Piceno Annonario, ossia Gallia Senonia illustrata/Capitolo II.

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Capitolo II.

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Capitolo I. Capitolo III.
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CAPITOLO II.


Città di Sentino.


Volendo io parlare delle Città distrutte, che rimanevano nel Piceno Annonario, la prima a presentarmisi è Sentino, che fu la più celebre, e la più rinomata nella storia Romana. Della di lei esistenza siamo assicurati da Tito Livio, da Polibio, da Strabone, da Plinio, da Tolomeo, da Dione, da Servio, da Appiano Alessandrino, da Frontino ne’ suoi stratagemmi1, e da Balbo. I ruderi poi, e le molte anticaglie, che si sono ritrovate, e che tuttora si ritrovano nella contrada chiamata le Civite distante circa un miglio dall’inclita Città di Sassoferrato, ci dicono, che ivi essa rimaneva. I moderni antiquarj, cioè il Cluverio, Cellario, Ferrari, Boudrand, Paulo Merula, Leandro Alberti, Tiraboschi, Colucci, e Turchi concordamente convengono, e nel sito da me indicate la collocano. E come può farsi a meno di non ivi fissarla, quando e la tradizione, e le lapidi, nelle quali leggesi il nome della Città, questo ci dicono? Dopo Faleriona del Piceno, io non ho veduto altro luogo così abbondante di memorie, come quello, in cui rimaneva Sentino. I campi sotto seminati di pezzi di marmo, vi si veggono tronche colonne, e nel terreno del sig. Merolli osservai un Musaico, che rappresenta Apollo, che ha d’intorno i dodici segni dello Zodiaco, in mezzo a due alberi. A’ piedi rimane una donna gravida giacente per terra avente un serpente avvolto intorno al collo, che rappresenta la terra, ed intorno ad essa vi sono quattro piccole figure, che rappresentano le stagioni. I segni dello Zodiaco sono disposti in altra maniera, con cui noi ora li numeriamo, mentre sopra la testa della Primavera rimane l’Ariete, e seguono poscia con quest’ordine Saggittario, Libra, Scorpione, Capricorno, Aquario, Tauro, Pesci, Gemini, Cancro, Leone, Vergine. Questo fu venduto pel prezzo di mille, e cinquecento scudi al Principe Eugenio Ex Vice-Re d’Italia, ed un’altro, che rappresenta [p. 20 modifica]il mare con molti pesci, rimane invenduto. Il vero nome fu Sentinum, e Sentinates, come ci dicono le lapidi, che riporterò. Osserviamo da chi lo prese.

Sentino, e Vitumno eran Dei, che presedevano alle donne parturienti, e che davano il senso, e la vita a’ Bambini, come rilevasi da Tertulliano, da s. Agostino2, e da Tommaso Bartolini3. Senta, detta ancora Dea bona, Fauna, Fatua a fando, e dagli Augurj, da cui presero il lor nome le Fate, fu una Dea secondo Varrone così pudica, che niun uomo mai potè vederla, e perciò le donne a lei sacrificavano in luoghi segreti, e chiusi, e Cicerone4 chiama Opertum Bonæ Deæ quel genere di sacrificio, che si faceva dalle sole donne in luoghi secreti, ai quali non potevano intervenire gli uomini: familiarissimus tuus de te prilegium tulit, ut si opertum Bonæ Deæ accesisses, exulares. Forse questa Città prese il nome da qualche tempio, che ivi rimaneva, dedicato al Dio Sentino, o alla Dea Senta? Io credo di nò: e penso, che lo prese dal fiume Sentino, che la bagnava. E questo fiume, perchè così fu detto? Perchè fuori delle mura dell’antica Città depositano in esso nel medesimo sito da una parte il fiume detto Sanguirone, e dall’altra il fiume Marena le loro acque, lo che è una cosa bella a vedersi, e sorprende. Siccome la parte inferiore delle Navi fu chiamata Sentina, perchè in essa si uniscono tutte le immondezze; così il fiume, di cui parlo, fu chiamato Sentino, perchè nel sito stesso accoglie tutte le acque, che vengono da vicini Monti, e quelle del Sanguirone e del Marena. Questa Città fu Municipio, e fu ascritta alla Tribù Lemonia per dare il suffragio ne’ Romani comizj, come impariamo dalle lapidi, che in appresso riporterò.

Fu ancor Colonia, mentre così leggesi ne’ frammenti di Balbo: ager Sentino oppidum limitibus marittimis, et montanis lege triumvirali assignatus est, et loca ejus hæreditario jure populus accepit. Finitur sicut consuetudo est regioni Piceni. Il Catalani5 seguendo il parere [p. 21 modifica]dell’Olivieri crede, che per legge triumvirale s’intenda quella misura, che fecero per le Colonie i Triumviri deputati in vigore della legge promulgata da Tiberio Gracco per rimisurare i terreni delle Colonie, e restringere le possidenze alle prescrizioni della Legge Licinia. Ma siccome in Balbo trovasi terminis Sillanis, Augusteis, Graccanis: così altri autori pretendono, che tali espressioni denotino gli autori, da’ quali furono dedotte le colonie, cioè i Sillani da Silla, i Graccani da Gracco, gli Augustei da Augusto, i Triumvirali da’ Triumviri, i quali tutti secondo le storie dedussero Colonie. Dicono, che non debbon confondersi i termini graccani colla legge, o co’ termini Triumvirali, e di due cose fame una. Quindi trovando spesse volte in Balbo limitibus graccanis non dobbiam credere, che egli intenda di significare lo stesso quando dice lege triumvirali, o limitibus triumviralibus. Secondo le cose narrate sembra, che Balbo ci dica, che in Sentino fu dedotta la colonia da’ Triumviri, e sembra, che la storia ancora ce lo confermi.

