Roveto ardente/Parte seconda/VI

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Parte seconda - V Parte terza

[p. 240 modifica]La signora Gualterio, che era nata il 21 di marzo, compiva in quel giorno il ventesimo anni versario.

A solennizzare la data, dovevano pranzare in casa Gualterio il colonnello Prezzati e la signora contessa sua consorte.

Adriana, sebbene passata a seconde nozze, esi geva di venire ancora chiamata contessa, e ciò perchè, rinnegando il titolo, avrebbe potuto aver l'aria di rinnegare il suo affetto per il primo ma rito, laddove ella giurava di serbare del conte Vianello incancellabile ricordo.

Il Prezzati non aveva trovato nulla da opporre alle squisitezze sentimentali della sua signora, e così ella era entrata in possesso dei titoli di ren dita del secondo marito, senza rinunziare per questo ai titoli nobiliari del primo.

Anna Maria, affaccendata nei preparativi del desinare, si affacciò un istante alla porta del sa lotto, per vedere se la signora avesse bisogno di [p. 241 modifica]nulla, e trovò Flora, sdraiata in una grande pol trona a braccioli, col busto sorretto da un cuscino di piume e i piedi appoggiati sopra un piccolo sgabello.

Ella si divertiva a seguire con lo sguardo, dalla finestra spalancata, i giri capricciosi delle irre quiete rondinelle.

— Se volesse darmi ascolto — suggerì Anna Maria — lei dovrebbe tirarsi indietro e chiudere la finestra. Non sente freddo un pochino?

— Lasciami tranquilla — rispose Flora, mo vendo languidamente il capo biondo sul cuscino foderato di seta azzurra.

— Vedi? Sto così da due ore, senza muovere nemmeno un dito, e mi annoierei troppo se le rondinelle non mi tenessero compagnia.

Anna Maria, affacciandosi alla finestra e guar dando verso la grondaia con aria di corruccio, disse:

— Queste pettegole strillano, strillano, senza discrezione, e se a lei tornasse il mal di testa, il cavaliere sarebbe capacissimo di pigliarsela con me.

Flora si mise a ridere, ma pianino per non agitarsi.

— Prova a farle tacere, Anna Maria, potrebbe anche darsi che avessero soggezione del tuo ci piglio.

Ma le rondinelle, ardite e petulanti, andavano e venivano, frastagliandosi, incrociandosi, dicendosi mille cose di sfuggita, coi loro gridi altissimi, ar restandosi per un attimo sulla sponda del tetto, a visitare il nido, e disperdendosi pel cielo, con la rapidità del baleno, per tornare subito dopo ad ali aperte e tese.

Anna Maria si allontanò imbronciata, per l'osti[p. 242 modifica]nazione della signora, e Flora rimase nuovamente sola, in verità un pochino stordita da tutto quel via vai, che turbinava fra il cielo e la grondaia. Era un frullìo di ali, un gridio, un avvicendarsi di voli, un sovrapporsi di stridi, un affaccendarsi instancabile di creature alate, che adempivano, ebbre di gioia, ai loro doveri di massaie accorte e vigili, sempre in moto nel pensiero del nido, sempre al nido tornando con voci squillanti di tripudio.

Flora velò con le palpebre gli occhi, fortemente cerchiati, e rimase a interrogare se stessa, come in ascolto di una voce, che doveva salire dalle sue proprie viscere, annunziatrice di vita.

Le piccole mani, ancor più diafane, giacevano stanche sull'ampia veste di flanella bianca, e la flanella della veste era morbida, la seta del cu scino, su cui teneva riposata la gota pallida, era morbida, morbida la poltrona che l'abbracciava, morbida la curva stessa della sua persona, intur gidita ai fianchi, e morbida la sua stessa esistenza, che dopo sofferenze inaudite e una specie di ca taclisma in tutto il suo essere, dopo mesi di nausee, ripugnanze, vomiti, capogiri, si svolgeva adesso lenta e ritmica, con moto affaticato e tardo, ma trasfondendole un senso di dolcezza nuova, quasi di mistero che in lei si compisse e di cui le fasi venissero rivelate a lei minuto per minuto.

