Pandemonio/Parte V. Avvenimenti mondiali fra Calabria e Sicilia/Gioia, dolore, morte

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Parte V. Avvenimenti mondiali fra Calabria e Sicilia - Gioia, dolore, morte

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GIOIA, DOLORE, MORTE


27 Decembre 1908, sera e notte della Domenica.

Dalle coste della Calabria e dall’opposta della Sicilia, in cento paesi, in molte città, d’ogni parte s’andavano spegnendo i lumi come lucciole fra i cespugli dopo le nozze. Si spegnevano dopo la festa e i banchetti che si sogliono fare a natale.

Trecentomila persone si può dire riposano. Pochi i desti e forse tra quelli alcuni i cui nervi, vibranti, già sentono correnti sconcertate.

Ma i più in sonno profondo, con un’aureola di piacere forse, per la serata festiva goduta. E come gli uomini gli animali.

Molti si sentono questa notte più tenaci alla vita pel godimento della giornata trascorsa. Le madri addormentarono i bambini fantasticando del loro avvenire felice. Altre, prima di prender sonno, pensarono forse alle nozze prossime o lontane delle figliuole.

Tale l’attimo tremendo.

Sono le 5 e 20 minuti e la terra si scuote in ogni verso. Il tuono è incessante, come se tutto il cielo si arrovesci sulla terra e pesante, pesante v’incomba. Come se tutte le acque del mare s’inalzino unite nella volontà di sfondare il cielo.

Poi un nuvolo di polvere. Le fiamme del gas divampano, scoppiano i tubi. Incendj come se tanti vulcani s’aprissero nella terra.

Un grido universale; quasi in un cimitero immane i morti destatisi, ricercantisi tra loro, volessero risorgere dalle grevi sepolture. [p. 369 modifica]

Indi silenzio: una voragine nel nulla. E ciò in pochi secondi.

Mille e mille accorrono al lido, nudi e piagati, portando corpi esangui o morti.

E l’aria viene sferzata dalla pioggia fredda, greve, micidiale, maledetta che martoria i fuggenti.

E i sussulti si rinnovano fino a che tutto non sia crollato.

Una colonna di fumo nerissimo si ripiega dagli incendj e ricopre la vasta distruzione.

Il mondo intero freme d’orrore e s’appresta a soccorrere.

Quale slancio umanitario spontaneo, quale fiamma di carità si elevò da ogni regione, da ogni gente, e ricca e poverissima, e fe’ accorrere al disastro italiano del cataclisma Calabro-Siculo!

Sì fatto pronto magnanimo intervento generale a provvedere dal cuore, col danaro, colle persone alla moltitudine delle vittime sui luoghi della catastrofe mai s’era visto ancora in nessuna consimile sciagurata occasione.

Fu effetto di telepatia? Certo il terrore, la disperazione, l’agonia di trecentomila individui umani lottanti fra le rovine, invocanti ajuto da un aperto sepolcro, ed anche il disperato terrore di un numero immenso d’animali urlanti furiosi, ebbe un’ascosa potente forza d’appello all’universo.

Poveri animali! Molto più corto il martirio nei macelli, anche il dissanguamento del macellare usato dagli Ebrei per far piacere a Geova prima che si ponga a mensa. (Imbavagliatemi e allora non farò più di queste uscite). [p. 370 modifica]

Sì, il grido del tormento di tanti esseri viventi deve aver mosso le onde in tutti i sensi; le onde ancora ignote, intime, eteree forse, nascoste, onde nuove X, onde del senso, perchè tutto è continuità nell’universo.

Altri movimenti, non fenomeni sismici, vengono registrati in tanti osservatorj lontani migliaia di chilometri.

Certo in tutto questo lavorio della natura vi è ancora un’incognita. Ma le onde scompigliate così da disegnare una matassa arruffata, inestricabile, complicato in esse un non so che di dolore, di vertigine, come forse negli effetti i nervi ribelli di un disperato o di un pazzo furioso, le onde, ripeto, turbinando quasi fuggivano da quel disastro; le une sopraffatte dalle altre, coinvolgendosi convulse come turbe investite da timor panico, si salvi chi può, si premono e calpestano, si sopraffanno, si accavallano.

E quanti arcani ancora! Un infusorio non è un arcano come la Via Lattea, l’anima grande dell’universo?