Sotto il pretesto di vendicare la morte di Giulio Cesare, Ottaviano, Lepido, e Marcantonio fecero il triumvirato, e per sostenersi in tal tirannica autorità ricorsero alle forze de’ Soldati, promettendo loro di fare il riparto de’ terreni di diciotto Città delle migliori d’Italia, tra le quali espressamente furono nominate Capua, Reggio, Venosa, Benevento, Nocera, Rimini, ed Ipponio, e di darlo a loro, se essi li avessero assistiti col lor valore. Si dovevano dunque premiare tali soldati, e Marcantonio andò nelle provincie oltremarine ad accumularFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219 delle somme per darle ad essi, ed Ottaviano ritornò nell’Italia a ripartire i territorii delle Città. La divisione fu ritardata per qualche tempo, perchè Ottaviano si ammalò in Brindesi, ma fu finalmente da lui eseguita con somma soddisfazione delle sue truppe, le quali al dir di Appiano6 assaltarono ostilmente molte Città, e luoghi occupando assai di più, che non era stato loro promesso, confondendo ogni cosa con preda, e rapina, e con infinito [p. 22 modifica]risentimento degl’Italiani, che contro ogni giustizia furono spogliati delle lor terre, e furon date all’ingordigia de’ più sfrenati soldati; e perciò Virgilio disse7

Impius haec tam culta novalia miles habebit?
Barbarus has segetes? en quo discordia cives
Perduxit miseros! En queis consevimus agros?

e nell’Egloga nona prosiegue a dire

O Lycida, vivi pervenimus, advena nostri
(Quod nunquam veriti sumus) ut possessor agelli
Diceret: hæc mea sunt: veteres migrate coloni.

Quando facevasi un tal riparto da Ottaviano, era Console Lucio fratello di Marcantonio, cioè nell’anno 713 di Roma. Soffrì di mala voglia tal riparto credendo, che le milizie si sarebbero più affezionate ad Ottaviano. Lo stesso pensò Fulvia moglie di M. Antonio, e pretesero ambedue di far sospendereFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219 le assegnazioni sino al ritorno di M. Antonio, o di entrare a fare i ripartimenti, supplendo essi le veci di lui. Si oppose prima Cesare, ma poi loro condiscese, perchè tanto Lucio, che Fulvia si rivolsero all’esercito, e perorarono innanzi ad esso la propria causa, ed ottennero, che ancor essi potessero condurre nelle Colonie le Antoniane legioni. Lucio subito fece i ripartimenti ne’ territorii non peranchè sottoposti da Ottaviano alla divisione. Si raccoglie, che Lucio dividesse i Terreni di Sentino, e di Alba vicina a’ suoi soldati. Imperocchè prosiegue a dire Appiano8 che nella Città di Alba erano due legioni di Lucio Antonio, le quali avendo cacciati i loro uffiziali fecero segno di volersi ribellare. Lucio si affrettò di andare in Alba per tenerle affezionate al suo partito, ed Ottaviano similmente andò in Alba per tirarle alla parte sua. Ma Lucio giunse prima, e colle promesse, e col denaro confermò i soldati nella fede. Dopo questo Firmio venendo con un’altro esercito a Lucio, fu assaltato tra via da Ottaviano, che stava nelle Campagne di Alba. Firmio si tirò in dietro, e nella notte si condusse a Sentino, che seguiva la parte di Lucio. Fatto giorno Ottaviano [p. 23 modifica]assediò la Città, ma avendo saputo, che Lucio era andato in Roma, lasciò egli al riferir di Dione9 Quinto Salvidieno Rufo per espugnare Sentino, ed egli marciò verso Roma. C. Furnio, che presedeva a tale Città, essendosi discostato lungi da essa per perseguitarlo, all’improvviso Salvidieno dando un’assalto alla Città, la prese, la saccheggiò, e le diede fuoco. Così perì Sentino, che fu fondata da’ Siculi, come sarò per dire, e che nella Storia era celebre per la battaglia succeduta alcuni secoli prima innanzi alle sue mura tra’ Galli, e Romani, e che in appresso riferirò. Fu riedificata da Ottaviano, come si raccoglie dalle seguenti parole di Igino. Divus Augustus in assignata orbi terarum pace exercitus, qui sub Antonio, aut Lepido militaverant, pariter et suorum legionum milites colonosFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219 fecit, alios in Italia, alias in provinciis. Quibisdam deletis hostium civitatibus urbes novas constituit, quosdam in veteribus oppidis deduxit, et colonos nominavit. Illas quoque urbes, quæ deductæ a regibus, aut dictatoribus fuerant, dato iterum coloniæ nomine, numero civium ampliavit, quosdam et finibus. Dione poi ci avverte, che Ottaviano dopo la Vittoria di Azzio per premiare il valore de’ suoi soldati fece molte deduzioni per le Città d’Italia, e per far ciò spogliò della lor possidenza i soldati di Antonio. Ecco dunque, che Sentino divenne poscia Colonia Augusta, nome, che davasi a tutte quelle, che furono dedotte da Ottaviano, e che il di lei territorio fu diviso per legge de’ Triumviri. Ma passo a riportare le lapidi. Sono state queste disperse quà, e là, ed alcune rittrovansi in Sassoferrato, altre ci sono state conservate dagli Scrittori, molte rimangono sotto terra, e molte altre sono state infrante, e collocate in luoghi, in cui dovevan perire. Comincerò da quelle, che ci ricordano gli Dei venerati dagli antichi Sentinati. Il Nintoma nella sua quarta lettera10 riporta la seguente, che rimane nel Monastero di S. Croce di Sassoferrato.

