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Orlando furioso (1928)/Canto 2

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Canto secondo

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Canto 1 Canto 3
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CANTO SECONDO

1
     Ingiustissimo Amor, perché sí raro
corrispondenti fai nostri desiri?
onde, perfido, avvien che t’è sí caro
il discorde voler ch’in duo cor miri?
Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,
e nel piú cieco e maggior fondo tiri:
da chi disia il mio amor tu mi richiami,
e chi m’ha in odio vuoi ch’adori et ami.

2
     Fai ch’a Rinaldo Angelica par bella,
quando esso a lei brutto e spiacevol pare:
quando le parea bello e l’amava ella,
egli odiò lei quanto si può piú odiare.
Ora s’affligge indarno e si flagella;
cosí renduto ben gli è pare a pare:
ella l’ha in odio, e l’odio è di tal sorte,
che piú tosto che lui vorria la morte.

3
     Rinaldo al Saracin con molto orgoglio
gridò: — Scendi, ladron, del mio cavallo!
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,
ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:
e levar questa donna anco ti voglio;
che sarebbe a lasciartela gran fallo.
Sí perfetto destrier, donna sí degna
a un ladron non mi par che si convegna. —

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4
     — Tu te ne menti che ladrone io sia
(rispose il Saracin non meno altiero):
chi dicesse a te ladro, lo diria
(quanto io n’odo per fama) piú con vero.
La pruova or si vedrá, chi di noi sia
piú degno de la donna e del destriero;
ben che, quanto a lei, teco io mi convegna
che non è cosa al mondo altra sí degna. —

5
     Come soglion talor duo can mordenti,
o per invidia o per altro odio mossi,
avicinarsi digrignando i denti,
con occhi bieci e piú che bracia rossi;
indi a’ morsi venir, di rabbia ardenti,
con aspri ringhi e ribuffati dossi:
cosí alle spade e dai gridi e da l’onte
venne il Circasso e quel di Chiaramonte.

6
     A piedi è l’un, l’altro a cavallo: or quale
credete ch’abbia il Saracin vantaggio?
Né ve n’ha però alcun; che cosí vale
forse ancor men ch’uno inesperto paggio;
che ’l destrier per instinto naturale
non volea fare al suo signore oltraggio:
né con man né con spron potea il Circasso
farlo a voluntá sua muover mai passo.

7
     Quando crede cacciarlo, egli s’arresta;
e se tener lo vuole, o corre o trotta:
poi sotto il petto si caccia la testa,
giuoca di schiene, e mena calci in frotta.
Vedendo il Saracin ch’a domar questa
bestia superba era mal tempo allotta,
ferma le man sul primo arcione e s’alza,
e dal sinistro fianco in piede sbalza.

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8
     Sciolto che fu il pagan con leggier salto
da l’ostinata furia di Baiardo,
si vide cominciar ben degno assalto
d’un par di cavallier tanto gagliardo.
Suona l’un brando e l’altro, or basso or alto;
il martel di Vulcano era piú tardo
ne la spelunca affumicata, dove
battea all’incude i folgori di Giove.

9
     Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi
colpi veder che mastri son del giuoco:
or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,
ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,
ora crescere inanzi, ora ritrarsi,
ribatter colpi e spesso lor dar loco,
girarsi intorno; e donde l’uno cede,
l’altro aver posto immantinente il piede.

10
     Ecco Rinaldo con la spada adosso
a Sacripante tutto s’abbandona;
e quel porge lo scudo, ch’era d’osso,
con la piastra d’acciar temprata e buona.
Taglial Fusberta, ancor che molto grosso:
ne geme la foresta e ne risuona.
L’osso e l’acciar ne va che par di ghiaccio,
e lascia al Saracin stordito il braccio.

11
     Quando vide la timida donzella
dal fiero colpo uscir tanta ruina,
per gran timor cangiò la faccia bella,
qual il reo ch’al supplicio s’avvicina;
né le par che vi sia da tardar, s’ella
non vuol di quel Rinaldo esser rapina,
di quel Rinaldo ch’ella tanto odiava,
quanto esso lei miseramente amava.

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12
     Volta il cavallo, e ne la selva folta
lo caccia per un aspro e stretto calle:
e spesso il viso smorto a dietro volta;
che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo non avea fatto via molta,
che scontrò un eremita in una valle,
ch’avea lunga la barba a mezzo il petto,
devoto e venerabile d’aspetto.