Talvolta era il sangue che le saliva con impeto al cervello, affocandole improvvisamente le gote; talvolta era il cuore che rallentava i suoi palpiti, dandole un senso di sospensione e di stupore; talvolta era il respiro che le moriva in gola, ob bligandola ad implorare aiuto; talvolta erano le gambe che le tremavano, e talvolta secreti bri[p. 243 modifica]vidi, impercettibili contrazioni, una sofferenza acuta e deliziosa, uno sdoppiamento di sè, un'affinità inesplicabile fra l'essere proprio e un altro essere che di lei viveva, che ella tiranneggiava e da cui si sentiva tiranneggiata; un altro essere che ella amava, amandosi, che nutriva, nutrendosi, per il quale ogni sua sofferenza diventava sofferenza e nel quale ella sentiva la impressione di ogni suo atto. Bastava che un suono le giungesse inaspet tato all'orecchie, perchè l'essere ignoto fremesse con lei; bastava che un'ombra si adunasse da vanti al suo sguardo, perchè il senso di sgomento che ella provava si riflettesse, facendola tremare con intensità raddoppiata.

Tutto ciò la teneva sospesa perennemente fra una gioia ansiosa e una paura attonita.

Flora conosceva già tutt'i gusti e subiva già tutt'i capricci dell'invisibile despota, come se, in vece di portarlo celato in grembo, le cingesse il collo con le braccia paffutelle. Sapeva che il si gnorino odiava l'odore delle rose, quell'odore.che a lei, in passato, piaceva tanto e di cui era ob bligata adesso a privarsi; si era accorta che il caffè e latte non gli piaceva, e se ne era accorta per i conati da cui era stata presa una mattina al solo avvicinare le labbra alla sua tazza di caffè e latte. In certe ore egli aveva bisogno che Flora rimanesse immobile, semisdraiata; in certe altre non le permetteva di sostare, e si capiva che, di notte, il cattivello non aveva sonno, perchè Flora doveva rivoltarsi per il letto, senza trovare requie.

Ed erano bizzarrie di ogni istante, prepotenze di ogni genere, che si esplicavano in desideri di cibi strani, nell'avidità angosciosa di una primizia, nel disgusto per la forma di certi oggetti, nell'ap[p. 244 modifica]pagamento sereno procurato dalla contemplazione di certi altri.

Un grembiale di Anna Maria, ad esempio, un grembiale nero a piccoli fiorellini bianchi, irritava rinsolentello in modo speciale, e Flora soffriva al punto da impallidirne, allorché Anna Maria le si presentava ricoperta di quell'antipatico indumento.

Contrario effetto produceva una cravatta verde di Renato, che Flora contemplava lungamente, con un benessere ineffabile diffuso per tutte le vene.

Ma, in quel pomeriggio, il signorino doveva trovarsi in disposizioni di clemenza, perchè Flora si sentiva perfettamente quieta e felice.

Guardava il cielo, ascoltava le gaie voci delle rondini, annegava l'occhio nella bionda luce del sole primaverile e lasciava galleggiare il pensiero sull'onda placida di un mare sterminato, i confini di cui si perdevano entro un fluttuar leggero di vapori.

L'onda la sorreggeva, cullandola; sopra il suo capo il cielo si apriva libero ed ampio, ed ella sorrideva alla luce che le appariva benefica, sor rideva all'aria che le blandiva la faccia, sorrideva a sé ed alla vita, che la benediva, dispensiera di gioia e di bontà.

A un tratto si aggrappò ai braccioli della pol trona, sollevò il busto e, col viso proteso, l'oc chio intento, la fronte madida, scolorite le lab bra e il petto ansante, aspettò che si compisse il fatto inatteso e divino, di cui presentiva la vo luttà tormentosa. Una nube le passò davanti allo sguardo, un gelo di morte la strinse, poscia ogni fibra di lei sussultò, e il piccolo essere, immoto fino allora, guizzò per due volte nelle sue viscere, [p. 245 modifica]ed ella si senti come travolta, come trasportata in alto da un turbine di amore, che l'abbagliò, la stordi e la fece ricadere, quasi svenuta, sulla poltrona.

Voleva chiamare Anna Maria, ma un senti mento di oì goglio e di pudore la trattenne; di orgoglio per la fiera consapevolezza della sua maternità, di pudore per l'inviolabile patto, corso oramai fra la sua propria carne e la carne della sua creaturina.