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IOVI SOLI
INVICTO SERAPIDI
T. AELIVS ANTIPATER PROC. AVG.
CVM VMBRICIA BASSA CONIVGE
GRATIAS AGENTES POSVERVNT


Il Muratori11 riporta quest’altra, che prese dal Donio, la quale ci ricorda un Nume, che è ignoto nella Metologia de’ Gentili, e siccome fu copiata malamente, così non sappiamo, se parli di un Dio, o di una Dea, perchè al Deo deve corrispondere Frondosio

DEO FRONDOSIAE
EX VOTO FELICITER


Quelle, che ci ricordano i Sacerdoti, e le Sacerdotesse, sono le seguenti tratte ancor esse dal Donio, e riportate dal Muratori12

M. COCCEIVS. . . . . .
AVGVR SODAL . . . . .
VRB. VI. VIR. TVRMA . . .
PALAT. TRIVMPHALIS . . .
HONORATVS PATRON . . .
VETVSTATE CONLA . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . .


Ecce l’altra, che rimane in Casa Romagnoli

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . T. F. LEM. SECORINVS
. . . . D. QVING. AVGVR
. . . . RIAM. SOLO PRIVATO
. . . IA FECIT


Nella Chiesa di S.Croce

C. VARERIVS. C. L.
FAVSTVS. SEX. VIR. AVGVSTALIS

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PRIMVS. VIVOS. SIBI ET
AETRIAE T. L. DIONISIAE VXORI


Il Muratori13 riporta la seguente, che fu fatta in onore di Avidia Tertulla Sacerdotessa, donna di merito, a cui fa inalzata una statua dall’ordine municipale de’ Seviri di Sentino.

AVIDIAE. C. F. TERTVLLAE
FLAM. MATRI. MVNICIPAL.
ORDO. VI. VIRAL.
OB. MERITA. EIVS.


Le seguenti ci ammaestrano del governo politico di Sentino. La prima riportata dal Grutero, che la prese dall’Aldo, ci ricorda i quinquennali, e rimane nel Monastero di S. Croce, la seconda, che ci ammaestra degli Edili14, e la terza, che ci ricorda un pubblico Scriba sono riferite dal Muratori

L. SENTINATI
L. F. LEM. VERO
IIII VIR. QVINQ.
IVR. DIC.
ORDO ET PLEBS SENTI.
H. A. I. R.
SATRIA ANF. VERA
FIL. PIISSIMO
L. D. D. D.


C. FVLLONIO. C. FVLLONIO
C. FIL. LEM. C. F. LEM
VERECVNDO PRISCO
AEDILI AEDILI

C. FVLLONIVS HONORATVS AVGVSTALIS
FILIIS PIISSIMIS
L. D. D. D.

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C. SENTINATI C. FIL.
TEMP. INST.
SCRIBAE PVBLICO
C. SENTINAS ANFIOMEVS
ET MARIA SATVRNINA
FILIO PIISSIMO
VIX. ANN. XXIII MENS. X
D. XV


Le seguenti ci ricordano le famiglie. In casa de’ sig. Merolli


C. AETRIO C. F. LEM.
NASONI
EQVO PVBLICO
IN. QVINQVE. DECVRIS
PRAEF. COH. I. GERMANO
TRIB. MIL. LEG. ITALICAE
TESTAMENTO. PONI. IVSSIT
IDEMQVE. MVNICIPIB.
SENTINATIB. IN. EPVLVM
QVOD XVII K. GERMANICAS15
DARETVR
HS. CXX LEGAVIT


Nella Chiesa di S. Croce


D. M
COCEDIO HELITI
IVLIA MAXIMA
CONIVGI BENEMERENTI
ET CALISIVS LIBERTVS

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POMPILIAE MIRTALAE
CAIVS CASIDIVS ACHILLEVS
MARITVS
ET CAIVS CASIDIVS ETTIANVS
MATRI
CARISSIMAE
B. M.
―――――――


Presso la Chiesa di S. Damiano in un piedistallo alto cinque piedi.

D. M.
AEMILIAE
CLEOPATRAE FILIAE
DVLCISSIMAE
CYNECETIVS PATER
―――――――――


Nel Muro della Chiesa di S. Maria del Piano

VIBIA . . . cioè Vibiano
CONS . . . . Consule
―――――――――
D. M.
T. FLAVIO T. F. LEM
SABINO
VIXIT ANNIS XXIV
C. CAESARIVS VERECVNDVS
M.
――――――――


In Casa Romagnoli

ERBVLA
VIXIT
ANNOS XI
PIA
―――――――
D. M.
M. AVRELIVS
EPIPODIVS
COELIAE FAVSTINAE
QVAE VIXIT ANNIS XIV
MENS. IV. DIEBVS XXVII
CONIVGI INCOMPARABILI

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D. M.
QVINTAE
C GRECINIVS
VERINVS . PATER
ET . C . GRECINIVS
PRIMITIVOS
CONTVB . OPTVMAE
VIX . ANN . XXIII
MENSES V . D . XII

D . M . S .
VETTIAE
VICTORIAE
MATRI
PIISIMAE
M. AEMILIUS
MAVANAS





Nella villa delli Felcioni

HIC MAXIMA IACET NVNC VIDIA FVNERE
ACERBO RAPTA PATRI ET MATRI RAPTAQVE
SORORI DVO ET QVATERNOS VITAE
COMPLEVERAT ANNOS HAEC IACET
IN TENEBRAS QVAE VIXIT ANNIS
IIII MENSIBVS IV DIEBVS VII


Il Muratori16 riporta la seguente


ASVLLA C. L. IRRVRA
VIX. AN. XX
HIC. SIT. EST
MATER. CVR.