Qui, per dire meglio il mio pensiero, riproduco alcuni miei versi pubblicati per Guglielmo Marconi:

               Quando l’etere fia tutto pensante
          Sulla terra e pe’ mari, intelligenza
          Allora avran con noi stelle e pianeti
          Rese per sè vocali altre onde ascose?
          Sì, tentato n’andrà pur l’infinito
          Dove naufraghi vanno e spazio e tempo.
          Dunque una vita sol sarà il creato,
          Una famiglia, e intenderà una voce.
          E il tuo solo voler onde il tuo spirto

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          Sorprese il vuoto e rivelò ch’è un ente
          Che lavora e non posa e tutto sente.
          — Ben veglia un genio ognor sull’universo. —


Qualche legge recondita che unisce il genere umano, forse per la prima volta si svolse al mondo, divenne necessità fra gli individui di tante nazioni. Onde dunque di commozione furono e veramente mondiali, dappertutto spontanee, contemporanee, magnanime.

Però a me non è dato di raccontare che ciò che successe a Vienna, ove dimoro, e cui in parte io stesso vidi e sentii.

Precisamente il dì dopo i telegrammi recarono le notizie certe, che sbalordirono e poi infusero in tutti il bisogno di soccorrere in ogni guisa; le oblazioni fioccarono. Vi fu un concorso da tutte le parti della vastissima metropoli.

Non avvenne per suggestione, fu un movimento subitaneo, individuale, non iniziato da alcuno. Era una ressa alle banche, alle direzioni dei giornali d’ogni colore.

Due giorni dopo la catastrofe, cioè il 30 Decembre, si formò come per generazione spontanea, un comitato di grandi, ossia magnati con la divisa: chi da subito, dà due volte. E le somme eran già tali che stabilirono di accettare l’offerta ispirata dell’instancabile capo medico tedesco Charas, della società viennese volontaria di pronto soccorso per casi urgenti, delle tre cucine ambulanti e un furgone, con un cuoco. Il quale per caso si trovò già ad essere stato cuoco di cartello, sicchè potè accomo[p. 372 modifica]dare le vivande secondo il gusto del paese per quella povera gente atterrata.

Per due mesi, come il miracolo dei pani e dei pesci che saziarono le turbe non fameliche nè profughe, le dette cucine distribuirono gratis agli affamati fuggiaschi a Catania, da prima diffidenti di dover pagare, carne e non pesce. E furono rimeritati di rispetto, riverenza, amore.

Anche durante il soggiorno a Catania e nel passaggio per giungervi quante amicizie nacquero fra Tedeschi e Italiani! E qui non riporto aneddoti simpatici e commoventi perchè già vennero abbondantemente pubblicati, ma sì uno grazioso perchè dimostra come nel popolo è connaturato e duraturo il ricordo, anche senza monumenti di 60 milioni confessati: un berretto rosso, distintivo degli addetti della società, lo chiamarono Garibaldi.

Furono mandati indumenti e viveri raccolti da quanti volontariamente li offersero e distribuiti subito sul posto a coloro che avevano perso tutto. Così il Governo avrebbe dovuto fare.

Per recarsi sul luogo si mosse anche dal suo palagio, nel cuore di questo crudo inverno, il settantenne conte Wilczek, uno dei grandi e ricchi magnati e dei fondatori della società.

Quanti esempj e dovunque!

Noto, da Triestino, che a Trieste, mentre un carro della beneficenza pei danneggiati del terremoto, guidato da studenti, passava per una via, un povero operajo che tornava dal lavoro, non avendo altro, si tolse la giacca e la gittò nel carro sul monte delle altre robe e vecchie e nuove che piovevano da tutte [p. 373 modifica]le parti. Così una popolana diede il fazzolettone che si levò dalle spalle. La passeggiata fu organizzata e diretta dagli studenti, essi stessi guidatori e raccoglitori.

E riprendo:

Fu un vero bene che la burocrazia e quella brutta arpia del suo fisco e la gelosia del governo temente che altri facessero senza il suo ordine, non poterono porre ostacoli al viaggio di tutto questo treno benefico, come poi misero bastoni tra le ruote ad altri convogli da parecchie città del Regno.

Sulle ferrate austriache e sulle italiane il passaggio di tutti e di tutto fu gratuito. Ma giunto il treno con le cucine a Cormons, confine fra l’Austria e l’Italia, i doganieri volevano registrare ogni cosa, ogni arnese, ogni suppellettile, ogni chiodo, e la vaporiera fumava e si gridava: partenza, partenza! Soltanto l’energia del D.r Charas scongiurò la minaccia della situazione e poterono passare.

