Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 20

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Canto 20

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Canto 19 Canto 21

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CANTO VENTESIMO



[1]

L
E donne antiqj hanno mirabil coſe

     Fatto ne l’arme e ne le ſacre Muſe
     E di lor opre belle e glorioſe
     Gran lume í tutto il mondo ſi diffuſe:
     Arpalice e Camilla ſon famoſe
     Perche in battaglia erano eſperte & vſe
     Sapho e Corinna perche ſuron dotte
     Spledono illuſtri, e mai nò veggo notte.

[2]
Le donne ſon venute in eccellenza
     Di ciaſcun’arte, oue hanno poſto cura:
     E qualuqg all’hiſtorie habbia auuerteza
     Ne ſente anchor la fama non oſcura,
     Se’l mondo n’e gran tempo ſtato ſenza
     Non perho ſempre il mal’inſluſſo dura,
     E ſorſè aſcoſi han lor debiti honori
     L’inuidia: o il non ſaper de gli ſcrittori.

[3]
Ben mi par di veder ch’ai ſecol noſtro
     Tanta virtū ſra belle donne emerga
     Ch può dare opra a charte: & ad ichioſtro
     Perche ne i futuri anni ſi diſperga:
     E perche odioſe ligue: il mal dir voſtro
     Con voſtra eterna inſamia ſi ſommerga,
     E le lor lode appariranno in guiſa
     Che di gran lūga auanzeran Marphiſa.

[4]
Hor pur tornando a lei, queſta Dòzella
     Al cauallier che l’ufo corteſia
     De l’eſſer ſuo non niega dar nouella
     Quando elfo a lei voglia contar chi ſia,
     Sbrigoſſi toſto del ſuo debito ella
     Tanto il nome di lui ſaper diſia:
     Io ſon (difTe) Marphiſa, e ſu assai queſto
     Che ſi ſapea per tutto’l mondo il reſto.

[5]
L’altro comincia, poi chetocca a lui
     Con piū prohemio a darle di ſé conto,
     Dicendo io credo che ciaſcun di vui
     Habbia de la mia ſtirpe il nome i pròto,
     Che nò pur Frācia eSpagna, e i vicin ſui
     Ma l’India, l’Ethyopia, e il ſreddo poto
     Han chiara cognition di Chiaramonte
     Onde vſci il cauallier ch’uccife Almóte.

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[6]
E quel ch’a Chiariello e al Re Mábrino
     Diede la morte, e il regno lor disfece,
     Di queſto ſangue, doue ne l’Eufino
     l’Iſtro ne vien con otto corna o diece,
     Al duca Amone, il qual giá peregrino
     Vi capito, la madre mia mi fece,
     E l’anno e hormai, ch’io la laſciai dolete
     Per gire in Fracia a ritrouar mia gente.

[7]
Ma non potei ſinire il mio viaggio
     Che qua mi ſpinfe vn tempeſtofo Noto:
     Son dieci meli o piú, ch ſtanza v’haggio
     Che tutti i giorni e tutte l’hore noto,
     Nominato fon’ io Guidon ſeluaggio
     Di poca pruoua anchora, e poco noto:
     Vcciſi qui Argilon da Melibea
     Con dieci cauallier che ſeco hauea.

[8]
Feci la pruoua anchor de le donzelle:
     Coſi n’ho diece a miei piaceri allato,
     Et alla ſcelta mia ſon le piú belle
     E ſon le piú gentil di queſto ſtato:
     E queſte reggo e tutte l’altre, ch’elle
     Di ſé m’hanno gouerno e ſcettro dato:
     Coſi daranno a qualunqj altro arrida
     Fortuna ſi che la decina ancida.

[9]
I cauallier domandano a Guidone
     Com’ha ſi pochi maſchi il tenitoro:
     E s’alle moglie hanno ſuggettione
     Come eſſe l’ha ne glialtri lochi a loro,
     Diſſe Guidon, piú volte la cagione
     Vdita n’ ho, da poi che qui dimoro
     E vi fará (fecondo ch’io l’ho vdita)
     Da me, poi che v’ aggrada, riferita.

[10]
Al tempo che tornar dopo anni venti
     Da Troia i Greci, che duro l’aſſedio
     Dieci, e dieci altri da contrari venti
     Furo agitati in mar con troppo tedio,
     Trouar che le lor donne, agli tormenti
     Di tanta abſentia, hauean preſo rimedio,
     Tutte s’ hauean gioueni amanti eletti
     Per non ſi raffreddar ſole ne i letti,

[11]
Le caſe lor trouaro i Greci piene
     De l’altrui ſigli, e per parer commune
     Perdonano alle mogli, che fan bene
     Che tanto non potean viuer digiune,
     Ma a i ſigli de gli adulteri conuiene
     Altroue procacciarli altre Fortune,
     Che tolerar non vogliono i mariti,
     Che piú alle ſpeſe lor ſieno notriti.

[12]
Sono altri eſpoſti, altri tenuti occulti
     Da le lor madri, e foſtenuti in vita,
     In varie ſquadre quei ch’erano adulti
     Feron chi qua, chi la, tutti partita,
     Per altri l’arme ſon, per altri culti
     Gli ſtudi e larti, altri la terra trita
     Serue altri icorte, altri e guardia di gregge
     Còe piace a colei ch qua giú regge.

[13]
Parti ſra glialtri vn giouinetto figlio
     Di Clitemneſtra la crudel Regina,
     Di diciotto anni, ſreſco come vn giglio
     O roſa colta allhor di ſu la ſpina,
     Queſti armato vn ſuo legno: a dar di piglio
     Si poſe, e a depdar p la marina:
     In compagnia di cento giouinetti
     Del tempo ſuo per tutta Grecia eletti.

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[14]
I Creteſi in quel tempo: che cacciato
     Il crudo Idomeneo del regno haueano:
     E per aſſicurarſi il nuouo ſtato
     D’huomini e d’arme adunatiò (oceano:
     Fero con bon ſtipendio lor ſoldato
     Phalanto (coſi al giouine diceano)
     E lui con tutti quei che ſeco hauea
     Poſer per guardia alla citta Dictea.

[15]
Fra cento alme citta ch’erano in Creta
     Oictea piú ricca e piú piaceuol’era:
     Di belle Donne, & amoroſe lieta
     Lieta di giochi da matino a ſera:
     E coni’ era ogni tempo conſueta
     D’accarezza* la gente foreſtiera
     Fé a coſtor ſi, che molto non rimale
     A far gli ancho Signor de le lor caſe.

[16]
F.ran gioueni tutti e belli affatto:
     Che’l fior di Grecia hauea Phaláto eletto.
     Si ch’alle belle dòne, al primo tratto
     Che v’apparir, tratterò i cor del petto,
     Poi che no me che belli, anehora i fatto
     Si dimoſtrar buoni e gagliardi al letto,
     Si fero ad eſſe in pochi di ſi grati
     Che fopra ogn’ altro ben n’erano amati.

[17]
Finita che d’accordo, e poi la guerra
     Per mi ſtato Phalanto era eondutto,
     E lo ſtipendio militar ſi ferra
     Si che non v’hanno i gioueni piú ſrutto.
     E per queſto laſciar voglion la terra:
     Fan le donne di Creta maggior lutto
     E peri-io verſan piú dirotti pianti
     Ch ſé i lor padri haueſſon morti auanti.

[18]
Da le lor donne i gioueni assai ſoro
     Ciaſcun per ſé, di rimaner pregati,
     Ne volendo reſtare, eſſe con loro
     N’andar, laſciado, e padri, e ſigli, e ſrati
     Di ricche Géme e di grá ſumma d’Oro
     Hauendo i lor dimettici ſpogliati,
     Che la pratica ſu tanto ſecreta
     Che nO ſenti la ſuga huomo di Creta.