Nella facciata della casa de’ Sig. Razzi, rimane la seguente, le di cui parole sono di un bello antico, e rassomigliano alle leggi rustiche Catoniane. Questa lapide è assai rara, non ha nessuno degli essenziali caratteri de’ Senatusconsulti, non nomi de’ Consoli, non proposta fatta, non decisione. Nemmeno è decreto di Municipio per somiglianti ragioni. Contiene precetti morali, che deve osservare colui, che in casa riceve l’ospite, e quelli, che questi deve custodire a vantaggio di chi lo alberga.

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S. C.

IVRA . VISVNDI . SALVTANDI . HOSP . EX . ME . SVNTO . HOS
PITEM . INDIGENAM . NON . EIICIVNTO . HOSPITII . IVRA
MVNERIBVS . COPVLANTO . CVRAM . HOSPITIS . HARE
NTO . EVM . AB . INIVRIA . PROHIBENTO . NECESSARIA . C
OMITER . COMMVNICANTO . HOSPITEM . REMUNERA
NTO . HOSPITII . IVRA . RAPINIS . FVTVRIISVE . NON . VIO
LANTO . BONI . SVNTO . BONOS . HOSPITED . EXPECTAN
TO . EOSVE . ABIRE . MANEREVE . NE . COGVNTO .

Per intelligenza di questa egregia lapide dirò poche cose. Se tutte le Nazioni, anche più barbare praticarono in ogni tempo la virtù dell’ospitalità: molto più l’osservarono i Romani, e credettero, che Giove patrocinava, o vendicava i dritti dell’ospitalità, come ce lo attesta Virgilio (Jupiter Hospitalibus nam te dare jura loquuntur.17) Questa pratica erasi estesa per tutta l’Italia, ed era custodita così scrupolosamente, che sembrava un delitto lasciar partire dalle proprie case gli ospiti senza aver fatti que’ doni, che chiamavano Xenia. Pompeo il grande era in procinto di far trucidare gli abitanti d’Imeria, che con troppo calore si erano appigliati al partito di Mario. Si calmò subito, quando Stenia primario Magistrato della Città gli soggiunse, che egli era il reo, e che aveva concitati contro Silla i suoi Cittadini, perchè aveva contratto con Mario un dritto di Ospitalità. In Roma, e nella Grecia le famiglie riputavano a proprio onore un si fatto commercio di amicizia, ed essendo stato una volta contratto diveniva inviolabile, e si perpetuava di Padre in figlio. Ciò appellavasi Tessera hospitalitatis, che consisteva o in una piccola moneta, o in un pezzetto di legno, o di avorio, che i contraenti tagliavano per metà, ciascuno di essi ne prendeva una parte, che [p. 30 modifica]siFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219 conservava con tutta cura, e si trasmetteva a’ distendenti. Plauto ci convince di quest’uso18

Han.

Si ita est tesseram
Conferre si vis hospitalem, eccam attuli.
. . . . . . . . . . . . . . .

Ag.

Pater tuus ergo, hospes, Antidamas fuit,
Haec mihi hospitalis Tessera cum illo fuit.

Han.

Ergo apud me hospitium tibi praebebitur.

Chi dunque aveva contratto questo impegno di Ospitalità, s’informava del giorno, in cui doveva giungere nella sua Città il suo Ospite, ed andava ad incontrarlo. Lo conduceva in sua casa, e dopo aver invocati gli Dei domestici protettori dell’Ospitalità, offriva all’ospite il Pane, il Vino, ed il sale simbolo dell’amicizia, e da ciò venne il proverbio, che per essere perfettamente amici si dovevano mangiare insieme molti moggi di Sale, al dire di Cicerone19: verum illud est, quod, vulgo dicitur, multos modios Salis simul edendos esse, ut amicitiæ munus expletum sit. Uno de’ doveri de’ Questori Romani era quello di preparare a pubbliche spese un alloggio agli Ambasciatori delle Nazioni straniere, e di somministrare ad essi le cose necessarie alla vita. Presso i Greci quest’officio apparteneva a coloro, che eran chiamati Proxeni, e Parrochi. I primi dovevano andare incontro al deputato, e condurlo al luogo preparato: i Parrocchi dovevano provvedere ai bisogni di lui, e somministrargli il necessario. Il P. Corsini ci avvisa, che in Atene eravi per fino un Sinodo consacrato a Giove Ospitale. Nel suo erudito libro20 riporta alla nona iscrizione, che un certo Diogneto Questore Naucleorum, et Mercatorum vehentium synodum Jovis Hospitalis significa al Senato voler questo Sinodo mettere una dipinta imagine di Diodoro suo ospite. Somiglianti Sinodi ad onore degli altri Dei avevansi, ed il Corsini ne reca molti esempi. Ma che erano questi [p. 31 modifica]Sinodi? Sacre adunanze certamente, e par verisimile, che unioni siffatte somigliassero alle nostre congregazioni, e confraternite. Questi Sinodi avevano i pantomimi, i quali portavano in giro qualche Simulacro del Dio per rappresentare innanzi ad esso qualche sacra azione del medesimo principalmente co’ gesti senza parlare. Avevano un Sacerdote, sì per ricevere i doni sacri, sì per fare una specie di iniziazioni, come si ricava dalla seguente lapide del Grutero21 M. Aur. Aug. Lib. Agilio Septentrionio Pantomimo sui temporis primo, Sacerdoti Synhodi Apollinis

