Orlando furioso (1928)/Canto 11

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Canto undecimo

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Canto 10 Canto 12

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CANTO UNDECIMO

1
     Quantunque debil freno a mezzo il corso
animoso destrier spesso raccolga,
raro è però che di ragione il morso
libidinosa furia a dietro volga,
quando il piacere ha in pronto; a guisa d’orso
che dal mel non sí tosto si distolga,
poi che gli n’è venuto odore al naso,
o qualche stilla ne gustò sul vaso.

2
     Qual raggion fia che ’l buon Ruggier raffrene,
sí che non voglia ora pigliar diletto
d’Angelica gentil che nuda tiene
nel solitario e commodo boschetto?
Di Bradamante piú non gli soviene,
che tanto aver solea fissa nel petto:
e se gli ne sovien pur come prima,
pazzo è se questa ancor non prezza e stima;

3
     con la qual non saria stato quel crudo
Zenocrate di lui piú continente.
Gittato avea Ruggier l’asta e lo scudo,
e si traea l’altre arme impaziente;
quando abbassando pel bel corpo ignudo
la donna gli occhi vergognosamente,
si vide in dito il prezïoso annello
che giá le tolse ad Albracca Brunello.

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4
     Questo è l’annel ch’ella portò giá in Francia
la prima volta che fe’ quel camino
col fratel suo, che v’arrecò la lancia,
la qual fu poi d’Astolfo paladino.
Con questo fe’ gl’incanti uscire in ciancia
di Malagigi al petron di Merlino;
con questo Orlando et altri una matina
tolse di servitú di Dragontina;

5
     con questo uscí invisibil de la torre
dove l’avea richiusa un vecchio rio.
A che voglio io tutte sue prove accôrre,
se le sapete voi cosí come io?
Brunel sin nel giron lei venne a tôrre;
ch’Agramante d’averlo ebbe disio.
Da indi in qua sempre Fortuna a sdegno
ebbe costei, fin che le tolse il regno.

6
     Or che sel vede, come ho detto, in mano,
sí di stupore e d’allegrezza è piena,
che quasi dubbia di sognarsi invano,
agli occhi, alla man sua dá fede a pena.
Del dito se lo leva, e a mano a mano
sel chiude in bocca: e in men che non balena,
cosí dagli occhi di Ruggier si cela,
come fa il sol quando la nube il vela.

7
     Ruggier pur d’ogn’intorno riguardava,
e s’aggirava a cerco come un matto;
ma poi che de l’annel si ricordava,
scornato vi rimase e stupefatto:
e la sua inavvertenza bestemiava,
e la donna accusava di quello atto
ingrato e discortese, che renduto
in ricompensa gli era del suo aiuto.

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8
     — Ingrata damigella, è questo quello
guiderdone (dicea), che tu mi rendi?
che piú tosto involar vogli l’annello,
ch’averlo in don. Perché da me nol prendi?
Non pur quel, ma lo scudo e il destrier snello
e me ti dono, e come vuoi mi spendi;
sol che ’l bel viso tuo non mi nascondi.
Io so, crudel, che m’odi, e non rispondi.—

9
     Cosí dicendo, intorno alla fontana
brancolando n’andava come cieco.
Oh quante volte abbracciò l’aria vana,
sperando la donzella abbracciar seco!
Quella, che s’era giá fatta lontana,
mai non cessò d’andar, che giunse a un speco
che sotto un monte era capace e grande,
dove al bisogno suo trovò vivande.

10
     Quivi un vecchio pastor, che di cavalle
un grande armento avea, facea soggiorno.
Le iumente pascean giú per la valle
le tenere erbe ai freschi rivi intorno.
Di qua di lá da l’antro erano stalle,
dove fuggíano il sol del mezzo giorno.
Angelica quel dí lunga dimora
lá dentro fece, e non fu vista ancora.

11
     E circa il vespro, poi che rifrescossi,
e le fu aviso esser posata assai,
in certi drappi rozzi aviluppossi,
dissimil troppo ai portamenti gai,
che verdi, gialli, persi, azzurri e rossi
ebbe, e di quante foggie furon mai.
Non le può tor però tanto umil gonna,
che bella non rassembri e nobil donna.