[19]
Si ſu propitio il vento ſi ſu l’hora
     Comoda, che Phalanto a ſuggir colſe
     Che molte miglia erano vſciti ſuora
     Quando del danno ſuo Creta ſi dolſe,
     Poi queſta ſpiaggia inhabitata allhora
     Traſcorfi per Fortuna li raccolſe
     Qui ſi poſaro e qui ſicuri tutti
     Meglio del ſurto lor videro i ſrutti.

[20]
Queſta lor ſu per dieci giorni ſlanza
     Di piaceri amorali tutta piena:
     Jl.i come ſpeffo auuien che l’abondanza
     Seco in cor giouenil faſtidio mena,
     l’ulti d’accordo ſur, di reſtar ſanza
     l’emine, e liberarli di tal pena:
     Che non e ſonia da portar ſi graue
     Come hauer dona qn a noia s’ haue.

[21]
Elfi che di guadagno e di rapine
     Kian bramoſi, e di diſpendio parchi,
     Vider ch’a paſcer tante concubine
     D’altro ch d’haſte hauea biſogno e d’archi
     Si che ſole laſciar qui le meſchine,
     K le n’andar di lor ricchezze carchi
     La doue í Puglia in ripa al mar poi ſento
     Ch’edificar la terra di Tarento.

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[22]
Le Donne che ſi videro tradite
     Da i loro amati in che piú fede haueáo:
     Reſtar per alcun di ſi ſbigotite
     Che ſtatue ímote in lito al mar pareano,
     Viſto poi che da gridi, e da inſinite
     Lachryme, alcun profitto non traheano
     A penſar cominciarci e ad hauer cura
     Come aiutarfi in tanta lor ſciagura.

[23]
E proponendo in mezo i lor pareri
     Altri diceano in Creta e da tornarſi,
     E piú toſto all’arbitrio de ſeueri
     Padri, e d’offefi lor mariti, darſi,
     Che ne i deſerti liti e boſchi ſieri
     Di diſagio e di fame conſumarſi,
     Altre dicean, che lor faria piú honeſto
     Affogarli nel mar, che mai far queſto.

[24]
E che manco mal’era meretrici
     Andar pel modo, adar mèdiche, o ſchiaue
     Che ſé ſteſſe oſſerire a gli ſupplici
     Di ch’eran degne l’opere lor praue,
     Queſti e ſimil partiti, le inſelici
     Si proponean, ciaſcun piú duro e graue
     Tra loro al ſine vna Oronthea leuoſſe
     Ch’origine trahea dal Re Minoffe.

[25]
La piú giouen de l’altre, e la piú bella
     E la piú accorta, e e’ hauea meno errato:
     Amato hauea Phalanto, e a lui pulzella
     Dataſi, e per lui il padre hauea laſciato,
     Coſtei moſtrando in viſo, & in fauella
     Il magnanimo cor d’ira inſiammato:
     Redarguendo di tutte altre il detto
     Suo parer diſſe, e ſé feguirne effetto.

[26]
Di queſta terra a lei non panie torſi
     Che conobbe feconda, e d’aria ſana:
     E di limpidi ſiumi hauer diſcorſi:
     Di ſelue opaca, e la piú parte piana,
     Con porti e ſoci, oue dal mar ricorſi
     Per ria Fortuna hauea la gente eſtrana,
     C hor d’ Africa portaua hora d’ Egitto
     Coſe diuerſe, e neceffarie al uitto.

[27]
Qui parue a lei fermarli, e far vendetta
     Del viril feſſo che le hauea ſi oſſeſe
     Vuol ch’ogni naue che da venti affretta
     A pigliar venga porto in ſuo paeſe,
     A ſacco, a ſangue, a fuoco al ſin ſi metta:
     Ne de la vita a vn ſol ſi ſia corteſe,
     Coſi ſu detto, e coſi ſu concluſo,
     E ſu fatta la legge: e metta in vſo.

[28]
Come turbar l’aria ſentiano, armate
     Le femine correan ſu la marina,
     Da l’implacabile Oronthea guidate
     Che die lor legge, e ſi ſé lor Regina:
     E de le naui, a i liti lor cacciate
     Faceano incendi horribili, e rapina:
     Huom no laſciando viuo, che nouella
     Dar ne poteſſe, o in queſta parte, o iqlla.

[29]
Coſi ſolinghe viſſero qualch’anno
     Aſpre nimiche del feſſo virile:
     Ma conobbero poi, che’l proprio danno
     Procaccierian, ſé non mutauan ſtile.
     Che ſé di lor propagine non fanno
     Sara lor legge in breue irrita e vile
     E mancherá con l’infecondo regno,
     Doue di farla eterna era il diſegno.

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[30]
Si che temprando il dio rigore vn poco
     Scelſero in ſpatio di quattro anni interi
     Di quanti capitaro in queſto loco
     Dieci belli e gagliardi cauallieri
     Che per durar ne l’amoroſo gioco
     Cótr’ eſſe cento foſſer buon guerrieri
     eſſe in tutto eran cento, e ſtatuito
     Ad ogni lor decina ſu vn marito.

[31]
Prima ne fur decapitati molti
     Che riuſciro al paragon mal ſorti,
     Hor queſti dieci a buona pruoua tolti
     Del letto e del gouerno hebbon cóforti,
     Facendo lor giurar, che ſé piú colti
     Altri huomini vernano in queſti porti,
     Eſſi farian che ſpenta ogni pietade
     Li porriano vgualmente a ſil di ſpade.

[32]
Ad ingroſſare: & a ſigliar appreſſo
     Le donne, indi a temere incominciaro
     Che tanti naſcerian del viril feſſo
     Che contra lor non haurian poi riparo,
     E al ſine in man de glihuomini rimeſſo
     Saria il gouerno ch’elle hauean ſi caro:
     Si ch’ordinar mentre eran gli anni ibelli
     Far ſi, che mai non ſoſſon lor ribelli.

[33]
Accio il feſſo viril non le ſoggioghi
     vno ogni madre vuol la legge horréda:
     Che tenga ſeco, glialtri o li ſuſſoghi
     O ſuor del regno li permuti o venda:
     Ne mandano per queſto in varii luoghi
     E a chi gli porta dicono, che prenda
     Femine, ſé a baratto hauer ne puote
     Se no, nò tomi al nien con le man vote.

[34]
Ne vno anchora alleuerian, ſé ſenza
     Poteſſon fare, e mantenere il gregge:
     Queſta e quanta pietá, quanta clemèza
     Piú a i ſuoi ch’aglialtri vſa l’iniq legge,
     Glialtri condannan con vgual ſentenza,
     E ſolamente in queſto ſi corregge
     Che nò vuol, che ſecòdo il primiero vſo
     Le femine gli vccidano in confuſo.

[35]
Se dieci o venti, o piú perſone a vn tratto
     Vi foſſer giunte, in carcere eran meſſe:
     E d’una al giorno e non di piú: era tratto
     Il capo a ſorte, che perir doueſſe,
     Nel tèpio horrédo, ch’Oronthea hauea fatto
     Doue vn’ altare allavedetta ereſſe,
     E dato all’un de dieci il crudo vſticio
     Per ſorte, era di farne ſacriſicio.

[36]
Dopo molt’anni alle ripe homicide
     A dar venne di capo vn giouinetto:
     La cui ſtirpe ſcendea dal buono Alcide
     Di gran valor ne l’arme, Elbanio detto,
     Qui preſo ſu ch’a pena ſé n’auide
     Come quel che venia ſenza ſoſpetto,
     E co gra guardia in ſtretta parte chiuſo
     Con glialtri era ſerbato al crudel’uſo.