— Ebbene? Come va oggi? — domandò Re nato, entrando nel salotto, e sedendosi vicino a Flora.

— Bene — ella rispose, sorridendogli. Flora nutriva per quel ragazzo un vero senti mento di predilezione. O fosse la spensieratezza comune dell'età, o fossero i modi cortesi e insinuanti di Renato, ella si sentiva più ad agio con lui che con Giorgio o con Anna Maria. — Dunque pare che questo famoso unguento non faccia i miracoli che tu credi — Flora disse con malizia. — Ne hai già consumati tre vasetti e i baffi si ostinano a non venire. — Come? --· esclamò Renato. — Non vedi che già cominciano a spuntare? — Dove? — chiese Flora. — Oui, presso gli angoli delle labbra. Flora scrutò attentamente, poi disse con se rietà: — Se tu mi portassi un microscopio, forse po trei scoprire qualche cosa; ma così, ad occhio nudo, ti assicuro che non vedo niente. — Perchè non vuoi vederli — asserì il ra[p. 246 modifica]gazzo e si frugò nella tasca interna della giacca. — Eccoti qui il resto delle dieci lire. Flora si strinse nelle spalle e respinse la mano del ragazzo. — Tieni anche queste. — E se papà se ne accorgesse? Flora restò pensosa un momento, avendo già ricevuto in proposito qualche rimprovero. Giorgio, fin dal ritorno dal viaggio di nozze, aveva consegnato alla moglie la chiave del ti retto in cui, mese per mese, stavano custoditi i danari destinati all'andamento della casa; ma, es sendosi riserbato il dir tto di una sorveglianza minuziosa, non gli era sfuggita la scomparsa ri petuta di biglietti da dieci e biglietti da cinque. Aveva interrogato Anna Maria e si era dovuto convincere che Flora non faceva acquisti parti colari e che la spesa giornaliera non varcava i limiti prestabiliti.

Egli si stillava adunque il cervello per sapere dove i suoi danari andassero a finire e interrogava, su di ciò, sua moglie con flemmatica ostinazione: ma Flora si trincerava dietro vaghi dinieghi per evitare noie a Renato, il quale, ad ogni nuova richiesta, esigeva più solenne promessa di silenzio assoluto.

— Ci sono tante piccole spese da fare — ella diceva, fuggendo l'occhio indagatore di Giorgio — tante esigenze che saltano fuori all'improv viso, e i biglietti da dieci prendono il volo, co me se avessero le ali!

Il cavaliere le aveva risposto con una certa severità che le spese non si fanno, quando non è necessario, e che bisogna tenere le esigenze al livello dei propri mezzi. E aveva aumentato di [p. 247 modifica]sorveglianza, essendosi convinto che sua moglie possedeva nozioni molto elastiche intorno al va lore del danaro. Ciò era vero.

Flora, non avendo avuto occasione mai di spen dere direttamente, non misurava affatto la rela zione esistente fra una determinata somma di da naro e la quantità corrispettiva di benessere che quel danaro poteva fornire. Come, secondo lei, un biglietto da mille costituiva una fonte inesau ribile di ricchezza, a cui si poteva attingere senza misura, così un biglietto da dieci costituiva una somma trascurabile, di cui non valeva la pena tener conto.

Ella dunque disse a Renato: — Dal momento che ti ho dato un biglietto da dieci, poco vale che tu rni restituisca un bi glietto da cinque — e poiché nell'orologio del salotto scoccarono le sei, e allo scoccar delle sei, il cavaliere varcava immancabilmente la porta di casa, ella, con gesto di cordiale monelleria, disse in fretta e sottovoce: — Presto, nascondi. Ecco papà. Renato fece scomparire il biglietto nella tasca, ed entrambi risero, contenti e maliziosi, simili a due ragazzi felici d'ingannare la vigilanza di un severo pedagogo. Giorgio si recò anzitutto nella propria stanza a cambiarsi di vestito, poscia si recò in salotto a salutar la moglie. Ma, appena entrato, vedendo che il figlio aveva deposto il cappello sopra una seggiola e scorgendo un mucchietto di cenere sopra l'angolo di un tavolinetto di lacca, comin ciò una delle sue prediche interminabili. Era una bella abitudine, non è vero? quella di deporre gli oggetti in salotto anziché nella [p. 248 modifica]propria stanza? E non sarebbe una cosa amena, se egli deponesse in salotto la sua giacca, Flora le sue scarpe, Anna Maria il canestro della spesa? A simile stregua, non valeva meglio vivere in una topaia anziché spendere un patrimonio nella pigione, per possedere un appartamento decoroso, fornito di tutte le possibili comodità?