Mente, anima e cuore del movimento e lavoro senza riposo a Vienna fu un nostro Italiano, il triestino Ermanno Gentilli, direttore generale di una vasta società di assicurazioni. Esso, oltre le cure di suo ufficio, si sobbarcò volonteroso al nuovo carico, sacrificando tempo, quiete, dolcezze di vita di famiglia. Si fece non solo tesoriere, per incassare e custodire e mandare il danaro raccolto, ma vero elemosiniere; e da buon amministratore seppe tesoreggiare, far abilmente fruttare quanto veniva versato, così da non lasciar passare occasione di moltiplicare ogni anche menomo obolo. Diede ordine, come presidente, che la cassa del suo ufficio, situato [p. 374 modifica]in un punto centrale, rimanesse accessibile e col personale a disposizione del pubblico fino a ora tarda, quando ognuno avesse libertà di entrare. Così il cuore e la vasta mente gli suggerirono.

Ebbe il Gentilli il merito di intuire, dirò, la psicologia di questo plebiscito di carità, vero filo d’oro di fratellanza tra popoli. Tanto più volontieri faccio il nome di lui. Se tutti gli istituti avessero agito del pari, ci sarebbe da segnalare un poema della carità.

Il Gentilli poi fece affiggere sui mercati cartelloni giganteschi, con grande orlatura nera, per far richiamo ai soccorsi, quando già questi eran partiti in copia ed affluite le oblazioni volontarie. Ma quei cartelloni dall’orlo nero avevano un aspetto lugubre che aumentava il lutto della città; parevano partecipazioni mortuarie dei periti al popolo della città dai due milioni e mezzo.

Il Gentilli non mise mai innanzi il proprio nome, ed è perciò che io lo pubblico qui adesso.

Ed ecco molti esempj di questo subitaneo amore all’Italia in fatti che successero nell’ambiente della banca, dove non veniva tenuto registro del danaro che si versava ai giornali. Peccato!

Ma prima e da narrarsi uno splendido atto di eroismo a Pilsen, atto che è in sè veramente sublime. Esso, come un profondo spiro d’aria pura, pare allarghi il cuore.

Una povera lavoratrice ebbe scalpita da una macchina la cotenna del capo.

L’ospitale di costà promise 600 corone, dato si trovasse chi fosse disposto a lasciarsi levare parte [p. 375 modifica]della pelle del pericranio, un brano cioè di pelle pilosa per rinnovare e risarcire il cranio denudato dell’operaja dallo strappo fattole dalla macchina.

Il caso, se anche non nuovo — fu prima l’Italiano Tagliacozzi che fece di tali operazioni, pel naso, — è sempre interessante ai chirurgi, per la scienza d’ulteriori esperimenti; dico il caso di risarcire parti lese o morte d’un individuo con le vive e sane di un altro; ciò che in America fu detto «trapiantazione.»

Si offrirono all’uopo tre fanciulle. Fu eseguita sovr’esse l’operazione, certo dolorosa e più ancora tale da sgomentare la fantasia delle pazienti, per la novità singolare a coloro che ignorano i progressi della scienza.

I medici volevano sborsare il prezzo del dolore, cioè le 600 corone alle tre che diremmo sorelle d’amore. «No, no! Sieno devolute ai colpiti dal terremoto!!»

E qui cominciano le caritatevoli note di Vienna, città che in beneficare ebbe sempre il cuore d’oro.

Le offerte di 5000, 2000, 500 corone furono moltissime; e notate, in grandissima parte anonime e non rivelate poscia con quella ipocrita modestia che mette ancora più in vista. Quanti vollero restar davvero sconosciuti tra coloro che diedero non anonimi e in pompa!

Ma un dono fece particolare impressione, anzi commosse l’intera città già tanto commossa.

Una giovinetta dimessamente vestita s’accostò timida e mise sul tavolo delle offerte una catenella da orologio d’argento dorato, sospirando: «Non ho [p. 376 modifica]altro!» E fuggì e non se ne seppe più. La catenella fu valutata quattro corone. Ma il Gentilli, da ingegno aurifero, accogliendo la bella idea del suo domestico, la mise al lotto fra gli impiegati della banca e i conoscenti, ricavandone la bella sommetta di novanta corone.

Ah, anch’io la ebbi in mano quella catenella e non me ne poteva staccare.