13
     Dagli anni e dal digiuno attenuato,
sopra un lento asinel se ne veniva;
e parea, piú ch’alcun fosse mai stato,
di conscïenza scrupulosa e schiva.
Come egli vide il viso delicato
de la donzella che sopra gli arriva,
debil quantunque e mal gagliarda fosse,
tutta per caritá se gli commosse.

14
     La donna al fraticel chiede la via
che la conduca ad un porto di mare,
perché levar di Francia si vorria
per non udir Rinaldo nominare.
Il frate, che sapea negromanzia,
non cessa la donzella confortare
che presto la trarrá d’ogni periglio;
et ad una sua tasca diè di piglio.

15
     Trassene un libro, e mostrò grande effetto:
che legger non finí la prima faccia,
ch’uscir fa un spirto in forma di valletto,
e gli commanda quanto vuol ch’el faccia.
Quel se ne va, da la scrittura astretto,
dove i dui cavallieri a faccia a faccia
eran nel bosco, e non stavano al rezzo;
fra’ quali entrò con grande audacia in mezzo.

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16
     — Per cortesia (disse), un di voi mi mostre,
quando anco uccida l’altro, che gli vaglia:
che merto avrete alle fatiche vostre,
finita che tra voi sia la battaglia,
se ’l conte Orlando, senza liti o giostre,
e senza pur aver rotta una maglia,
verso Parigi mena la donzella
che v’ha condotti a questa pugna fella?

17
     Vicino un miglio ho ritrovato Orlando
che ne va con Angelica a Parigi,
di voi ridendo insieme, e mottegiando
che senza frutto alcun siate in litigi.
Il meglio forse vi sarebbe, or quando
non son piú lungi, a seguir lor vestigi;
che s’in Parigi Orlando la può avere,
non ve la lascia mai piú rivedere. —

18
     Veduto avreste i cavallier turbarsi
a quel annunzio, e mesti e sbigottiti,
senza occhi e senza mente nominarsi,
che gli avesse il rival cosí scherniti;
ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi
con sospir che parean del fuoco usciti,
e giurar per isdegno e per furore,
se giungea Orlando, di cavargli il core.

19
     E dove aspetta il suo Baiardo, passa,
e sopra vi si lancia, e via galoppa,
né al cavallier, ch’a piè nel bosco lassa,
pur dice a Dio, non che lo ’nviti in groppa.
L’animoso cavallo urta e fracassa,
punto dal suo signor, ciò ch’egli ’ntoppa:
non ponno fosse o fiumi o sassi o spine
far che dal corso il corridor decline.

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20
     Signor, non voglio che vi paia strano
se Rinaldo or sí tosto il destrier piglia,
che giá piú giorni ha seguitato invano,
né gli ha possuto mai toccar la briglia.
Fece il destrier, ch’avea intelletto umano,
non per vizio seguirsi tante miglia,
ma per guidar dove la donna giva,
il suo signor, da chi bramar l’udiva.

21
     Quando ella si fuggi dal padiglione,
la vide et appostolla il buon destriero,
che si trovava aver vòto l’arcione,
però che n’era sceso il cavalliero
per combatter di par con un barone,
che men di lui non era in arme fiero;
poi ne seguitò l’orme di lontano,
bramoso porla al suo signore in mano.

22
     Bramoso di ritrarlo ove fosse ella,
per la gran selva inanzi se gli messe;
né lo volea lasciar montare in sella,
perché ad altro camin non lo volgesse.
Per lui trovò Rinaldo la donzella
una e due volte, e mai non gli successe;
che fu da Ferraú prima impedito,
poi dal Circasso, come avete udito.

23
     Ora al demonio che mostrò a Rinaldo
de la donzella li falsi vestigi,
credette Baiardo anco, e stette saldo
e mansueto ai soliti servigi.
Rinaldo il caccia, d’ira e d’amor caldo,
a tutta briglia, e sempre invêr Parigi:
e vola tanto col disio, che lento,
non ch’un destrier, ma gli parrebbe il vento.