[37]
Di viſo era coſtui bello e giocondo
     E <li maniere e di coſtumi ornato:
     E di parlar ſi dolce: e ſi facondo
     Ch’ un’ Aſpe voletier V hauria aſcoltato:
     Si che come di coſa rara al mondo
     De l’effer ſuo ſu toſto rapportato
     Ad Aleſſandra ſiglia d’Oronthea:
     Che di molt’ anni graue, anche- viuea.

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[38]
Oronthea viuea anchora, e giá mancate
     Tutt’eran l’altre e’ habitar qui prima,
     E diece tante, e piú n’erano nate
     E í ſorza era creſciute e imaggior ſtima.
     Ne tra diece ſucine, che ferrate
     Stana pur ſpeffo, hauean piú d’una lima.
     E dieci cauallieri ancho hauean cura
     Di dare a chi venia ſiera auentura.

[39]
Aleſſandra bramoſa di vedere
     Il giouinetto e’ hauea tante lode,
     Da la ſua matre in ſingular piacere
     Impetra ſi, ch’Elbanio vede & ode,
     E quando vuol partirne, rimanere
     Si ſente il core, oue e ch’il puge e rode,
     Legar ſi ſente, e non fa far conteſa,
     E al ſin dal ſuo prigion ſi troua preſa.

[40]
Elbanio diſſe a lei, ſé di pietade
     S’ haueſſe Donna qui notitia anchora,
     Come ſé n’ha per tutt’ altre contrade
     Douunq; il vago Sol luce e colora,
     Io vi oſarei per voſtr’ alma beltade
     Ch’ ogn’ animo gentil di ſé inamora
     Chiederui in don la vita mia, che poi
     Saria ogn’hor pſto a ſpenderla per voi.

[41]
Hor quado ſuor d’ ogni ragion qui ſono
     Priui d’ humanitade i cori humani,
     Non vi domanderò lavita in dono
     Che i prieghi miei, ſo bè, ch farian vani:
     Ma che da caualliero, o triſto, o buono,
     Ch’io ſia, poſſi morir con l’arme in mani,
     E non come dannato per giudicio,
     O come animai bruto in ſacriſicio.

[42]
Aleſſandra gentil, e’ numidi hauea
     Per la pietá del giouinetto i rai:
     Riſpofe, anchor che piú crudele e rea
     Sia queſta terra, ch’altra foſſe mai
     Non concedo perho, che qui Medea
     Ogni femina ſia, come tu fai,
     E quando ogn’ altra coſi foſſe anchora
     Me ſola di tant’ altre io vo trar ſuora.

[43]
E ſé ben per adietro io ſoſſi ſtata
     Empia e crudel, come qui ſono tante,
     Dir poſſo che ſuggetto, oue moſtrata
     Per me foſſe pietá, non hebbi auante:
     Ma ben farei di Tigre piú arrabbiata
     E piú duro haure’il cor che di diamante
     Se non m’haueſſe tolto ogni durezza
     Tua beltá, tuo valor, tua gentilezza.

[44]
Coſi non foſſe la legge piú ſorte
     Che contra i peregrini e ſtatuita:
     Come io no ſchiuerei co la mia morte,
     Di ricomprar la tua piú degna vita,
     Ma non e grado qui di ſi gran ſorte
     Che ti poteſſe dar libera aita,
     E ql che chiedi anchor, bè che ſia poco:
     Difficile ottener ſia in queſto loco,

[45]
Pur io vedrò di far che tu l’ottenga
     C habbi inanzi al morir queſto contento
     Ma mi dubito ben, che te n’auenga
     Tenendo il morir lungo, piú tormento:
     Suggiunſe Elbanio, qn incotra io venga
     A dieci armato, di tal cor mi ſento
     Che la vita ho ſperanza di faluarme
     E vecider lor, ſé tutti foffer’ arme

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[46]
Aleffatulra a quel detto non riſpofe
     Se non vn gran ſoſpiro, e dipartiſſe:
     E porto nel partir mille amoroſe
     Punte, nel cor mai non ſanabil, ſine
     Venne alla madre, e volunta le poſe
     Di non laſciar che’l cauallier inorine,
     Quando ſi dimoſtraffe coſi ſorte
     Che ſolo haueſſe poſto i dieci a morte.

[47]
La Regina Oronthea fece raccorre
     Il ſuo conſiglio, e diſſe, a noi conuiene
     Sempre il miglior che ritrouiamo, porre
     A guardar noſtri porti, e noſtre arene,
     E per ſaper chi ben laſciar, chi torre
     Proua e ſempre da far, qií gli auuiene:
     Per non patir con noſtro danno, a torto,
     Ch regni il vile, e chi ha valor ſia morto.

[48]
A me par, ſé a voi par, che ſtatuito
     Sia, ch’ogni cauallier per lo auuenin
     Che Fortúa habbia tratto al noſtro lito:
     Prima ch’ai tempio ſi faccia morire
     Poſſa egli ſol, ſé gli piace il partito,
     Incontra i dieci alla battaglia vſcirc,
     E ſé di tuttivincerli e poſſente
     Guardi egli il porto e ſeco habbia altra gète

[49]
Parlo coſi, pche habbia qui vn prigione
     Che par che vincer dieci s’ ofl’eriſca,
     Quando ſol vaglia tante altre perſone
     Digniſſimo, e per Dio, che s’efaudifea,
     Coſi in contrario haura punitione
     Quando vaneggi, e temerario ardiſea:
     Oronthea ſine al ſuo parlai qui poſe,
     A cui de le piú antique vna riſpof

[50]
La principal cagion ch’a far diſegno
     Su’I comercio de gli huomini ci moſſe,
     Non ſu perdi’ a difender queſto regno,
     I >el loro aiuto alcun biſogno foſſe,
     Ch p far qſto habbiáo ardire e igegno
     Da noi medeſme, e a fuſticientia poſe,
     Coſi ſenza fapeffimo far ancho
     Che non veniſſe il propagarci a manco.

[51]
Ma poi che ſenza lor queſto non lece
     Tolti habbian, ma non tanti, in cópagnia
     Che mai ne ſia piú d’uno in contra diece
     Si c’hauer di noi poſſa Signoria:
     Per conciper di lor queſto ſi fece
     Non che di lor difeſa vopo ci ſia
     La lor prodezza ſol ne vaglia in queſto
     E ſieno ignaui e inutili nel reſto.

[152]
Tra noi tenere vn huom che ſia ſi ſorte
     Contrario e in tutto al principal diſegno,
     Se può u ſolo a die< i huomini dar morte
     Quate dOne fará ſtare egli al ſegno?
     Se i dieci noſtri foſſer di tal ſorte
     II primo di n’haurebbon tolto il regno:
     Non e la via di dominar, ſé vuoi
     Por l’arme in mano a chi può piú di noi.

[53]
Pon mente anchor, che quando coſi aiti
     Fortuna queſto tuo, che i dieci vecida:
     Di cento donne che de lor mariti
     Rimarran priue, ſentirai le grida,
     Se Midi campar proponga altri partiti
     Ch’effer di dieci gioueni homicida,
     Pur ſé per far con cento donne e buono
     Quel che dieci fariano babbi perdono.

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[54]
Fu d’Artemia crudel queſto il parere
     (Coſi hauea nome) e non manco per lei
     Di far nel tempio Elbanio rimanere
     Scannato inanzi a gli ſpietati dei,
     Ma la madre Oronthea, che compiacere
     Volſe alla ſiglia, replico a colei
     Altre & altre ragioni e modo tenne
     Che nel fenato il ſuo parer s’ ottenne.