Premesse queste notizie, io penso, che la lapide rimanesse in una scuola di un Collegio composto dalle persone più ricche di Sentino, le quali sotto una Figura di Giove Ospitale a loro spese l’avessero posta, e si fossero obbligati di albergare anche gli ospiti Concittadini, distribuendo fra essi i rioni della Città. Imperocchè si legge in Cicerone22 Theofrastus quidem scribit, Cimonem Athenis etiam in suas curiales Laciades hospitalem fuisse. Ita enim instituisse, et villicis imperavisse, ut omnia præbentur, quicunque Laciades in villam suam divertisset. La città di Roma era divisa in trenta curie. Atene in paghi, ciascuno de’ quali aveva il proprio nome. Quello di Cimone nomavasi Lacia. Sentino sarà stato diviso in quattro, o cinque Vici23, e la Confraternita o il Sinodo di Giove Ospitale si sarà obbligato di albergare i Cittadini, se dal loro Rione andavano nell’altro o dalla campagna venivano in Città: hospitem indigenam non eiiciunto. Le lettere S. C. da me si [p. 32 modifica]spiegano sumptu communi. Giove dice jura visundi, salutandi hospites ex me sunto, perchè essendo indigeni questi ospiti si potevano facilmente vedere, e salutare. L’Albergatore doveva dare i doni chiamati Xenia all’Ospite: hospitii jura muneribus copulanto, doveva aver premura dell’Ospite col dargli tutto il necessario, e coll’impedire, che non gli fosse fatto alcun’ affronto: curam hospitis habento, eum ab injuria prohibento, necessaria comiter communicanto. L’omicidio involontario di un’Ospite passava per un delitto irremissibile. Omero descrive Glauco, e Diomede, che si trovavano a petto, e che stavano per venire alle mani. Ma riconoscendo, che eran molti anni, da che le loro famiglie erano unite co’ legami dell’Ospitalità, sedano il furore, che li accendeva, e scambievolmente si fanno regali. Viceversa l’Ospite doveva esser grato al suo Albergatore hospitem remuneranto: non doveva violare ii dritto dell’ospitalità con rapine, o coll’insidiare l’onestà della gente di chi lo alloggiava: hospitii jura rapinis, futuariisve non violanto. Ambedue dovevano esser persone di un animo benfatto: boni sunto, e l’Albergatore doveva aspettare buoni ospiti, e non doveva costringerli nè a partire, nè a rimanere: bonos hospites expectanto, eosve abire, manereve ne cogunto.

Sono molto valutabili le due seguenti tavole di bronzo, le quali se non si acquistavano dal Cardinale Alessandro Albani, a quest’ora sarebbero perite. Contengono due decreti fatti dal Colleggio de’ Fabbri di Sentino per conferire il patronato a Correzio Fusco persona di sommo merito presso di loro. Il Muratori, che riporta la prima nella pagina trecento sessanta quattro, asserisce, che esiste nel Museo Albani, e che gli fu mandata dal Marchese Otterio. Si serve di essa per indicarci i Consoli, che erano nell’anno di Cristo 260, e dice, che se non era questa, avremmo ignorato il prenome di questi Consoli, e la riporta di nuovo nella pagina DLXV

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P CORNELIO SAECVLARE II ET IVNIO DONATO II

KAL. IVLII COS

     SENTINI CVM IN SCOLA SVA FREQVENS NVMERVS COLL. FABR
     SENTINATIVM CONVENISSENT NVMERVM ABENTIBVS
     C. IVLIO MARTIALE ET C. CASIDIO RVFINO QQ. ET REFERENTIB
     IPSIS SEMPER ET IN PRAETERITVM ITA SPLENDIDISSIMVM NÑ
     CONISVM ESSE VT ADFECTIONE SPLENDORIS SVI IN SINGVLOS
     QVOSQE CONDIGNOS MERENTES EXHIBEANT VEL MAXIME
IN HONORE ATQVE DIGNITATE MEMMIAE VICTORIAE QVON
DAM INDOLES MAMORIAE FEMINE MATRIS NVMERI NOSTRI
PROORSVS VSQVAEQVE ESSE PROVECTVM NOMEN DOMVS
EJVS VT PER ORDINEM GENERIS SVI OMNES IN NVMERVM Ñ
PATRONI IN COLLEGIVM NOSTRVM APPELLARETVR OPTAN
DAQVE ERANT VT OMNES VNIVERSISQVE INCOLVMES IN
NVMERVM NOSTRVM VIDERENTVR ET QVONIAM VIR SPLEN
DIDVS CORETIVS FUSCVS PATRONVS NVMERI DEBEAT EX
EMPLO PIETATIS PARENTIVM ET MATRIS HONOREFICENTIA
ITAQVE SE OMNIBVS VIDERETVR TABVLAM AEREAM EI OFFER
RI

Q.F.P.D.E.R.I.C.C.