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24
     La notte a pena di seguir rimane,
per affrontarsi col signor d’Anglante:
tanto ha creduto alle parole vane
del messaggier del cauto negromante.
Non cessa cavalcar sera e dimane,
che si vede apparir la terra avante,
dove re Carlo, rotto e mal condutto,
con le reliquie sue s’era ridutto:

25
     e perché dal re d’Africa battaglia
et assedio v’aspetta, usa gran cura
a raccor buona gente e vettovaglia,
far cavamenti e riparar le mura.
Ciò ch’a difesa spera che gli vaglia,
senza gran diferir, tutto procura:
pensa mandare in Inghilterra, e trarne
gente onde possa un novo campo farne;

26
     che vuole uscir di nuovo alla campagna,
e ritentar la sorte de la guerra.
Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna che fu poi detta Inghilterra.
Ben de l’andata il paladin si lagna:
non ch’abbia cosí in odio quella terra;
ma perché Carlo il manda allora allora,
né pur lo lascia un giorno far dimora.

27
     Rinaldo mai di ciò non fece meno
volentier cosa; poi che fu distolto
di gir cercando il bel viso sereno
che gli avea il cor di mezzo il petto tolto:
ma, per ubidir Carlo, nondimeno
a quella via si fu subito volto,
et a Calesse in poche ore trovossi;
e giunto, il dí medesimo imbarcossi.

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28
     Contra la voluntá d’ogni nocchiero,
pel gran desir che di tornare avea,
entrò nel mar ch’era turbato e fiero,
e gran procella minacciar parea.
Il Vento si sdegnò, che da l’altiero
sprezzar si vide; e con tempesta rea
sollevò il mar intorno, e con tal rabbia,
che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.

29
     Calano tosto i marinari accorti
le maggior vele, e pensano dar volta,
e ritornar ne li medesmi porti
donde in mal punto avean la nave sciolta.
— Non convien (dice il Vento) ch’io comporti
tanta licenzia che v’avete tolta; —
e soffia e grida e naufragio minaccia,
s’altrove van, che dove egli li caccia.

30
     Or a poppa, or all’orza hann’il crudele,
che mai non cessa, e vien piú ognor crescendo:
essi di qua di lá con umil vele
vansi aggirando, e l’alto mar scorrendo.
Ma perché varie fila a varie tele
uopo mi son, che tutte ordire intendo,
lascio Rinaldo e l’agitata prua,
e torno a dir di Bradamante sua.

31
     Io parlo di quella inclita donzella,
per cui re Sacripante in terra giacque,
che di questo signor degna sorella,
del duca Amone e di Beatrice nacque.
La gran possanza e il molto ardir di quella
non meno a Carlo e tutta Francia piacque
(che piú d’un paragon ne vide saldo),
che ’l lodato valor del buon Rinaldo.

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32
     La donna amata fu da un cavalliero
che d’Africa passò col re Agramante,
che partorí del seme di Ruggiero
la disperata figlia d’Agolante:
e costei, che né d’orso né di fiero
leone uscí, non sdegnò tal amante;
ben che concesso, fuor che vedersi una
volta e parlarsi, non ha lor Fortuna.

33
     Quindi cercando Bradamante gía
l’amante suo, ch’avea nome dal padre,
cosí sicura senza compagnia,
come avesse in sua guardia mille squadre:
e fatto ch’ebbe il re di Circassia
battere il volto de l’antiqua madre,
traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,
tanto che giunse ad una bella fonte.

34
     La fonte discorrea per mezzo un prato,
d’arbori antiqui e di bell’ombre adorno,
ch’i viandanti col mormorio grato
a ber invita e a far seco soggiorno:
un culto monticel dal manco lato
le difende il calor del mezzo giorno.
Quivi, come i begli occhi prima torse,
d’un cavallier la giovane s’accorse;

35
     d’un cavallier, ch’all’ombra d’un boschetto,
nel margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea pensoso, tacito e soletto
sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non lontan pende e l’elmetto
dal faggio, ove legato era il cavallo;
et avea gli occhi molli e ’l viso basso,
e si mostrava addolorato e lasso.

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36
     Questo disir, ch’a tutti sta nel core,
de’ fatti altrui sempre cercar novella,
fece a quel cavallier del suo dolore
la cagion domandar da la donzella.
Egli l’aperse e tutta mostrò fuore,
dal cortese parlar mosso di quella,
e dal sembiante altier, ch’al primo sguardo
gli sembrò di guerrier molto gagliardo.

37
     E cominciò:— Signor, io conducea
pedoni e cavallieri, e venía in campo
lá dove Carlo Marsilio attendea,
perch’al scender del monte avesse inciampo;
e una giovane bella meco avea,
del cui fervido amor nel petto avampo:
e ritrovai presso a Rodonna armato
un che frenava un gran destriero alato.