Renato guardava fuori della finestra e teneva l'occhio fisso sul muro della casa di fronte.

Flora, a capo chino, subiva rassegnata lo stil licidio di quelle parole, che ella già sapeva a me moria e di cui avrebbe potuto ripetere, in pre cedenza, ogni più lieve inflessione.

Intanto Giorgio, infatuandosi sempre più, con tinuava a sermoneggiare.

Anzitutto, egli all'età di Renato non sapeva nemmeno che cosa significasse il verbo fumare; poi, quando si è viziosi precocemente, si deve avere il pudore di nascondersi agli occhi dei ge nitori; poi, se nemmeno il pudore si sente più, si deve almeno usare un riguardo ai mobili e non mettersi al rischio di sciuparli con la propria cial troneria!

E, dopo avere accuratamente raccolta la cenere in un pezzettino di carta che gettò dalla fine stra, si rivolse direttamente alla moglie e le do mandò:

— Manca ancora un biglietto da dieci lire nel tiretto della scrivania. Lo hai preso tu?

Renato non battè ciglio; Flora si coperse di rossore; ma rispose eroicamente:

— Si, l'ho preso io! Il cavaliere osservò che egli non si permetteva di chiedere conto alla propria moglie dell'impiego di quel danaro. [p. 249 modifica]Nella sua qualità di uomo educato sentiva il dovere di supporre che la moglie non facesse degli sperperi; ma, nella sua qualità di capo di casa, sentiva il diritto di esigere una spiegazione. Moglie e marito sono uguali certamente; ma a patto espresso che la moglie non muova un dito senza chiedere prima il permesso all'autorità mari tale. Flora facesse dunque il piacere di spiegarsi e confessare in qual modo aveva spese quelle dieci lire, che la mattina c'erano ancora e che la sera non c'erano più.

La giovane signora taceva ostinatamente, mentre Renato, da ragazzo discreto che non vuole e non deve assistere alle dispute dei genitori, aveva preso il cappello ed era uscito alla chetichella dal sa lotto.

Il cavaliere stringeva Flora nelle sue argomen tazioni. Le mancava forse qualche cosa? Non si faceva egli uno scrupolo di contentarla sempre, in tutto? Il giorno avanti aveva desiderato le fragole, una costosa rarità in marzo, e non aveva egli, forse, ordinato ad Anna Maria di comperarne a qualsiasi prezzo? Nel limite delle proprie forze il cavaliere non chiedeva di meglio che soddi sfarla, purché ella si spiegasse, purché non facesse misteri, purché, quando i biglietti di banca spa rivano, si avesse almeno il magro conforto di sa pere dov'erano andati a finire.

Flora, a un certo punto dell'omelia, ruppe in lacrime come una bimba.

— Ci siamo — disse il cavaliere, fregandosi le mani — tu piangi e io pago! Seguitiamo pure cosi e andremo a vele gonfie. Semplicemente mi piacerebbe di sapere in che modo le lacrime risolvono una situazione — e vedendo che la [p. 250 modifica]moglie seguitava a pianger sempre più forte, riprese con allegria piena di amarezza.

— Ma se te lo dico che la colpa è mia! Sono io che pago e sono io che ho torto. Va bene così? Ti conviene? Vuoi che io ti chieda scusa? Parla pure. Io sono pronto a tutto.

La giovane signora singhiozzava tanto dispera tamente che Anna Maria accorse dalla cucina.

— Benone! — ella esclamò indignata. — La faccia piangere e poi si lamenti con me quando la signora ha il mal di testa!

Giorgio sottopose a lei la faccenda delle dieci lire; ma Anna Maria rispose fieramente che, quando una donna si trova in quello stato, ha il sacro santo diritto di non essere tormentata nemmeno per un milione.