[55]
l’hauer Elbanio di bellezza il vanto
     Sopra ogni cauallier che foſſe al mondo
     Fu ne i cor de le giouani, di tanto:
     Ch’ erano in ql conſiglio, e di tal podo:
     Che’l parer de le vecchie andò da canto
     Che con Artemia volean far, fecondo
     l’ordine antiquo, ne lontan ſu molto
     Ad eſſer per fauore Elbanio aſſolto,

[56]
Di perdonargli in ſomma ſu concluſo
     Ma poi che la decina haueſſe ſpento,
     E che nel’altro aſſalto foſſe ad vſo
     Di diece donne buono, e nò di cento,
     Di career l’altro giorno ſu diſchiuſo,
     E hauuto arme e cauallo a ſuo talento
     Contra dieci guerrier ſolo ſi miſe
     E l’uno appſſo all’altro in piazza vcciſe.

[57]
Fu la notte ſeguente a proua meſſo
     Contra diece donzelle ignudo e ſolo:
     Doue hebbe all’ardir ſuo ſibuo ſucceſſo
     Che fece il faggio di tutto lo ſtuolo
     E queſto gli acquiſto tal gratia appreſſo
     Ad Oronthea, che l’hebbe per ſigliuolo,
     E gli diede Aleſſandra e l’altre noue
     Con e’ hauea fatto le notturne proue,

[58]
E lo laſcio con Aleſſandra bella
     Che poi die nome a qſta terra, herede
     CO patto, ch’a ſeruar egli habbia quella
     Legge, & ogn’ altro che da lui ſuccede,
     Che ciaſcun, che giá mai ſua ſiera ſtella
     Fara qui por lo ſuenturato piede
     Elegger poſſa, o in ſacriſicio darſi
     O con dieci guerrier ſolo prouarſi.

[59]
E ſé gli auuiè ch’I di glihuomini vecida
     La notte con le femine ſi proui,
     E quando in fjſto anchor tanto gli arrida
     La ſorte ſua, che vincitor ſi troui,
     Sia del femineo ſtuol principe e guida
     E la decina a ſcelta ſua rinoui,
     Con la qual regni, ſin ch’un’ altro arriui
     Che ſia piú ſorte, e lui di vita priui.

[60]
Appffo a dua mila ani il coſtume empio
     Si e mantenuto, e ſi mantiene anchora,
     E ſono pochi giorni, che nel tempio
     Vno inſelice peregrin non mora,
     Se contra dieci alcun chiede ad eſempio
     D’ Elbanio armarſi, che ve n’ e tal’hora
     Speſſo la vita al primo aſſalto laſſa
     Ne di mille vno all’altra proua paſſa.

[61]
Pur ci paſſano alcuni, ma ſi rari
     Che ſu le dita anouerar ſi ponno,
     Vno di queſti ſu Argilon, ma guari
     Con la decina ſua non ſu qui Dono,
     Che cacciandomi q venti contrari
     Gli occhi gii chiuſi í ſempitemo ſonno:
     Coſi ſoſſi io con lui morto quel giorno
     Prima che viuer ſeruo in tanto ſcorno.

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[62]
Che piaceri amoroſi e riſo e gioco
     Che ſuole amar ciaſcun de la mia etade.
     Le purpure, e le gemme, e l’hauer loco
     Inanzi a glialtri ne la ſua cittade:
     Potuto hanno per Dio mai giouar poco
     All’huom, che priuo ſia di libertade,
     E’l non poter mai piú di <|ui leuarmi
     Seruitu grane e intolerabil panni.

[63]
I] vedermi lograr de i miglior anni
     Il piú bel fiore in ſi vile opra e molle
     Tienimi il cor ſemp i ſtimulo e in affanni
     Et ogni guſto di piacer mi tolle,
     La fama del mio (angue ſpiega i vanni
     Per tutto’l mondo, e fin’ al ciel s’ eſtolle
     Ch ſorſè buona parte anch’ io n’ haurei
     S’effer poteſſi co i ſratelli miei.

[64]
l’armi ch’ingiuria il mio deſtin mi fai ria
     Hauendomi a ſi vii ſeruigio eletto:
     Come chi ne l’armèto il deſtrier caccia
     Ilqual d’occhi o di piedi habbia difetto
     O per altro accidente che diſpiaccia
     Sia fatto all’arme e a miglior vſo inetto.
     Ne ſperando io, ſé non p morte, vſcire
     Di ſi vii ſeruitu, bramo morire.

[65]
Guidon qui ſine alle parole poſe
     E maledi quel giorno per iſdegno
     Ilqual de i cauallieri e de le ſpofe
     Gli die vittoria in acquiſtar quel regno,
     Aſtolfo ſlette a vdire, e ſi naſcofe
     Tanto che ſi ſé certo a piú d’un Pegno
     Che: come detto hauea queſto Guidone
     Era figliol del ſuo parente Amone.

[66]
Poi gli riſpofe, io ſono il duca Ingleſe
     Il tuo cugino Aſtolfo, & abbracciollo:
     E con atto amoreuole e corteſe
     Non ſenza ſparger lagrime baciollo:
     Caro parente mio non piti paleſe
     Tua madre ti potea por ſegno al collo:
     Ch’ a farne fede che tu fei de noſtri
     Raſta il valor che con la ſpada moſtri.

[67]
Guidò ch’altroue hauria fatto grá feſta
     D’ hauer trouato vn ſi ſtretto parente
     Quiui l’accolſe con la faccia meſta
     Perche ſu di vederuilo dolente,
     Se vino, fa ch’Aſtolfo ſchiauo reſta,
     Ne il termine e piú la che’l di ſeguente.
     Se ſia libero Aſtolfo, ne more eſſo
     Si che’l bè d’ uo, e il mal de l’altro eſpffo

[68]
Gli duol che glialtri cauallieri anchora
     Habbia, vincendo, a far ſempre captiui,
     Ne piú qusdo eſſo in ql contratto mora
     Potrá giouar, che ſeruitu lor ſchiui,
     Che ſé d’un fango ben gli porta ſuora
     E poi s’inciampi come all’altro arriui,
     Maura lui ſenza prò vinto Marphiſa
     Ch’ eſſi pur ne ſien ſchiaui, & ella vcciſa.

[69]
Da l’altro canto, hauea l’acerba etade
     La corteſia, e il valor del Giouinetto
     D’ amore intenerito, e di pietade
     Tato a Marphiſa, & a i copagni il petto,
     Che con morte di lui, lor libertade
     Eſſer douendo, hauean quaſi a diſpetto,
     E ſé Marphiſa non può far con manco
     Ch’uccider lui, vuol’effa morir’ ancho.

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[70]
Ella diſſe a Guidon, vietitene inſieme
     Con noi, ch’a viua ſorza vſciren quinci,
     Deh (riſpoſe Guidon) laſcia ogni ſpeme
     Di mai piú vſcirne, o perdi meco o vici.
     Ella ſuggiunſe, il mio cor mai non teme
     Di non dar ſine a coſa che cominci,
     Ne trouar ſo la piú ſicura ſtrada
     Di quella, oue mi ſia guida la ſpada.

[71]
Tal ne la piazza ho il tuo valor prouato
     Che s’io ſon teco, ardiſco ad ogn’impfa.
     Quando la turba intorno allo ſteccato
     Sara domani in fu’l theatro aſceſa
     Io vo che l’uccidian per ogni lato
     O vada in ſuga, o cerchi far difeſa,
     E ch’a gli lupi e a gli auoltoi del loco
     Laſciamo i corpi, e la cittade al fuoco.

[72]
Suggiuſe a lei Guido, tu m’haurai proto
     A ſeguitarti, & a morirti a canto,
     Ma viui rimaner non faccian conto
     Baſtar ne può di vendicarci alquanto,
     Che ſpeffo dieci mila in piazza conto
     Del popul feminile, & altretanto
     Reſta a guardar, e porto, e rocca, e mura
     Ne alcuna via d’ufeir trouo ſicura.