GLORIOSAM ESSE RELATIONEM B. B. V. V. Q. Q. COLLEGI Ñ
ET IDEO CVM SIT CORETIVS FVSCVS SPENDIDE NATVS VT
POTIVS HONORIFICIENTIAE NOSTRAE MODVM INTEL
LEGAT NECESSAQVE SIT EI TABVLAM AEREAM TITVLIS
ORNATAM SCRIPTAM OFFERRI PETIQVE AB EO HANC
OBLATIONEM NOSTRAM LIBENTI ANIMO SVSCIPE
RE DIGNETVR LEGATOSQVE IN EAM REM FIERI QVI
QVI DIGNE PROSEQVANTVR TITRATIVM AMPLIATVM ORPIVM VER
TATEM AEMILIVM VICTOREM BEBIDIVM IVSTVM CASIDIVM MARTA
LEM IVLIVM MARTIALEM CASIDIVM RVFINVM BEBIDIVM IENV
ARIVM AETRIVM ROMANVM CASIDIVM CLEMENTINVM AETRIVM
VERNAM VASSIDENVM FAVOREM CASIDIVM IVSTISSIMVM SA
TRIVM VERECVNDVM STATIVM VELOCEM VETVRI CELERINV


Il Muratori prosiegue a dire, che detto Marchese Otterio così interpreta le lettere in questa iscrizione. Nella quinta linea QQ. Quinquennalium, nella sesta N.N. numerum nostrum, nella ventesima Q.F.P.D.E.R.I. Quid fieri placeret de ea re ita censuerunt. Finalmente nelle susseguenti B.B.V.V.Q.Q. collegii ñ. Bonorum, vel binorum Virorum Quinquennalium Collegii [p. 34 modifica]nostri. Ecco l’altra, che esiste nel medesimo Museo Albani, mandata dal Bianchini al Muratori24


IMP. GALLIENO AVG. IIII ET VOLVSIANO COS.
XV. KAL. SEPTEMBRES

sentini in triclinii domvs cc. nvmervm habenti
bvs seqvella eivsdem collegi ibi referentibvs casidio
severo patre nn et heldio peregrino parente. cvm
sit oportvnvm crebris beneficiis et adfectionem amoris
erga nn exibentibvs adsistere et munificentia

m eorum sicvt oportvnitas testimonivm perhiberet
remvnerare igitvr ex cvnctis videtvr coretivm fvscvm
spendidvm decvrionem patriae n. sed et patronvm trivm
coll. principalivm et vesia martinam conivgem eivs
patronam sed et coretivm sabinvm filivm eorvm iamrridem
patronos per dvplomvm a nvmero n. cooptatos nvnc ta
bvlam aeream patronatvs eis offerri vt merito pro merit. honore
innotescat q. f. p. d. e. r. i. cc.
qvod in praeteritvm coreti fvsci patroni vpsiaesiae martine
patrone et coreti sabini fili eorvm erga amore beneficia praes
tita svsceperimvs nvnc etiam in fvtvrvm non dissimilia qvae
nvnc sentimvs perpetvo ex domvm eorvm precessvra pari adfec
tionem speramvs atqve ideo consentire relatiori bb. vv. casidi
severi patris nn et helbi peregrini parentis et ad remvnerandam
eorvm benevolentia qvo lavtivs adqve pvlchrivs digne honorem
sibi oblatvm svscipere dignentvr decretvm et in tabvla aerea
prescriptvm eisqve et a nobis profectvm est legatosqve
      fieri placvitqve hanc tabvlam digne preseqvi
                  satrivs acilivs satrivs clemens
vodsidenvs megellinvs vassidenvs verinvs
casidivs severvs aeldivs primvs heldivs peregrinvs
brittivs maximvs aelivs honoratvs prolvivs hilarinvs aetrivs
terminalis gavivs felicissimvs satrivs ianvarivs casidivs
      romvlvs aetrivs verna satrivs vrsvs

[p. 35 modifica]Il Muratori asserisce, che questo decreto appartiene all’anno dell’era Cristiana 261. Crede, che i tre principali Collegii, che si accennano, furono de Fabbri’, de’ Centonarii, e degli Dendrofori. Legge nella terza linea in Triclinii domus conclavi, e Patre Numeri nostri. Si stupisce degli errori, e parte di essi attribuisce all’Artefice, e parte ai Cittadini di Sentino. S. Bernardo dice, che dall’ignoranza ne viene la superbia. Io dunque mi stupisco della superbia de’ Fabbri, che essendo persone ignoranti nelle belle lettere ardirono fare incidere in bronzo un decreto fatto da essi senza farlo rivedere, e correggere da coloro, che avevano studiato. Se i nostri Fabbri, Muratori, Lanajuoli si unissero ora in Congregazione, e facessero un decreto nella lingua Italiana, sebbene questa sia nel suo fiore, tuttavia lo farebbero con mille errori, con diversa ortografia, e senza senso. Cosi fecero gli Autori degl’indicati due decreti. Non osservarono le leggi grammaticali, non considerarono il senso, e l’ortografia. Ora chiamarono il lor capo Heldio Peregrino, ora Helbi Peregrini, scrissero ora Aeldius, ed ora Heldius. Io dunque non dico, che la lingua latina era in molta decadenza, come asserisce il Muratori, ma dico: Oh quanto furono superbi, perchè ignoranti! Per intelligenza di questi due decreti, e di quello ritrovato in Ostra, che in appresso riporterò, farò poche parole.