Flora aveva cessato di piangere, perchè era sve nuta.

Dovettero scioglierle le vesti, trasportarla sul letto, spruzzarle il volto di acqua.

Giorgio si affannava a prodigarle mille cure, preoccupatissimo dall'idea di veder giungere la suocera, mentre Flora si trovava ancora in quelle belle condizioni.

Sarebbe stata cosa impagabile che lo avessero anche accusato di tiranneggiare sua moglie!

Ma quando la signora Frezzati arrivò, tutto era tranquillo.

Adriana, reduce da un viaggetto a Parigi, in dossava una lunga cappa tagliata a sacco, che la faceva apparire anche più snella. Un cappello biz zarro, coperto di piume, le ombreggiava il volto ridente. Ella varcò la soglia del salotto da pranzo, stretta al braccio di suo marito, il quale, fresco, arzillo, ben rasato, sembrava l'immagine della fe[p. 251 modifica]licità. E felicissimo egli era infatti, lodandosi ogni giorno più di avere commessa quella che i suoi amici intimi chiamavano una grande pazzia. Adriana era per lui l'ideale delle mogli. Allegra, sapendo spender bene il proprio danaro, intelli gentissima nell'ordinare i pasti alla cuoca, sapiente nello scegliere i più delicati manicaretti, quando di sera, dopo il teatro, se ne andavano a fare gli sposini in qualche ristorante di lusso, docile a tutt'i senili capricci di lui, pronta sempre a tutte le eccentricità, contenta di rimanersene a letto tino a mezzogiorno, contenta di coricarsi alle due del mattino, contenta di capovolgere l'ordine della giornata.

Il colonnello trovava in lei la gaia compia cenza di un'amante senza scrupoli e la solida amicizia di una moglie fedele; perchè Adriana gli era fedele senza restrizione, giudicando oramai la virtù meno faticosa e più remunerativa del vizio. La confessione che, lealmente, Adriana gli aveva fatto, in mezzo a un profluvio di lacrime e alla vigilia delle nozze, narrandogli come il primo marito si era suicidato per lei, era servita ad accrescere, per il colonnello, il valore dell'ac quisto. Una donna, che ha provocato il suicidio pas sionale del primo marito, deve possedere in sè stoffa quanto basta a rendere beato il secondo!

Adriana abbracciò con tenerezza vivace la fi gliuola, interessandosi minuziosamente alle varie fasi del suo stato, e volendo rendersi conto di persona se il corsetto di Flora non fosse troppo stretto. Le mamme, si sa bene, debbono sacrificare tutto, la vanità compresa, ai loro piccini! E la [p. 252 modifica]contessa ebbe una smorfìetta d'intenerimento, pen sando al caro marmocchietto che, fra poco, la avrebbe fatta scomparire col chiamarla nonna.

Al momento di sedersi a tavola avvenne un piccolo incidente.

Il cavaliere osservò subito che Renato, more solito, aveva mangiato un panino fuori pasto e si era mesciuto due dita di vino rosso.

Ecco, quest'abitudine di Renato era inconcepi bile e urtava indicibilmente i nervi al cavaliere. Che scopo c'è d'ingoiare un panino proprio sul punto di andare a pranzo? E in quale paese del mondo, un ragazzo ben educato, di quindici anni, si comporta come un monello maleducato di cinque? Certo era una debolezza, Giorgio ne con veniva: ma quell'ostinazione di Renato lo irritava e quel panino che non c'era più gli diminuiva l'ap petito.

Stupidaggini? Sissignori; ma per un figlio le stupidaggini di un padre dovrebbero essere cosa sacra.

Flora prese le difese del ragazzo, Adriana quelle di sua figlia, il colonnello quelle di sua moglie e ne nacque un piccolo battibecco, durante il quale Renato forbiva tranquillamente' il proprio cucchiaio con un lembo del tovagliolo; altra abi tudine pessima che il cavaliere giudicava sconve nientissima.

La nube lieve peraltro fu presto dissipata e il desinare procedette senza inciampi.

Dopo il caffè, le signore passarono nella stanza da letto, non potendo Flora sopportare l'odore di tabacco.