[73]
Diſſe Marphiſa, e molto piú ſieno elle
     De glihuomini ch Xerſe hebbe giá Storno,
     E ſieno piú de V anime ribelle
     Ch’uſcir del ciel con lor ppetuo ſcorno,
     Se tu fei meco, o al men non ſie con qlle
     Tutte le voglio vecidere in vn giorno,
     Guidon ſuggiunſe, io no ci ſo via alcuna
     Ch’avaler n’habbia, ſé no vai queſt’una.

[74]
Ne può ſola ſaluar ſé ne ſuccede
     Queſt’una, ch’io diro, e’ hor mi ſouiene,
     Fuor ch’alle donne vſcir non ſi concede
     Ne metter piede in ſu le falſe arene,
     E per queſto commettermi alla fede
     D’una de le mie donne mi conuiene,
     Del cui perfetto amor fatta ho ſouente
     Piú pruoua achor, ch’io nò faro al pnte.

[75]
Non men di me tormi coſtei diſia
     Di ſeruitu, pur che ne venga meco,
     Che coſi ſpera ſenza compagnia
     De le riuali ſue ch’io viua ſeco:
     Ella nel porto, o Fuſte, o Saettia
     Fara ordinar, métre e anchor l’aer cieco
     Che i marinari voſtri troueranno
     Acconcia a nauigar come vi vanno.

[76]
Dietro a me tutti in vn drappel riſtretti
     Cauallieri mercanti e galeotti,
     Ch’ ad albergami ſotto a queſti tetti
     Meco (voſtra merce) ſete ridotti,
     Haurete a fami ampio ſentier co i petti
     Se del noſtro camiti Piamo interrotti,
     Coſi ſpero (aiutandoci le ſpade)
     Ch’ io vi trarrò de la crudel cittade.

[77]
Tu fa come ti par (diſſe Marphiſa)
     Ch’io ſon per me d’ufeir di qui ſicura,
     Piú facil ſia che di mia mano vcciſa
     La gente ſia, che e dentro a queſte mura,
     Che mi veggi ſuggire, o in altra guiſa
     Alcun poſſa notar e’ habbi paura,
     Vo vſcir di giorno, e ſol p ſorza d’arme
     Ch p ogn’ altro modo obbrobrio parme.

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[78]
S’ io ci ſoſſi per donna conoſciuta
     So c’Iiaurei da le dóne honore e pregio,
     E volentieri io ci farei tenuta
     E tra le prime ſorſè del collegio,
     Ma con coſtoro eſſendoci venuta
     Non ci vo d’cffi hauer piú priuilegio:
     Troppo error ſora, ch’io mi ſteffi o adsffi
     Libera, e glialtri in ſeruitu laſciaffi.

[79]
Queſte parole & altre ſeguitando
     Moſtro Marphiſa, che’l riſbetto ſolo
     C hauea al periglio de cópagni (quádo
     Potria loro il ſuo ardir tornare i duolo)
     La tenea, che con alto & memorando
     Segno d’ardir non analia lo ſtuolo
     E per quello a Guidon laſcia la cura
     D’ uſar la via che piú gli par ſicura.

[80]
Guidon la notte con Aleria parla
     (Coſi hauea nome la piú lida moglie)
     Ne biſogno gli ſu molto pregarla
     Che la trouo diſpoſta alle ſue voglie,
     Ella tolſe vna naue, e fece armarla
     E v’arreco le ſue piú ricche ſpoglie,
     Fingendo di volere al nuouo albore
     Con le compagne vſcire in corſo ſuore.

[81]
Ella hauea fatto nel palazzo inanti
     Spade e lancie arrecar corazze e feudi
     Onde armar ſi poteſſero i mercanti
     E i galeotti ch’eran mezo nudi,
     Altri dormirò, & altri Iter vegghianti
     Compartèdo tra lor gli otii e gli ſtudi
     Spetto guardado, e pur co l’arme i doſſo
     Se l’Oriente anchor ſi facea roſſo.

[82]
Dal duro volto de la terra, il Sole
     Nò tollea achora il velo oſcuro & atro:
     4 A pena hauea la Lycaonia prole
     Per li ſolchi del ciel volto l’aratro
     Quado il femineo ſtuol ch veder vuole
     Il ſin de la battaglia empi il theatro,
     Coe Ape del ſuo clauſtro épie la ſoglia
     Che mutar regno al nuouo tépo voglia.

[83]
Di trombe di tabur di ſuon de corni
     Il popul riſonar fa cielo e terra
     Coſi citando il ſuo Signor che torni
     A terminar la cominciata guerra,
     Aquilante e Griphon ſtauano adorni
     De le lor arme, e il Dura d’Inghilterra
     Guidon, Marphiſa, Sanſonetto, e tutti
     1 .li. itti 1. chi a piedi, e chi a cauallo [(brutti.

[84]
Per ſceder dal palazzo al mar e al porto,
     La piazza trauerſar ſi conuenia,
     Ne v’era altro camiti lungo ne corto
     Coſi Guidon diſſe alla compagnia,
     E poi che di ben far molto conſorto
     Lor diede, entro ſenza rumore in via
     E ne la piazza dotte il popul’era
     S’ appſento co piú di cento in ſchiera.

[85]
Molto affrettando i ſuoi còpagni, andaua
     Guidone all’altra porta per vſcire,
     Ma la gran moltitudine che ſtaua
     Intorno armata, e ſempre atta a ferire
     Penſo, come Io vide, che menaua
     Seco queglialtri, che volea ſuggire,
     E tutta a vn tratto a gliarchi ſuoi ricorſe
     E parte onde s’ufeia venne ad opporfe.

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[86]
Guidone e glialtri cauallier gagliardi
     E fopra tutti lor Marphiſa ſorte:
     Al menar de le man non ſuron tardi
     E molto ſer per isſorzar le porte,
     Ma tata e tata copia era de i dardi
     Che con ferite de i compagni e morte
     Pioueano lor di fopra, e dogn’ intorno
     Ch’ai ſin temea d’ hauerne dáno e ſcomo

[87]
D’ ogni guerrier l’uſbergo era perfetto
     Che ſé non era, hauean piú da temere,
     Fu morto il deſtrier ſotto a Sanſonetto:
     Quel di Marphiſa v’ hebbe a rimanere:
     Aſtolfo tra ſé diſſe, hora ch’aſpetto
     Che mai mi poſſa il corno piú valere?
     Io vo veder, poi che non gioua ſpada
     S’ io ſo col corno aſſicurar la ſtrada.

[88]
Come aiutar ne le ſortune eſtreme
     Sempre ſi ſuol, ſi pone il corno a bocca,
     Par che la terra, e tutto’I mondo trieme
     Quado l’horribil ſuon ne l’aria ſcocca
     Si nel cor de la gente il timor preme
     Che per diſio di ſuga: ſi trabocca
     Giú del theatro ſbigottita e ſmorta:
     Non che laſci la guardia de la porta.

[89]
Come talhor ſi getta e ſi periglia
     E da fineſtra e da ſublime loco
     l’eſterrefatta ſubito famiglia
     Ch vede appſſo, e d’ogn’ítorno il fuoco,
     Che mentre le tenea graui le ciglia
     Il pigro ſonno: crebbe a poco a poco,
     Coſi meſſa la vita in abandono
     Ognun ſuggia lo ſpauentofo ſuono.

[90]
Di qua, di la, di ſu, di giú, ſmarrita
     Surge la turba, e di ſuggir procaccia:
     Son piú di mille a vn tepo ad ogni vſcita
     Caſcano a monti, e l’una l’altra imparcia,
     In tanta calca perde altra la vita
     Da palchi e da fineſtre altra ſi ſchiaccia
     Piú d’un braccio ſi rompe, e d’una teſta,
     Di ch’altra morta, altra ſtorpiata reſta.