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12
     Taccia chi loda Fillide, o Neera,
o Amarilli, o Galatea fugace;
che d’esse alcuna sí bella non era,
Titiro e Melibeo, con vostra pace.
La bella donna tra’ fuor de la schiera
de le iumente una che piú le piace.
Allora allora se le fece inante
un pensier di tornarsene in Levante.

13
     Ruggiero intanto, poi ch’ebbe gran pezzo
indarno atteso s’ella si scopriva,
e che s’avide del suo error da sezzo,
che non era vicina e non l’udiva;
dove lasciato avea il cavallo, avezzo
in cielo e in terra, a rimontar veniva:
e ritrovò che s’avea tratto il morso,
e salia in aria a piú libero corso.

14
     Fu grave e mala aggiunta all’altro danno
vedersi anco restar senza l’augello.
Questo, non men che ’l feminile inganno,
gli preme al cor; ma piú che questo e quello,
gli preme e fa sentir noioso affanno
l’aver perduto il prezïoso annello;
per le virtú non tanto ch’in lui sono,
quanto che fu de la sua donna dono.

15
     Oltremodo dolente si ripose
indosso l’arme, e lo scudo alle spalle;
dal mar slungossi, e per le piaggie erbose
prese il camin verso una larga valle,
dove per mezzo all’alte selve ombrose
vide il piú largo e ’l piú segnato calle.
Non molto va, ch’a destra, ove piú folta
è quella selva, un gran strepito ascolta.

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16
     Strepito ascolta e spaventevol suono
d’arme percosse insieme; onde s’affretta
tra pianta e pianta: e truova dui, che sono
a gran battaglia in poca piazza e stretta.
Non s’hanno alcun riguardo né perdono,
per far, non so di che, dura vendetta.
L’uno è gigante, alla sembianza fiero;
ardito l’altro e franco cavalliero.

16
     E questo con lo scudo e con la spada,
di qua di lá saltando, si difende,
perché la mazza sopra non gli cada,
con che il gigante a due man sempre offende.
Giace morto il cavallo in su la strada.
Ruggier si ferma, e alla battaglia attende;
e tosto inchina l’animo, e disia
che vincitore il cavallier ne sia.

18
     Non che per questo gli dia alcuno aiuto;
ma si tira da parte, e sta a vedere.
Ecco col baston grave il piú membruto
sopra l’elmo a due man del minor fere.
De la percossa è il cavallier caduto:
l’altro, che ’l vide attonito giacere,
per dargli morte l’elmo gli dislaccia;
e fa sí che Ruggier lo vede in faccia.

19
     Vede Ruggier de la sua dolce e bella
e carissima donna Bradamante
scoperto il viso; e lei vede esser quella
a cui dar morte vuol l’empio gigante:
sí che a battaglia subito l’appella,
e con la spada nuda si fa inante:
ma quel, che nuova pugna non attende,
la donna tramortita in braccio prende;

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20
     e se l’arreca in spalla, e via la porta,
come lupo talor piccolo agnello,
o l’aquila portar ne l’ugna torta
suole o colombo o simile altro augello.
Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,
e vien correndo a piú poter; ma quello
con tanta fretta i lunghi passi mena,
che con gli occhi Ruggier lo segue a pena.

21
     Cosí correndo l’uno, e seguitando
l’altro, per un sentiero ombroso e fosco,
che sempre si venía piú dilatando,
in un gran prato uscîr fuor di quel bosco.
Non piú di questo; ch’io ritorno a Orlando,
che ’l fulgur che portò giá il re Cimosco,
avea gittato in mar nel maggior fondo,
acciò mai piú non si trovasse al mondo.

22
     Ma poco ci giovò: che ’l nimico empio
de l’umana natura, il qual del telo
fu l’inventor, ch’ebbe da quel l’esempio,
ch’apre le nubi e in terra vien dal cielo;
con quasi non minor di quello scempio
che ci diè quando Eva ingannò col melo,
lo fece ritrovar da un negromante,
al tempo de’ nostri avi, o poco inante.

23
     La machina infernal, di piú di cento
passi d’acqua ove stè ascosa molt’anni,
al sommo tratta per incantamento,
prima portata fu tra gli Alamanni;
li quali uno et un altro esperimento
facendone, e il demonio a’ nostri danni
assutigliando lor via piú la mente,
ne ritrovaro l’uso finalmente.