Che tenue cosa! Carina, carina nell’umiltà del lavoro, già calcolato dall’orefice per chi, meschino, non può spendere. C’era appeso a pendaglio un coricino e un altro gingillo. Poi scopersi che v’erano stati aggiunti, come di furto, due sottili orecchini composti di tre modeste turchine che parevano nascondersi, forse gli orecchini che la fanciulla si trovò in dosso quando si sentì vinta dalla compassione per le vittime del terremoto. Certo quel vezzo era un ricordo, e se fino a quel momento non se ne era privata voleva dire che le era caro. Doppio sacrificio. Ma io sentii che in quel nonnulla v’era una storia, un segreto commovente.

Possa la fanciulla che porterà la catenella avere bene, e come fornita d’un amuleto — espressione di superstizione che adopero solo per farmi intendere — d’altruismo, beare un giorno l’uomo del suo cuore e lasciarla poi ai figli, che se ne ricorderanno quando forse i popoli, levati gli ostacoli, si saranno affratellati tutti quanti, di ogni condizione!

Nei miei bei tempi io, sempre proclive ad amare ignote e defunte, avrei potuto innamorarmi con furore della incognita donatrice e mettermi a ricercarla fra i due milioni e mezzo di questa città. [p. 377 modifica]

Nel contemplare quell’offerta emerse dalla mia memoria il canto di Luigi Mercantini «Elisa»; una povera giovane bolognese che vedendo tutti gli altri accorrere alle oblazioni per la patria, diceva di sè stessa:

                    Tutti là recan doni,
                    Io sola, poveretta,
                    Cosa non ho che metta
                    Sull’ara dell’amor.

E mi ricordava i tempi del 48, a Bologna, ove eravamo col Battaglione Universitario Romano, e del giorno in cui questa fanciulla povera non avendo altro che l’onda delle sue chiome, se le fece tagliare. In un momento di santo entusiasmo il padre Ugo Bassi l’abbraccio.

E i clericali gridarono allo scandalo. Perchè mai fino allora, nessun prete o frate ebbe abbracciato una donna.

Così a Bologna, nel bacino delle offerte, accanto a quella chioma, anelli, orologi, bottoni d’argento, medaglie d’oro vennero gittate da tante e da tanti che soddisfatto all’obolo fuggivano poi.

E a proposito dell’incognita dileguatasi, osservo che certe anime solitarie bastano a se stesse, sono quasi uno sdoppiamento di sè medesime, una prima operante, l’altra osservante.

Russa, quella fanciulla avrebbe fatto come la così detta donna di Kasan, che rimase eroina anonima. Il primo marzo del 1908 furono mandate alla forca da una corte marziale di Pietroburgo 67 persone per attentato non provato ma presunto. Due di loro non [p. 378 modifica]vollero svelare il proprio nome: il Lebedentziff, che fu creduto Mario Calvino, italiano, e colei che fu segnalata solo come la donna di Kasan.

Anche fra i militi del Battaglione Universitario Romano 1848, fra tanti che non ricordo, due, De Rossi e Donzelli, si scostavano talora dai compagni. Compivano azioni spesso eroiche, e ritornati non ne fiatavano. Benchè sia naturale, non vanto, ma compiacenza il narrar di cosa oprata in danno dei nemici.

Anzi al Donzelli, col quale mi trovai alla commemorazione di Cornuda nel 1898, cioè fuori, perchè i banchettanti non ci lasciarono entrare, dissi di raccontarmi qualche cosa. Non volle. «Mi basta di aver fatto.»

Seguitiamo a veder comparire alla cassa dell’ufficio i minori e i minimi, poichè fu un accorrere di popolane e popolani del mercato fino a tarda sera.

Entro una donna con un gran paniere, e gl’impiegati credettero venisse a domandare soccorsi per sè. Preso fiato, trasse di sotto il vecchio paniere una cartella di mille corone e si voltò per uscire. «Ah! il nome, il nome, il nome!» si gridò. «Non importa: una vecchia Viennese.» E giù per la scala, sparì.

Seimila corone pervennero dai piccoli venditori ambulanti del Prater. Mercanti a cui nessuno richiese mandarono provvidamente scatole di conserve, paste, legumi.

Vennero inviati carichi interi di viveri, vestiti vecchi e nuovi, e tutto fu spedito a Catania.