[91]
Il pianto, e’l grido, inſino al ciel ſaliua
     D’ alta ruina miſto, e di ſraccaſſo:
     Affretta, ouuq3 il ſuon del corno arriua,
     La turba ſpauentata in ſuga il paſſo,
     Se vdite dir che d’ ardimento priua
     La vii plebe ſi moſtri, e di cor baffo
     Non vi marauigliate che natura
     E de la lepre hauer ſempre paura.

[92]
Ma che direte del giá tanto fiero
     Cor di Marphiſa, e di Guidò ſeluaggio?
     De i dua giouini ſigli d’Oliuiero
     Che giá tato honoraro il lor lignaggio?
     Giá cento mila hauean ſtimato vn zero
     E in ſuga hor ſé ne van ſenza coraggio,
     Come conigli, o timidi colombi
     A cui vicino alto rumor rimbòbi.

[93]
Coſi noceua a i ſuoi come agli ſtrani
     La ſorza che nel corno era incantata:
     Sanſonetto, Guidone, e i duo germani
     Fuggon dietro a Marphiſa ſpauentata,
     Ne ſuggendo ponno ir tanto lontani
     Che lor no ſia l’orecchia ancho ítronata
     Scorre Aſtolfo la terra in ogni lato
     Dado via ſemp al corno maggior ſiato.

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[94]
Chi ſcefe a! mare, e chi poggio ſu al mòte
     E chi tra i boſchi ad occultar ſi véne
     Alcuna ſenza mai volger la ſronte
     Fuggir per dieci di non ſi ritenne,
     Vſci in tal punto alcuna ſuor del ponte.
     Ch’in vita ſua mai piú non vi riuenne,
     SgObraro í modo e piazze, e tèpli, e caſe
     Che quaſi vota la citta rimaſe.

[95]
Marphiſa, e’l boGuidone e i duo ſratelli
     E Sanſonetto, pallidi e tremanti
     Fuggiano inuerſo il mare, e dietro a qlli
     Fuggiano i marinari, e i mercatati
     Oue Aleria trouar, che ſra i cartelli
     Loro hauea vn legno apparechiato inati
     Quindi poi ch’in gran fretta li raccolſe
     Die i remi all’acqua, & ogni vela ſciolſe .

[96]
Dentro e d’intorno, il Duca, la cittade,
     Hauea ſcorfa da i colli inſino all’onde,
     Fatto hauea vote rimaner le ſtrade
     Ognun lo ſugge, ognun ſé gli naſconde,
     Molte trouate ſur, che per viltade
     Seran gittate in parti oſcure e immonde
     E molte nò ſappiendo oue s’ andare
     Meffefi a nuoto & affogate in mare.

[97]
Per trouare i compagni il Duca viene
     Che ſi credea di riueder fu’l Molo
     Si volge intorno, e le deſerte arene
     Guarda p tutto, e non v’appare vn ſolo,
     Leua piú gliocchi, e in alto a vele piene
     Da ſé lontani andar li vede a volo,
     Si che gli conuien fare altro diſegno
     Al ſuo camin, poi che partito e il legno.

[98]
Laſciamolo andar pur ne ui rincreſca
     Che tanta ſtrada far debba ſoletto
     Per terra d’ inſedeli e barbareſca
     Doue mai non ſi va ſenza ſoſpetto,
     Non e periglio alcuno, onde non eſca
     Co ql ſuo corno, e n’ ha moſtrato effetto
     E de i compagni ſuoi pigliamo cura
     Ch’ai mar ſuggia tremando di paura.

[99]
A piena vela ſi cacciaron lunge
     Da la crudele e ſanguinoſa ſpiaggia:
     E poi che di gra lúga non li giunge
     I.’horribil ſuo ch’a ſpauétar piu gli haggia,
     Inſolita vergogna ſi gli punge
     Che coiti’ un fuoco a tutti il viſo raggia
     l.’un non ardiſce a mirar l’altro, e ſtaffi,
     Triſto ſenza parlar con gliocchi baffi,

[100]
Paſſa il Nocchiero al ſuo viaggio intéto
     E Cypro, e Rhodi, e gin p l’onda Egea.
     Da ſé vede ſuggire iſole cento
     Col periglioſo capo di Malea.
     E con propitio & immutabil vento
     Aſconder vede la Greca Morea,
     Volta Sicilia e per lo mar Tyrrheno
     Corteggia de V Italia il lito ameno.

[101]
E fopra Luna vltimamente ſorſè
     Doue laſciato hauea la ſua famiglia,
     Dio ringratiando che’l pelago corſe
     Senza piú dano, il noto lito piglia,
     Quldi vn Nochier trouar p Fracia ſciorſe
     Ilqual di venir ſeco li conſiglia:
     E nel ſuo legno anchor quel di montare
     Et a Marfilin in breue ſi trouaro.

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[102]
Quiui non era Bradamante allhora
     C hauer Iblea gouerno del paeſe,
     Che ſé vi foſſe, a far ſeco dimora
     Gli hauria sforzati con parlar corteſe.
     Sceſer nel lito, e la medeſima hora
     Da i quattro cauallier congedo preſe
     Marphiſa, e da la donna del Sehiaggio
     E piglio alla ventura il ſuo viaggio.

[103]
Dicendo che lodeuole non era
     Ch’ andaſſer tanti cauallieri inſieme
     Ch gli Storni e i Colobi vano in ſchiera
     I Daini e i Cerui e ogn’ animai che teme
     Ma l’audace Falcon l’Aquila altiera,
     Che ne l’aiuto altrui non metton ſpeme
     Orſi, Tygri, Leon, ſoli ne vanno
     Che di piú ſorza alcu timor non hanno

[104]
Neſſun de glialtri ſu di quel penſiero
     Si ch’a lei ſola tocco a far partita:
     Per mezo i boſchi, e per ſtrano ſentiero
     Dunqs ella ſé n’ andò ſola e romita,
     Griphone il biáco, & Aquilante il nero
     Pigliar con glialtri duo la via piú trita,
     E giunſero a vn cartello il di ſeguente
     Doue albergati fur corteſemente.

[105]
Corteſemente dico in apparenza
     Ma toſto vi ſentir contrario effetto:
     Che’l Signor del cartel, beniuolenza
     Fingendo e corteſia, lor de ricetto:
     E poi la notte che ſicuri ſenza
     Timor dormian, gli ſé pigliar nel letto:
     Ne prima li laſcio, che d’ offeruare
     Vna coſtuma ria: li ſé giurare.

[106]
Ma vo ſeguir la bellicoſa donna
     Prima Signor, che di coſtor piú dica,
     Paſſo Druenza il Rodano e la Sonna
     E venne a pie d’una montagna aprica,
     Quiui lungo vn torrente, in negra gOna
     Vide venire vna femina antica:
     Che ſtalica e laſſa era di lunga via
     Ma via piti afflitta di malenconia.

[107]
Queſta e la vecchia che ſolea ſeruire
     A i malandrin nel cauernoſo monte.
     La doue alta giuſtitia ſé venire
     E dar lor morte il Paladino Cote:
     La vecchia che timore ha di morire
     Per le cagion che poi vi faran conte,
     Giá molti di va per via oſcura e foſca
     Fuggendo ritrouar chi la conoſca.

[108]
Quiui d’eſtrano cauallier ſembianza
     L’hebbe Marphiſa all’habito e all’arnefe
     E per ciò non ſuggi coni’ hauea vſanza
     Fuggir da glialtri ch’eran del paeſe:
     Anzi con ſicurezza e con baldanza
     Si fermo al guado, e di lontan l’attefe
     Al guado del torrente oue trouolla,
     La vecchia le vſci incontra e ſalutolla.