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24
     Italia e Francia e tutte l’altre bande
del mondo han poi la crudele arte appresa.
Alcuno il bronzo in cave forme spande,
che liquefatto ha la fornace accesa;
bugia altri il ferro; e chi picciol, chi grande
il vaso forma, che piú e meno pesa:
e qual bombarda e qual nomina scoppio,
qual semplice cannon, qual cannon doppio;

25
     qual sagra, qual falcon, qual colubrina
sento nomar, come al suo autor piú agrada;
che ’l ferro spezza, e i marmi apre e ruina,
e ovunque passa si fa dar la strada.
Rendi, miser soldato, alla fucina
pur tutte l’arme c’hai, fin alla spada;
e in spalla un scoppio o un arcobugio prendi;
che senza, io so, non toccherai stipendi.

26
     Come trovasti, o scelerata e brutta
invenzïon, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
per te il mestier de l’arme è senza onore;
per te è il valore e la virtú ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non piú la gagliardia, non piú l’ardire
per te può in campo al paragon venire.

27
     Per te son giti et anderan sotterra
tanti signori e cavallieri tanti,
prima che sia finita questa guerra,
che ’l mondo, ma piú Italia ha messo in pianti;
che s’io v’ho detto, il detto mio non erra,
che ben fu il piú crudele e il piú di quanti
mai furo al mondo ingegni empii e maligni,
ch’imaginò sí abominosi ordigni.

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28
     E crederò che Dio, perché vendetta
ne sia in eterno, nel profondo chiuda
del cieco abisso quella maladetta
anima, appresso al maladetto Giuda.
Ma seguitiamo il cavallier ch’in fretta
brama trovarsi all’isola d’Ebuda,
dove le belle donne e delicate
son per vivanda a un marin mostro date.

29
     Ma quanto avea piú fretta il paladino,
tanto parea che men l’avesse il vento.
Spiri o dal lato destro o dal mancino,
o ne le poppe, sempre è cosí lento,
che si può far con lui poco camino;
e rimanea talvolta in tutto spento:
soffia talor sí averso, che gli è forza
o di tornare, o d’ir girando all’orza.

30
     Fu volontá di Dio che non venisse
prima che ’l re d’Ibernia in quella parte,
acciò con piú facilitá seguisse
quel ch’udir vi farò fra poche carte.
Sopra l’isola sorti, Orlando disse
al suo nochiero: — Or qui potrai fermarte,
e’l battel darmi; che portar mi voglio
senz’altra compagnia sopra lo scoglio.

31
     E voglio la maggior gomona meco,
e l’áncora maggior ch’abbi sul legno:
io ti farò veder perché l’arreco,
se con quel mostro ad affrontar mi vegno. —
Gittar fe’ in mare il palischermo seco,
con tutto quel ch’era atto al suo disegno.
Tutte l’arme lasciò, fuor che la spada;
e vêr lo scoglio, sol, prese la strada.

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32
     Si tira i remi al petto, e tien le spalle
volte alla parte ove discender vuole;
a guisa che del mare o de la valle
uscendo al lito, il salso granchio suole.
Era ne l’ora che le chiome gialle
la bella Aurora avea spiegate al Sole,
mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso,
non senza sdegno di Titon geloso.

33
     Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto
potria gagliarda man gittare un sasso,
gli pare udire e non udire un pianto;
sí all’orecchie gli vien debole e lasso.
Tutto si volta sul sinistro canto;
e posto gli occhi appresso all’onde al basso,
vede una donna, nuda come nacque,
legata a un tronco; e i piè le bagnan l’acque.

34
     Perché gli è ancor lontana, e perché china
la faccia tien, non ben chi sia discerne.
Tira in fretta ambi i remi, e s’avicina
con gran disio di piú notizia averne.
Ma muggiar sente in questo la marina,
e rimbombar le selve e le caverne:
gonfiansi l’onde; et ecco il mostro appare,
che sotto il petto ha quasi ascoso il mare.

35
     Come d’oscura valle umida ascende
nube di pioggia e di tempesta pregna,
che piú che cieca notte si distende
per tutto ’l mondo, e par che ’l giorno spegna;
cosí nuota la fera, e del mar prende
tanto, che si può dir che tutto il tegna:
fremono l’onde. Orlando in sé raccolto,
la mira altier, né cangia cor né volto.

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36
     E come quel ch’avea il pensier ben fermo
di quanto volea far, si mosse ratto;
e perché alla donzella essere schermo,
e la fera assalir potesse a un tratto,
entrò fra l’orca e lei col palischermo,
nel fodero lasciando il brando piatto:
l’áncora con la gomona in man prese;
poi con gran cor l’orribil mostro attese.