Varii erano i collegj presso gli antichi, e ciascuno formava il suo corpo, la sua università, e la sua scuola. Anzi sotto Alessandro Severo, come dice Lampridio25, erano di tante sorti, che sino i venditori del vino, e de’ lupìni formavano il proprio collegio: corpora omnium constituit vinariorum, lupinariorum, caligariorum, et omnino omnium artium. Non era lecito agli artieri di erigersi in Collegio per loro autorità, ma vi doveva intervenire quella non del Senato Municipale, ma del Senato Romano, o dell’Imperatore secondo [p. 36 modifica]secondo Marciano. Eretto così un Collegio formava una università, ed aveva la propria Scuola ornata di Statue, di pitture, di memorie onorevoli, e di tutti gli ornamenti, nella quale si adunavano gli artefici, formavano le lor leggi, i loro Magistrati, ed i lor Patroni. Plutarco crede derivata da Romolo l’origine di questi Patroni: caeteros deinde potentiores secrevit a plebe, appellavitque patronos illos, hos clientes: ex quo fonte mirifice eos inter se benevolentiae, necessitudinisque copulavit jure, cum litigantibus patroni de jure responderent, atque advocati adessent in judicio, omnibusque item in rebus consilio eos, et studio foverent, hos contra colerent clientes non honorando modo, verum dote etiam tenuiorum filiabus conferenda, et aere alieno solvendo. Questi Patroni non prendevano mercede dai loro Clienti, e sarebbe stata un’infamia, se si fossero abbassati a questa viltà: si mercedem accepissent potentiores a demissioribus turpe haberi coepit, et sordidum. Da quest’uso introdotto nella Città di Roma fra la plebe, ed il Senato, ne derivò quello, che poi fu sì frequente per le Città. Ognuna di esse sceglieva in Roma un soggetto, il quale in qualunque occorrenza si fosse impegnato pe’ di lei interessi; e questo per tali clientele non riceveva è vero alcuna mercede, ma conseguiva 1’affezione, e l’obbligazione de’ Clienti, i quali lo favorivano nel partito, che prendeva. Perchè riuscì a Pompeo adunar subito tanti soldati nel Piceno per andare in ajuto di Silla? Perchè al dir di Plutarco26 l’agro Piceno paternis clientelis refertus erat. Come cominciò Claudio Druso a tentare 1’occupazione dell’Italia? La cominciò per clientelas secondo Svetonio27. Ed a Pertinace chi aprì la strada all’Impero, se non Lolliano patrono del di lui Padre, come riferisce Giulio Capitolino?28 E siccome le persone le più rispettabili, e le più potenti si scieglievano a tale uffizio, cosi era somma gloria per [p. 37 modifica]essi potere avere quante più clientele potevano. Ciò, che dissi delle Città, si deve ancor dire de’ Collegii, i quali per lo stesso effetto eleggevano i loro Patroni, come fece il Collegio de’ Fabbri di Sentino in persona di Correzio Fusco, che era Decurione di Sentino, e Patrono dei tre collegii principali: Coretium Fuscum splendidum decurionem patriae nostrae, sed et patronum trium Collegiorum principalium. Chi era eletto Patrono, sapeva la sua elezione dagli ambasciadori, che gli spediva il Collegio, e questi gli offrivano le tavole ospitali a nome di quel corpo, che lo aveva eletto, le quali erano anche di bronzo, come sono queste due del Collegio de’ Fabbri di Sentino: ed in esse era registrato il decreto del Collegio, da cui era stato stabilito di spedirgli l’ambasciata coll’offerta di quella tavola. Siccome era cosa assai decorosa l’avere molte clientele, così era molto onorevole l’avere un numero di queste tavole, le quali si conservavano nella casa del Patrono esposte alla vista di tutti, e viceversa si conservavano eziandio o nel Tempio della loro università da’ Clienti, o nella Curia, o nella Scuola, dove si congregavano, come può osservarsi nello Spalletti. Sedici furono gli incaricati a presentare queste due tavole a Correzio Fusco, e quattordici, come si vedrà, furono incaricati a portar quella de’ Centonarj di Ostra a Correzio Vittorino. Fra questi furono scelti i due Maestri, che col nome di Padri presedevano al Collegio, e di due Questori, che erano i primi dopo essi.

Crede il Muratori, che i tre Collegii principali accennati nella seconda tavola di Sentino, furono de’ Fabbri, de’ Centonarii, e de’ Dendrofori. Lasciando da parte i Fabbri parlerò de’ Centornarii, e de’ Dendrofori. Centonarius in lingua italiana significa facitore di Schiavine, e non solo erano essi addetti a cose militari, cioè alla provvista de’ panni di lana ben feltrata, o artificiosamente cucita per difendere le rocche, le navi, i soldati da’ colpi de’ nemici, come pensano il Morcelli, [p. 38 modifica]e l’Olivieri unendosi al parere del Fontanini29, ma anche a provvedere la gente vile, ed i servi di vesti di lana per ogni loro bisogno. Sotto nome di Centoni al riferire dell’Olivieri30 venivano le grosse coperte da appendersi alle porte, che noi chiamamo Portiere, quelle, che si usavano ne’ letti di gente vile secondo ciò, che osserva il Sipontino, o che si adopravano ne’ viaggi per coprire i Muli, secondo T. Livio31, e finalmente certe vesti rusticane, e servili. In somma i Centonarii erano fabbricatori di cose vili di lana, e perciò disse l’Alciato: qui vilia artificia exercent.