[109]
Poi la prego che ſeco oltr’a quell’acqj
     Ne l’altra ripa in groppa la portaſſe,
     Marphiſa che gentil ſu da che nacque
     Di la dal liumicel ſeco la traſſe,
     E portarla anch’ un pezzo non le ſpiacqj
     Fin ch’a miglior camin la ritomaſſe,
     Fuor d’ú gra fango, e al ſin di ql ſentiero
     Si videro all’incontro vn caualliero.

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[110]
Il caualier ſu ben guernita fella
     Di lucide arme e di bei panni ornato
     Verſo il fiume venia da una donzella
     E da un ſolo ſcudiero accompagnato,
     La Donna e’ hauea ſeco era assai bella
     Ma d’altiero ſembiante, e poco grato,
     Tutta d’orgoglio e di faſtidio piena
     Del cauallier ben degna che la mena.

[111]
Pinabello vn de conti Maganzeſi
     Era quel cauallier ch’ella hauea ſeco,
     Quel medeſmo che diazi a pochi meſi
     Bradamante gitto nel cauo ſpeco,
     Quei ſoſpir, quei ſingulti coſi acceſi:
     Quel pianto, che lo ſé giá quaſi cieco,
     Tutto ſu per coſtei e’ hor ſeco hauea
     Che’l Negromante allhor gli ritenea.

[112]
Ma poi che ſu leuato di fu’l colle
     l’incantato caſtel del vecchio Atlante:
     E che potè ciaſcuno ire oue volle
     Per opra e per virtú di Bradamante:
     Coſtei, ch’agli dilli facile e molle
     Di Pinabel ſempre era ſtata inante,
     Si torno a lui & in ſua compagnia
     Da un cartello ad vn’ altro hor ſene giá,

[113]
E ſi come vezzoſa era e mal vſa
     Quando vide la vecchia di Marphiſa
     Non ſi potè tenere a bocca chiuſa
     Di non la motteggiar con beſſe e riſa:
     Marphiſa altiera appreſſo a cui nO svita
     Sentirſi oltraggio i qual ſi voglia guiſa,
     Riſpoſe d’ira acceſa alla Donzella
     Che di lei quella vecchia era piú bulla.

[114]
E ch’ai ſuo cauallier volea prouallo
     Con patto di poi torre a lei la gonna
     E il palaſren e’ hauea, ſé da cauallo
     Gittaua il cauallier di ch’era donna:
     Pinabel che faria tacendo fallo
     Di riſponder con l’arme non aſſonna
     Piglia lo ſcudo e l’haſta, e il dſtrier gira
     Poi vien Marphiſa a ritrouar con ira.

[115]
Marphiſa incòtra vna gra lancia afferra
     E ne la viltá a Pinnabel l’arreſta:
     E ſi ſtordito lo riuerſa in terra
     Che tarda vn’hora a rileuar la teſta:
     Marphiſa vincitrice de la guerra
     Fé trarre a quella gioitane la veda,
     Et ogn’ altro ornamento le ſé porre
     E ne ſé il tutto alla ſua vecchia torre.

[116]
E di quel giouenile habito volſe
     Che ſi veſtiffe e ſé n’ornaffe tutta,
     E ſé che’l palaſreno ancho ſi tolſe
     Che la giouane hauea quiui condutta,
     Indi al preſo camin con lei ſivolſe
     Che quat’ era piú ornata era piú brutta
     Tre giorni ſé n’andar p lunga ſtrada
     Senza far coſa onde a parlar m’accada.

[117]
Il quarto giorno vn cauallier trouaro
     Che venia in fretta galoppando ſolo,
     Se di ſaper chi ſia ſorſè v’e caro
     Dicoui ch’e Zerbin di Re ſigliuolo,
     Di virtú eſempio e di bellezza raro:
     Che ſé ſteffo rodea d’ ira e di duolo
     Di non hauer potuto far vendetta
     D’un ch glihauea gra corteſia iterdetta.

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[118]
Zerbino indarno per la ſelua corſe
     Dietro a ql ſuo ch glihauea fatto oltraggio
     Ma ſi a tépo colui ſeppe via torſe
     Si ſeppe nel ſuggir prender vantaggio
     Si il boſco e ſi vna nebbia lo ſoccorſe
     C’hauea offuſcato il matutino raggio
     Che di man di Zerbin ſi leuo netto
     Fin che l’ira e il furor gl’uſci del petto.

[119]
Nò potè, anchor che Zerbin foſſe irato
     Tener, vedendo quella vecchia, il riſo,
     Che gli parea dal giouenile ornato
     Troppo diuerſo il brutto antiquo viſo,
     Et a Marphiſa che le venia a lato
     Diſſe, guerrier tu fei pien d’ ogni auiſo
     Che Damigella di tal ſorte guidi
     Che non temi trouar chi te la inuidi.

[120]
Hauea la Donna (ſé la creſpa buccia
     Può darne indicio) piú de la Sibylla,
     E parea coſi ornata vna Bertuccia
     Quado per muouer riſo alcun veſtilla,
     Et hor piú brutta par, che ſi coruccia
     E che da gliocchi l’ira le sfauilla,
     Ch’ a donna non ſi fa maggior diſpetto,
     Ch qn o vecchia o brutta le vien detto.

[121]
Moſtro turbarſe l’inclyta donzella
     Per prenderne piacer come ſi preſe,
     E riſpoſe a Zerbin, mia Donna e bella
     Per Dio via piú che tu non fei corteſe,
     Come ch’io creda, che la tua fauella
     Da quel che ſente l’animo non ſcefe
     Tu fingi non conoſcer ſua beltade
     Per efeufar la tua ſomma viltade.

[122]
E chi faria quel cauallier, che queſta
     Si giouane e ſi bella ritrouaſſe
     Senza piú compagnia ne la foreſta
     E che di farla ſua non ſi prouaſſe?
     Si ben (diſſe Zerbin) teco s’ affeſta
     Che faria mal ch’alcun te la leuaſſe,
     Et io per me non ſon coſi indiſereto
     Che te ne priui mai, ſtanne pur lieto.

[123]
S’ in altro conto hauer vuoi a far meco
     Di quel ch’io vaglio ſon p farti moſtra,
     Ma per coſtei, non mi tener ſi cieco
     Che ſolamente far voglia vna gioſtra,
     O brutta o bella ſia, reſtifi teco
     Non vo partir tanta amicitia voſtra,
     Ben vi ſete accoppiati, io giurerei
     Com’ella e bella tu gagliardo fei.

[124]
Suggiuſe a lui Marphiſa, al tuo diſpetto
     Di leuarmi coſtei prouar conuienti,
     Non vo patir ch’un ſi leggiadro aſpetto
     Habbi veduto, e guadagnar noi tenti,
     Riſpoſe a lei Zerbin, nò ſo a ch’effetto
     l’buoni ſi metta a periglio e ſi tormenti
     Per riportarne vna vittoria poi
     Che gioui al vinto: e al vincitore annoi.

[125]
Se non ti par queſto partito buono
     Te ne do vn’ altro e ricuſar noi dei
     Diſſe a Zerbin Marphiſa: che s’io ſono
     Vinto da te, m’habbia a reſtar coſtei,
     Ma s’ io te vinco, a ſorza te la dono,
     Dunqj prouian chi de ſtar ſenza lei,
     Se perdi conuerra che tu le faccia
     Copagnia femp, ouúqj andar le piaccia.

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[126]
E coſi ſia Zerbin riſpofe, e volſe
     A pigliar campo ſubito il cauallo:
     Si leuo ſu le ſtaffe: e ſi raccolſe
     Fermo in arcione: e per non dare in falli
     Lo ſcudo in mezo alla donzella colſe:
     Ma parue vrtaſſe vn monte di metallo:
     Et ella in guiſa a lui tocco l’elmetto
     Che ſtordito, il mando di fella netto.