37
     Tosto che l’orca s’accostò, e scoperse
nel schifo Orlando con poco intervallo,
per ingiottirlo tanta bocca aperse,
ch’entrato un uomo vi saria a cavallo.
Si spinse Orlando inanzi, e se gl’immerse
con quella áncora in gola, e s’io non fallo,
col battello anco; e l’áncora attaccolle
e nel palato e ne la lingua molle:

38
     sí che né piú si puon calar di sopra,
né alzar di sotto le mascelle orrende.
Cosí chi ne le mine il ferro adopra,
la terra, ovunque si fa via, suspende,
che subita ruina non lo cuopra,
mentre malcauto al suo lavoro intende.
Da un amo all’altro l’áncora è tanto alta,
che non v’arriva Orlando, se non salta.

39
     Messo il puntello, e fattosi sicuro
che ’l mostro piú serrar non può la bocca,
stringe la spada, e per quel antro oscuro
di qua e di lá con tagli e punte tocca.
Come si può, poi che son dentro al muro
giunti i nimici, ben difender ròcca;
cosí difender l’orca si potea
dal paladin che ne la gola avea.

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40
     Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia,
e mostra i fianchi e le scagliose schene;
or dentro vi s’attufa, e con la pancia
muove dal fondo e fa salir l’arene.
Sentendo l’acqua il cavallier di Francia,
che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene:
lascia l’áncora fitta, e in mano prende
la fune che da l’áncora depende.

41
     E con quella ne vien nuotando in fretta
verso lo scoglio; ove fermato il piede,
tira l’áncora a sé, ch’in bocca stretta
con le due punte il brutto mostro fiede.
L’orca a seguire il canape è constretta
da quella forza ch’ogni forza eccede,
da quella forza che piú in una scossa
tira, ch’in dieci un argano far possa.

42
     Come toro salvatico ch’al corno
gittar si senta un improviso laccio,
salta di qua di lá, s’aggira intorno,
si colca e beva, e non può uscir d’impaccio;
cosí fuor del suo antico almo soggiorno
l’orca tratta per forza di quel braccio,
con mille guizzi e mille strane ruote
segue la fune, e scior non se ne puote.

43
     Di bocca il sangue in tanta copia fonde,
che questo oggi il mar Rosso si può dire,
dove in tal guisa ella percuote l’onde,
ch’insino al fondo le vedreste aprire;
et or ne bagna il cielo, e il lume asconde
del chiaro sol: tanto le fa salire.
Rimbombano al rumor ch’intorno s’ode,
le selve, i monti e le lontane prode.

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44
     Fuor de la grotta il vecchio Proteo, quando
ode tanto rumor, sopra il mare esce;
e visto entrare e uscir de l’orca Orlando,
e al lito trar sí smisurato pesce,
fugge per l’alto occeano, oblïando
lo sparso gregge: e sí il tumulto cresce,
che fatto al carro i suoi delfini porre,
quel dí Nettunno in Etïopia corre.

45
     Con Melicerta in collo Ino piangendo,
e le Nereide coi capelli sparsi,
Glauci e Tritoni e gli altri, non sappiendo
dove, chi qua chi lá van per salvarsi.
Orlando al lito trasse il pesce orrendo,
col qual non bisognò piú affaticarsi;
che pel travaglio e per l’avuta pena,
prima morí, che fosse in su l’arena.

46
     De l’isola non pochi erano corsi
a riguardar quella battaglia strana;
i quai da vana religion rimorsi,
cosí sant’opra riputâr profana:
e dicean che sarebbe un nuovo tôrsi
Proteo nimico, e attizzar l’ira insana,
da farli porre il marin gregge in terra,
e tutta rinovar l’antica guerra;

47
     e che meglio sará di chieder pace
prima all’offeso dio, che peggio accada;
e questo si fará, quando l’audace
gittato in mare a placar Proteo vada.
Come dá fuoco l’una a l’altra face,
e tosto alluma tutta una contrada,
cosí d’un cor ne l’altro si difonde
l’ira ch’Orlando vuol gittar ne l’onde.

