arte militare.