[127]
Troppo ſpiaccu a Zerbin l’effer caduto
     Ch’ in altro ſcotro mai piú nò gli MiuGne
     E n’ hauea mille e mille egli abbattuto
     Et a perpetuo ſcorno ſé lo tenne:
     Stette per lungo ſpatio in terra muto
     E piú gli dolſe poi che gli ſouenne
     C hauea promeſſo e che gli conuenia
     Hauer la brutta vecchia in compagnia.

[128]
Tornando a lui la vincitrice in fella
     Diſſe ridendo queſta t’apprefento:
     E quanto piú la veggio e grata e bella
     Tanto che’lla ſia tua, piú mi contento,
     Hor tu in mio loco fei campion di quella
     Ma la tua ſé non ſé ne porti il vento,
     Che per ſua guida e (corta tu non vada
     (COe hai pmeſſo) ouuqj adar l’aggrada.

[129]
Senza aſpettar riſpoſta vrta il deſtriero
     Per la foreſta, e ſubito s’imbofea:
     Zerbin che la ſtimaua vn caualliero
     Dice alla vecchia, fa ch’io lo conoſca:
     Et ella non gli tiene aſcoſo il vero
     Onde fa che lo’ncende e che l’attoſea
     Il colpo ſu di man d’una donzella
     Che t’ ha fatto votar (diſſe) la fella.

[130]
Pel ſuo valor Coſtei debitamente
     Vſurpa a cauallieri e ſcudo, e lancia:
     E venuta e pur dianzi d’ Oriente
     Per aſſaggiare i Paladin di Francia,
     Zerbin di queſto tal vergogna ſente
     Che non pur tinge di roſſor la guancia
     Ma reſto poco di non farſi roſſo
     Seco ogni pezzo d’ arme e’ hauea i doſſo.

[131]
Monta a cauallo e ſé ſteffo rampogna
     Che non ſeppe tener ſtrette le coſcie,
     Tra ſé la vecchia ne ſorride, e agogna
     Pi (Umiliarlo, e di piú dargli angofee
     Gli ricorda ch’andar ſeco biſogna
     E Zerbin ch’ubligato ſi conoſce
     L’orecchie abbaſſa eoe vintoe ſtáco
     Deſtrier e’ ha i bocca il fre, gli ſproi alfiaco.

[132]
E ſoſpirando, ohimè Fortuna fella
     (Dicea) che cabio e queſto che tu fai?
     Colei che ſu fopra le belle bella
     Ch’effer meco douea, leuata m’hai.
     Ti par ch’in luogo, & in riſtor di quella
     Si debba por coſtei e’ hora mi dai?
     Staro in dano del tutto era men male
     Che fare vn cambio tanto diſeguale

[133]
Colei che di bellezze e di virtuti
     Vnqua non hebbe, e no haura mai pare:
     Sommerta e rotta tra gli ſcogli acuti
     Hai data a i peſci & agli augei del mare:
     E coſtei che douria giá hauer paſciuti
     Sotterra i vermi, hai tolta a perſeruare.
     Dieci o venti anni piú che non deueui
     Per dar piú peſo a gli mie’ affanni greui.

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[134]
Zerbin coli parlaua, ne men triſto
     In parole e in ſembianti eſſer parea
     Di queſto nuouo Mio ſi odioſo acquieto,
     Che de la donna, che perduta hauea,
     La vecchia, anchor che nò haueſſe ritto
     Mai piú Zerbin, per quel e’ hora dicea
     S’ auuide eſſer colui di che notitia
     Le diede giá Iſlabella di Galitia.

[135]
Sei vi ricorda quel e’ hauete vdito
     Cortei da la ſpelonca ne veniua:
     Doue Iſlabella che d’Amor ferito
     Zerbino hauea, ſu molti di captiua:
     Piuvolte ella le hauea giá riferito
     Come laſciaffe la paterna riua:
     E come rotta in mar da la procella
     Si ſaluaſſe alla ſpiaggia di Rocella.

[136]
E ſi ſpeffo dipinto di Zerbino
     Le hauea il bel viſo, e le fattezze conte:
     C hora vdendol parlare, e piú vicino
     Gliocchi alzadogli meglio ne la ſronte,
     Vide eſſer quel, p cui ſempre meſchino
     Fu d’ Iſſabella il cor nel cauo monte,
     Che di non veder lui, piú ſi lagnaua
     Che d’ eſſer fatta a i Malandrini ſchiaua.

[137]
La vecchia dando alle parole vdienza
     Ch co ſdegno e co duol Zerbino verſa:
     S’auede ben, ch’egli ha falſa credenza
     Ch ſia Iſſabella i mar rotta e ſommerſa:
     E bè ch’ella del certo habbia ſcienza
     Per non lo rallegrar, pur la peruerſa
     Quel che far lieto lo potria: gli tace
     E ſol gli dice quel, che gli diſpiace.

[138]
Odi tu (gli ditte ella) tu che fei
     Cotáto altier che ſi mi ſcherni e ſprezzi:
     Se ſapeſſi che nuoua ho di coſtei
     Che morta piangi ini fareſti vezzi.
     Ma piú toſto che dirtelo torrei
     Che mi ſtrozzaffi: o feſſi in mille pezzi,
     Doue s’ eri ver me piú manſueto
     Forſè aperto t’ haurei queſto ſecreto.

[139]
Come il maſtin che con furor s’ auenta
     Adoſſo al ladro, ad achetarſi e preſto
     Che quello o pane o cacio gliappſenta
     O che fa incanto appropriato a queſto:
     Coſi toſto Zerbino numi] diuenta
     E vien bramoſo di ſapere il reſto:
     Che la vecchia gli accèna che di quella
     Che morta piange, gli fa dir nouella.

[140]
E volto a lei con piú piaceuol faccia
     La ſupplica, la prega, la ſcongiura
     Per glihuomini, p Dio, che nò gli taccia
     Quato ne ſappia o buona o ria vetura:
     Coſa non vdirai che prò ti faccia
     Diſſe la vecchia pertinace e dura:
     Non e Iſſabella, come credi, morta
     Ma viua ſi, ch’a morti inuidia porta.

[141]
E capitata in queſti pochi giorni
     Che no n’udiſti, in man da piú di venti,
     Si che qualhora ancho in ma tua ritorni
     Ve ſé ſperar di corre il fior conuienti.
     Ah vecchia maladetta, come adorni
     La tua menzogna, e tu fai pur ſé nienti.
     Se ben in man de venti eli’ era ſtata
     . Non I’ hauea alcun perho mai violata.

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[142]
Doue l’hauea veduta domandolle
     Zerbino, e quando, ma nulla n’inuola,
     Che la vecchia oſtinata piū non volle
     A quel e’ ha detto aggiūgere parola,
     Prima Zerbin le fece vn parlar molle
     Poi minacciolle di tagliar la gola,
     Ma tutto e i van ciò che minaccia e pga:
     Che non può far parlar la brutta ſtrega.

[143]
Laſcio la lingua all’ultimo in ripoſo
     Zerbin, poi che’l parlar gli gioito poco:
     Per quel ch’udito hauea, tanto geloſo
     Che non trouaua il cor nel petto loco:
     D’Isabella trouar ſi diſioſo
     Che faria per vederla ito nel fuoco,
     Ma non poteua andar piū che voleſſe
     Colei, poi ch’a Marphiſa lo promeſſe.

[144]
E quindi per ſolingo e ſtrano calle
     Doue a lei piacqj ſu Zerbin condotto,
     Ne per o poggiar mote o ſcender valle,
     Mai ſi guardaro in faccia, o ſi ſer motto,
     Ma poi ch’ai mezo di volſe le ſpalle
     Il vago Sol, ſu il lor ſilentio rotto
     Da un cauallier che nel camin ſcontraro
     Outl che ſegui, ne l’altro cāto e chiaro