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48
     Chi d’una fromba e chi d’un arco armato,
chi d’asta, chi di spada, al lito scende;
e dinanzi e di dietro e d’ogni lato,
lontano e appresso, a piú poter l’offende.
Di sí bestiale insulto e troppo ingrato
gran meraviglia il paladin si prende:
pel mostro ucciso ingiuria far si vede,
dove aver ne sperò gloria e mercede.

49
     Ma come l’orso suol, che per le fiere
menato sia da Rusci o da Lituani,
passando per la via, poco temere
l’importuno abbaiar di picciol cani,
che pur non se li degna di vedere;
cosí poco temea di quei villani
il paladin, che con un soffio solo
ne potrá fracassar tutto lo stuolo.

50
     E ben si fece far subito piazza
che lor si volse, e Durindana prese.
S’avea creduto quella gente pazza
che le dovesse far poche contese,
quando né indosso gli vedea corazza,
né scudo in braccio, né alcun altro arnese;
ma non sapea che dal capo alle piante
dura la pelle avea piú che diamante.

51
     Quel che d’Orlando agli altri far non lece,
di far degli altri a lui giá non è tolto.
Trenta n’uccise, e furo in tutto diece
botte, o se piú, non le passò di molto.
Tosto intorno sgombrar l’arena fece;
e per slegar la donna era giá volto,
quando nuovo tumulto e nuovo grido
fe’ risuonar da un’altra parte il lido.

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52
     Mentre avea il paladin da questa banda
cosí tenuto i barbari impediti,
eran senza contrasto quei d’Irlanda
da piú parte ne l’isola saliti;
e spenta ogni pietá, strage nefanda
di quel popul facean per tutti i liti:
fosse iustizia, o fosse crudeltade,
né sesso riguardavano né etade.

53
     Nessun ripar fan gl’isolani, o poco;
parte, ch’accolti son troppo improviso,
parte, che poca gente ha il picciol loco,
e quella poca è di nessuno aviso.
L’aver fu messo a sacco; messo fuoco
fu ne le case: il populo fu ucciso:
le mura fur tutte adeguate al suolo:
non fu lasciato vivo un capo solo.

54
     Orlando, come gli appertenga nulla
l’alto rumor, le stride e la ruina,
viene a colei che su la pietra brulla
avea da divorar l’orca marina.
Guarda, e gli par conoscer la fanciulla;
e piú gli pare, e piú che s’avicina:
gli pare Olimpia; et era Olimpia certo,
che di sua fede ebbe sí iniquo merto.

55
     Misera Olimpia! a cui dopo lo scorno
che gli le’ Amore, anco Fortuna cruda
mandò i corsari (e fu il medesmo giorno),
che la portaro all’isola d’Ebuda.
Riconosce ella Orlando nel ritorno
che fa allo scoglio: ma perch’ella è nuda,
tien basso il capo; e non che non gli parli,
ma gli occhi non ardisce al viso alzarli.

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56
     Orlando domandò ch’iniqua sorte
l’avesse fatta all’isola venire
di lá dove lasciata col consorte
lieta l’avea quanto si può piú dire.
— Non so (disse ella) s’io v’ho, che la morte
voi mi schivaste, grazie a riferire,
o da dolermi che per voi non sia
oggi finita la miseria mia.

57
     Io v’ho da ringraziar ch’una maniera
di morir mi schivaste troppo enorme;
che troppo saria enorme, se la fera
nel brutto ventre avesse avuto a porme.
Ma giá non vi ringrazio ch’io non pèra;
che morte sol può di miseria tôrme:
ben vi ringrazierò, se da voi darmi
quella vedrò, che d’ogni duol può trarmi. —

58
     Poi con gran pianto seguitò, dicendo
come lo sposo suo l’avea tradita;
che la lasciò su l’isola dormendo,
donde ella poi fu dai corsar rapita.
E mentre ella parlava, rivolgendo
s’andava in quella guisa che scolpita
o dipinta è Diana ne la fonte,
che getta l’acqua ad Ateone in fronte;

59
     che, quanto può, nasconde il petto e ’l ventre,
piú liberal dei fianchi e de le rene.
Brama Orlando ch’in porto il suo legno entre;
che lei, che sciolta avea da le catene,
vorria coprir d’alcuna veste. Or mentre
ch’a questo è intento, Oberto sopraviene,
Oberto il re d’Ibernia, ch’avea inteso
che ’l marin mostro era sul lito steso;

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60
     e che nuotando un cavallier era ito
a porgli in gola un’áncora assai grave;
e che l’avea cosí tirato al lito,
come si suol tirar contr’acqua nave.
Oberto, per veder se riferito
colui da chi l’ha inteso, il vero gli have,
se ne vien quivi; e la sua gente intanto
arde e distrugge Ebuda in ogni canto.