— Indovina chi ho incontrato nel venir qui? — disse Adriana, cingendo col braccio la vita della [p. 253 modifica]figliuola, che ella trattava oramai come amica e confidente, visto che erano entrambe due sposine.

— Ho incontrato l'onorevole Montefalco! Si curo. Quel villanzone provinciale mi passava ac canto impettito, facendo le viste di non ricono scermi. Io l'ho fermato e gli ho presentato mio marito. Figurati che naso! Ma si è ripreso subito ed è stato gentilissimo. Ha domandato di te e ti manda mille rallegramenti per il tuo matri monio.

--· K il colonnello che cosa ha detto? — do mandò Flora.

— Niente. Che cosa doveva dire? Sarebbe bella che una signora rispettabile non potesse avere avuto degli amici! Mio marito è un uomo di spi rito e, dopo tutto, un deputato è sempre un de putato!

Il colonnello la chiamò ed ella aderì premurosa all'invito di prepararsi per togliere il disturbo a quei signori, molto più che Adriana desiderava recarsi alle Varietà a sentire una celebre divette esotica.

Le giornate dell'attesa scorrevano per Flora uguali e placide* nella successione monotona delle stesse vicende.

Suo marito si alzava nè troppo presto nè troppotardi; spazzolava da sè i propri vestiti, assicuran dosi che ogni bottone fosse attaccato solidamente,, ed usciva un quarto prima delle nove per trovarsi all'ufficio in perfetto orario.

A mezzodì c'era la colezione, dopo di che Giorgio si occupava un pochino dei fiori della terrazza o sfogliava, con cautele infinite, l'"album" dei francobolli. Al tocco usciva di nuovo e per correva, per recarsi all'ufficio, una strada pùi [p. 254 modifica]lunga, giudicando utile favorire la digestione con una passeggiatala discreta e regolare; passeggiatina che ripeteva la sera, dopo il pranzo, ma con itinerario variato per distrarre anche lo spirito.

Alle undici si coricava per ricominciare da capo l'indomani. Faceva cosi da venticinque anni, e da venticinque anni se ne trovava bene!

Flora passava gl'intieri pomeriggi seduta presso la finestra della sua stanza, agucchiando intorno a qualche piccolo indumento e ogni punto messo nella tela candida, era una trama d'oro ch'ella aggiungeva al vasto e ondeggiante labaro del suo sogno.

Ogni giorno che fuggiva rendeva più prossima la venuta del caro piccolino, e il caro piccolino arrivò in una calda notte del mese di luglio.

Flora si destò in preda a terribile agitazione. Il respiro le veniva meno per i palpiti precipi tosi del cuore e, mentre ella respingeva da sè la coltre leggera, parendole di soffocare, una fuga di globi incandescenti le passò rapidamente da vanti alle pupille. Provò a sollevare le braccia, ma le braccia le ricaddero inerti come di piombo e, all'improvviso, uno spasimo acuto la fece con torcere, strappandole un gemito soffocato. Dio! Dio! Chi le attanagliava così le viscere furiosa mente?

Appena le fu possibile di parlare, chiamò Gior gio e lo supplicò con parole interrotte di spalan care la finestra.

In meno di un attimo l'appartamenlo fu scon volto.

Anna Maria, affrettandosi intorno agli ultimi preparativi, chiamava in aiuto tutt'i Santi, men tre Giorgio rimaneva, con le mani penzoloni, [p. 255 modifica]presso il letto della moglie a guardarla intene rito. Certo non doveva divertirsi la poverina, ed il cavaliere rifletteva essere una bella fortuna che gli uomini siano stati destinati a difendere la so cietà anziché a popolarla.

D'altronde, se le cose andavano così, era giusto che così andassero e il cavaliere si confermava sempre più nel concetto che la donna è un es sere inferiore e che l'uomo è il re della crea zione.

Quando il dottore giunse, Flora disperatamente aggrappata ai ferri del letto, con le mani con vulse, rotolava il capo sui guanciali, mordendosi le labbra per non urlare.

Quella giovanetta, tanto sensibile e delicata, rivelava adesso contro il dolore una virtù di eroi smo incomprensibile. Sorrideva al dottore e ras sicurava il marito dolcemente, mentre grosse gocce di sudore le rigavano il volto disfatto. Gli occhi sbarrati fissavano, al di là delle cortine calate, il cielo punteggiato di stelle e pareva che le stelle palpitassero per lei di luce più intensa, trasfon dendole coraggio e promettendole un premio tanto divino, quanto il suo martirio era atroce.