A certe ore seguiva la processione dei ragazzi delle scuole inferiori col loro zaino sulle spalle. Fi[p. 379 modifica]guravano classi intere e portavano il ricavato della vendita delle loro care raccolte di francobolli. Poi fuggivano per non essere domandati del nome e per non tornar tardi a casa. Poichè operavano a insaputa dei genitori. Proprio parevano i buoni e delicati fanciulli del «Cuore» di Edmondo De Amicis. Davano taluni i loro piccoli risparmi; così le fanciulle. Molti portavano seco il salvadenaro. Moltissime famiglie vollero contribuire, ciascuna del proprio gruzzolo particolare, genitori e figliuoli.

Ma chi potrebbe dire di tutte le manifestazioni di gentilezza e d’amore per un paese quasi ignoto, conosciuto soltanto nel nome della sventura!

Il comitato fin da principio fece pure invito di contribuire ai vescovi e conventi dell’Austria che da secoli arricchiscono sempre più.

Tutti risposero d’aver già mandate a Roma, al Sommo Pontefice, il quale appena appreso il disastro, aveva spedito l’ordine di raccogliere il danaro e d’inviarlo a lui solo.

Piodecimo fu buon tesoriere e prevenne tutti, anzi io, vista la prestezza onde diede il comando di mandare piamente, suppongo che fra tante visioni o apparizioni della Madonna del Carmine, potrebbe aver avuto in sogno pure la visione del terremoto prima che succedesse, e così tenesse pronti i telegrammi di raccogliere il danaro, come l’anno del Giubbileo sotto Bonifacio VIII stavano pronti i chierici con la borsa sui gradini dell’altare, secondo narra G. Vico.

Quanto deve avere guadagnato il papa in questo castigo di Dio per i peccatori di Scilla e Cariddi! Mai però venne detto pei peccati del clero. [p. 380 modifica]

E quanto per consenso all’ordine pontificio sarà stato mandato dai monasteri e dai canonici regolari dell’Austria, che qui, dopo i conventuali russi, sono i più ricchi, miliardarj, e colle loro camere del tesoro potrebbero estinguere tutto il debito pubblico della monarchia.

Come da alcune statistiche fatte prima dell’invasione francese i conventi commercianti, cui Gigione, una vivente cassaforte che ragiona, disse una Provvidenza per l’Italia.

Per finire, una nota amena fra tante tristezze: Si presentarono al comitato impersonato dal Gentilli due monache elegantissime, dai modi aristocratici, affermando che avevano una casa a Roma che accoglieva profughi da Messina. Virilmente fu dato diniego alla loro domanda di danaro. Ma quelle sacre vergini non avevano dunque avuto niente dal papa per sanare il male fatto dal dito di Dio?

Pure Ermanno Gentilli, animo nobile, vero filantropo, fece un errore; uno solo, ma un grande irreparabile errore: esso non mandò direttamente. tutto il mezzo milione di corone — che a tanto in ultimo ascese il danaro — sui luoghi del disastro, secondo l’intenzione degli oblatori. Bensì pagate le spese della spedizione Viennese fermatasi a Catania due mesi, e mandati larghi sussidi a famiglie con la certezza che quelle si trovavano assolutamente brulle, tutto il rimanente del danaro diede nelle branche al governo che già aveva nel suo ventre tanti milioni inviati da tutto il mondo. E non pensò che allora il governo in Italia voleva dire favoritismo, consorteria, lentezza, militarismo, clericalismo, indolenza, ignoranza, come lo provarono i fatti. Per [p. 381 modifica]ogni azione di soccorso il permesso con tanto di bollo.

Indotto forse dal sapere che il Comitato di Roma era presieduto dal duca di Aosta — intimo amico di San Gennaro — e da un Giolitti, affidò ciecamente un tanto ben di Dio. Non ricordò quanto a lui era pur noto, il Panamone di Roma, così giudicato dalla nazione allorchè Giolitti, per coprire lo scandalo ladresco Tanlongo, tentò di dare solennemente una smentita in pieno parlamento accusando di bugiardo Napoleone Colajanni, che aveva scoperto ciò che egli voleva tener celato, trovando un mezzo proprio da Palamidone, quello cioè di voler fare senatore del Regno il Tanlongo.

Qui, in Vienna, un personaggio scommise con un Italiano che in Italia non sarebbe stato più possibile il ritorno d’un Giolitti sulla scena politica, ma pochi anni dopo ei perdette la scommessa.

E Giolitti ne uscì ripotentissimo, chè aveva serbato i postulati di certi individui e delle loro mogli per aver prestiti (sic) dalla banca, onde far eleggere deputati i quali dovevano o dir di sì o tener acqua in bocca; se no, carta canta.

Oh beata costituzione, pura espressione della volontà di tutta la nazione!