61
     Il re d’Ibernia, ancor che fosse Orlando
di sangue tinto, e d’acqua molle, e brutto,
brutto del sangue che si trasse quando
uscí de l’orca in ch’era entrato tutto,
pel conte l’andò pur raffigurando;
tanto piú che ne l’animo avea indutto,
tosto che del valor sentì la nuova,
ch’altri ch’Orlando non faria tal pruova.

62
     Lo conoscea, perch’era stato infante
d’onore in Francia, e se n’era partito
per pigliar la corona, l’anno inante,
del padre suo ch’era di vita uscito.
Tante volte veduto, e tante e tante
gli avea parlato, ch’era in infinito.
Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,
trattasi la celata ch’avea in testa.

63
     Non meno Orlando di veder contento
si mostrò il re, che ’l re di veder lui.
Poi che furo a iterar l’abbracciamento
una o due volte tornati amendui,
narrò ad Oberto Orlando il tradimento
che fu fatto alla giovane, e da cui
fatto le fu; dal perfido Bireno,
che via d’ogn’altro lo dovea far meno.

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64
     Le pruove gli narrò, che tante volte
ella d’amarlo dimostrato avea:
come i parenti e le sustanzie tolte
le furo, e al fin per lui morir volea;
e ch’esso testimonio era di molte,
e renderne buon conto ne potea.
Mentre parlava, i begli occhi sereni
de la donna di lagrime eran pieni.

65
     Era il bel viso suo, quale esser suole
da primavera alcuna volta il cielo,
quando la pioggia cade, e a un tempo il sole
si sgombra intorno il nubiloso velo.
E come il rosignuol dolci carole
mena nei rami alor del verde stelo,
cosí alle belle lagrime le piume
si bagna Amore, e gode al chiaro lume.

66
     E ne la face de’ begli occhi accende
l’aurato strale, e nel ruscello amorza,
che tra vermigli e bianchi fiori scende:
e temprato che l’ha, tira di forza
contra il garzon, che né scudo difende
né maglia doppia né ferigna scorza;
che mentre sta a mirar gli occhi e le chiome,
si sente il cor ferito, e non sa come.

67
     Le bellezze d’Olimpia eran di quelle
che son piú rare: e non la fronte sola,
gli occhi e le guancie e le chiome avea belle,
la bocca, il naso, gli omeri e la gola;
ma discendendo giú da le mammelle,
le parti che solea coprir la stola,
fur di tanta escellenzia, ch’anteporse
a quante n’avea il mondo potean forse.

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68
     Vinceano di candor le nievi intatte,
et eran piú ch’avorio a toccar molli:
le poppe ritondette parean latte
che fuor dei giunchi allora allora tolli.
Spazio fra lor tal discendea, qual fatte
esser veggián fra piccolini colli
l’ombrose valli, in sua stagione amene,
che ’l verno abbia di nieve allora piene.

69
     I rilevati fianchi e le belle anche,
e netto piú che specchio il ventre piano,
pareano fatti, e quelle coscie bianche,
da Fidia a torno, o da piú dotta mano.
Di quelle parti debbovi dir anche,
che pur celare ella bramava invano?
Dirò insomma ch’in lei dal capo al piede,
quant’esser può beltá, tutta si vede.

70
     Se fosse stata ne le valli Idee
vista dal pastor frigio, io non so quanto
Vener, se ben vincea quell’altre dee,
portato avesse di bellezza il vanto:
né forse ito saria ne le Amiclee
contrade esso a violar l’ospizio santo;
ma detto avria: — Con Menelao ti resta,
Elena pur; ch’altra io non vo’ che questa. —

71
     E se fosse costei stata a Crotone,
quando Zeusi l’imagine far volse,
che por dovea nel tempio di Iunone,
e tante belle nude insieme accolse;
e che, per una farne in perfezione,
da chi una parte e da chi un’altra tolse:
non avea da tôrre altra che costei;
che tutte le bellezze erano in lei.