Quale sia stata l’arte de’ Dendrofori noi non lo sappiamo con certezza. Il Salmasio con altri scrittori pretende, che il loro mestiere fu di tagliare, acconciare, e trasportare il legname, e venderlo tanto per uso del fuoco, quanto delle fabbriche, e dei Legnajuoli, quanto delle macchine militari, e de’ sacrifizj. Onorio, e Teodosio abolirono il Collegio de’ Dendrofori come incompatibile colla religione Cristiana32. Il De-Vita crede, che i Dendrofori non appartenessero a cose di Gentilesca superstizione, e che furono aboliti attese le superstizioni, che osservavano nelle loro scuole. Ma Arnobio33 ci avverte, che i Sacerdoti di Cibele furono chiamati Dendrofori, perchè portavano un pino ne’ sacrificj, che ad essa facevano. Imperocchè uno de’ loro riti era questo, che innalzavano un Pino in memoria di quello, sotto di cui si castrò Ati: ornavano di corone i di lui rami, perchè Cibele l’aveva così onorato, velavano colla lana il tronco, perchè Cibele velò con essa il petto di Attide per riscaldarlo.

Da queste poche memorie, che ci sono rimaste, e da’ rottami, che si osservano, evidentemente si rileva, che Sentino fu una Città, di gran considerazione, e che aveva tutte quante quelle prerogative, che [p. 39 modifica]possedevano le Città insigni. Il di lei agro però nelle storie è più rinomato della stessa Città. Imperocchè in esso si consolidò la gran potenza Romana. La politica de’ Romani fu di far guerra ad un sol popolo in ogni volta. Accortisi di essa i Galli, i Sanniti, gli Etrusci, e gli Umbri si collegarono insieme, e stabilirono di fare la guerra a Roma. Essa tremò a tale annunzio secondo quello, che dice Lucio Floro34, e senza aspettare, che i Collegati si portassero nelle sue terre per combatterla, li prevenne, e spedì Q. Fabio Massimo, e P. Decio Mure nell’agro di Sentino per attaccarli. La guerra, che ivi fu fatta, sarà da me raccontata colle parole stesse di Tito Livio nel Capitolo seguente. Nè solamente è celebre l’Agro Sentinate per la sconfitta ivi succeduta de’ Galli, e de’ Sanniti, ma per la sconfitta, che molti secoli dopo ivi fu data a Totila, come narra Procopio, la qual guerra colle stesse di lui parole, racconterò nel terzo Capitolo. Finirò col dire, che Sassoferrato riconosce la sua origine dalle rovine di Sentino, che poco è lontano dall’estinta Città, e che conserva lo splendore de’ suoi antenati, perchè ha formato in ogni secolo nobiltà generosa, e gli ascritti a tale cittadinanza hanno sempre conseguito gli onori degli ordini di Malta, e degli altri ordini Cavallereschi. Il sig. Francesco Ferretti sconvolgendo gli archivj di detta Città ritrovò settanta e più Cavalieri, la maggior parte de’ quali erano ignoti, che appartennero alle famiglie Perotti, Tommasi, Adriani, Alessandri, Alovolini, Oliva, Bentivoglio, della Branca ec. ec, le ultime due delle quali terminarono in donne, che entrarono in Casa de’ Signori Benamati di Gubbio. Dissi Città, perchè così chiamolla li 18 Ottobre 1823 il Pontefice Leone XII felicemente regnante in un suo Breve diretto al sig. Dionisio Onofrj Gonfaloniere, che a nome della Comune gli presentò i sentimenti di fedeltà, di obbedienza, e di giubbilo per la di lui esaltazione al Trono Pontificio.

Note

  1. Lib. 1. c. 8.
  2. De Civit. Dei l. 7. c. 3.
  3. De puerper veterum.
  4. In Paradox.
  5. Orig. ed Antic. Ferm. p. 3. §. 8.
  6. Liber. V.
  7. Ec. 1. v. 71.
  8. Lib. 5. de bel. Civil.
  9. Lib. 48 pag. 364
  10. Pag. 6.
  11. Pag. CVII N. 5.
  12. P. CLXX n. 5.
  13. P. CLXVIII. n. 6.
  14. P. CXCVIII. n. 6.
  15. Narrano Svetonio, e Macrobio, che il mese di Settembre fu chiamato Germanico in onore di Domiziano vincitore de’ Germani. Ma prima Caligola così lo chiamò in memoria del Padre suo Germanico (Svet. in Calig. c. 25.)
  16. P. 858. r. 2.
  17. Aeneid. lib. 1. v. 735.
  18. Poenulus Act. V. scen. 2.
  19. Lib. amicit.
  20. Hist. l. 1. p. 15.
  21. p. 330. a. 3.
  22. Lib. 2. de of. c. 18.
  23. Pesaro era diviso in Vici, come ce lo attestano le lapidi riportate dall’Olivieri, e dal Colucci (Antic. Pic. T. 4). Rimini era diviso in sette Vici, come ci dice la seguente lapide riportata dal Cluverio (Ital. antiq. Lib. 2. p. t. 5.)

    C. FRAESELLIO C. F.
    RVFIONI EQ. PVRL.
    CVR. REIP. FORODR. PATR. COL. ARIM.
    ITEM. QVE. VICANORVM. VICORVM. VII.
    VICANI. VICI. DIANENSIS
    POSVERE.

  24. P. DLXIV.
  25. In Alex. c. 33.
  26. In vit. Pomp.
  27. In vit. Tiber.
  28. In vit ejusd.
  29. Antiq. Hortae lib. 2. c. 5.
  30. Marmor. Pisaur p. 140.
  31. Lib. VII.
  32. L. 20 de Pagan. et Templ.
  33. Lib. 5.
  34. Lib. 1. c. 17.