38
     Tosto che ’l ladro, o sia mortale, o sia
una de l’infernali anime orrende,
vede la bella e cara donna mia;
come falcon che per ferir discende,
cala e poggia in uno atimo, e tra via
getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m’era accorto de l’assalto,
che de la donna io senti’ il grido in alto.

39
     Cosí il rapace nibio furar suole
il misero pulcin presso alla chioccia,
che di sua inavvertenza poi si duole,
e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.
Io non posso seguir un uom che vole,
chiuso tra’ monti, a piè d’un’erta roccia:
stanco ho il destrier, che muta a pena i passi
ne l’aspre vie de’ faticosi sassi.

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40
     Ma, come quel che men curato avrei
vedermi trar di mezzo il petto il core,
lasciai lor via seguir quegli altri miei,
senza mia guida e senza alcun rettore:
per li scoscesi poggi e manco rei
presi la via che mi mostrava Amore,
e dove mi parea che quel rapace
portassi il mio conforto e la mia pace.

41
     Sei giorni me n’andai matina e sera
per balze e per pendici orride e strane,
dove non via, dove sentier non era,
dove né segno di vestigie umane;
poi giunse in una valle inculta e fiera,
di ripe cinta e spaventose tane,
che nel mezzo s’un sasso avea un castello
forte e ben posto, a maraviglia bello.

42
     Da lungi par che come fiamma lustri,
né sia di terra cotta, né di marmi.
Come piú m’avicino ai muri illustri,
l’opra piú bella e piú mirabil parmi.
E seppi poi, come i demoni industri,
da suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto d’acciaio avean cinto il bel loco,
temprato all’onda et allo stigio foco.

43
     Di sí forbito acciar luce ogni torre,
che non vi può né ruggine né macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
e poi lá dentro il rio ladron s’immacchia.
Cosa non ha ripar che voglia tôrre:
sol dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che di mai ricovrar lascio ogni spene.

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44
     Ah lasso! che poss’io piú che mirare
la ròcca lungi, ove il mio ben m’è chiuso?
come la volpe, che’l figlio gridare
nel nido oda de l’aquila di giuso,
s’aggira intorno, e non sa che si fare,
poi che l’ali non ha da gir lá suso.
Erto è quel sasso sí, tale è il castello,
che non vi può salir chi non è augello.

45
     Mentre io tardava quivi, ecco venire
duo cavallier ch’avean per guida un nano,
che la speranza aggiunsero al desire;
ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano guerrier di sommo ardire:
era Gradasso l’un, re sericano;
era l’altro Ruggier, giovene forte,
pregiato assai ne l’africana corte.

46
— Vengon (mi disse il nano) per far pruova
di lor virtú col sir di quel castello,
che per via strana, inusitata e nuova
cavalca armato il quadrupede augello. —
— Deh, signor (dissi io lor), pietá vi muova
del duro caso mio spietato e fello!
Quando, come ho speranza, voi vinciate,
vi prego la mia donna mi rendiate. —

47
     E come mi fu tolta lor narrai,
con lacrime affermando il dolor mio.
Quei, lor mercé, mi proferiro assai,
e giú calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
quanto in due volte si può trar con mano.

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48
     Poi che fur giunti a piè de l’alta ròcca,
l’uno e l’altro volea combatter prima;
pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o pur che non ne fe’ Ruggier piú stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca:
rimbomba il sasso e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavalliero armato
fuor de la porta, e sul cavallo alato.

49
     Cominciò a poco a poco indi a levarse,
come suol far la peregrina grue,
che corre prima, e poi vediamo alzarse
alla terra vicina un braccio o due;
e quando tutte sono all’aria sparse,
velocissime mostra l’ale sue.
Sí ad alto il negromante batte l’ale,
ch’a tanta altezza a pena aquila sale.

50
     Quando gli parve poi, volse il destriero,
che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come casca dal ciel falcon maniero
che levar veggia l’anitra o il colombo.
Con la lancia arrestata il cavalliero
l’aria fendendo vien d’orribil rombo.
Gradasso a pena del calar s’avede,
che se lo sente addosso e che lo fiede.

51
     Sopra Gradasso il mago l’asta roppe;
ferí Gradasso il vento e l’aria vana:
per questo il volator non interroppe
il batter l’ale, e quindi s’allontana.
Il grave scontro fa chinar le groppe
sul verde prato alla gagliarda alfana.
Gradasso avea una alfana, la piú bella
e la miglior che mai portasse sella.