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72
     Io non credo che mai Bireno, nudo
vedesse quel bel corpo; ch’io son certo
che stato non saria mai cosí crudo,
che l’avesse lasciata in quel deserto.
Ch’Oberto se n’accende, io vi concludo,
tanto che ’l fuoco non può star coperto.
Si studia consolarla, e darle speme
ch’uscirá in bene il mal ch’ora la preme:

73
     e le promette andar seco in Olanda;
né fin che ne lo stato la rimetta,
e ch’abbia fatto iusta e memoranda
di quel periuro e traditor vendetta,
non cessará con ciò che possa Irlanda,
e lo fará quanto potrá piú in fretta.
Cercare intanto in quelle case e in queste
facea di gonne e di feminee veste.

74
     Bisogno non sará, per trovar gonne,
ch’a cercar fuor de l’isola si mande;
ch’ogni dí se n’avea da quelle donne
che de l’avido mostro eran vivande.
Non fe’ molto cercar, che ritrovonne
di varie foggie Oberto copia grande;
e fe’ vestir Olimpia, e ben gl’increbbe
non la poter vestir come vorrebbe.

75
     Ma né sí bella seta o sí fin’oro
mai Fiorentini industri tesser fenno;
chi ricama fece mai lavoro,
postovi tempo, diligenzia e senno,
che potesse a costui parer decoro,
se lo fêsse Minerva o il dio di Lenno,
e degno di coprir sí belle membre,
che forza è ad or ad or se ne rimembre.

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76
     Per piú rispetti il paladino molto
si dimostrò di questo amor contento:
ch’oltre che ’l re non lasciarebbe asciolto
Bireno andar di tanto tradimento,
sarebbe anch’esso per tal mezzo tolto
di grave e di noioso impedimento,
quivi non per Olimpia, ma venuto
per dar, se v’era, alla sua donna aiuto.

77
     Ch’ella non v’era si chiarí di corto,
ma giá non si chiarí se v’era stata;
perché ogn’uomo ne l’isola era morto,
né un sol rimase di sí gran brigata.
Il dí seguente si partîr del porto,
e tutti insieme andaro in una armata.
Con loro andò in Irlanda il paladino;
che fu per gire in Francia il suo camino.

78
     A pena un giorno si fermò in Irlanda;
non valser preghi a far che piú vi stesse;
Amor, che dietro alla sua donna il manda,
di fermarvisi piú non gli concesse.
Quindi si parte; e prima raccomanda
Olimpia al re, che servi le promesse:
ben che non bisognassi; che gli attenne
molto piú, che di far non si convenne.

79
     Cosí fra pochi dí gente raccolse;
e fatto lega col re d’Inghilterra
e con l’altro di Scozia, gli ritolse
Olanda, e in Frisa non gli lasciò terra;
et a ribellïone anco gli volse
la sua Selandia: e non finí la guerra,
che gli diè morte; né però fu tale
la pena, ch’al delitto andasse eguale.

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80
     Olimpia Oberto si pigliò per moglie,
e di contessa la fe’ gran regina.
Ma ritorniamo al paladin che scioglie
nel mar le vele, e notte e dí camina;
poi nel medesmo porto le raccoglie,
donde pria le spiegò ne la marina:
e sul suo Brigliadoro armato salse,
e lasciò dietro i venti e l’onde salse.

81
     Credo che ’l resto di quel verno cose
facesse degne di tenerne conto;
ma fur sin a quel tempo sí nascose,
che non è colpa mia s’or non le conto;
perché Orlando a far l’opre virtuose,
piú che a narrarle poi, sempre era pronto:
né mai fu alcun de li suoi fatti espresso,
se non quando ebbe i testimonii appresso.

82
     Passò il resto del verno cosí cheto,
che di lui non si seppe cosa vera:
ma poi che ’l sol ne l’animal discreto
che portò Friso, illuminò la sfera,
e Zefiro tornò soave e lieto
a rimenar la dolce primavera;
d’Orlando usciron le mirabil pruove
coi vaghi fiori e con l’erbette nuove.

83
     Di piano in monte, e di campagna in lido,
pien di travaglio e di dolor ne gía;
quando all’entrar d’un bosco, un lungo grido,
un alto duol l’orecchie gli fería.
Spinge il cavallo, e piglia il brando fido,
e donde viene il suon, ratto s’invia:
ma diferisco un’altra volta a dire
quel che seguí, se mi vorrete udire.