Trascorsero ore di supplizio quale nessuna tor tura saprebbe infliggere, finché, proprio nel mo mento in cui il dottore, preoccupato, le interro gava il polso, ella balzò sui guanciali, come se l'avessero ferita a morte, e un grido lungo, acuto, un grido di suprema angoscia e di suprema in vocazione, risuonò nella notte. Al grido della gio vane madre rispose il soffio lieve di un vagito.

Flora sentiva quasi in sogno l'andarivieni delle persone intorno a sé; ma una dolcezza che non ha nome le disciolse il cuore e le si diffuse [p. 256 modifica]blanditrice per ogni fibra, quando le deposero fra le braccia un piccolo involto di lini candidi, en tro cui qualche cosa d'incerto si agitava e da cui partiva una voce tremula, simile al belato di un agnellino, ma più desolatamente flebile.

Flora dischiuse le palme ad accogliere il pre zioso fardello e si depose sul cuore il piccolo es sere ignaro e debole; debole tanto che la pres sione leggera di due dita avrebbe potuto distrug gerlo.

Da queiristante ella visse selvaggiamente as sorbita e chiusa nel sentimento esclusivo della sua maternità.

Il passato era scomparso, l'avvenire scomparso. Tutto si concentrava per lei nel presente, e tntto il presente era circoscritto nella cerchia delle pic cole braccia, che si agitavano inconsapevoli verso di lei.

Il cavaliere accennò all'idea di mandare a balia in campagna il piccolo Romolo, ma Flora, dolce e docile sempre, diventò furibonda. Il bimbo era suo, l'aveva fatto lei, voleva tenerlo lei, voleva al lattarlo lei! Minacciò perfino, nella esasperazione del suo terrore, di fuggire via con Romolo, se qualcuno avesse parlato ancora di mandarlo lon tano.

Il cavaliere cedette, anche perchè il sentimento di sua moglie, quantunque esagerato, era, in fondo, un sentimento assai lodevole.

Per l'appassionata mammina le ore e i giorni volavano, senza che ella se ne accorgesse. Aveva tante cose da fare! Bisognava sfasciare Romolo e immergerlo nella tinozza; bisognava infasciare Romolo e tenerselo sulle ginocchia per cantargli la ninna nanna; bisognava saziare Romolo con[p. 257 modifica]tinuamente; bisognava rimanere immobile presso la culla di Romolo a contemplare con volto ra dioso il sonno di Romolo!

Flora non pensava ad uscir di casa, non pen sava, quasi, nè a mangiare, nè a dormire, assorta nella sua passione, e c'era da credere che quella esaltazione perenne le confacesse alla salute, pe rocché ella era fiorente, più tonda nelle forme, con le gote soffuse di un beH'incarnato e gli occhi sempre umidi e rilucenti.

Allorché Romolo, sazio di latte, le giaceva in grembo coi piccoli pugni chiusi, stretti vicino alle gote paffute, e con la boccuccia ancora aperta come il becco di un passerotto ingordo, Flora rimaneva in estasi; ma l'estasi si convertiva in delirio al lorché Romolo agitava nell'acqua del bagno le membra color di rosa. L'onda tepida e limpida velava di bianchezza la breve personcina, che Flora sollevava, rorida e fragrante, con esclama zioni ammirative, e che asciugava, delicatamente, sollevando le gambette e raccogliendo i pieducci nel cavo di una sola mano. Il contatto di quella cute, fresca e liscia più del marmo, le trasfondeva brividi di voluttà, e, nel passare il piumino della cipria sul corpicciuolo tondo come una palla, in terrogava con trepidazione ogni ripiegatura delle carni per assicurarsi che il tessuto ne fosse do vunque sodo e compatto.

Poi sollevava il bimbo in aria, lo teneva così sospeso nel vuoto e, chiamandolo coi più dolci e bizzarri nomi, se lo raccoglieva in seno, lo strin geva, lo copriva di baci e, accesa iu volto, vi brante di amore, guardandosi intorno per paura che qualcuno insidiasse il suo tesoro, empiva la casa della sua gioia cinguettante. E il bimbo, [p. 258 modifica]ch'ella pareva voler soffocare con l'esuberanza, quasi feroce, delle sue manifestazioni, si lasciava tormentar da lei, senza un gemito di protesta.