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52
     Sin alle stelle il volator trascorse;
indi girossi e tornò in fretta al basso,
e percosse Ruggier che non s’accorse,
Ruggier che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grave colpo si distorse,
e ’l suo destrier piú rinculò d’un passo:
e quando si voltò per lui ferire,
da sé lontano il vide al ciel salire.

53
     Or su Gradasso, or su Ruggier percote
ne la fronte, nel petto e ne la schiena,
e le botte di quei lascia ognor vòte,
perché è sí presto, che si vede a pena.
Girando va con spazïose rote,
e quando all’uno accenna, all’altro mena;
all’uno e all’altro sí gli occhi abbarbaglia,
che non ponno veder donde gli assaglia.

54
     Fra duo guerrieri in terra et uno in cielo
la battaglia durò sin a quella ora,
che spiegando pel mondo oscuro velo,
tutte le belle cose discolora.
Fu quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo:
io ’l vidi, i’ ’l so: né m’assicuro ancora
di dirlo altrui; che questa maraviglia
al falso piú ch’al ver si rassimiglia.

55
     D’un bel drappo di seta avea coperto
lo scudo in braccio il cavallier celeste.
Come avesse, non so, tanto sofferto
di tenerlo nascosto in quella veste;
ch’immantinente che lo mostra aperto,
forza è, ch’il mira, abbarbagliato reste,
e cada come corpo morto cade,
e venga al negromante in potestade.

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56
     Splende lo scudo a guisa di piropo,
e luce altra non è tanto lucente.
Cadere in terra allo splendor fu d’uopo
con gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei da lungi anch’io li sensi, e dopo
gran spazio mi riebbi finalmente;
né piú i guerrier né piú vidi quel nano,
ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano.

57
     Pensai per questo che l’incantatore
avesse amendui colti a un tratto insieme,
e tolto per virtú de lo splendore
la libertade a-lloro, e a me la speme.
Cosí a quel loco, che chiudea il mio core,
dissi, partendo, le parole estreme.
Or giudicate s’altra pena ria,
che causi Amor, può pareggiar la mia. —

58
     Ritornò il cavallier nel primo duolo,
fatta che n’ebbe la cagion palese.
Questo era il conte Pinabel, figliuolo
d’Anselmo d’Altaripa, maganzese;
che tra sua gente scelerata, solo
leale esser non volse né cortese,
ma ne li vizii abominandi e brutti
non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.

59
     La bella donna con diverso aspetto
stette ascoltando il Maganzese cheta;
che come prima di Ruggier fu detto,
nel viso si mostrò piú che mai lieta:
ma quando sentí poi ch’era in distretto,
turbossi tutta d’amorosa pieta;
né per una o due volte contentosse
che ritornato a replicar le fosse.

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60
     E poi ch’al fin le parve esserne chiara,
gli disse: — Cavallier, datti riposo,
che ben può la mia giunta esserti cara,
parerti questo giorno aventuroso.
Andiam pur tosto a quella stanza avara,
che sí ricco tesor ci tiene ascoso;
né spesa sará invan questa fatica,
se Fortuna non m’è troppo nemica.—

61
     Rispose il cavallier:— Tu vòi ch’io passi
di nuovo i monti, e mostriti la via?
A me molto non è perdere i passi,
perduta avendo ogni altra cosa mia;
ma tu per balze e ruinosi sassi
cerchi entrar in pregione; e cosí sia.
Non hai di che dolerti di me, poi
ch’io tel predico, e tu pur gir vi vòi.—

62
     Cosí dice egli, e torna al suo destriero,
e di quella animosa si fa guida,
che si mette a periglio per Ruggiero,
che la pigli quel mago o che la ancida.
In questo, ecco alle spalle il messaggiero,
ch’: — Aspetta, aspetta! — a tutta voce grida,
il messaggier da chi il Circasso intese
che costei fu ch’all’erba lo distese.

63
     A Bradamante il messaggier novella
di Mompolier e di Narbona porta,
ch’alzato li stendardi di Castella
avean, con tutto il lito d’Acquamorta:
e che Marsilia, non v’essendo quella
che la dovea guardar, mal si conforta,
e consiglio e soccorso le domanda
per questo messo, e se le raccomanda.

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64
     Questa cittade, e intorno a molte miglia
ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,
avea l’imperator dato alla figlia
del duca Amon, in ch’avea speme e fede;
però che ’l suo valor con maraviglia
riguardar suol, quando armeggiar la vede.
Or, com’io dico, a domandar aiuto
quel messo da Marsilia era venuto.