Il contagio di tale delirio si era, in parte, co municato anche agli altri, e il giorno in cui il primo dente tagliò le gengive di Romolo, fu ad dirittura uno scompiglio.

Il pranzo ritardò forse di un'ora, perchè Anna Maria aveva perduta la testa, nè il cavaliere pensò a lamentarsi del ritardo.

Renato approfittò del tripudio per farsi rega lare da Flora una catena d'oro, che disparve su bito e di cui non si sentì più parlare.

Ma la gioia si converti, l'indomani stesso, in preoccupazione ansiosa, poi in terrore disperato.

Romolo non voleva poppare; Romolo dormiva troppo; Romolo aveva la febbre.

Furono sei giorni di follìa, dei quali Flora, in seguito, non perveniva a rammentarsi che come una fosca voragine, dov'ella era precipitata, e in fondo a cui era rimasta giacente per un limite di tempo senza misura.

Tutto fu posto in opera per salvare l'esistenza del piccolino; ma una meningite lo aveva colto ed il visetto turgido, dalle labbra screpolate, aveva assunto una espressione balorda di stu pore che lo rendeva irriconoscibile.

Flora non parlava a nessuno, non ascoltava nessuno; e il suo muto dolore appariva così truce, che tutti sfilavano in silenzio davanti a lei, presi da un senso di pietà mista di paura.

I medici, chiamati a consulto, incitarono il ca valiere ad occuparsi della moglie, anziché del bambino, perchè nelle pupille atone di quella gio vane donna scapigliata e discinta, che da tre [p. 259 modifica]giorni non toccava cibo, essi credevano veder guizzare il lampo precursore della pazzia.

La mattina del sesto giorno, Anna Maria, per indurre la signora a nutrirsi, le disse che il di giuno l'avrebbe messa nella impossibilità di por gere il latte a Romolo, quando Romolo avesse fame.

Flora mangiò docilmente tutto quanto le por gevano, e poiché il bimbo sembrava star meglio, vinto dall'assopimento che nei lattanti, ammalati di meningite, precede la morte, Flora si addor mentò, stringendosi Romolo nelle braccia e bal bettando, senza comprenderle, parole prive di senso, Ma, nel destarsi, la coscienza del dolore le tornò intiera.

Prima anche di aprire gli occhi, si palpò, per istinto, le ginocchia a cercare il corpo del bimbo e, nulla trovando, si alzò impetuosa per correre verso la culla. Cercarono di trattenerla con la forza; ella si divincolò forsennatamente, respinse, cieca di furore, coloro che le stavano intorno e fu di un balzo presso la culla, dove il morticino giaceva. Lo afferrò, lo sollevò affannosa, sentì il gelo delle piccole mani, sentì il peso rad doppiato del corpicciuolo inerte, scrutò il caro volto, non più illuminato dai grandi occhi, ov'ella aveva sommersa l'anima, per sette mesi, toccando il fondo della felicità, posò la gota sopra quelle labbra senza respiro e ricordò, confusamente, un altro giorno di orrore e vide, come nell'incubo, sé stessa piangente e curva sopra un altro ca davere.

Con meraviglia di tutti, ella non versò nem meno una lacrima e non lasciò fuggirsi nemmeno un gemito. [p. 260 modifica]Accigliata, ringhiosa, ostile e diffidente, volle accudire ella stessa a tutti gli strazianti partico lari dell'ultima dipartita.

Avvolse di merletti l'esanime personcina, la compose nella bara, e la coperse con uno strato denso di foglie di rosa, ch'essa lasciò cadere len tamente di tra le dita scosse da tremito.

Ma, quando la cassa di noce, piccola e leg giadra al pari di un cofano, fu sollevata per es sere portata laggiù, nella terra umida e nera, lon tana dal sole, lontana dalla sua tenerezza, e questo per sempre, Flora agitò le mani in alto, sopra il suo capo, con gesto d'imprecazione, e cadde ri versa, come fulminata, nelle braccia di suo marito!