65
     Tra sí e no la giovane suspesa,
di voler ritornar dubita un poco:
quinci l’onore e il debito le pesa,
quindi l’incalza l’amoroso foco.
Fermasi al fin di seguitar l’impresa,
e trar Ruggier de l’incantato loco;
e quando sua virtú non possa tanto,
almen restargli prigionera a canto.

66
     E fece iscusa tal, che quel messaggio
parve contento rimanere e cheto.
Indi girò la briglia al suo vïaggio,
con Pinabel che non ne parve lieto;
che seppe esser costei di quel lignaggio
che tanto ha in odio in publico e in secreto:
e giá s’avisa le future angosce,
se lui per maganzese ella conosce.

67
     Tra casa di Maganza e di Chiarmonte
era odio antico e inimicizia intensa;
e piú volte s’avean rotta la fronte,
e sparso di lor sangue copia immensa:
e però nel suo cor l’iniquo conte
tradir l’incauta giovane si pensa;
o, come prima commodo gli accada,
lasciarla sola, e trovar altra strada.

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68
     E tanto gli occupò la fantasia
il nativo odio, il dubbio e la paura,
ch’inavedutamente uscí di via:
e ritrovossi in una selva oscura,
che nel mezzo avea un monte che finia
la nuda cima in una pietra dura;
e la figlia del duca di Dordona
gli è sempre dietro, e mai non l’abandona.

69
     Come si vide il Maganzese al bosco,
pensò tôrsi la donna da le spalle.
Disse: — Prima che ’l ciel torni piú fosco,
verso uno albergo è meglio farsi il calle.
Oltra quel monte, s’io lo riconosco,
siede un ricco castel giú ne la valle.
Tu qui m’aspetta; che dal nudo scoglio
certificar con gli occhi me ne voglio. —

70
     Cosí dicendo, alla cima superna
del solitario monte il destrier caccia,
mirando pur s’alcuna via discerna,
come lei possa tor da la sua traccia.
Ecco nel sasso truova una caverna,
che si profonda piú di trenta braccia.
Tagliato a picchi et a scarpelli il sasso
scende giú al dritto, et ha una porta al basso.

71
     Nel fondo avea una porta ampla e capace,
ch’in maggior stanza largo adito dava;
e fuor n’uscia splendor, come di face
ch’ardesse in mezzo alla montana cava.
Mentre quivi il fellon suspeso tace,
la donna, che da lungi il seguitava
(perché perderne l’orme si temea),
alla spelonca gli sopragiungea.

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     Poi che si vide il traditore uscire,
quel ch’avea prima disegnato, invano,
o da sé torla, o di farla morire,
nuovo argumento imaginossi e strano.
Le si fe’ incontra, e su la fe’ salire
lá dove il monte era forato e vano;
e le disse ch’avea visto nel fondo
una donzella di viso giocondo,

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     ch’ a’ bei sembianti et alla ricca vesta
esser parea di non ignobil grado;
ma quanto piú potea turbata e mesta,
mostrava esservi chiusa suo mal grado:
e per saper la condizion di questa,
ch’avea giá cominciato a entrar nel guado;
e che era uscito de l’interna grotta
un che dentro a furor l’avea ridotta.

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     Bradamante, che come era animosa,
cosí malcauta, a Pinabel diè fede;
e d’aiutar la donna, disïosa,
si pensa come por colá giú il piede.
Ecco d’un olmo alla cima frondosa
volgendo gli occhi, un lungo ramo vede;
e con la spada quel subito tronca,
e lo declina giú ne la spelonca.

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     Dove è tagliato, in man lo raccomanda
a Pinabello, e poscia a quel s’apprende:
prima giú i piedi ne la tana manda,
e su le braccia tutta si suspende.
Sorride Pinabello, e le domanda
come ella salti; e le man apre e stende,
dicendole: — Qui fosser teco insieme
tutti li tuoi, ch’io ne spegnessi il seme! —

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     Non come volse Pinabello avenne
de l’innocente giovane la sorte;
perché, giú diroccando, a ferir venne
prima nel fondo il ramo saldo e forte.
Ben si spezzò, ma tanto la sostenne,
che ’l suo favor la liberò da morte.
Giacque stordita la donzella alquanto,
come io vi seguirò ne l’altro canto.